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Autore: Alexel_Sid    05/01/2016    0 recensioni
In questa raccolta inserirò gli “speciali” tratti dalla mia storia “Le Cronache degli Shinigami”. I personaggi sono completamente inventati, così come le situazione in cui si svolgono i fatti.
Questi racconti non hanno a che vedere con la trama originale della storia.
Tutti gli speciali pubblicati in questa raccolta sono presenti anche sul mio blog, su cui di solito pubblico.
Genere: Demenziale, Erotico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutti! Mi sono divertita molto a scrivere questa breve storia ispirandomi ad uno dei racconti di Natale che più mi piacciono, spero sia gradevole da leggere.

Vediamo se rinoscete il racconto dal quale ho preso spunto. ;)

  Come ogni anno, in quei mesi, la neve scendeva a ricoprire la città. Le case, le strade, le insegne, tutto era imbiancato dallo spesso strato di fiocchi di ghiaccio che preannunciava l’arrivo del Natale. Le vetrine venivano allestite con luci colorate e ghirlande, alle porte si appendeva il vischio e in ogni casa non poteva mancare un albero addobbato sotto il quale, la notte della vigilia, sarebbero stati messi i regali portati da Babbo Natale.
«Si, come no? Ed io sono la befana»
Sapevo che saresti intervenuto. Solo perché tu non credi a Babbo Natale non vuol dire che non debba crederci nessuno!
«Perché? Tu ci credi, forse?»
Bèh … io … ma che c’entro io adesso! Fammi raccontare la storia e limitati a fare la tua parte!
«Ok! Ok! Non ti alterare»
Bene, dov’ero rimasta? Ah! In ogni casa non poteva mancare un albero addobbato sotto il quale, la notte della vigilia, Babbo Natale avrebbe lasciato i regali. O meglio, quasi in ogni casa. Giusto alla fine della strada, dove uno dei palazzi faceva angolo, vi era una bottega dai vetri scuri. Il proprietario vi abitava sopra e anche casa sua era priva di addobbi. Gli abitanti della città lo conoscevano bene, e nessuno osava mai replicare, tutti temevano la sua reazione. Eppure, non era solo, nella sua bottega lavorava un ragazzo. Luca era il suo nome.
«Ehi! Chi ti ha detto di farlo lavorare nella mia bottega? Tra tanti che ce n’erano proprio lui dovevi scegliere?»
È il protagonista della prima storia delle cronache, non posso lasciarlo fuori.
«Si, ma il protagonista dello speciale sono io!»
Robin, ti prego, fammi continuare a scrivere. Ti prometto che non resterai deluso.
«Me lo auguro!»
*Prende un bel respiro* Oh, cielo … come dicevo, Luca era il suo nome. Lavorava in quella bottega da molti anni e, come ogni anno, sapeva che non avrebbe avuto giorni feriali da passare con la propria famiglia. Questo ti soddisfa?
«Per ora mi accontento, prosegui»
Il ragazzo, tuttavia, non si abbatteva mai, continuando a lavorare senza sosta.
Quella mattina, di buon’ora, il campanello posto sopra la porta trillò, segno che qualcuno era entrato. Il bottegaio fu subito pronto ad accogliere il nuovo arrivato, intento a scrollarsi di dosso la neve rimasta attaccata al cappotto. Quando si rese conto che non si trattava di un cliente, mise il broncio.
«Ah … sei tu» disse, cercando di esternare tutta la sua disapprovazione «Sappi che la mia risposta è no, come tutti gli anni»
L’altro, dal canto suo, gli sorrise, andandogli incontro.
«Ma Robin, quest’anno ci sarà anche il Direttore, si arrabbierà molto se non verrai!»
«Non me ne importa niente, che venga lei stessa a fare una sfuriata nella mia bottega, non cambierò idea» sbottò girando i tacchi e tornando verso il suo ufficio.
L’altro lo seguì, finché lui non gli chiuse la porta in faccia. Allora notò di non essere solo.
«Oh, ciao, Luca! Non ti avevo visto»
«Si, come no!»
Ancora?!
«Uff!»
Luca ricambiò il saluto con un cenno della mano.
«Immagino che anche quest’anno non vedremo neanche te alla festa, vero?»
