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Autore: B e t c h i    26/12/2015    3 recensioni
{ Raccolta a tema storico di Flashfic e Oneshot incentrata su Romano | Possibili accenni SpaMano | Missing Moments }
Romano.
Il problematico Sud Italia, nel cui sangue si fondevano le ardenti eredità arabe, normanne e spagnole.
Un sangue ricco il suo, che si arroventava nell’odio, bruciava nell’amore e si consumava nel sogno.
Willkommen in Napoli "La prima impressione che ebbe Austria entrando in Napoli, fu quella di giungere in una città sporca e maleodorante, affogata nell’afrore umano dei suoi abitanti.
Italia, al contrario, riconobbe in quella cittadina il luogo più festoso e colorato che avesse mai visto."

La Smorfia "La chiave dei sogni.
Romano la conosceva a memoria, applicandola su qualunque sogno o qualunque evento della vita reale.
Perché tutti gli avvenimenti, grandi o piccoli che siano, non accadono mai per caso, diceva."

Il morso della Tarantola "Era un dolore lancinante quello che provava Romano, partiva dalla testa e arrivava dritto al cuore e lui, Antonio, non se ne accorgeva se non in quei momenti in cui quella malattia latente emergeva violenta fino a tramortirlo."
| N.B. La Raccolta non segue un ordine cronologico. |
Genere: Sentimentale, Slice of life, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Questa "Sponda Sud" da scoprire '
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La Terra dei Limoni in Fiore

La Smorfia
 
Napoli, primavera 1884

«Scetate Felicià!1»
Feliciano mosse le orbite sotto le palpebre ancora chiuse. Contrasse il volto in un’espressione contrariata, ed esalò un flebile lamento tra le labbra dischiuse.
Le ciocche castane strisciarono sulla federa del cuscino, dove si allargava un piccolo alone di saliva. 
Un rivoletto di bava colato dall’angolo sinistro della bocca, si era seccato sulla pelle lattea, creando una scia biancastra che adesso gli solcava la guancia.
«Felicià, è juorno!2 »
L’ennesimo richiamo di Romano, costrinse il giovane settentrionale ad aprire gli occhi. 
Sbatacchiò le palpebre un paio di volte e poi le socchiuse, piegando gli angoli della bocca in un dolce sorriso.
Romano era lì. In piedi, affianco al lettino che avevano condiviso quella notte.
Aveva una mano stretta su un fianco e l’espressione crucciata –quasi infastidita- stampata in volto. La stessa che sembrò addolcirsi di fronte al sorriso del fratello.
«Buongiorno Fratellone, » uno sbadiglio impastò le parole di Feliciano. « ti sei svegliato prima di me anche questa mattina!»
Romano sollevò le spalle e sbuffò.
Dalla pelle tirata e dagli occhi verdi cerchiati da un reticolo di venuzze scure, si capiva chiaramente che non aveva chiuso occhio quella notte.
Dormire in due in un letto tanto piccolo, era stata una vera e propria tortura per il maggiore. 
Certo, non poteva immaginare che Feliciano fosse cresciuto così tanto dall’ultima volta che si erano incontrati. 
Quando lo aveva visto scendere dalla diligenza che lo aveva scortato fin lì la sera precedente, quasi non riusciva a credere ai suoi occhi: Feliciano lo aveva abbracciato, allacciando le braccia esili attorno al suo collo senza doversi sollevare sulle punte dei piedi; Romano ancora scosso, si era lasciato avvolgere dal calore e l’entusiasmo del più piccolo senza replicare.
La morsa ferrea della consapevolezza gli aveva bloccato ogni singola parola in gola, stringendo fino a fargli mancare l’aria.
Feliciano stava diventando grande. Più grande di lui.
«Oh che bello, mi hai portato la colazione!»
Feliciano con un saltello, si mise a sedere sul bordo del materasso, facendo ciondolare la gambe fuori dal letto. Gli assi di legno cigolarono sotto il suo peso.
Romano fece scoccare la lingua contro gli incisivi. «Adesso non farti strane idee.» disse porgendogli il bicchiere di latte che stringeva tra le mani.
Le dita dei due fratelli si sfiorarono, quando Feliciano afferrò entusiasta la sua umile colazione.
«Hai dormito bene?»
Feliciano annuì, osservando pensieroso il vetro del bicchiere.
Era sporco di terra.
La terra che incrostava le mani di Romano, già macchiate della fatica nei campi a quell’ora del mattino.
«Dalla faccia che hai fatto, non mi sembri molto convinto…»
Romano annodò le braccia al petto, stringendo le mani attorno ai gomiti.
Interpretò l’espressione del fratellino, come insoddisfazione difronte a quella misera colazione.
Provò vergogna. Ma si disse che, infondo, più di quello non poteva offrirgli.
«No…è che ho fatto un sogno bruttissimo, fratellone.»
Sospirò e con entrambe le mani, portò il bicchiere alla bocca mandando giù il latte tutto d’un fiato.
In cuor suo, aveva capito cos’era scattato nella testa del più grande, e adesso aveva deciso di rimediare pronunciando quella parolina che ogni giorno nutriva  le speranze di Romano: “sogno”.
Gli occhi del meridionale si animarono al sentirla. E Feliciano sorrise consapevole: di lì a poco Romano avrebbe cominciato a dare i numeri.
Nel vero senso della parola.
«Jamme Felicià,  racconta!»
Romano chinò il busto e poggiò le mani sulle spalle del fratellino.
Lo scosse appena, fremendo all’idea di sapere.
Feliciano strinse il bicchiere vuoto tra le mani, spostando lo sguardo sull’apertura della camicia di Romano che lasciava intravedere le clavicole fin troppo sporgenti.
«Ecco io…ho sognato il nonno.»
«’O muorto. Quarantasette.»
«E mi ha detto…»
«Parlava? Allora quarantotto, ‘o muorto che pparla
Feliciano si morse il labbro inferiore, alzando gli occhi al soffitto.
Romano attendeva impaziente.
«Non ricordo cosa ha detto, però ho avuto tanta paura.»
«Quindi novanta. ‘A paura
«Ho avuto paura perché...piangeva.»
«Hmm- sessantacinque. ‘O Chianto
«Piangeva perché aveva finito il vino.»
Romano scoccò un’occhiata perplessa al fratello. «Quarantacinque. ‘O vino» sibilò.
«E…Ah! Reggeva una bottiglia vuota.»
«Ah ecco! Piangeva perché aveva finito il vino. Quindi quattordici, ‘O mmbriaco
Feliciano rise, sinceramente divertito dall’entusiasmo del meridionale alle prese con i numeri o per meglio dire, alle prese con la smorfia.
La chiave dei sogni.
Romano la conosceva a memoria, applicandola su qualunque sogno o qualunque evento della vita reale.
Perché tutti gli avvenimenti, grandi o piccoli che siano, non accadono mai per caso, diceva.
E lui, che infondo viveva di sogni perché la vita non gli aveva concesso molto, cercava di interpretarli a modo suo ricavandone un briciolo di speranza.
«Felicià, poi questi numeri ce li giochiamo al lotto. »
Era questa la sua consolazione. Il suo modo di sperare.
E ogni settimana, Romano era solito rifare il suo grande sogno.
Sognava tutte le cose che la vita reale non poteva dargli.
Sogna una vita migliore per il suo popolo, che come lui viveva nella fantasticheria che il lotto gli aveva concesso: la visione felice che appaga gli oppressi, in cambio delle poche monete guadagnate nell’arco della settimana.

