Mi appartieni, anche domani

Quella volta, annegasti in lui col corpo ghiacciato da un sinistro sentore. Lo baciasti, lo annusasti, lo respirasti come mai prima di allora t’era successo.
 
“Non tremare,” t’ordinò.
 
Non gli obbedisti, e tremasti sfregando la pelle contro la sua, bramando calore, quiete, gioia. Deglutisti in un ultimo abbraccio da cui Evan si liberò in fretta, abbandonando lenzuola, letto e te.
 
“Tu mi appartieni,” gli dicesti allora, “anche se non dovessi vederti mai più.”
 
Nudo e con la schiena rivolta a te, s’irrigidì – il gelo s’era impadronito anche di lui.
 
“Rivestiti, Dorcas,” disse flebile.
 
Ti rifugiasti tra le coperte – inquieta, spaventata.
 

*

 
T’avevano istruito a non avere rimorsi. Cresciuto all’ombra del sangue dei maghi e di antiche famiglie, non t’aveva mai sfiorato l’ipotesi che la tua fedeltà e le tue convinzioni potessero essere errate.
 
Ora annaspavi – con lei in catene, sofferente, condannata.
 
Mosso da una sconosciuta follia – amore? –, corresti alla sua cella, spalancasti il cancello, distruggesti le catene e la baciasti.
 
“Tu mi appartieni,” le sussurrasti, “ma ho bisogno di vederti ancora.”
 
“Evan…”
 
“Salvati,” pregasti.
 
Spalancò gli occhi, consapevole di cosa le stessi chiedendo: unisciti a noi. Scosse debolmente il capo, si ritrasse e pianse – per te.
 
“Alla prossima vita, Evan.”