«Immagini bene»
«Non c’è proprio verso di convincerlo …» Daiki sospirò, portandosi una mano a sistemarsi meglio gli occhiali sul naso, poi sembrò avere un’idea «Posso chiederti un favore?» disse, fiondandosi alla scrivania dietro la quale era seduto il suo interlocutore.
Il ragazzo sobbalzò sulla sedia dalla sorpresa «Dimmi pure, vedrò cosa posso fare»
«Prova tu a parlargli. Lavori con lui da anni, dovrai pur aver capito come trattare con lui!»
«Daiki, io faccio i conti, non i miracoli»
«Conto su di te!» replicò l’altro, avviandosi verso la porta senza dare a Luca la possibilità di controbattere. In pochi istanti, sparì dall’interno della bottega, lasciandosi dietro la neve sciolta che aveva sotto gli stivali e qualche fiocco fresco entrato mentre lui stava uscendo. E il ragazzo sapeva anche che avrebbe dovuto pulire il pavimento, prima di finire il suo turno.

Non sapeva con esattezza cosa fare, non aveva mai osato bussare alla porta dell’ufficio del suo datore di lavoro e sapeva che, chi ci aveva provato, adesso non lavorava più lì. E per questo lui era stato assunto. Prese un bel respiro e cercò di racimolare un po’ di coraggio, quindi poggiò due volte, delicatamente, le nocche contro il battente, ma nessuno rispose. Forse aveva bussato troppo piano. Provò con più forza, e Robin rispose.
«Cosa vuoi?»
«P-posso entrare?»
Dall’altra parte non ci fu risposta. “Chi tace acconsente” pensò il ragazzo, ed aprì la porta, affacciandosi nell’ufficio.
«Vedi di sbrigarti» la voce insolitamente cupa del bottegaio lo mise ancora più a disagio, ma non per questo si tirò indietro. Si fece avanti, fino a raggiungere la piccola scrivania di legno scuro al centro della stanza.
«Vede, questa mattina, quando il signor Yoshida è venuto a trovarla …»
«Ha chiesto a te di convincermi, non è così?» Luca annuì con timore
«Da quanto tempo lavori qui?»
«Due … anni»
«Una vita, rispetto al tempo che ho concesso ai tuoi predecessori di riscaldare la mia sedia nel reparto contabile. E sai perché tu sei rimasto così a lungo?» il ragazzo scosse la testa «No? Te lo dico subito, allora! Perché tu sei quello che si è più limitato a tenere la bocca chiusa, quindi vedi di continuare per la tua retta via»
«Va bene, signore!»
«Ora và, e domattina vedi di arrivare dieci minuti prima»
«Va bene, signore! Buona notte, signore!»
Detto questo, Luca uscì dalla bottega, imprecando contro sé stesso per non aver pensato ai fatti suoi. La mattina seguente gli sarebbe toccato prendere servizio alle cinque di mattina.

Come ogni sera, Robin salì le scale che dalla bottega portavano al suo appartamento in reverenziale silenzio. D’altronde, quali chiacchiere avrebbero potuto disturbare chi abitava da solo?
Arrivato al piano di sopra andò ad accendere il fuoco nel camino e si preparò una cena veloce, che consumò davanti al fuoco, per poi andare a dormire. Non era solito prendere sonno con facilità, ma quella notte, tutto gli sembrò ancora più complicato; gli occhi non volevano saperne di chiudersi e la luce della luna e dei lampioni traspariva attraverso le tende leggere della finestra. Quando non ne poté più, allungò una mano per tirare le tende del baldacchino, più spesse e scure, ottime per tenere fuori tutto ciò che lui voleva tenere fuori. Passò ancora un po’ di tempo, ma alla fine ci riuscì, chiuse gli occhi e cadde in un sonno senza sogni. Questo, però, durò fino allo scoccare della mezzanotte, quando i rintocchi dell’orologio a pendolo del corridoio lo svegliarono.
«Maledizione!» ringhiò tra i denti, mentre si portava un cuscino sulla testa per ovattare i rintocchi, maledicendo il giorno in cui quell’orologio era entrato in casa sua.
«Robin!»
