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Autore: Sinnheim    24/12/2015    2 recensioni
Versione 2.0, modificata ed arricchita.
Primo volume della serie "A Dance of Light and Shadow".
Seguendo il consiglio della preside Faragonda, una Bloom adulta e segnata dagli eventi, decide di scrivere un diario sui fatti accaduti cinque anni prima, una tragedia che l'ha cambiata per sempre. La Bloom allegra e spensierata di una volta ormai non c'è più ma, attraverso la scrittura, riuscirà a trovare un po' di pace.
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bloom, Daphne
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A Dance of Light and Shadow'
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CAPITOLO 8: RICORDA CHI SEI

 

 

Avete presente quando, durante la notte, vi spostate nel sonno e vi ritrovate al contrario? Con la testa ai piedi del letto e i piedi sul cuscino? Ci si sente storti, in errore. Quella era la sensazione che più dominava nella mia mente, amplificata fino all'insopportabile.

È la camicia abbottonata male, il sasso nella scarpa, la riga dei capelli dalla parte opposta. Sbagliato, sbagliato, era tutto sbagliato. La mia stessa esistenza era un errore, lo sentivo chiaramente: era come respirare sott'acqua, nemmeno il mio corpo lo sentivo più mio.

Odio incondizionato e immotivato eruttava da ogni cellula del mio corpo: tutti i presenti apparivano come ombre ai miei occhi di sangue, era un mondo distorto che io dovevo distruggere o, quello, avrebbe distrutto me.

Continuavo a reggermi la testa tra le mani, agitandomi come un serpente a cui avevano tagliato il capo, urlando e sbraitando parole che nemmeno ricordo. Provavo a togliermi di dosso qualcosa che non c'era, un velo invisibile di male. Non saprei descriverlo in altri modi: era qualcosa di così erroneo che mi sembra errato anche parlarne. Non dovrebbe esistere una sensazione del genere.

Ah, le voci, poi. Le maledette voci... gridavano come demoni rabbiosi, non mi permettevano di sentire altro che loro. "Devi morire". "Sei uno scherzo della natura". "Sei una bestemmia contro gli dei". "Distruggi tutto".

Non seppi mai dire chi era a parlare, ma se dovessi tirare a indovinare, probabilmente era la mia Fiamma del Drago. L'avevo profanata, quella era la mia punizione.

Tra uno strattone isterico e l'altro, rivolsi lo sguardo verso le streghe: erano tutte lì, raggruppate ai confini del cortile mentre mi guardavano con occhi sgranati, terrorizzate da me che, ormai, non posso che definire mostro.

Ero diventata morte e dolore, niente aveva un barlume di senso in quel momento. Tutti penserebbero che fosse una reazione più che comprensibile: quelle giovani allieve avevano davanti un abominio senza precedenti, ma ai miei occhi offuscati e corrotti quella non fu altro che l'ennesima provocazione. Posso dire, in tutta onestà, che divenni un demonio.

La Griffin, dall'alto della sua esperienza, aveva tristemente vagliato la possibilità che io perdessi il lume della ragione, tanto che urlò ai quattro professori di intervenire, mentre lei attivò uno scudo sulle ragazze. Stavo per scatenare un inferno, quando le rune presidiate dalle quattro figure si illuminarono rumorosamente: da esse emersero delle catene oscure prive di massa, nel giro di pochissimi secondi mi stritolarono nella loro morsa impedendo sia ogni genere di movimento, sia l'evocazione di incantesimi.

Generalmente, queste tecniche di controllo funzionano solo su esseri magici dotati di magia nera: vuoi per aiutare le streghe più giovani a controllare i propri poteri, vuoi per dare la caccia ad un criminale, queste catene entrano in contatto con la fonte magica del soggetto e la sopprimono momentaneamente.

Nonostante io fossi ancora una fata, quella metodica funzionò comunque su di me. Perché? Beh, perché ormai la mia Fiamma del Drago era corrotta per un quarto. La Griffin puntò su questo principio per poter contenere la mia follia, era quel pezzettino oscuro che le catene stavano strozzando... tanto bastava.

Incapace di muovermi, incapace di ribellarmi, incapace di saziare il mio desiderio di morte. Persi completamente la testa e cercai di accumulare più potenza possibile per liberarmi: le smorfie di tensione e fatica dei miei quattro carcerieri erano grottesche, al limite dell'umana sopportazione. Alcune lingue di fuoco riuscirono a sfuggire dalla prigionia ma, appena le vidi, rimasi agghiacciata.

