Avete
presente quando, durante la notte, vi spostate nel sonno e vi ritrovate
al
contrario? Con la testa ai piedi del letto e i piedi sul cuscino? Ci si
sente
storti, in errore. Quella era la sensazione che più dominava
nella mia mente,
amplificata fino all'insopportabile.
È
la
camicia abbottonata male, il sasso nella scarpa, la riga dei capelli
dalla
parte opposta. Sbagliato, sbagliato, era tutto sbagliato. La mia stessa
esistenza era un errore, lo sentivo chiaramente: era come respirare
sott'acqua,
nemmeno il mio corpo lo sentivo più mio.
Odio
incondizionato e immotivato eruttava da ogni cellula del mio corpo:
tutti i
presenti apparivano come ombre ai miei occhi di sangue, era un mondo
distorto
che io dovevo distruggere o, quello, avrebbe distrutto me.
Continuavo
a reggermi la testa tra le mani, agitandomi come un serpente a cui
avevano
tagliato il capo, urlando e sbraitando parole che nemmeno ricordo.
Provavo a
togliermi di dosso qualcosa che non c'era, un velo invisibile di male.
Non saprei
descriverlo in altri modi: era qualcosa di così erroneo che
mi sembra errato
anche parlarne. Non dovrebbe esistere una sensazione del genere.
Ah, le
voci, poi. Le maledette voci... gridavano come demoni rabbiosi, non mi
permettevano di sentire altro che loro. "Devi morire". "Sei uno
scherzo della natura". "Sei una bestemmia contro gli dei".
"Distruggi tutto".
Non seppi
mai dire chi era a parlare, ma se dovessi tirare a indovinare,
probabilmente era
la mia Fiamma del Drago. L'avevo profanata, quella era la mia punizione.
Tra uno
strattone isterico e l'altro, rivolsi lo sguardo verso le streghe:
erano tutte
lì, raggruppate ai confini del cortile mentre mi guardavano
con occhi sgranati,
terrorizzate da me che, ormai, non posso che definire mostro.
Ero
diventata morte e dolore, niente aveva un barlume di senso in quel
momento.
Tutti penserebbero che fosse una reazione più che
comprensibile: quelle giovani
allieve avevano davanti un abominio senza precedenti, ma ai miei occhi
offuscati e corrotti quella non fu altro che l'ennesima provocazione.
Posso
dire, in tutta onestà, che divenni un demonio.
La
Griffin, dall'alto della sua esperienza, aveva tristemente vagliato la
possibilità che io perdessi il lume della ragione, tanto che
urlò ai quattro
professori di intervenire, mentre lei attivò uno scudo sulle
ragazze. Stavo per
scatenare un inferno, quando le rune presidiate dalle quattro figure si
illuminarono rumorosamente: da esse emersero delle catene oscure prive
di
massa, nel giro di pochissimi secondi mi stritolarono nella loro morsa
impedendo sia ogni genere di movimento, sia l'evocazione di
incantesimi.
Generalmente,
queste tecniche di controllo funzionano solo su esseri magici dotati di
magia
nera: vuoi per aiutare le streghe più giovani a controllare
i propri poteri,
vuoi per dare la caccia ad un criminale, queste catene entrano in
contatto con
la fonte magica del soggetto e la sopprimono momentaneamente.
Nonostante
io fossi ancora una fata, quella metodica funzionò comunque
su di me. Perché?
Beh, perché ormai la mia Fiamma del Drago era corrotta per
un quarto. La
Griffin puntò su questo principio per poter contenere la mia
follia, era quel
pezzettino oscuro che le catene stavano strozzando... tanto bastava.
Incapace di
muovermi, incapace di ribellarmi, incapace di saziare il mio desiderio
di
morte. Persi completamente la testa e cercai di accumulare
più potenza
possibile per liberarmi: le smorfie di tensione e fatica dei miei
quattro
carcerieri erano grottesche, al limite dell'umana sopportazione. Alcune
lingue
di fuoco riuscirono a sfuggire dalla prigionia ma, appena le vidi,
rimasi
agghiacciata.
Prima di
allora, le mie fiamme erano di un bel rosso cremisi e oro, luminose
come luce
divina; in quel momento, invece, mi accorsi che erano azzurre, sfumate
di nero
qua e là, come petrolio che brucia. Sembrerebbe un dettaglio
superfluo visto da
fuori, dopotutto era solo un cambio cromatico, cosa vuoi che sia...
beh, non
per me.
