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Autore: _Vi___    27/12/2015    0 recensioni
NOspoiler!LaMutazione || Spoiler!LaRivelazione || FinaleAlternativo||
"«L’ho conosciuto la prima settimana. Era… il primo non immune da mandare nel labirinto. La ricerca era appena iniziata, il virus aveva cominciato a diffondersi in fretta. Siamo stati insieme tutto il tempo in cui è stato in isolamento qui… il tempo di sottoporlo ai test e le analisi di cui avevamo bisogno per avere i dati che ci servivano e poi l’abbiamo chiuso in fretta e furia nel labirinto» concluse con tono di voce che straripava di amarezza. [...]
«Ho passato anni senza potergli parlare. Senza poterlo toccare…» riprese improvvisamente a raccontargli «siamo confinati in quest’angolo d’inferno da talmente tanto tempo… e lui… è come se non ci fosse più» [...]
«Ogni tanto torno nella sala di controllo solo per poterlo guardare per quei pochi minuti al giorno, e allora mi ricordo che lui c’è ancora ed è lì, ad aspettarmi; a ricordarmi a cosa serve a tutto questo»."
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Un piccolo assaggio della mia storia, nella speranza di riempire un po' il vuoto che questa saga mi ha lasciato al posto del cuore.
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STORIA IN FASE DI BETAGGIO. CAPITOLI CORRETTI: CAPITOLO 1
Genere: Angst, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Minho, Newt, Thomas
Note: Lemon | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo
Capitoli:
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Un altro passo




Quando le porte si erano finalmente riaperte, Thomas aveva assistito al tanto inquietante quanto bizzarro spettacolo di un’orda di Radurai che correvano verso di loro, urlando i loro nomi.
Frypan era uno dei pochi che aveva visto seduto di fronte ai grandi blocchi di pietra, insieme a Alby e Winston – probabilmente erano rimasti ad aspettarli lì per ore.
Thomas e Gally cercavano di trasportare Ben come meglio potevano, ormai stremati dalla notte insonne. Winston e Tim, un raduraio con cui Thomas aveva chiacchierato un paio di volte e che lavorava nei campi insieme a Newt, accorsero immediatamente in loro aiuto, liberandoli dal gravoso peso del ragazzo, ancora privo di sensi.
«Che diavolo vi è successo?!» urlò Winston contro il compagno Medicale. Thomas non fece in tempo a rispondergli perché Chuck e Frypan gli furono addosso l’attimo successivo, stritolandolo in un abbraccio che lo fece inciampare all’indietro; la stretta mastodontica dell’Intendente cuoco fu l’unica cosa che gli impedì di cadere miseramente a terra.
«Che diavolo pensavi di fare, eh?!» anche Frypan aveva iniziato istericamente a urlargli contro. Thomas sorrise, immensamente felice per quel piccolo attimo d’affetto. «Ragazzi, vi prego, non respiro» rantolò, mentre Minho scoppiava a ridere, tenendosi la spalla lussata.
Thomas vide con la coda dell’occhio Alby correre verso Newt e avvolgerlo in un abbraccio, salvo poi cominciare a rimproverarlo istericamente, a gridargli contro quanto si fosse preoccupato e di non fare mai più una cosa del genere. Thomas registrò distrattamente la scena, salvo poi voltarsi verso Minho, che aveva imprecato per il dolore, quando Chuck aveva cercato di abbracciare anche lui.
Gally si avvicinò a Winston, poggiandogli una mano sulla spalla. «Portate Ben dentro, arrivo tra un momento». Gli disse per poi voltarsi verso Minho. «Ti sistemerò la spalla il più presto possibile…»
Il moro annuì. «Pensate prima a Ben» gli ordinò categorico. Gally lo ignorò e si rivolse a Thomas. «Ci sono degli anestetizzanti in infermeria, sai come usarli in questo caso, giusto?» Thomas annuì.
Alby arrivò nei pressi del piccolo gruppetto in un attimo. «Curate i Velocisti» disse rivolto ai Medicali. «Thomas, Newt dice che dobbiamo ascoltare quello che hai da dire…» gli disse, voltandosi verso di lui, guardandolo con un’espressione che Thomas pensò essere vagamente ostile. «Parlerai alla prossima riunione del Consiglio» gli ordinò.


