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Autore: Lady Stark    22/12/2015    3 recensioni
«Per lei, tutto è possibile, ufficiale.» con un gesto delle braccia, il taverniere l'invitò a seguirlo.
Len sapeva che quello che stava per fare era sconsiderato, irrazionale e pericoloso.
Era perfettamente a conoscenza del fatto che quel comportamento l'avrebbe potuto distruggere.
Avrebbe potuto demolire tutto ciò che per anni aveva così faticosamente costruito...
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Len Kagamine, Rin Kagamine | Coppie: Len/Rin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter II 

«Non sono molti i fortunati che riescono ad accedere al dietro le quinte, mio signore.» la sgradevole voce dell'oste si fece strada tra i pensieri aggrovigliati dell'ufficiale, ridestandolo da quello pseudo senso di trance in cui era piombato. Aveva come l'impressione di star bruciando su un rogo; la sua anima crepitava sotto il superficiale strato di pelle, rendendolo insofferente a tutto ciò che non fosse il pensiero di lei. Len si guardò attorno con circospezione, evitando di risponde all'insinuazione di quell'avido uomo dal ventre prominente. Seguendo la claudicante ma sicura andatura del taverniere, l'ufficiale stava ora percorrendo un corridoio dalle alte pareti di legno. Il percorso non riportava alcun fregio d'abbellimento, fatta eccezione per qualche lampada ad olio, sporadicamente posizionata su gangi dall'aria arrugginita. Le fiammelle, intrappolate nelle calotte di vetro, ondeggiavano fiaccamente sulla sommità degli stoppini illuminando appena il pavimento accidentato.

«Faccia attenzione, mio signore.»

L'oste si voltò in direzione del silenzioso compagno, colpendo con la scarpa un'asse divelto.

«Dove siamo?»

«Abbia un po' di pazienza, siamo quasi arrivati.»

L'odore nauseabondo del fumo si era ormai dileguato. Ora, il piacevole aroma dei bastoncini di incenso lo sostituiva, dando all'ufficiale l'impressione d'essere entrato in un mondo nuovo, fatto di morbida seta e perle dai riflessi fittizi.

Quello era un cosmo a lui estraneo e, per questo, infinitamente rischioso.

La consapevolezza lo fece tentennare, paralizzandolo proprio a qualche passo di distanza dalla fonte di luce che l'avrebbe introdotto nella stanza.

«C'è qualcosa che non va, mio signore?»

«No.. non c'è niente che non va.» Len scosse la testa e, gonfiando il petto, si accodò all'oste. Questi, picchiando la mano contro lo stipite, richiamò in modo brutale l'attenzione delle fanciulle. Erano tutte sedute attorno ad uno sbozzato tavolo di legno di abete. La rosea bellezza che sul palco le aveva denotate era scivolata via, lasciando posto ad una maschera di ruvida sagacia.

Len rimase attonito di fronte a quello spettacolo.

Non avrebbe mai creduto possibile che potesse intercorrere una tanto profonda differenza tra le donne che lui conosceva e quelle creature dagli occhi di pietra. Nel corso della sua esistenza, l'ufficiale aveva preso parte ad un numero indefinito di balli di gala, in cui tante ragazze l'avevano guardato adoranti, sperando che lui s'innamorasse di loro.

Malgrado tutti i sorrisi di convenienza, aveva sempre trovato ripugnanti quelle mielose speranze, scaturite da qualche romanzo rosa di pessima fattura.

«Che cosa ci fa lui, qui?» Fu proprio la ragazza dai magnetici occhi color acquamarina a parlare. Con un lento movimento si alzò in piedi, per poi scoccargli un'occhiata irriverente ed infastidita.

A giudicare dai boccali ricolmi di liquido ambrato, era evidente che i due uomini avevano appena interrotto un gradevole brindisi tra college.

L'oste inizialmente sbiancò; i suoi occhi cominciarono a ruotare, balzando frettolosamente dall'ufficiale alla ballerina. Quando finalmente si rese conto che l'onore del soldato non era stato intaccato, le sue guance si trasformarono in due tizzoni rabbiosi.