~¤~¤~¤~

Un ragazzino, affannato dopo una frenetica corsa, si fermò all’imbocco del vicolo.
Portò le mani a coppa davanti alle labbra e la sua voce stentorea penetrò attraverso la folla gremita di persone.
«Vintiquatto.»
«Sissantanove.»
«Quarantaroie.»
«Nove.»
«Cinquantacinche»
«Sittantaquatto.»
Un silenzio quasi irreale abbracciò il caotico quartiere della Pignasecca.
La delusione stampata sui volti della gente, venne smorzata da un sorriso stanco e rassegnato all’idea di aver perso tutti i risparmi anche quella settimana.
L’imprecazione di Romano, risuonò nell’aria satura di odori forti, animando nuovamente il viale con la voce dei suoi abitanti.
«Idiota di un fratello. È tutta colpa tua!»
«Non arrabbiarti –sigh-  mi dispiace… »
Feliciano diede due colpetti leggeri sulla schiena del fratello, non trovando modo migliore per consolarlo.
Erano seduti sul bordo di uno scalino in pietra, davanti al portone di un sontuoso palazzo antico. Il maggiore aveva i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani lasciate penzoloni tra le gambe.
La prossima settimana, ne era certo, avrebbe fatto terno secco giocando i suoi fedelissimi numeri; i sogni di Feliciano erano poco affidabili.
 
Uno.
Tredici.
E Quarantotto.

L’Italia.
Sant’Antonio.

E sì, anche lui ‘o muorto che pparla.



 
Angolo di Betchi_
Ecco. Appena devo scrivere in questo angolino, subito mi raggiunge anche il blocco dello scrittore.
Vabbé, proviamo a rompere il ghiaccio in questo modo.
Innanzi tuto ringrazio tantissimo Rapidash e IMmatura per aver lasciato una recensione al primo capitolo. Mi spiace non aver risposto, ma il tempo è mancato e farlo adesso non avrebbe molto senso. Quindi per farmi perdonare, questo capitolo lo dedico tutto a voi, che mi avete resa tanto felice invogliandomi a continuare questa raccolta.
Ringrazio anche chi avuto il coraggio di inserirla tra le preferite, seguite e ricordate. Davvero, vi voglio bene :')
Detto questo, passiamo alle spiegazioni.
La Smorfia Napoletana è una sorta di "dizionario" in cui a ciascun vocabolo (persona, oggetto, azione, situazione, ecc.) corrisponde un numero da giocare al Lotto. L'origine del termine è incerta, ma la spiegazione più frequente è che sia legata al nome di Morfeo, il dio del sonno nell'antica Grecia, in quanto è d'uso tradurre in "giocata" la descrizione di un sogno (ma a volte anche situazioni reali che hanno attratto l'attenzione popolare).
La smorfia è tradizionalmente legata alla città di Napoli, che ha una lunga tradizione nei confronti del gioco del lotto, ma esiste un gran numero di smorfie locali legate ad altre città.
E come potevo non scrivere un capitolo su una delle fissazioni più radicate di Romano?

1-"Feliciano svegliati."
2-"Feliciano, è giorno."
   
 
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