Prima di allora, le mie fiamme erano di un bel rosso cremisi e oro, luminose come luce divina; in quel momento, invece, mi accorsi che erano azzurre, sfumate di nero qua e là, come petrolio che brucia. Sembrerebbe un dettaglio superfluo visto da fuori, dopotutto era solo un cambio cromatico, cosa vuoi che sia... beh, non per me.

Quella visione mi fece sanguinare il cuore: era il marchio del mio peccato, era lì, ed era visibile. Le urla, il marcio che provavo, alla fine erano tutte cose che mi riguardavano strettamente, nessuno poteva percepire le mie sensazioni, nessuno poteva vedere l'oscuro abisso che mi aveva divorato. Potevo nasconderlo, in qualche modo.

Invece, le mie fiamme blu e le lingue nere, quelle erano tangibili e concrete, erano reali. Le potevano vedere tutti. Era la mia pubblica umiliazione, la gabbia che mi costringeva a rimanere Bloom e non il nessuno che tanto desideravo diventare.

Continuai a fissare il mio fuoco, ammutolita. L'odio folle verso tutto e tutti si trasformò sempre di più in vergogna e disgusto verso me stessa, mi ripudiavo con ogni fibra del mio corpo. Soffocai immediatamente il mio potere per togliermelo dalla vista, mi accasciai a terra e scoppiai in un pianto terribile e disperato, dal quale non avrei voluto mai più riprendermi.

Le catene oscure, pur non avendo massa, fecero un gran chiasso quando si scontrarono col suolo e, a parte il rumore dei miei singhiozzi isterici, nell'ambiente calò il silenzio più totale. Che io ricordi, Faragonda rimase in uno stato catatonico tutto il tempo: il suo respiro era così impercettibile, c'erano momenti in cui sembrava solo un ologramma.

Un orrore così, come si affronta? Come si può fare i conti con qualcosa a cui tu stessa hai contribuito?

«Non... non volevo... questo» sussurrò appena, «non...»

La preside strinse i pugni così forte da tremare, il suo volto dolce e gentile era diventato un macabro dipinto miserabile.

«No, no! Mi rifiuto

Si fece largo tra le giovani streghe con furia, spostando rozzamente le ragazze di qua e di là, mentre la Griffin le urlava di fermarsi. Arrestò la sua marcia davanti a me, ansimando forte: era intrisa di una determinazione incrollabile.

«Bloom, ragazza mia...»

Mi accarezzò il viso deformato dal dolore e dal pianto convulso senza arretrare di un centimetro, ferrea nei suoi intenti. Come c'era da immaginarselo, le catene su di lei non ebbero effetto.

«Faragonda... sono un mostro, guardami» dissi letteralmente vomitando parole, a tratti incomprensibili, «uccidimi, uccidimi ti prego, tutto questo è sbagliato!» sbiascicai tra le urla e i gemiti.

Chiunque che non fosse stato la preside, probabilmente, mi avrebbe fatta fuori immediatamente.

«No! Bloom, no! Non ti farò più del male, te ne ho fatto già abbastanza. Hai una missione da compiere!»

Scossi la testa follemente, sbavando oscurità dalla bocca.

«Sono solo una stupida! Non ce la farò mai, è tutto perduto, è stato uno sbaglio fin dall'inizio! Sono un errore che respira

L'anziana fata non riuscì a trattenere le lacrime, velenose e piene di rancore verso sé stessa. Nonostante tutto, non poteva e non voleva soccombere al blasfemo abominio che aveva generato: prese il coraggio a due mani come solo lei sapeva fare, e mi fece la ramanzina più accorata della sua vita.

«Bloom... prestami attenzione, Bloom! Guardami e ascoltami!»

Faragonda non aveva mai alzato la voce con me né con nessun altro: era alta e squillante, non ammetteva repliche.

«Guarda cosa ti sei fatta! Guardati! Non sei più una fata, non sei nemmeno una strega, sei qualcosa che in natura non esiste!» disse alzandomi il viso per permettermi di guardarla negli occhi, incurante dei rischi, per poi continuare presa dalla foga: «Sai cosa c'è, Bloom? A me, a noi tutti, non importa! Non ci importa cosa sei, e lo sai perché? Perché ti vogliamo bene! Per noi rimarrai sempre una fata di Alfea! Non importa cosa dice il tuo corpo o la tua mente, tu sei una fata, nell’anima e nel cuore! Non dimenticarlo mai, signorina!»