Riconobbe quella voce all’istante, saltando a sedere e scostando le tende per vedere se fosse vero. Con suo grande sgomento, scoprì che era proprio così. Davanti a lui, di fianco al letto, c’era il Direttore.
«Ti do un minuto per metterti in piedi e seguirmi»
Ancora perplesso, l’uomo si passò una mano tra le ciocche rosse arruffate dal sonno, cercando di rendersi presentabile «Che razza di scherzo è questo? Come hai fatto a …»
«Hai ancora quaranta secondi» replicò la donna.
A quel punto, non gli restava che obbedire se non voleva che casa e bottega venissero rase al suolo, quindi si alzò, tirando giù la maglia del pigiama come meglio poté per stirarne le pieghe. La donna lo squadrò da capo a piedi.
«Infili i pantaloni nei calzini?» sembrò sconcertata.
«Che vuoi? Ci tengo alla pelle, io!»
«Non è mio compito giudicare, piuttosto, vedi di aprire le orecchie e ascolta bene quello che ti dico. Stanotte ti verranno a trovare i Falciatori, tu fà finta che siano dei fantasmi, ci tengono a questa sceneggiata, quindi evitiamo rogne, ok?» lui annuì, scocciato quanto lei «Non saranno insieme, ne verrà uno ogni ora. Sii pronto a tutto, sai bene come sono quei tre»
«Ok, ora puoi uscire e lasciarmi dormire?»
«Il mio lavoro l’ho fatto» detto questo, andò via.

Un’ora dopo l’orologio segnò l’una, ma Robin, preso com’era dal mondo dei sogni, non ci fece caso, continuando a dormire beato. Non si accorse neanche del ticchettio dei passi che si avvicinavano, finché il primo ospite non gli fu vicino. Appena le tende si aprirono, lui saltò dall’altro capo del letto, lasciando di stucco la ragazza.
«Non ti facevo tanto attento»
«Mi sottovalutavi, quindi» tra i due ci fu un attimo di silenzio in cui lei sorrise «Cosa vogliono da me i Falciatori?»
«Mi dispiace deluderti, ma stanotte sono qui investe di fantasma del Natale passato»
Nel sentire quella frase alzò un sopracciglio «Dove ho già sentito questa roba?»
Scocciata, Nuhr saltò sul letto, agguantandolo per un braccio «Se non ci sbrighiamo finirai per arrivare in ritardo all’appuntamento con Gabriel ed io non ho alcuna intenzione di incontrarlo la vigilia di Natale»
Era risaputo che lei non vedesse di buon occhio il guardiano della porta del Paradiso, ma Robin non vedeva perché dovesse subirne le conseguenze in quel modo. Come gli aveva già detto il Direttore, era meglio assecondare i loro capricci, almeno così se ne sarebbe sbarazzato prima.
«Va bene, vai avanti, io ti seguo a ruota»
«Non ce n’è bisogno, andremo di pari passo» passò oltre le tende del baldacchino, saltando giù dal letto continuando a tenerlo bel saldo per il braccio e spalancò la finestra «Pronto?»
Robin sgranò gli occhi, preso di sorpresa «Vuoi uscire dalla finestra?»
«Così sembra»
«Ma come … cosa ti salta in mente?!»
«Calmati, Robin. Questo è uno speciale di Natale, non può succederti niente di male»
«Ehi! Ehi, tu! Fermala!»
Abbi fede, non sono mica tanto sciocca da uccidere in uno speciale un personaggio che ancora mi serve nella storia principale. E poi lo sai com’è, voi vi muovete per lo più da soli, altrimenti non ti avrei mai permesso di interrompermi ogni cinque minuti, non credi? Dai, salta giù.
«Fossi mattoooooo!» Nuhr saltò dalla finestra, trascinandolo, nonostante avesse cercato di opporre resistenza aggrappandosi all’infisso di legno.
Caddero nel vuoto, sentendo il vento accarezzarli per qualche secondo, forse troppo per un salto dal primo piano. Come infatti, quando aprì gli occhi, Robin si accorse di essere già a terra sulle sue gambe e tutto d’un pezzo e che il vento proveniva dai campi, quei campi che lui conosceva molto bene.
Si guardò intorno, confuso come non era mai stato, sentendo una fitta al cuore. Aveva dimenticato quanto potesse fare male ricordare, aveva sempre cercato di evitarlo.