 
***
 
 
 
Thomas si era lavato le mani e stringeva in mano una siringa, che aveva appena finito di riempire. Le diede dei lievi colpetti, in modo che tutte le bollicine d’aria salissero verso l’alto e lui potesse eliminarle dalla soluzione. «Non hanno niente di più pesante della petidina, mi dispiace…» si scusò. Minho se ne stava seduto sul letto di una delle piccole stanzette della Tana e lasciava che Thomas si prendesse cura di lui; non gli importava che da lì a breve sarebbero arrivati i Medicali per rimettergli a posto l’articolazione e avrebbe dovuto sopportare tutto quel dolore fisico.
Essere lì, con Thomas che parlava, lo rendeva abbastanza felice da non pensarci.
«… probabilmente è inevitabile che tu senta del dolore, forse è il caso di farti stringere qualcosa tra i denti…»
«Non importa» gli sorrise il moro.
Thomas gli sorrise di rimando – un sorriso che non arrivò ad illuminargli lo sguardo – e coprì di nuovo il tappo della siringa con il piccolo tappino in plastica e poggiando il tutto sul tavolo lì vicino.
Minho continuava a guardarlo, indeciso sul da farsi: una parte di lui voleva sapere cosa aveva detto Thomas a Newt, ma aveva anche una tremenda paura di conoscere la risposta. Minho, quando i due ragazzi si erano allontanati per parlare, si era addormentato quasi istantaneamente, per poi riaprire gli occhi solo quando le mura del Labirinto avevano cominciato ad aprirsi, disturbandolo col loro stridore infernale. Dal poco che aveva potuto vedere prima che i loro amici gli saltassero addosso per abbracciarli, i due ragazzi non si erano rivolti la parola; erano rimasti distanti, senza guardarsi, nemmeno per sbaglio, ostentando un’indifferenza mal costruita. Era chiaro che, qualsiasi cosa si fossero detti, doveva essere qualcosa di importante e – Minho si sentiva un po’ in colpa anche per averlo sperato – decisamente non bello.
Anche Thomas se ne stava in silenzio, anche lui indeciso su cosa dire. A quel punto, avrebbe dovuto avere il cuore spezzato.
Oh, eccome se ce lo aveva. Eppure, era anche arrabbiato allo stesso tempo: sapeva che era un pensiero del tutto egoistico e anche piuttosto ingiusto, eppure non poteva fare a meno di chiedersi chi dava a Newt il diritto di negarglisi. Di negargli il suo Alex.
Che poi, erano la stessa persona, porca puttana! Newt era Alex e viceversa. Nessuno dei due avrebbe dovuto rinunciare all’altra parte di se stesso. Perché non voleva riavere la memoria? Perché, dannazione.
E per giunta, pur sapendo che non aveva alcun diritto di pensare certe cose, non poteva farne a meno: si vergognò quando venne sfiorato dall’idea di costringerlo. Oh, la tentazione era forte, così forte che sforzarsi di non prendere in considerazione quella possibilità gli procurava quasi dolore fisico. Sarebbe stato così semplice… Ma non gli avrebbe mai fatto nulla del genere. Non avrebbe mai potuto manipolarlo a tal punto… e con che peso a gravargli sul cuore avrebbe trascorso una vita vicino a lui, poi? Eppure, continuava a ripetergli la parte più egoista di sé stesso, sarebbe stato così semplice riaverlo indietro…
Dio, poteva sentire il suo cuore  sprofondare sotto terra, mentre imponeva a sé stesso di non pensarci, perché non aveva il diritto di fare anche questo a Newt.
«Ehi… » lo richiamò Minho, preoccupato. Il moro gli avvolse un braccio intorno alla vita e lo portò ad appoggiarsi contro il suo petto. Si rese conto di star piangendo solo quando si accorse di aver bagnato la maglietta del Velocista con le sue lacrime.
Minho capì immediatamente per chi erano quelle lacrime, ma non avrebbe costretto Thomas a raccontargli nulla.
A dire il vero, Minho moriva dalla curiosità di sapere cosa si erano detti Thomas e Newt nel Labirinto; i due non si erano più rivolti la parola né guardati in faccia, una volta aver fatto la loro ricomparsa, fatta eccezione per gli sguardi di velato odio e profondo risentimento che si erano lanciati di tanto in tanto. Ma non stava a Minho chiederglielo: se Thomas ne avesse voluto parlare, lo avrebbe fatto di sua spontanea volontà. Allo stesso tempo, però, era dannatamente curioso e, per questo, dopo un lungo momento di silenzio in cui Thomas sembrò essersi tranquillizzato, decise di far vertere la conversazione su un argomento non molto diverso. «Grazie per essere venuto ieri sera… » gli disse, mentre gli passava la mano tra i capelli, in un gesto d’affetto.