Quelle parole mi fecero uno strano effetto, come un bruciore piacevole che, dal petto, iniziò ad irradiarsi in tutto il mio corpo: io volevo crederci, volevo crederci con tutta me stessa, volevo aggrapparmici come mia unica ancora di salvezza, ma le voci nella mia testa strillavano molto più forte, troppo.

«Le voci... ti prego, Faragonda, fai smettere le voci!»

Continuai a piangere, stavolta per il dolore fisico che mi procuravano.

«Combattile! Pensa a quello che devi fare, pensa al tuo vero nemico! Hai fatto tutto questo per Daphne! Pensa a tua sorella! Lo stai facendo per lei, dannazione!»

Sentire il nome da me tanto amato mi colpì come un pugno nello stomaco.

«Hai un potere smisurato! Sai perché le tue fiamme sono diventate azzurre? Il calore e la potenza delle tue fiamme sono aumentate talmente tanto che il fuoco ha cambiato colore, come succede alle stelle! È il simbolo della tua potenza! Tu puoi sconfiggere le Trix! Hai fatto tutto questo anche per loro! Ricordati

La preside marcò ogni parola costandole una fatica titanica: stava letteralmente sgridando la morte incarnata che ero diventata.

Tremai ansimando con il cuore che martellava nel petto: Daphne. Mi ero quasi dimenticata di lei... sembra assurdo da dire, ma la corruzione e il dolore mi fecero perdere completamente di vista l'obiettivo, per chi stavo facendo tutto quello che stavo facendo, la persona a cui avevo dedicato la mia discesa nella follia.

Mi sforzai con tutte le risorse che avevo di rimanere concentrata su mia sorella e sulle Trix, di mantenere lucida quella insana determinazione che mi aveva guidato fino ad allora, ma... era troppo. Era davvero troppo.

«Faragonda, io... non ci riesco, le voci sono troppo forti... aiutami, ti prego... falle smettere...»

Sentivo la mia mente lacerarsi, quasi in senso letterale. Le mie fortissime emozioni si mescolavano continuamente e si davano il cambio ad una velocità insostenibile, il mio stesso io si stava disintegrando.

«Griffin! Amica mia, aiutala! Non esiste niente che si può fare per alleviare i sintomi?» disse Faragonda quasi a supplicare la sua amica.

«Io... io non lo so... forse...» balbettò presa alla sprovvista. Qualcosa mi dice che dubitasse fortemente che sarei sopravvissuta al rituale.

«Griffin! Qualunque cosa

La preside, ormai, sembrava un leone in fuga: ruggiva senza sosta a chiunque osasse contraddirla.

«Esiste un farmaco che stiamo testando, ma nella totalità dei casi non ha funzionato».

«Vai a prenderla, è la nostra unica possibilità!»

La strega sparì in un istante, veloce come un fulmine. Il laboratorio dove conduceva le sue ricerche non era molto distante, infatti dopo pochi minuti tornò con un piccolo baule di vetro contenente una siringa. Non c'era tempo per discutere né per ragionare: la preside di Torrenuvola mi scoprì bene il braccio destro e mi fece l'iniezione nel deltoide, pregando tutti gli dei che succedesse qualcosa.

Il liquido bruciava, il tempo passava ma le voci non cessavano, nemmeno la sensazione di sporco e putrido che mi sentivo addosso. Ogni movimento di lancetta era un colpo di spada alla nostra speranza.

Dopo circa dieci minuti, però, il miracolo avvenne e finalmente iniziai a percepire qualcosa: la mente divenne leggera, le voci si erano attenuate fino a scomparire quasi del tutto e i muscoli si rilassarono, portando le mie sensazioni sgradevoli ad un livello perlomeno tollerabile. Fu come tornare a respirare di nuovo.

Ero stata incredibilmente fortunata. Forse ero davvero destinata a compiere il mio fato, forse gli dei volevano davvero che io portassi a termine la mia missione. Il desiderio di sopportare tutto per l'amore 'ritrovato' di Daphne era come una panacea, mi faceva stare meglio e mi dava la forza di andare avanti.

Entrambe le presidi scoppiarono in una risata liberatoria esultando come due ragazzine, io abbozzai una sorta di sorriso. La follia che mi portavo dentro non sarebbe mai andata via ma, almeno, potevo gestirla. Era... un miracolo.