«Ti sembra questo il modo di rivolgerti ad un ufficiale, screanzata?! Porgi immediatamente le tue scuse.» strillò, facendo due minacciosi passi avanti.

La donna rimase immobile, squadrandolo da capo a piedi con aria di nitida superiorità. Poi, dopo qualche secondo di stasi, un sorriso le schiuse le labbra, incantevole come un fiore sbocciato nel deserto.

Per l'ennesima volta, il cuore dell'ufficiale cominciò a palpitare, rubandogli il fiato. L'oste divenne ancora più rosso e, caricando come un toro inferocito, alzò la mano per colpirla in viso. Prima che il goffo gesto dell'uomo potesse però raggiungere il suo fine, Len intervenne. Con decisione, ghermì il braccio dell'uomo stropicciando il polsino della giacca.

«Basta così, buon uomo.»

«Ma.. ma, signore..»

Len lo strattonò indietro, allontanandolo di qualche metro dal tavolo delle ballerine. Queste, cominciarono a fissarlo con cautela, alla ricerca del segreto che nascondeva.

La pelle, fasciata dall'uniforme, formicolava come se centinaia di spilli la stessero stuzzicando. Quell'effetto non poteva che derivare dallo sguardo magnetico della giovane ballerina, così squisitamente irriverente.

«Come lei desidera, mio signore.» borbottò l'oste, aggiustandosi il macchiato grembiule sulla pancia gonfia. A quel punto, vinte dalla curiosità, un paio di ragazze si alzarono con la stessa sensualità do un felino, decise a squadrare più da vicino quel misterioso ufficiale. «Cosa attrae un così altolocato membro del governo in una bettola puzzolente come questa?» la danzatrice inclinò di lato la testa.

La pelle della donna emanava uno sgradevole odore d'alcool e fumo; il suo volto non era altro che un mero rincorrersi di tracce scure e macchie dall'aspetto preoccupante.

«Ho trovato il vostro spettacolo incantevole. Volevo congratularmi con voi di persona.»

I suoi occhi azzurri si sollevarono, volgendosi verso la danzatrice.

Malgrado anche lei si fosse tolta il trucco, la sua bellezza non era minimamente sbiadita.

Len ebbe modo di notare che, senza quel dito di cipria, sembrava estremamente più giovane. Aveva cercato di dissimulare il suo interesse, ma sentiva d'aver ormai raggiunto il massimo limite di sopportazione.

Doveva parlarle, voleva sfiorare quegli zigomi alti e toccare quelle mani fatte d'avorio.

La ragazza s'accorse immediatamente dell'attenzione riservatale e, come un serpente, il suo atteggiamento si fece guardingo.

Era giunto il momento di agire. Con un sorriso incoraggiante, il comandante si fece avanti, mantenendosi però ad una certa distanza di sicurezza.

Non sapeva come comportarsi ed era terrorizzato all'idea che lei potesse fuggire.

«Vorrei complimentarmi con lei, in particolare.»

«La ringrazio, ufficiale.» il tono incolore della ragazza fece infuriare nuovamente l'oste ficcanaso che, con la schiuma alla bocca, cercò nuovamente di intervenire.

«Avrei il piacere di offrirle qualcosa da bere. È possibile?»

La ragazza arricciò le labbra verso l'altro, forse impressionata da quelle parole così raffinate.

Il taverniere, comprendendo finalmente la realtà dei fatti, costrinse tutte le altre danzatrici ad uscire dalla sala e, raccogliendo frettolosamente tra le braccia i boccali di birra, scostò una delle sedie meno rovinate.

«Avete cenato, ufficiale? Che ne dice di assaggiare il piatto forte del giorno? Zuppa di ceci e pomodori, accompagnato con un delizioso crostino di pane fatto in casa.»

La giovane rivolse un'occhiata disgustata al datore di lavoro cercando di distogliere la propria attenzione dal giovane che aveva di fronte.

Sapeva benissimo di non doversi fidare di lui; soprattutto perché ad averlo portato lì era stato quel flaccido doppiogiochista del suo capo.