Thomas sospirò. «Sapevo che qualcosa non andava, non vi avrei mai lasciati lì dentro. Chiunque lo avrebbe fatto, non devi ringraziarmi».
Rimasero in silenzio qualche minuto e Minho si sentì come se tutto ciò che gli serviva al mondo ce l’avesse stretto tra le braccia; Thomas aveva minimizzato il suo gesto, dicendo che l’avrebbe fatto chiunque, ma si sbagliava: nessuno dei Radurai sarebbe corso in loro aiuto. Certo, lui era l’unico a sapere dei chip protettivi, ma Minho ricordava bene quanto i Dolenti e lo stesso Labirinto terrorizzassero Thomas, nonostante tutto.
Stava per dirglielo, quando l’uomo meno desiderato della Radura fece il suo ingresso nella stanza.
«Gally sarà qui tra poco, mi ha chiesto di dirti che puoi procedere con l’anestetico» li informò Newt, fingendo di non averli beccati abbracciati al suo arrivo, ma non riuscendo a trattenere il tono acido che gli uscì spontaneamente dalla bocca.
Minho fece una smorfia. «Grazie per la premura, adesso vattene».
«Alby vuole che lo tenga d’occhio» gli rispose, senza abbandonare il tono acido che aveva usato poco prima e spostando velocemente lo sguardo verso Thomas.
Thomas si sollevò lentamente, sospirando. Con brevi e metodiche mosse fece finalmente l’iniezione a Minho. «Possiamo smetterla? Almeno per oggi, per favore?» domandò loro, con tono esausto. In quel momento, Gally fece il suo ingresso nella stanza, seguito a ruota da Winston, l’altro Medicale.
«Come sta Ben?» chiese immediatamente Minho, all’indirizzo di Gally.
«Starà bene» lo rassicurò immediatamente. «Sono servite dodici iniezioni di dolosiero per sconfiggere l’infezione».
«Abbiamo contato le punture, i Dolenti lo hanno punto quarantasette volte…» aggiunse Winston, guardando male sia Thomas che Minho «se quello che dice Newt è vero, che siete due scienziati della C.A.T.T.I.V.O., spero abbiate una spiegazione convincente per giustificare tutto questo».
Gally lo fulminò con lo sguardo. «Ne parleremo domani al Consiglio, ora pensa a fare il tuo lavoro».
Si avvicinò a Minho e, siccome non era in grado di alzare il braccio infortunato, gli strappò con forza la maglia da dosso, per poi cominciare a tastargli la spalla lussata. Newt trattenne un verso infastidito, quando si accorse che Thomas aveva lanciato una lunga occhiata al corpo seminudo del Velocista.
 «Senti qualcosa? L’anestetico ha funzionato?» gli domandò Gally, mentre continuava a seguire il contorno dell’osso fuori posto.
Minho annuì e Winston gli si posizionò al lato opposto, afferrandolo per il busto, tenendolo fermo. Gally gli passò un pezzo di stoffa ripetutamente ripiegata su sé stessa. «Farà male… » si premurò di avvertirlo. «Conterò fino a tre e poi tirerò, va bene?»
Il moro annuì, infilandosi lo straccio nella bocca.
Gally gli afferrò il braccio ferito e iniziò a contare: «uno…» e tirò. Minho urlò, stringendo forte tra i denti la stoffa.
Gally lo aiutò a distendersi sul piccolo lettino, preoccupandosi che non appoggiasse troppo peso sulla spalla appena rimessa a posto. «E’ tutto sistemato… » lo rassicurò, tastandolo per l’ultima volta per accertarsi che l’osso fosse rientrato sotto la scapola. «E’ normale che tu non riesca ancora a muoverlo, probabilmente alcuni legamenti sono compromessi; ci vorrà qualche giorno per guarire del tutto. Ti inietteremo altra petidina per non farti sentire dolore».
Si voltò verso Thomas «Iniettagli altro antidolorifico e poi lascialo riposare», prima di uscire dalla stanza, mise tra le mani di Newt un piccolo tubetto di plastica. «Mettilo sulla guancia, hai un livido enorme. Mi dispiace per lo schiaffo...».
Newt intascò il medicinale senza disturbarsi di ringraziarlo. Piuttosto, si girò verso Thomas, intento a fare un’altra iniezione al ragazzo disteso sul letto. Minho era svenuto per il dolore.
«Ti aspetto qui fuori. Voglio che tu porti via le tue cose dalla mia stanza».
Quella semplice frase, fece male ad entrambi.
 