Quella
visione mi fece sanguinare il cuore: era il marchio del mio peccato,
era lì, ed
era visibile. Le urla, il marcio che provavo, alla fine erano tutte
cose che mi
riguardavano strettamente, nessuno poteva percepire le mie sensazioni,
nessuno
poteva vedere l'oscuro abisso che mi aveva divorato. Potevo
nasconderlo, in
qualche modo.
Invece, le
mie fiamme blu e le lingue nere, quelle erano tangibili e concrete,
erano reali.
Le potevano vedere tutti. Era la mia pubblica umiliazione, la gabbia
che mi
costringeva a rimanere Bloom e non il nessuno che tanto desideravo
diventare.
Continuai
a fissare il mio fuoco, ammutolita. L'odio folle verso tutto e tutti si
trasformò sempre di più in vergogna e disgusto
verso me stessa, mi ripudiavo
con ogni fibra del mio corpo. Soffocai immediatamente il mio potere per
togliermelo dalla vista, mi accasciai a terra e scoppiai in un pianto
terribile
e disperato, dal quale non avrei voluto mai più riprendermi.
Le catene
oscure, pur non avendo massa, fecero un gran chiasso quando si
scontrarono col
suolo e, a parte il rumore dei miei singhiozzi isterici, nell'ambiente
calò il
silenzio più totale. Che io ricordi, Faragonda rimase in uno
stato catatonico
tutto il tempo: il suo respiro era così impercettibile,
c'erano momenti in cui
sembrava solo un ologramma.
Un orrore
così, come si affronta? Come si può fare i conti
con qualcosa a cui tu stessa
hai contribuito?
«Non...
non volevo... questo» sussurrò appena,
«non...»
La preside
strinse i pugni così forte da tremare, il suo volto dolce e
gentile era
diventato un macabro dipinto miserabile.
«No,
no! Mi
rifiuto!»
Si fece
largo tra le giovani streghe con furia, spostando rozzamente le ragazze
di qua
e di là, mentre la Griffin le urlava di fermarsi.
Arrestò la sua marcia davanti
a me, ansimando forte: era intrisa di una determinazione incrollabile.
«Bloom,
ragazza mia...»
Mi
accarezzò il viso deformato dal dolore e dal pianto convulso
senza arretrare di
un centimetro, ferrea nei suoi intenti. Come c'era da immaginarselo, le
catene
su di lei non ebbero effetto.
«Faragonda...
sono un mostro, guardami» dissi letteralmente vomitando
parole, a tratti
incomprensibili, «uccidimi, uccidimi ti prego, tutto questo
è sbagliato!»
sbiascicai tra le urla e i
gemiti.
Chiunque
che non fosse stato la preside, probabilmente, mi avrebbe fatta fuori
immediatamente.
«No!
Bloom, no! Non ti farò più del male, te ne ho
fatto già abbastanza. Hai una
missione da compiere!»
Scossi la
testa follemente, sbavando oscurità dalla bocca.
«Sono
solo
una stupida! Non ce la farò mai, è tutto perduto,
è stato uno sbaglio fin
dall'inizio! Sono un errore che respira!»
L'anziana
fata non riuscì a trattenere le lacrime, velenose e piene di
rancore verso sé
stessa. Nonostante tutto, non poteva e non voleva soccombere al
blasfemo
abominio che aveva generato: prese il coraggio a due mani come solo lei
sapeva
fare, e mi fece la ramanzina più accorata della sua vita.
«Bloom...
prestami attenzione, Bloom! Guardami e ascoltami!»
Faragonda
non aveva mai alzato la voce con me né con nessun altro: era
alta e squillante,
non ammetteva repliche.
«Guarda
cosa ti sei fatta! Guardati! Non
sei
più una fata, non sei nemmeno una strega, sei qualcosa che
in natura non
esiste!» disse alzandomi il viso per permettermi di guardarla
negli occhi,
incurante dei rischi, per poi continuare presa dalla foga:
«Sai cosa c'è,
Bloom? A me, a noi tutti, non importa! Non ci importa cosa sei, e lo
sai
perché? Perché ti vogliamo bene! Per noi rimarrai
sempre una fata di Alfea! Non
importa cosa dice il tuo corpo o la tua mente, tu sei una fata,
nell’anima e
nel cuore! Non dimenticarlo mai, signorina!»
Quelle
parole mi fecero uno strano effetto, come un bruciore piacevole che,
dal petto,
iniziò ad irradiarsi in tutto il mio corpo: io volevo
crederci, volevo crederci
con tutta me stessa, volevo aggrapparmici come mia unica ancora di
salvezza, ma
le voci nella mia testa strillavano molto più forte, troppo.
