14.
Sobbalzai istintivamente,
quando il colpo partì dal fucile di Rey e, a occhi sgranati, osservai sgomenta
un ricciolo della chioma di Conner schizzare via al passaggio del proiettile.
“Il prossimo ti centrerà,
Conn. Andatevene” ringhiò Rey, gelido come una notte d'inverno.
Conner, però, non si diede
per vinto e, fatto segno ai suoi di occuparsi dei licantropi, si diresse verso
il fratello e puntò la pistola contro di lui.
“Mi ero sempre chiesto
perché questo posto non mi piacesse, e ora so il perché. Come ora so il perché tu
non mi sei mai piaciuto, fratellone.”
“Era per questo che ti
servivano i soldi? Per... per comprare armi contro i licantropi?” sibilò Rey,
ora incredulo.
Conner rise, scrollò le
spalle come a volersi scusare ma, con tono irriverente, disse: “Ehi, fratellone!
L'argento costa, cosa credi? Pensi che i soldi piovano dal cielo?”
Mi volsi a mezzo,
rivolgendomi ai miei fratelli perché difendessero i due licantropi dai
Cacciatori, dopodiché, scrutato Conner con livore, dissi: “E io che pensavo
fossero i miei genitori adottivi, a essere perversi. Mi fai ribrezzo.”
“Parlerai diversamente,
quando avrò terminato con mio fratello... e i tuoi” ghignò per tutta
risposta Conner, scrutandomi con lascivia.
La sua mente lasciò
scaturire pensieri così laidi da farmi storcere il naso e, in fretta, mi
allontanai da quelle immagini crude e disturbanti.
“Sei adottato, vero?”
borbottai a Rey, afferrando uno dei coltelli che tenevo alla cintola.
“Purtroppo no” replicò lui
per diretta conseguenza, avanzando di un passo verso il fratello.
Ora, a dividerli, c'era poco
più della larghezza del cortile. Davvero troppo poco, per i miei gusti.
Stheta e Krilash, parati
dinanzi ai Cacciatori e pronti a dar battaglia, sovrastavano di gran lunga in
altezza i compagni di Conner.
Da quel che potei percepire,
stavano mettendo non poco a disagio i loro avversari.
Non ne capivo molto, di
Cacciatori, ma mi sembrò palese dai loro pensieri che, l'idea di colpire un
essere umano, li angustiasse parecchio.
Anche se stavano difendendo
i loro più acerrimi nemici.
Un codice d'onore in un
gruppo di assassini?
La cosa mi sorprese non
poco, soprattutto perché non lessi la stessa preoccupazione nella mente di
Conner.
Pareva non avere gli stessi
scrupoli di coscienza, in particolar modo nei confronti di suo fratello.
Anzi, lessi solo odio, e una
cieca furia rivolta verso di lui.
Voleva uccidere i
licantropi, e non gliene sarebbe importato nulla di uccidere Rey, per ottenere
i suoi scopi.
Preoccupata, mi mossi per
pormi dinanzi a Rey ma Conner, puntandomi addosso la pistola, replicò
sprezzante: “Non fare l'eroina per lui, ragazza. Non esiterei a spararti, e poi
ammazzerei mio fratello in ogni caso.”
Poi, rivoltosi ai suoi
affiliati, ringhiò: “Che aspettate?! Siete in maggioranza o sbaglio?!”
“Loro non c'entrano, Conner.
Lo sai benissimo!” replicò piccato il più anziano del gruppo,
continuando a scrutare a momenti alterni i miei fratelli, me e Rey.
Uno stallo alla messicana in
grande stile.
Conner, allora, sbuffò
contrariato e, prese in mano le redini della situazione, dichiarò: “Mai lasciar
fare ad altri il lavoro sporco. L'ho sempre detto.”
Si volse perciò verso i suoi
compagni, puntando loro addosso la pistola e, ghignando, aggiunse: “Io e te
avremo qualcosa di cui discutere più tardi, Bryan.”