***
 
 
Erano ormai passate le nove del mattino, quando Newt aprì la porta della sua camera, al secondo piano della Tana, lasciando lo spazio a Thomas, affinché potesse entrarvi. La richiuse alle sue spalle. Newt voleva ancora parlare; Thomas non avrebbe saputo dire se quello fosse un buon segno o meno.
«Oggi potremo riposare, ho convinto Alby a rimandare a domani qualsiasi riunione… ».
Thomas rimase in silenzio, mentre metteva le poche cose che possedeva in una piccola sacca, lentamente, cercando di ritardare il momento in cui sarebbe uscito da quella stanza. Era stato lui a dire a Newt di non essere sicuro di cosa provava, che non gli sarebbe mai bastato l’amore del ragazzo della Radura, che lui rivoleva indietro il ragazzo che aveva amato prima. Era stato lui stesso a tirarsi indietro e ci aveva creduto davvero, nel momento in cui glielo aveva detto: e allora perché adesso era così doloroso passare ai fatti? Perché stava cercando di rimandare? Perché una parte di lui desiderava così prepotentemente che Newt gli chiedesse di restare?
«Mi appoggerai alla riunione del Consiglio, Newt?» gli chiese improvvisamente.
Il biondino intrecciò le braccia al petto, guardandolo accigliato. «Mi hai detto almeno un migliaio di volte che farete comunque tutto quello che dovete fare, ha importanza che noi del Consiglio vi appoggiamo o meno?».
«E’ vero, ma ho bisogno di sapere quello che pensi tu…» gli confessò infine. «Sai, noi della C.A.T.T.I.V.O. abbiamo passato anni a organizzare questo piano, sarebbe molto più semplice se tutti voi collaboraste… ».
Newt rimase impassibile. «Non posso garantire nulla…»
«Oh, andiamo! Vogliamo portarvi fuori di qui e darvi una vita libera, da esseri umani! Abbiamo i vaccini, per quelli a cui servono, te compreso!!! Ci sono persone che venderebbero i propri organi, per avere l’opportunità che noi stiamo dando a voi! Davvero non riesci a capirlo?! Se vuoi odiarmi, perché ti ho tolto la memoria, fallo pure! Ma cercare di opporsi a tutto quello che sta per succedere è inutile, oltre che stupido!» Thomas aveva cominciato ad urlare. Era frustrato, perché Newt non gli dava modo di uscire da quella situazione; era come se stesse per cadere da un alto precipizio e il biondo lo guardasse dall’alto, ai margini del burrone, senza volerlo aiutare a portarlo in salvo. «Cristo, avevo dato per scontato che tutti voi sareste stati felici di essere tratti in salvo!».
«Questo perché, a quanto ho capito, siete abituati a dar per scontato roba del genere, no? Siete i padroni delle nostre vite e dobbiamo fare quello che voi, oh grandi scienziati, ci ordinate di fare, giusto?» ormai anche Newt stava urlando. «Ieri eravamo qui a vivere tranquilli e oggi arrivi tu e dici: “avanti, ragazzi! Fate i bagagli, andiamo a vivere in Europa! Avremo tutto il resto del mondo attaccato al culo, che non smetterà mai di cercarci, ma non temete, vi proteggeremo noi!”» Newt rise istericamente. «Be’, notizia dell’ultima ora, Tommy… » Newt, sta volta, usò il nomignolo intenzionalmente, mettendoci tutto il disgusto che riuscì a tirar fuori, mentre lo pronunciava «…il Consiglio non si fiderà della stessa gente che ci ha lasciato anni qua dentro, in pasto a quei mostri!» gridò Newt, alludendo ai Dolenti.
Thomas lo guardò ostile, poi si piegò a cercare qualcosa nella sua sacca. Ne tirò fuori un paio di pantaloni grigi. Affondò una mano in una delle tasche, fin quando ne tirò fuori un mucchio di fotografie, abbastanza sgualcite e piegate più volte su loro stesse. Gliele lanciò addosso; qualche foto si sparse nella stanza. «Credi che l’abbiamo fatto per divertimento?! Credi che non avremmo trovato un altro modo, se ci fosse stato? Credi davvero che ogni morto che voi avete pianto, non l’abbiamo pianto anche noi?! Guarda le foto Newt! Quelli sono i ragazzi della C.A.T.T.I.V.O. quando erano appena stati ingaggiati per la missione! Li vedi? Siamo ragazzi, ragazzi prodigio, certo, ma pur sempre ragazzi! Abbiamo la vostra stessa età! Credi che si riesca ad avere del ghiaccio, al posto del cuore, quando si è così giovani?! C’è anche tua madre, tra noi! Pensi che una madre sarebbe capace di fare qualcosa di così atroce al proprio figlio e a se stessa, se non avesse avuto alternative?!»