«Perché mi avete portato qui?» sussurrò «Non è leale»
«Perché è qui che sei diventato così»
«Voglio andare via. Ora»
«Non prima di aver visto» Nuhr strinse di più la presa sul suo braccio, strattonandolo in avanti e costringendolo a seguirla.
Tra il verde dei campi si ergeva un castello nel pieno del suo splendore. Gli stendardi ondeggiavano al vento e dall’interno si potevano sentire le note della musica da ballo e gli schiamazzi degli invitati. Nonostante l’aria gelida del dicembre londinese, quelle pietre stesse, racchiudevano ed emanavano nel contempo il calore dell’allegria che il Natale soltanto riesce a diffondere.
«Dove vai? L’entrata è di là» grugnì lui.
«Entriamo direttamente nella sala da ballo»
«Adesso vorresti anche entrare da una finestra?»
«No» rispose lei «dal muro»
E così fecero; continuarono a camminare nella direzione presa dalla ragazza, fino a raggiungere la spessa parete di pietra grigia resa ancora più scura dal tempo e dalle intemperie, e avanzarono ancora, entrandovi come solo due spettri avrebbero saputo fare.
«Sai che tutto ciò è assurdo?»
Si, ma non ci badare. La sala era piena, c’era gente che danzava sulle note suonate dai musicisti, allegre ballate dei vecchi andati e musica nuova, portata dall’avvento del secolo, altri si limitavano a guardare, qualcuno si era riunito in piccoli gruppi e chiacchierava allegramente. Il sorriso regnava sul volto di tutti.
«Che schifezza …» esordì Robin «Sono passati secoli, ma certe genti riescono ancora ad evocare lo schifo che provavo allora nell’osservarli»
«Come sei pessimista. Tu ricordi dov’eri?»
«Ovvio. Ero al piano di sopra, nelle stanze della figlia del padrone di casa»
La risposta allarmò la Guardiana «Forse non è il caso di salire»
«Adesso sei fin troppo ottimista. Non ero ancora tanto stupido» le rispose scocciato «Vieni, ti faccio strada, così la finiamo»
Oltrepassarono la folla, imboccando una rampa di scale, lasciandosi i festeggiamenti alle spalle. Nonostante si fosse portato avanti per fare strada alla sua accompagnatrice, Robin non sembrava affatto contento di salire quei gradini. Aveva l’espressione di chi avrebbe preferito restare ad assistere alla visione di tutte quelle persone accalcate a muoversi a tempo di musica e ascoltarle spettegolare per ore, pur di non trovarsi in quella situazione.
Quando furono di sopra, si mosse sapiente verso una delle immense porte dipinte. Fece per aprirla, ma ebbe il risultato di farci passare attraverso la mano. La ritirò subito, come se dall’altra parte ci fosse qualcuno pronto a mozzargliela, poi si ricompose e capì che avrebbe potuto solo attraversarla come aveva fatto con la parete. I ricordi non si possono toccare.
All’interno della stanza, una giovane donna era seduta davanti un tavolino da toletta colmo di pettini, fermagli e profumi e sormontato da un grande specchio. Dietro di lei, un altro Robin era in piedi, intento a pettinarle i lunghi capelli biondi per prepararli ad essere intrecciati in un’acconciatura degna di una signora. Nuhr si fece avanti, sorpresa e incuriosita, avvicinandosi ai due per osservarli da vicino.
«Questo eri tu?!» dall’altra parte non ci fu risposta «Facevi il parrucchiere?» insistette.
«Non ero un parrucchiere»
«Allora perché la stai pettinando?»
«La stavo pettinando. Ora non potrò più farlo»
La ragazza non distolse lo sguardo, continuando a esaminare i due. Entrambi restavano in reverenziale silenzio, scambiandosi di tanto in tanto delle occhiatine e dei sorrisi, complici.
«Il verde ti stava da dio!»
«Ti conviene spostarti» disse lui, muovendosi a sua volta per allontanarsi dalla porta.
Prima che Nuhr potesse chiedere il perché, i battenti di legno si spalancarono, lasciando libero l’ingresso delle guardie. I due sussultarono vedendole avanzare verso di loro.