Ciò detto, si volse all'improvviso
verso di noi e, prima che io potessi percepire il suo pensiero – e bloccare le
sue azioni – fece fuoco in direzione di Rey.
Il mio grido si levò feroce,
sovrastando le urla di sorpresa degli altri, mentre il corpo di Rey, dapprima
immobile per lo stupore, cominciò a scivolare a terra.
Lo afferrai al volo,
accompagnandolo verso il pavimento con delicatezza, mentre la risata di Conner
si espandeva nell'aria umida e feroce.
“Cos'hai fatto? Sei
impazzito?!” sbraitò Bryan, gettando a terra il suo fucile per raggiungere a
grandi passi Conner, che ancora stava ridendo.
Non permisi a nessuno di
toccarlo prima di me.
Mi levai come una furia per
raggiungerlo prima del suo compagno e, sotto gli occhi sgomenti di tutti, lo
afferrai al collo, sollevandolo fin sopra la mia testa.
Non contenta, presi la sua
pistola per strappargliela di mano e, puntatala contro il suo petto, gridai
rabbiosa: “Sei un uomo morto!”
“Litha!” gridarono in coro i
miei fratelli, ma io non li ascoltai.
Spinsi con tutta la mia
forza Conner fin contro il capannone dei macchinari, facendo vibrare le vetrate
per l'urto violento.
A quella vista, i Cacciatori
si bloccarono confusi; non badai neppure a loro.
La mia attenzione era tutta
per Conner che, ancora appeso al mio braccio, stava cominciando a diventare viola
per la mancanza d'aria.
I suoi pallidi tentativi di
sfuggirmi risultarono inutili. Ero troppo forte, per lui, e ora stava iniziando
a comprenderlo.
“Cosa avresti fatto, di me? Cosa?! Non mi avresti mai toccata,
lurido scarto d'uomo!” gli urlai in faccia, facendolo discendere perché potesse
toccare i piedi a terra.
Mi avvicinai tanto da
sfiorargli il naso e, furiosa come una tempesta, gridai ancora: “Non sei degno
di camminare su questa terra, laido essere umano!”
Non contenta, lo scaraventai
a terra, e il suo corpo rovinò dolorosamente a terra, lasciando una scia di
ghiaia smossa sul cortile.
I Cacciatori erano
paralizzati dal terrore, ora, e anche Stheta e Krilash non osavano muoversi.
Compresero perfettamente
che, in quel momento, ero letale. Una sola interferenza e sarebbe scoppiato un
pandemonio.
Conner cercò di rialzarsi da
terra, tossì per riprendere fiato, ma io non gli concessi altro.
Lo colpii con un calcio,
rimandandolo a mangiare ghiaia e polvere e, dopo essermi inginocchiata accanto
a lui, poggiai un coltello sul suo collo e sibilai: “Potrei squartarti come un
maiale e darti in pasto ai licantropi. Sarebbe la tua giusta punizione. Ma
voglio divertirmi, con te. Non ho mai lasciato andare un nemico senza
avergliela fatta pagare cara, Conner, e tu mi hai fatto veramente arrabbiare.”
“Chi... chi sei? Sei come
loro?” gracchiò Conner, guardandomi con occhi sgranati e pieni di terrore.
Esattamente come li volevo
in quel momento.
“Sei al cospetto di una
dea... e le dee furiose possono essere tremende” gli sibilai all'orecchio,
levandomi in piedi.
Sii ciò che il tuo sangue ti
dice di essere...
Quella frase riverberò nel
mio corpo come un colpo di maglio e, d'improvviso, la rihall sul mio
collo prese a bruciare, dolendo terribilmente.
Vi poggiai sopra una mano e,
scrutando la mia pelle con occhi
sorpresi, vidi ricomparire i glifi che il tocco di Rey aveva fatto scomparire.
Le mani, i palmi, ogni lembo
di pelle visibile si ricoprì di glifi dorati e scintillanti e Conner,
cominciando a urlare di paura, indietreggiò carponi nel tentativo di sfuggirmi.