Newt non rispose, concentrato sulle fotografie che Thomas gli aveva dato. Si era soffermato sull’immagine di una signora bionda, l’unica che fosse visibilmente più anziana degli altri. Guardava quella fotografia, la scrutava, cercando con avidità dei tratti che potessero risultargli familiari, come se si aspettasse che qualche ricordo riaffiorasse nella propria mente all’improvviso, ma invano.
Thomas sospirò di nuovo. «Perché non vuoi scappare, Newt? Ti piace così tanto stare qua dentro?» era una domanda retorica, ovviamente. Se Newt non si fosse fidato di lui, nemmeno gli altri radurai lo avrebbero fatto.
Newt gli lanciò un’occhiata di fuoco.
«Sai perché zoppico? Te l’ho mai detto?» gli domandò, il risentimento velato trapelava da ogni parola del giovane. Thomas rimase in silenzio, non si aspettava una rivelazione simile, in quel momento, nonostante avesse bramato la risposta a quella domanda fin dal suo primo giorno nella Radura. «Cosa ti è successo?»
«Ho cercato di ammazzarmi nel Labirinto. Mi sono arrampicato su uno di quei maledetti muri e arrivato a metà mi sono buttato giù. Alby mi ha trovato e mi ha trascinato dentro la Radura prima che si chiudessero le Porte». Newt cominciò a tremare per via dell’angoscia che lo pervadeva, ogni volta che ripensava a quei momenti. «E tu, Tommy… Hai un bel coraggio a venire qui, per chiedermi di andarmene con voi. Un bel coraggio. Mi viene il vomito solo a guardarti.»
Thomas rimase sbigottito. Niente lo aveva mai ferito tanto. Niente. «Odio questo posto, Tommy. Ho odiato ogni secondo di ogni giorno. Ed è stata tutta... colpa... tua!».
Il castano ormai era in lacrime, senza nemmeno accorgersene. «Non ho mai voluto farti del male, Newt, te lo giuro. Non avrei mai voluto che tutto questo accadesse a te, o a chiunque altro». Si inginocchiò ai piedi del biondo, poggiandogli la fronte contro le ginocchia. «Non hai idea del dolore che mi provoca, sapere una cosa del genere. Non pretendo che tu mi perdoni, per tutto il male che ti ho fatto, ma permettimi di fare in modo che ne sia la valsa la pena». Ormai, a Thomas non era rimasto nient’altro da fare che implorare. «Lascia che io ti vaccini. Lascia che ti porti in un posto sicuro. Poi, se lo vorrai, me ne andrò. Non dovrai più vedermi, ma permettimi di salvarti la vita, per l’ultima volta».
Anche Newt ormai piangeva incontrollato «Oh, Tommy… come potrei mai volere una cosa del genere? Io ti amo così tanto…» e l’attimo dopo, gli si gettò al collo, premendo forte le proprie labbra su quelle dell’altro, aggrappandoglisi addosso, come a non volerlo mai più lasciare andar via.
Ma Thomas lo afferrò per le braccia, allontanandolo e tenendolo fermo di fronte a sé. «Perché fai così?» gli chiese con un tono quasi disperato.
«Così come?»
«Così. L’attimo prima vuoi che me ne vada e l’attimo dopo invece vuoi baciarmi…»
«Non voglio. Questo bacio non ha lo stesso significato per noi. Dio, Thomas… non so nemmeno io quando ho iniziato ad amarti così tanto… E non ho idea di quando abbia cominciato a fare così male, il fatto che tu non mi ami come io vorrei.»
«Ma io ti amo. Poche ore fa, nel Labirinto, ho provato… ho capito cosa vuol dire perderti per sempre, per davvero. Ho rischiato di impazzire, tutta la notte» gli confessò Thomas, con la gola che bruciava, nel disperato tentativo di non scoppiare in lacrime. «E non lo capisco, perché non vuoi riavere indietro tutti i tuoi ricordi, ma posso rispettarlo se è questo, quello che vuoi. Se è questo, quello che devo fare per averti al mio fianco…» Thomas gli accarezzava lentamente le braccia. «Ecco perché Alby è andato fuori di testa, quando ha saputo che ero stato io a trascinarti di nuovo nel Labirinto… Newt, devi promettermi che non penserai mai più a fare una cosa del genere. Mi basta questa promessa: promettimi che amerai te stesso, fino alla fine e io non ti chiederò nient’altro.» lo implorò il castano; ormai Thomas parlava senza che quello che diceva avesse un filo logico.
Newt piangeva di nuovo. «So che vorresti che io riavessi la memoria, so che lo desidererai sempre. Perché lo vuoi così tanto, Thomas? Ti amo più di ogni altra cosa al mondo. Ti amo così tanto che mi fa male solo pensarci. Questo non ti basta?».