Mi liberarono dalle catene, mossi qualche passo e mi guardai intorno, sospettosa: il desiderio di uccidere tutti si era placato, ma non era scomparso, così come non erano passate le voci.

Ahimè, da quel momento in poi devo mantenermi sempre sotto controllo e tenere alla larga dalla mente i miei... impulsi. Mi venne un piccolo tic nervoso che mi porto tutt'ora: ogni tanto scuoto il capo come per mandare via qualcosa dai capelli, ma è ben poca cosa rispetto a tutto quello che ho dovuto passare.

Tecnicamente parlando, ero diventata una specie di 'paziente zero': forse le proprietà curative della Fiamma del Drago fecero funzionare il farmaco sperimentale correttamente, dandogli quel aiuto in più che serviva. Grazie al mio contributo negli anni avvenire, il farmaco fu migliorato e sempre più pazienti trovarono sollievo, è una cosa che mi rende molto fiera.

Le streghe, ancora stanche e terrorizzate, se ne stavano il più lontano possibile, permettendomi di passare qualche ora tranquilla con le presidi, mangiando qualcosa e riposando la mente ferita. Quando mi sentii pronta tornai in mezzo alle rune per precauzione, mi misi seduta a gambe conserte, cercai di ignorare completamente le voci e caddi in profondissima concentrazione, proiettando la mia essenza fuori dal mio corpo.

Percepivo le streghe di Torrenuvola, le fate di Alfea e l'energia vitale dei ragazzi di Fonterossa. Era un buon inizio, ma non era abbastanza; mi spinsi oltre, toccai l'essenza dei miei genitori su Domino, di Sky, di Thoren, degli esseri magici su pianeti lontanissimi, e poi... poi le percepii.

Era un segnale piccolo, quasi effimero, ma non potevano che essere loro. Tre energie oscure appartenenti ad esseri antichi, quasi primordiali, riunite nello stesso luogo: una glaciale, una nera e una elettrica. Davanti a me avevo una cartina magica dell'Universo conosciuto: trasferii in essa la traccia magica che avevo percepito, questa si illuminò e mi indicò un luogo lontanissimo, sacro e proibito.

"Eden, il pianeta del Risveglio". Non era assolutamente una coincidenza.

Per chi non conoscesse la storia, ve la racconto in breve. Al momento della Creazione, nell'Universo non c'era niente, era vuoto e tetro; il Drago Primordiale creò il primo pianeta, Eden, e ne fece la sua dimora. Eden fu l'epicentro energetico attraverso il quale la gloriosa bestia diede vita a tutto l'Universo magico.

Stanco e privato del suo slancio vitale, come casa del suo ultimo riposo scelse Domino, dove decise di tramandare parte del suo potere ad altri esseri viventi, con il preciso scopo di vegliare in eterno sul suo creato. Solo il più puro d'animo sarebbe stato degno abbastanza per essere il suo contenitore. Tra tutti, il prescelto fu Helios, il fondatore della stirpe del Drago e mio antenato ancestrale.

Eden è, tutt'oggi, un pianeta estremamente ricco di energia magica bianca, una fonte quasi inesauribile di vitalità. Per questo motivo fu classificato come pianeta sacro e proibito, inaccessibile a chiunque, in modo tale che questa energia non venga sfruttata e plagiata dai malvagi. Era lì che le Trix e la Fiamma del Drago di Daphne si trovavano.

«Non è una coincidenza, temo. Con il potere smisurato che hanno, devono aver allentato la barriera magica che rende il pianeta invalicabile riuscendo ad entrare. Questo spiegherebbe anche come il tuo potere sia riuscito a percepirle nonostante Eden sia schermato. Ho paura che stiano facendo qualcosa di terribile».

Le parole della Griffin erano gelide, tanto quanto l'espressione di Faragonda. Era una situazione terribile, ma dovevo costringermi a rimanere calma: sapevo cosa dovevo fare. Il destino mi stava offrendo la sua mano, non potevo rifiutare.

 

 

«Pronto?»

«Timmy, sono Bloom. Non fiatare, non dire una parola, se hai persone intorno allontanati. Ascoltami e fai esattamente quello che ti dico».

Molte ore più tardi, una navetta da guerra di Fonterossa atterrò davanti a Torrenuvola, dove un Timmy perplesso e spaventato mi stava aspettando per partire verso il mio fato.

  
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