Sii la mia eredità, figlia
tanto amata...
La voce tornò tonante nella
mia mente, e finalmente la riconobbi.
Era la voce della mia
genitrice.
Di colei che aveva dato la
vita per proteggermi.
Di colei da cui giungevano i
miei poteri divini.
Di colei da cui ora presi il
coraggio di agire.
Rifulgente come stella, mi
piegai verso Conner, che balbettò frasi sconclusionate e senza senso, perso nel
suo terrore personale.
Presolo per il collo, lo
sollevai innanzi a me e lo fissai disgustata.
“Non sei degno di sfiorare
con la tua presenza queste mie terre sacre, misero mortale...”
Il bagliore, allora, si
diffuse fino a inglobare anche Conner che, preso dal panico, iniziò a urlare
come un forsennato.
Vane furono le parole di
Stheta e Krilash, come vane furono le preghiere dei Cacciatori, che mi
implorarono di salvare il loro compagno.
Non lo avrei mai lasciato
vivere, dopo ciò che aveva fatto a suo fratello.
Avrei potuto accettare
qualsiasi cosa, ma non quella.
Fu la voce strozzata di Rey,
però, a bloccarmi.
Seduto a terra e sorretto da
Rohnyn – mentre Rachel teneva premuto un telo sulla ferita sanguinante –
richiamò la mia attenzione con il semplice suono della sua voce.
La luce dentro di me si
spense lentamente e, disgustata dalla vicinanza di Conner, lo lasciai andare
per raggiungere Rey.
Fui dai lui in un battito
d'ali e, preoccupata, esalai: “Non parlare, Rey, per favore. Ora ti portiamo in
clinica per curarti. A loro baderò io. Non devi pensare a niente.”
“Non voglio... che ti
macchi... ancora.. d-di sangue. Non... non per me” ansò lui, cercando la mia
mano.
Immediatamente, la sollevai
tra le mie, baciandola e, annuendo, replicai: “Farò tutto ciò che vuoi, ma non
sprecare le forze.”
Rey allora mi sorrise … e
svenne tra le braccia di Rohnyn.
Mi rialzai a fatica mentre
Rohnyn, con l'aiuto di Rachel, sollevava da terra Rey per condurlo alla clinica.
Guardando Stheta in cerca di
aiuto, lui annuì e, in fretta, condusse Rohnyn in direzione dell'infermeria,
dove avrebbero potuto dare le prime cure a Rey.
Io, nel frattempo, mi sarei
occupata dei Cacciatori. E di Conner.
Mi rivolsi poi a Krilash, gli
occhi gelidi come ghiaccio imperituro, ordinandogli perentoria: “Occupati dei
licantropi. Conducili nell'infermeria assieme a Rey. Io baderò a loro.”
“Sorellina...” tentennò,
indeciso.
I glifi tornarono a
splendere, forse in risposta alla mia rabbia e lui, dopo un ultimo sguardo, si
affiancò ai licantropi e si allontanò con loro.
A quel punto, fulgida e
ricolma d'ira vibrante, mi rivolsi ai Cacciatori che, nel frattempo, avevano
attorniato un terrorizzato Conner.
Furente, esclamai: “Ho
promesso di non macchiare le mie mani di sangue... ma tutto dipenderà da voi!
Siete pronti ad andarvene per non tornare mai più?!”
Mi guardarono tremanti,
mentre il mio fulgore cresceva di intensità, ma fu Conner a decidere del suo
destino, non certo il mio desiderio di fargliela pagare.
Si levò in piedi, strappò
dalla mano di uno dei Cacciatori un fucile e, urlando, mi sparò.
Indispettita, levai una mano
per parare il colpo e, semplicemente, il proiettile svaporò.
Ora, i glifi erano
incandescenti.
Nessun essere umano può
toccarti, figlia mia... ma soppesa bene il tuo potere, perché esso sia al tuo
servizio, e non tu al suo...