Aveva da tempo capito che in un mondo come il loro, non esisteva la gentilezza. Tutti facevano determinate azioni solo per ottenere qualcosa in cambio e lei, dopo la bruciante perdita subita, non si sarebbe lasciata ingannare mai più.

Sin da quando l'ufficiale era entrato nel locale, la ballerina aveva deciso di abbandonare la sala ma ovviamente, il suo stomaco la tradì proprio all'ultimo momento.

Un gorgoglio imbarazzante risuonò nell'aria, attirando l'attenzione dei due uomini.

«Assaggerò volentieri la sua zuppa, oste. A patto che ne serva un piatto anche alla signorina.»
Len si mise seduto, sorridendo per l'ennesima volta in maniera tanto gentile che la giovane sentì il proprio cuore sciogliersi. Nessuno la guardava così da anni, ormai.

«Come desidera, mio signore.» L'oste fece un piccolo inchino per poi dileguarsi, sbraitando ordini ad una cuoca anziana, addormentatasi su una sedia con il mestolo sporco di sugo ancora stretto tra le mani.

Quando il capo fu sufficientemente lontano, la ragazza si rivolse all'ufficiale ringhiando.

«Non voglio la sua pietà.»

«Pietà? Ho semplicemente pensato che..»

«Beh, ha pensato male. Se ne vada, perché non ho alcuna intenzione di mangiare con lei.»

Len abbassò lo sguardo sulle proprie mani, incrociate sul tavolo.

«Non ho cattive intenzioni. Ho davvero apprezzato lo spettacolo e volevo complimentarmi con lei.»

La ballerina rise amaramente.

«Crede davvero che io sia così sciocca? Voi uomini non siete in grado d'apprezzare l'arte.» una smorfia aspra increspò il suo bel viso. Len appoggiò la schiena contro lo schienale cercando di non far trapelare quanto si sentisse sconfortato da quel suo comportamento.

«Io non sono così. Se avessi voluto ottenere qualcosa di diverso da lei, non sarei seduto qui, ora.»

La ballerina incrociò le braccia sul petto, nauseata ed al tempo stesso stupita dalla pillola di verità che quell'uomo le aveva coraggiosamente rivelato.

«Come si chiama?»

«Mi chiamo Len.» rinfrancato da quel minuscolo contatto, il soldato si sporse nuovamente in avanti, quasi a comunicare il suo bruciante desiderio di comunicare.

«Vorrei che mi desse del tu, signorina.»

La ragazza alzò gli occhi al cielo, arricciando attorno al dito un perfetto boccolo dorato.

«Smettila di darmi del “lei”. Io non sono una di quelle raffinate damigelle dai visi truccati con costose polveri di zaffiro.»

La ballerina si sedette con pesantezza, scostando di colpo la sedia. «Io mi chiamo Rin.»

In quell'istante, l'oste sopraggiunse con due piatti di coccio nero colmi di una brodaglia dall'indefinito colorito marrone. Len colpì con il proprio cucchiaio una delle sfere che galleggiavano assieme a qualche pezzo sformato di pomodoro.

Rin, dubbiosa quanto il suo interlocutore, accostò il naso alla minestra, saggiando l'odore dell'alimento con un ghigno.

«E questa dovrebbe essere il piatto forte della casa?»

«Zitta, ingrata! Se non fosse per il questo signore, solo ti toccherebbe una pagnotta di pane di segale.»

Un senso di urticante fastidio avviluppò il generale che, con estrema fatica, si contenne dall'alzarsi e colpire quell'insolente. Rin rimase zitta, abituata ad essere trattata da quel mostro come una pezza da piedi.

In silenzio lo maledisse, come sempre faceva con tutti coloro che al mondo l'avevano maltrattata. Quando il suo momento di gloria sarebbe arrivato, chi le aveva arrecato sofferenza sarebbe perito sotto i colpi del suo indomito orgoglio.

«Lasciaci soli, ora.»

Nel momento in cui il taverniere scomparve in cucina, Rin si avventò contro la minestra con tale foga da meravigliare il raffinato ufficiale.