Thomas annuì, anche lui ormai in lacrime. «Mi basta, Newt».
«Ti basta davvero? Perché non posso darti niente di più di tutto me stesso, così come sono adesso, già te l’ho detto».
Thomas annuì, gli occhi lucidi e le guance bagnate. «Non voglio niente di più».

Newt singhiozzò, gettandogli le braccia al collo e premendo forte le proprie labbra sulle sue, in un bacio disperato.
Thomas rispose al bacio, senza sottrarsi, con la stessa disperazione e la stessa urgenza; sciolse l’abbraccio, senza però mai smettere di baciarlo e accarezzò tutto il corpo del biondo – le spalle, il petto, i fianchi – e un brivido d’eccitazione lo colse, sentendo l’altro ansimare piano contro la sua bocca grazie alle sue carezze. Un secondo di esitazione lo colse, quando arrivò ad accarezzargli i fianchi, ma lo ricacciò indietro con forza: doveva smetterla di farla così difficile, per lui e per Newt. Non aveva voluto altro che quello, per quattro dannatissimi lunghi anni e non avrebbe rovinato tutto, adesso; quindi, afferrò con forza i lembi della maglia del biondo e tirò velocemente verso l’alto, lasciandolo a torso nudo. Newt imitò il gesto subito dopo; si alzò in piedi, tirandolo per un braccio e ricominciando a baciarlo, non appena lo riebbe tra le braccia. Strinse forte il sedere di Thomas, per portarselo più addosso. Il castanò ansimò, quando Newt gli morse forte il labbro tra i denti.
Thomas allungò le mani a slacciargli i pantaloni, lasciando che gli ultimi indumenti gli scivolassero lungo le gambe magre e venissero abbandonati a terra. Lo spinse sul letto, in modo rude, senza preoccuparsi di essere gentile.
Perché Newt era grande, ormai, non c’era più bisogno di essere gentili, di essere attenti. Anche Thomas si liberò degli ultimi vestiti e dio solo sa quanto godette alla vista di Newt, che cadeva in ginocchio davanti a lui e glielo prendeva in bocca, con gli occhi chiusi, facendoselo arrivare fin giù per la gola e indurendo le labbra quando si tirava indietro, arrivando poco prima della punta, ormai completamente scoperta e sensibile.
In quel momento, tra l’eccitazione che rischiava di annullargli i sensi e lo sforzo di rimanere dritto in piedi sulle proprie gambe, nella sua mente ci fu spazio per un pensiero improvviso e inaspettato: quella era, per certi versi, la prima volta di Newt insieme a lui. Non riusciva a capacitarsi di quanto questo lo facesse arrabbiare, in una maniera del tutto irrazionale. E forse avrebbe dovuto trattarlo con più dolcezza, in modo meno animale; forse avrebbero dovuto fare con più calma, guardandosi negli occhi. Forse avrebbe dovuto dirgli che lo amava.
Il fatto era che Thomas non aveva voglia di fare niente di tutto quello. Tutto ciò che desiderava in quel momento era prendere, prendere tutto quello che l’altro gli stava dando, con avidità, senza ringraziare, senza preoccuparsi.