Fu difficile accettare ciò
che quelle parole contenevano, ma avevo promesso.
Rey non voleva che io
uccidessi ancora e, soprattutto, non a causa sua.
Mi avvicinai perciò al
gruppo di Cacciatori e, levata una mano verso di loro, mormorai: “Ringraziate
l'uomo che amo se non vi uccido ora, su questo luogo sacro. Siano miei i vostri
ricordi, e vostre le mie minacce. Non avvicinatevi più, o non sarò altrettanto
generosa, se vi ripresenterete al mio cospetto. Che il memento del mio odio vi
rincorra, se solo oserete toccare un altro licantropo.”
I glifi presero fuoco per un
istante e, quando la luce si spense, i Cacciatori erano stesi a terra, privi di
sensi, le menti svuotate di ciò che avevano scorto in quella notte orribile.
Feci sparire in fretta le
armi e, con l'ansia che galoppava nelle vene, corsi verso l'infermeria per
sincerarmi delle condizioni di Rey.
Non appena ebbi raggiunto il
pronto soccorso allestito nel Santuario, lanciai un'occhiata veloce in
direzione del licantropo ferito.
Tornato umano, ora era
controllato dalle sapienti mani di Rachel, coadiuvata da un altro licantropo
che, vedendomi, mi ossequiò con un cenno del capo, prima di sussurrare un 'grazie'
sentito.
Assentii, dopodiché
raggiunsi il letto dove si trovava Rey, e lì barcollai.
Stheta fu lesto a sorreggermi
e Rohnyn, guardandomi spiacente, disse: “Il proiettile ha perforato il fegato.
Anche se fosse in ospedale, non potrebbero fare nulla, lo sai.”
Scossi il capo, non volendo
ascoltare le parole di mio fratello, ma Rey mi sorrise e, ancora una volta,
cercò la mia mano.
“Se fossi stata più veloce,
avrei capito che...” singhiozzai, bloccandomi a metà della frase per baciarlo
sulle labbra. “Scusami, scusami, scusami...”
“Non... non mi sembra... sia
stata tu... a... a spararmi...” cercò di ironizzare Rey, ansando a fatica.
“Non parlare, non parlare”
sussurrai, tergendomi il viso dalle lacrime che ormai non riuscivo più a
trattenere.
Esse fluirono copiose dai
miei occhi colmi di dolore e Rey, spiacente, mormorò: “Non volevo...
piangessi... per me...”
“Farei qualsiasi cosa, per
te. Anche piangere” celiai per tutta risposta, e lui sorrise.
“Anche se lo odi, ...vero?”
“Sì, odio sentirmi così. Ma
amo provare tutti questi sentimenti, perché mi fanno sentire viva...”
sussurrai, piegandomi verso di lui per baciarlo sulla fronte. “Non morirai, te
lo prometto, fosse anche l'ultima cosa che faccio.”
“Sai... che … che non c'è
rimedio...”
“Sì che c'è. Tu sei un mio
discendente, Rey, hai sangue Tuatha nelle vene. Sarà questo a salvarti.”
Mi levai in piedi dopo aver
proferito quelle parole e, fissato Stheta negli occhi – che lanciarono lampi di
preoccupazione – dissi: “Facciamolo.”
“Davvero ti fidi delle
parole di fiele di Muath? Potrebbe avertelo detto solo per ferirti!” protestò
il mio fratellone, portandomi a sorridere.
Gli carezzai il viso, grata
per la sua preoccupazione, ma replicai: “Non lascerò nulla di intentato per
salvarlo, non lo capisci? Hai visto quello che sono in grado di fare. Che mi
piaccia o meno, sono diversa da voi. Ed è il momento che io scopra fino
a che punto.”
“E' troppo rischioso”
protestò a sua volta Rohnyn, accigliato non meno di Stheta.
“Ma la vita è mia, e la
gestisco come voglio” ribattei con sicurezza, ormai decisa a compiere quel
passo.