«Le
voci...
ti prego, Faragonda, fai smettere le voci!»
Continuai
a piangere, stavolta per il dolore fisico che mi procuravano.
«Combattile!
Pensa a quello che devi fare, pensa al tuo vero nemico! Hai fatto tutto
questo
per Daphne! Pensa a tua sorella! Lo stai facendo per lei,
dannazione!»
Sentire il
nome da me tanto amato mi colpì come un pugno nello stomaco.
«Hai
un
potere smisurato! Sai perché le tue fiamme sono diventate
azzurre? Il calore e
la potenza delle tue fiamme sono aumentate talmente tanto che il fuoco
ha
cambiato colore, come succede alle stelle! È il simbolo
della tua potenza! Tu
puoi sconfiggere le Trix! Hai fatto tutto questo anche per loro! Ricordati!»
La preside
marcò ogni parola costandole una fatica titanica: stava
letteralmente sgridando
la morte incarnata che ero diventata.
Tremai
ansimando con il cuore che martellava nel petto: Daphne. Mi ero quasi
dimenticata
di lei... sembra assurdo da dire, ma la corruzione e il dolore mi
fecero
perdere completamente di vista l'obiettivo, per chi stavo facendo tutto
quello
che stavo facendo, la persona a cui avevo dedicato la mia discesa nella
follia.
Mi sforzai
con tutte le risorse che avevo di rimanere concentrata su mia sorella e
sulle
Trix, di mantenere lucida quella insana determinazione che mi aveva
guidato
fino ad allora, ma... era troppo. Era davvero troppo.
«Faragonda,
io... non ci riesco, le voci sono troppo forti... aiutami, ti prego...
falle
smettere...»
Sentivo la
mia mente lacerarsi, quasi in senso letterale. Le mie fortissime
emozioni si
mescolavano continuamente e si davano il cambio ad una
velocità insostenibile,
il mio stesso io si stava disintegrando.
«Griffin!
Amica mia, aiutala! Non esiste niente che si può fare per
alleviare i sintomi?»
disse Faragonda quasi a supplicare la sua amica.
«Io...
io
non lo so... forse...» balbettò presa alla
sprovvista. Qualcosa mi dice che
dubitasse fortemente che sarei sopravvissuta al rituale.
«Griffin!
Qualunque cosa!»
La preside,
ormai, sembrava un leone in fuga: ruggiva senza sosta a chiunque osasse
contraddirla.
«Esiste
un
farmaco che stiamo testando, ma nella totalità dei casi non
ha funzionato».
«Vai
a
prenderla, è la nostra unica
possibilità!»
La strega
sparì in un istante, veloce come un fulmine. Il laboratorio
dove conduceva le
sue ricerche non era molto distante, infatti dopo pochi minuti
tornò con un
piccolo baule di vetro contenente una siringa. Non c'era tempo per
discutere né
per ragionare: la preside di Torrenuvola mi scoprì bene il
braccio destro e mi
fece l'iniezione nel deltoide, pregando tutti gli dei che succedesse
qualcosa.
Il liquido
bruciava, il tempo passava ma le voci non cessavano, nemmeno la
sensazione di
sporco e putrido che mi sentivo addosso. Ogni movimento di lancetta era
un
colpo di spada alla nostra speranza.
Dopo circa
dieci minuti, però, il miracolo avvenne e finalmente iniziai
a percepire
qualcosa: la mente divenne leggera, le voci si erano attenuate fino a
scomparire quasi del tutto e i muscoli si rilassarono, portando le mie
sensazioni sgradevoli ad un livello perlomeno tollerabile. Fu come
tornare a
respirare di nuovo.
Ero stata
incredibilmente fortunata. Forse ero davvero destinata a compiere il
mio fato,
forse gli dei volevano davvero che io portassi a termine la mia
missione. Il
desiderio di sopportare tutto per l'amore 'ritrovato' di Daphne era
come una
panacea, mi faceva stare meglio e mi dava la forza di andare avanti.
Entrambe
le presidi scoppiarono in una risata liberatoria esultando come due
ragazzine,
io abbozzai una sorta di sorriso. La follia che mi portavo dentro non
sarebbe
mai andata via ma, almeno, potevo gestirla. Era... un miracolo.
Mi
liberarono dalle catene, mossi qualche passo e mi guardai intorno,
sospettosa:
il desiderio di uccidere tutti si era placato, ma non era scomparso,
così come
non erano passate le voci.