Thomas non voleva ritardare di un altro minuto ancora quello che gli spettava ormai da troppi anni e che comunque, per certi versi, alla fine, non aveva ricevuto indietro.
Si odiò per aver pensato una cosa del genere in quel momento.
Passò una mano tra i riccioli del ragazzo e lo tirò per i capelli, per allontanarlo dalla propria erezione, sentendosi sull’orlo di venire, quando vide Newt sorridergli, mentre si rimetteva in piedi, con quelle labbra così gonfie e lucide che Thomas non potè far a meno di baciare, di leccare, mentre lo spingeva sul letto e lo costringeva ad allargare le gambe. Gli poggiò due dita sulle labbra, aspettando che Newt le prendesse in bocca. Il biondo non si lasciò preparare tanto a lungo, come avrebbe desiderato fare Thomas.
Thomas fu coltò alla sprovvista, quando Newt ribaltò le posizioni con un colpo di reni, mettendogli a cavalcioni e tenendolo disteso sul letto con i polsi, il volto poco distante dal suo. «Thomas…» il fiato caldo del biondo gli colpì le guance. Gemettero all’unisono quando il più piccolo si lasciò scivolare sull’erezione dell’altro, gettando la testa indietro per il piacere.  Thomas fece forza sui propri gomiti per potergli andare incontro.
Newt lo guardava dall’alto, con gli occhi lucidi per il piacere e la bocca socchiusa e al maggiore bastò quella visione per avvicinarsi al limite; stringendolo forte per la vita, ribaltò le posizioni, portando Newt sotto di sé. Lo sentì venirgli addosso, quando gli morse un capezzolo. Il biondo si rilassò, lasciando il proprio corpo in balia dell’altro, troppo stordito dal piacere di quel momento.
Newt decise di non pensare a nulla.
Né a quello che sarebbe successo, da quel momento in poi né a nessun’ altra cosa al mondo. In quel momento si sentiva in pace, felice, come se avesse trovato finalmente il suo posto. Ed era così; Newt si trovava esattamente dove sarebbe dovuto stare: tra le braccia del suo Tommy.






E finalmente eccoci qua!!! Non voglio dilungarmi a implorare pietà per il fatto che sto riaggiornando dopo mesi! Mi dispiace moltissimo, ma quest’ultimo anno di università è ricominciato e non mi sta dando un momento!!!

MA COMUNQUE!!! Chi si aspettava, una cosa del genere, dopo l’ultimo capitolo? :D
E vi dirò di più: qualcuno farà la sua (ri)entrata in scena tra non molto tempo!!!
Adesso come reagirà Minho? Ma soprattutto: i problemi tra Thomas e Newt sono finiti così? È davvero tutto sistemato?

Le risposte a tutto questo saranno nei prossimi capitoli!!! Non posso purtroppo dirvi quando, mi dispiace moltissimo, ma posso provare a promettervi di non andare oltre le tre settimane o al massimo un mese!!! Intanto, questo è il mio regalo di Natale per voi! Auguro a tutte quante un buon anno!

P.S.: venite a disagiare con noi sul gruppo italiano newtmas! :D
https://www.facebook.com/groups/395539100655997/
 
   
 
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