“E a noi non pensi? Ti
vogliamo bene!” esalò Krilash, afferrandomi per le spalle con veemenza.
Gli sorrisi, abbracciandolo
con calore e, contro la sua spalla, mormorai: “E io ne voglio a voi, ma la mia
decisione è questa. Preparate la centrifuga per lo scambio ematico. Faremo
così.”
“Beh, allora noi doneremo il
nostro sangue a te” propose a quel punto Rachel, raccogliendosi la manica della
camicia, già pronta a mettere in pratica quanto detto.
Mi sorrise, e aggiunse
perentoria: “Hai anche sangue fomoriano nelle vene, oltre che dei Tuatha.
Potrai reggere perfettamente il nostro apporto spontaneo... e obbligatorio.”
“Detto da vera principessa
fomoriana” asserii, annuendo al suo indirizzo. “E sia, ma sbrighiamoci. Non c'è
molto tempo.”
Lanciai uno sguardo a Rey,
che ancora mi stava guardando con apprensione, e aggiunsi: “Non mi
abbandonerai, posso giurartelo su quanto ho di più caro.”
***
Stesa sul lettino accanto a
quello di Rey, i nostri corpi uniti dalle cannule della centrifuga, sospirai e,
rivolta a Stheta, dissi: “Spero solo di non avvelenarlo. Dopotutto, lui è soprattutto
un essere umano, e...”
Lui mi azzittì con un
sorriso e, lanciato uno sguardo a Rey – che giaceva in stato di semi incoscienza
– replicò gentilmente: “In ogni caso, è la sua ultima e unica speranza, Litha.”
Annuii, sapendo che aveva
ragione.
Il suo fisico stava cedendo
e, se il mio sangue non lo avesse rigenerato, in quanto sangue di dea e di sua
progenitrice, niente avrebbe potuto.
“Aziona la macchina ma, mi
raccomando, aspettate a donare il vostro sangue finché non vedrete in Rey
un qualche cambiamento. Se non funziona, non voglio risvegliarmi, è chiaro?”
Stheta assentì, sospirando
e, nel sedersi accanto a me sul lettino, mi carezzò i capelli sparsi sul
cuscino.
“Sapevo che l'avresti detto.
Te l'ho letto nella mente fin da quando hai dichiarato di voler tentare.”
“Sai anche perché ho deciso
così. Vorresti vivere senza Ciara?” gli sorrisi in risposta, dando una pacca
leggera al suo braccio.
Stheta azionò la centrifuga
e il mio sangue, scarlatto e puro, defluì verso il corpo di Rey che, a causa
del colpo di pistola, aveva già perso più di un litro e mezzo di linfa vitale.
Sospirai e, nel sollevare
una mano verso Rohnyn, che se ne stava in piedi accanto a Sheridan, nei pressi
di una finestra, mormorai: “Fratello...”
Lui si scostò subito,
raggiungendomi e, scrutando i loro volti preoccupati, dissi: “Hai scelto la
mortalità perché Sheridan non avrebbe mai potuto vivere come fomoriana, vero?”
“Sì. E non me ne pento. Ma
tu...”
Scossi il capo,
interrompendo la sua replica, e mormorai in risposta: “E' la stessa cosa per
me. O così, o nulla. Ma dovete promettermi una cosa.”
Annuirono entrambi e, in
quel momento, Krilash fece la sua ricomparsa nell'infermeria.
Si era recato dabbasso per
essere sicuro che tutto fosse a posto coi Cacciatori e ora, nel vedere la
centrifuga in azione, corse da me e si inginocchiò accanto al letto.
“Vedrai che funzionerà,
Litha. Scommetto che neppure Muath è così crudele da aver detto una bugia su
questo.”
“Rischia in ogni caso, visto
che deve dargli tutto il suo sangue.”
“E' per questo che ci siamo
noi qui. Le doneremo il nostro per permetterle di sopravvivere a questo
scambio. Sennò, a che servono i fratelli?”