Ahimè,
da
quel momento in poi devo mantenermi sempre sotto controllo e tenere
alla larga
dalla mente i miei... impulsi. Mi venne un piccolo tic nervoso che mi
porto
tutt'ora: ogni tanto scuoto il capo come per mandare via qualcosa dai
capelli,
ma è ben poca cosa rispetto a tutto quello che ho dovuto
passare.
Tecnicamente
parlando, ero diventata una specie di 'paziente zero': forse le
proprietà
curative della Fiamma del Drago fecero funzionare il farmaco
sperimentale
correttamente, dandogli quel aiuto in più che serviva.
Grazie al mio contributo
negli anni avvenire, il farmaco fu migliorato e sempre più
pazienti trovarono
sollievo, è una cosa che mi rende molto fiera.
Le
streghe, ancora stanche e terrorizzate, se ne stavano il più
lontano possibile,
permettendomi di passare qualche ora tranquilla con le presidi,
mangiando
qualcosa e riposando la mente ferita. Quando mi sentii pronta tornai in
mezzo
alle rune per precauzione, mi misi seduta a gambe conserte, cercai di
ignorare
completamente le voci e caddi in profondissima concentrazione,
proiettando la
mia essenza fuori dal mio corpo.
Percepivo
le streghe di Torrenuvola, le fate di Alfea e l'energia vitale dei
ragazzi di
Fonterossa. Era un buon inizio, ma non era abbastanza; mi spinsi oltre,
toccai
l'essenza dei miei genitori su Domino, di Sky, di Thoren, degli esseri
magici
su pianeti lontanissimi, e poi... poi le percepii.
Era un
segnale piccolo, quasi effimero, ma non potevano che essere loro. Tre
energie
oscure appartenenti ad esseri antichi, quasi primordiali, riunite nello
stesso
luogo: una glaciale, una nera e una elettrica. Davanti a me avevo una
cartina
magica dell'Universo conosciuto: trasferii in essa la traccia magica
che avevo
percepito, questa si illuminò e mi indicò un
luogo lontanissimo, sacro e
proibito.
"Eden,
il pianeta del Risveglio". Non era assolutamente una coincidenza.
Per chi
non conoscesse la storia, ve la racconto in breve. Al momento della
Creazione,
nell'Universo non c'era niente, era vuoto e tetro; il Drago Primordiale
creò il
primo pianeta, Eden, e ne fece la sua dimora. Eden fu l'epicentro
energetico
attraverso il quale la gloriosa bestia diede vita a tutto l'Universo
magico.
Stanco e
privato del suo slancio vitale, come casa del suo ultimo riposo scelse
Domino,
dove decise di tramandare parte del suo potere ad altri esseri viventi,
con il
preciso scopo di vegliare in eterno sul suo creato. Solo il
più puro d'animo
sarebbe stato degno abbastanza per essere il suo contenitore. Tra
tutti, il
prescelto fu Helios, il fondatore della stirpe del Drago e mio antenato
ancestrale.
Eden
è,
tutt'oggi, un pianeta estremamente ricco di energia magica bianca, una
fonte
quasi inesauribile di vitalità. Per questo motivo fu
classificato come pianeta
sacro e proibito, inaccessibile a chiunque, in modo tale che questa
energia non
venga sfruttata e plagiata dai malvagi. Era lì che le Trix e
la Fiamma del
Drago di Daphne si trovavano.
«Non
è una
coincidenza, temo. Con il potere smisurato che hanno, devono aver
allentato la
barriera magica che rende il pianeta invalicabile riuscendo ad entrare.
Questo
spiegherebbe anche come il tuo potere sia riuscito a percepirle
nonostante Eden
sia schermato. Ho paura che stiano facendo qualcosa di
terribile».
Le parole
della Griffin erano gelide, tanto quanto l'espressione di Faragonda.
Era una
situazione terribile, ma dovevo costringermi a rimanere calma: sapevo
cosa
dovevo fare. Il destino mi stava offrendo la sua mano, non potevo
rifiutare.
«Pronto?»
«Timmy,
sono Bloom. Non fiatare, non dire una parola, se hai persone intorno
allontanati. Ascoltami e fai esattamente quello che ti dico».
Molte
ore
più tardi, una navetta da guerra di Fonterossa
atterrò davanti a Torrenuvola,
dove un Timmy perplesso e spaventato mi stava aspettando per partire
verso il
mio fato.