Il suono del cucchiaio contro le pareti di coccio riempì tutta la sala, mentre la giovane ingurgitava a cucchiaiate la brodaglia bollente.

«Fa davvero schifo.» borbottò nel mentre, scoccando un'occhiata frettolosa al suo interlocutore che ancora non aveva avuto il coraggio di sorseggiare quello specchio d'acqua sporca.

«Posso immaginarlo.»

Rin sollevò la testa, guardando l'intoccata minestra. I suoi occhi azzurri scintillarono di bramosia nell'accorgersi che lui non avrebbe minimamente toccato quella porcheria.

«Non lo mangi quello?»

Len le sorrise, spingendo il coccio in sua direzione. Prima ancora che potesse dirle qualcosa, la ballerina aveva già afferrato il bordo del piatto e lo stava trascinando verso di sé.

«Quanto tempo è che non mangi?»

«Un giorno, o forse due. Non saprei ben dirlo.» Lei scrollò le spalle, mordicchiando con gusto la crosta dura del pane.

Solo in quell'istante, Len s'accorse di quanto fosse magra.

Lo scollo della tunica di cotone grezzo metteva in mostra le clavicole.

La pelle pallida era tesa sui due ossicini ed allo stesso modo, i polsi sembravano sottili come due ramoscelli.

«Come può essere successa una cosa del genere?»

«Se rispondiamo male, quello schifoso non ci nutre. Mi ci sono abituata ormai; è la routine.» Rin alzò le spalle, raschiando il fondo del piatto con la punta del cucchiaio.

Len sprofondò in un cupo silenzio; i suoi pensieri si persero nel catalogo di torture e punizioni a cui avrebbe potuto sottomettere l'oste per essersi comportato in maniera tanto barbara ed incivile.

D'improvviso, la ballerina scoppiò a ridere, colmando la quiete di note cristalline.

Le nubi temporalesche che si erano ammucchiate nell'animo dell'ufficiale si diradarono e, stupito, alzò lo sguardo sul viso allegro della sua interlocutrice.

«Guarda che anche se fissi le macchie di birra, quelle non scompariranno. Ormai ci siamo affezionate persino noi.»

I loro occhi si toccarono; le loro anime si sfiorarono.

Immobili, l'uno si perse negli occhi dell'altra.

Quell'intimo contatto non durò che qualche secondo.

Dal nulla, il rumore sferragliante di una pentola fratturò la calma creatasi, riportando così i due giovani alla realtà presente.

Una scossa elettrica attraversò la pelle della ballerina e dell'ufficiale che, incapaci di dare un significato a quella situazione, lasciarono cadere tutto nel baratro dell'oblio .

Eppure, qualcosa di molto pericoloso era scattato nei loro cuori.

Un meccanismo infido che avrebbe potuto condurli entrambi sull'orlo della distruzione se avessero deciso di dargli una speranza.

Len si rese conto d'aver ormai oltrepassato tutti i limiti etici che avevano denotato la sua vita fino a quel momento.

Si sentiva confuso, disorientato dal turbinio di sensazioni che gli si agitavano in petto.

«Devo andare.» disse d'un tratto, alzandosi dalla sedia.

Da quando era entrato in quella sala, aveva totalmente perso la cognizione del tempo.

Facendo due rapidi calcoli, Len considerò che fosse ormai mezzanotte passata.

Rin si sollevò quasi di riflesso, spaventata all'idea che lui potesse andarsene.

«Tornerai?» le sue labbra pronunciarono quella richiesta prima che il cervello potesse interromperla.

L'ufficiale si girò in sua direzione, calcandosi il cappello militare sui capelli biondi.

Avrebbe dovuto risponderle di no.

Avrebbe dovuto porre fine a quella follia.

Avrebbe dovuto far ritorno alla sua rigida vita militare.

Razionalmente, sarebbe stato il comportamento più adeguato da seguire per un uomo dalla brillante carriera come la sua.

«Sì, tornerò.»
Con quelle fatidiche parole, i due giovani firmarono la loro condanna.

Il fiore di quell'amore malato sbocciò fuori stagione nei loro cuori, intrappolandoli in un'ingannatrice foresta di spine.

   
 
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