“O le cognate?” intervenne
Rachel, dando una pacca sulla spalla al marito, che le sorrise.
“Se tutto va come spero – e
credo – non dovrete sacrificarvi più di tanto. Una volta reintegrati i liquidi
minimi, le mie cellule ricominceranno a produrre sangue autonomamente.
Dopotutto, sono una dea, no?”
Lo dissi con ironia, ma il
tremore alle mani mi smentì.
Era inutile nascondere la
verità; avevo una paura folle, ma non potevo fare altrimenti.
Se quello era l'unico modo
di salvare Rey, io lo avrei portato avanti fino alla fine.
Le lacrime tornarono a
bagnare i miei occhi e Rachel, nel tergerle via, mi disse: “Ciara mi ha detto
di dirti di non fare pazzie. Chissà perché? Ti conosce meglio di me e, a quanto
pare, aveva ragione da vendere.”
Le sorrisi in risposta,
asserendo: “Se fosse stata qui, forse avrebbe evitato che succedesse tutto
questo. Lei è così brava...”
“Neppure lei è onnipotente,
sorellina... ma, sicuramente, si sarebbe fatta in quattro per proteggerti” mormorò
Stheta, chinandosi per darmi un bacio sulla fronte.
Sheridan, a quel punto, si
avvicinò a sua volta e, sorridendomi da sopra il capo addormentato di Kevin, disse:
“Sei una donna forte, Litha, quindi non provare a deludermi, perché giuro che
ti inseguirò in capo al mondo – in qualsiasi mondo – per suonartele di santa
ragione, se non ce la fai.”
Mi venne voglia di ridere,
ma la mancanza di sangue me ne tolse la forza.
Mi limitai perciò ad annuire
e, nel lanciare un ultimo sguardo a Rey, mormorai nell'addormentarmi:
“Lasciatemi andare, se dovete.”
“Non servirà” rispose per
tutti Rohnyn, afferrando la mia mano fredda per tenerla nelle sue, più calde.
Rassicuranti.
Chiusi gli occhi e, con un sospiro
tremulo, mi addormentai.
***
Bambina mia... sveglia...
Non sentivo nulla, il mio
corpo era leggero, fluttuava in un liquido caldo, denso, che mi avvolgeva
tutta.
Non avevo dolore, non
percepivo nessun tipo di sensazione... udivo solo una voce, in quel mare di
tiepida oscurità.
Non mi servì a molto aprire
gli occhi – per lo meno, mi parve di farlo – perché non potei percepire nessun
tipo di colore.
Solo quel suono, con quel
tono accorato, dolce.
Le libellule volano
leggere... non vuoi prenderle?
Non capii a cosa si
riferisse la voce quando, come il sorgere del sole all'orizzonte, la luce si
fece largo nel mare di oscurità. E vidi.
Ero in piedi accanto a una
culla, dove una bambina di un mese giocherellava con dei pupazzi di pezza... a
forma di libellula.
Ce n'erano ovunque, dipinte
alle pareti, ricamate sulle copertine che coprivano la bimba.
Io.
Quelli occhi color delle
ametiste, la spruzzata di capelli neri come la notte.
E una donna, seduta su una
sedia nei pressi della terrazza, osservava la scena con un sorriso.
Mia madre.
Ti sono sempre piaciute le
libellule... o, per lo meno, io così pensavo. Volevi giocare solo con quei
pupazzetti con le ali.
Capii che si stava
rivolgendo alla me stessa adulta quando si levò in piedi, mi sorrise e si
avvicinò a me.
“Dove sono?” le domandai,
non arrischiandomi a chiedere altro.
Nei tuoi ricordi, bimba mia.
“E come sono finita qui?”
Perché è un buon posto in
cui riposare, mentre ti ritempri. Ciò che hai fatto è stato molto coraggioso e
molto folle, bambina cara. Ma sapevo che l'avresti fatto.