«Cosa significa!» s’impuntò la giovane donna, subito tirata indietro da un Robin spaventato.
Le guardie si divisero in due gruppi e, nonostante la resistenza dei due, il primo gruppo portò via il giovane, l’altro trattenne la donna. Le urla di lei vennero soffocate da un fazzoletto imbevuto di sonnifero, e gli uomini la adagiarono sul letto in un sonno forzato, prima di andare via e raggiungere gli altri. Quando la porta si richiuse, il silenzio ripiombò nella stanza.
Nuhr fece subito scattare lo sguardo verso Robin, scoprendolo pietrificato sul posto e bianco come un lenzuolo. Lo raggiunse in un attimo, ma appena fece per sfiorarlo, lui la scansò, avanzando verso il letto e lasciandosi cadere in ginocchio. Da lì poteva osservare il volto della giovane addormentata con i bei capelli biondi scompigliati nella colluttazione.
«Cosa darei per poterla sfiorare» sussurrò.
«Non siamo qui per lei» «Lo so» le rispose, la voce carica di risentimento «ma non c’è bisogno di vedere cosa capitò a me! Ti basti sapere che due giorni dopo il Direttore venne a prendermi»
Chiuse gli occhi, cercando di tenere bene impresso il volto della giovane nella sua mente. Quando li riaprì, era ai piedi del suo letto, nella sua stanza.

Inutile dire che non riuscì a chiudere occhio. Rimase lì, in ginocchio, finché non sentì i rintocchi delle due. Allora la porta si riaprì.
«Pronto per un altro giro?» Gabriel era allegro come sempre, ma non riuscì a non provare un brivido di terrore nel vedere come Robin lo stava guardando «Ehi, amico, sono qui perché ho del lavoro da sbrigare»
«Chiamalo lavoro!»
«Su, alzati e seguimi. Alla fine ne sarà valsa la pena» disse l’altro, prendendolo per le spalle e costringendolo a mettersi in piedi e seguirlo.
Ormai era rassegnato a farsi trasportare qua e là come un burattino, tuttavia, rimase sorpreso dal fatto che Gabriel non volesse uscire dalla finestra, ma si stesse dirigendo verso la porta.
«Cosa andiamo a fare nel mio salotto?»
«Oltre quella porta non c’è il tuo salotto»
«Adesso va a finire che conosci casa mia meglio di me»
Nonostante lo scetticismo, quando il Guardiano aprì la porta, Robin non trovò il suo salotto. C’erano due poltrone che lui non ricordava di aver mai comprato, né tantomeno mai visto. Su una di esse era seduto qualcuno, ma non riuscì a capire subito chi fosse. Mosse qualche passo e, quando raggiunse lo schienale e lo oltrepassò, vide che si trattava di Luca. Il ragazzo era addormentato saporitamente, con una mano sotto una guancia a sorreggergli la testa.
«Beato lui che dorme. Io, invece, sono costretto a vagabondare nei secoli con questi rompi …»
«Lui dorme perché domani mattina deve essere a lavoro per le cinque, mentre gli altri festeggiano la vigilia di Natale tutti insieme. Tu hai deciso di startene a casa a crogiolarti nel tuo dolore e hai costretto anche lui a restare da solo»
«Dovrei sentirmi in colpa?»
Si, dovresti. Ma giusto un po’.
«Ora che mi ci fai pensare, non hai tutti i torti» disse spontaneamente Robin.
«Te lo ha suggerito l’autrice, vero?»
«Mi sa che non sono stato abbastanza spontaneo»
Mi sa …
«Guarda sotto l’albero» riprese Gabriel.
Il ragazzo non capì subito, ma appena il Falciatore gli indicò di voltarsi, notò un piccolo alberello addobbato sotto il quale era stato messo un pacco. Si avvicinò e lo prese, scuotendolo. L’altro gli fu subito accanto, levandoglielo dalle mani.
«Ma insomma! E se si tratta di qualcosa di fragile?»
«Che differenza fa?»
«Può farla eccome! Leggi il biglietto!»