“Perché dici così? Tu non
hai potuto vedermi crescere... non mi conosci...” mormorai, e dentro la mia
anima mi sentii rodere da un antico dolore. La consapevolezza di essere sempre
stata diversa dagli altri.
Mia madre sfiorò il mio viso
con una mano incorporea, ma ugualmente ne percepii il tocco, e sospirai.
Come pensi io riesca a
parlarti, cara, se non fossi sempre stata al tuo fianco, dentro di te?
“Cosa? Che intendi dire?”
esalai, sgranando gli occhi.
Una folata di vento si
incuneò nella stanza e mia madre, scrutando il mare in lontananza e le
scogliere battute dalla brezza, si accigliò.
Prima di morire, non ti
lasciai solo i miei ricordi, ma anche una parte di me. Non volli abbandonarti
del tutto... non avrei mai sopportato di farlo. Esattamente come tu non avresti
sopportato di abbandonare Rey.
“Tu lo conosci? Come?”
Mi sorrise con una certa
ironia, e io mi sentii tremendamente in imbarazzo pur senza conoscerne i
motivi.
Ho potuto percepire tutte le
tue emozioni fin da quando Muath scelse di portarti con sé a Mag Mell, e Tethra
risvegliò la rihall appartenente alla casata di tuo padre.
“La nostra famiglia e
quella… reale fomoriana… erano parenti, vero?” esalai, pur sapendo di non
essermi sbagliata.
Mia madre annuì, spiegandomi
ogni cosa.
Tuo padre proveniva da
un'antica casata fomoriana legata alla famiglia reale. Se non ricordo male,
erano cugini di terzo grado, per questo porti una stella a cinque punte sul
collo. Le stelle appaiono sono negli appartenenti alla famiglia reale.
Si
bloccò un momento, carezzandomi i capelli con fare pensieroso, ma alla fine
parlò di nuovo.
E’ stato giusto che tu sia
tornata al mare. Sono lieta che sia stata Muath ad avere la meglio sulle
decisioni di Tethra.
“Perché?” le domandai con
una certa acredine, accigliandomi.
Nel bene e nel male, Litha,
lei ti ha salvata nonostante fosse giunta per portare morte. In guerra
succede, e ne fanno le spese anche gli infanti pur se, è vero dirlo, i
fomoriani hanno sempre tentato di evitarlo. Lei, però, decise diversamente, per
te. Non so se fu per via del tradimento di Bress, o per qualcos'altro, ma
tant'è. Tu sei viva perché lei ti ha voluta con sé.
“Avrei voluto crescere con
te e papà, però.”
A questo non c'è rimedio ma,
quando ti ho spinta verso le nostre terre, ho sperato con tutto il cuore che tu
potessi trovare qualcuno della nostra genia a cui appoggiarti.
“Tu
hai fatto cosa?” esalai, sorpresa e confusa.
Una
dolce risata, e mia madre mi disse: Fui io a spingerti verso Cork,
allontanandoti da Dublino. Avresti accettato l’amore di Rohnyn, saresti rimasta
da lui e tutto sarebbe rimasto immutato, ma io ho preferito spingerti verso la
verità, pur se non speravo neppure lontanamente tu la trovassi così presto. E
tra le braccia di un uomo buono come Rey.
“Per
questo, mi sono sentita spinta ad abbandonare i miei fratelli, tutto ciò che
conoscevo…” mormorai, comprendendo ogni cosa.
Era a fin di bene, anche se
so che hai sofferto per la loro mancanza. Ma pensa a questo, cara. Ora, hai
tutti loro, e noi non saremo mai veramente separate, amore mio. Mai...
“Mamma...” mormorai,
allungando una mano verso di lei.
L'oscurità mi risucchiò via
con un vortice, allontanandomi da mia madre, dai miei ricordi, dalla me stessa
bambina e, con un ansito strozzato, riaprii gli occhi nel mondo reale.
E scrutai un viso che,
neppure in mille anni, avrei pensato di rivedere.