Prese il cartoncino rosso ripiegato a metà che pendeva dalla confezione e lesse la frase ad alta voce «A Robin, spero possa esserti utile nelle serate fredde. Con affetto, Luca» alzò un sopracciglio per la sorpresa «Sapevo che era scemo, ma non fino al punto di fare un regalo a me»
Gabriel lo guardò come se il fatto di volergli fare un regalo fosse scontato.
«Senti, non mi aspetto niente da nessuno e neanche gli altri si aspettano niente da me»
«Questo è quello che pensi»
Il Guardiano posò di nuovo il pacco sotto l’albero, sperando che non si fosse fotto nulla al suo interno, e gli fece cenno di seguirlo.
«Quella è la porta del bagno» gli fece notare l’altro, che prese a seguirlo dopo un po’.
«Farò finta di non aver sentito»
Come infatti, dall’altra parte non c’era affatto il bagno, ma una sala allestita a festa e piena di gente. Tra la folla Robin riuscì a distinguere il Direttore, Nuhr e Daiki, e persino Uriel, nascosto in un angolino buio a scrutare ogni centimetro quadrato di aria respirabile. Quel tizio era inquietante.
«Manchi solo tu» fece notare al Falciatore.
«E anche tu, se non sbaglio» rispose, guardandolo bene «Mio dio! Togliti quei pantaloni da dentro i calzini, sei ad una festa!»
Robin non rispose, era troppo preso a guardare gli altri. Senza neanche accorgersene mosse qualche passo, facendosi strada tra la folla e passando attraverso qualcuno che non riusciva a evitare, fino a raggiungere il gruppo di persone che stava parlando con Daiki.
«Suvvia! Non sarai ancora dispiaciuto perché quello là non è voluto venire!» disse uno che gli stava a fianco.
«Non vale la pena rovinarsi la vigilia di Natale per uno come lui» intervenne un’altra.
«Parlate così perché non lo conoscete. Non è una cattiva persona, un po’ di felicità gli farebbe solo bene» rispose il ragazzo «Così non potrò dargli neanche il mio regalo»
«Glielo porterai domani insieme a quelli che gli hanno fatto i tuoi amici. Sempre che ti apra la porta, non capisco perché ci teniate tanto» riprese il primo che aveva cominciato a parlare.
«Perché è un amico e gli vogliamo bene così com’è»
Robin rimase di stucco. Non si era aspettato niente del genere da nessuno, invece qualcuno lo considerava persino un amico, nonostante i suoi modi bruschi e il sui animo da dittatore. Ogni volta che qualcuno lo aveva invitato a partecipare a una festa lui aveva sempre risposto di no, soprattutto se si trattava di festeggiare il Natale. Non aveva mai pensato a fare un regalo a qualcuno, eppure qualcuno aveva pensato di farlo a lui.
«Questo ti basta?» la voce improvvisa di Gabriel lo fece sussultare.
«Non venirmi alle spalle in questo modo!»
«E che t’importa? Sei già morto!»
«Posso picchiarlo?»
No. Ora esci dal bagno e torna a letto, tra non molto arriverà il terzo.
«Come “esci dal bagno”?» si guardò intorno e si rese conto che la festa era rimasta solo un ricordo. Ora davanti a sé aveva le piastrelle azzurrine del bagno «Non è giusto! La prima è stata un calvario ed è durata di più, adesso che era arrivato il festaiolo mi interrompi la visione così, all’improvviso?»
L’importante è aver capito che qualcuno ti vuole bene, non dovevi mica partecipare alla festa. Tu stesso non sei voluto andare.
«Prima o poi ti sposterò tutte le virgole»
Tu provaci, poi non ti lamentare se ti affido di nuovo Luca. Adesso esci e fatti trovare da Uriel, mancano solo due minuti e trentasei secondi alle tre. Ah! Giusto per la cronaca, Gabriel era il fantasma del Natale presente, si è scordato di dirtelo.

Tornato in camera, si mise a sedere sul letto. Non valeva la pena distendersi, nonostante il sonno fosse diventato prepotente. L’orologio suonò le tre e Robin si preparò a vedere entrare il Falciatore a guardia della porta dell’Inferno varcare la soglia, ma anche quando i rintocchi smisero di echeggiare per casa, non si vide nessuno.
«Dov’è finito?»
Non ne ho idea.
«Ma sei tu a scrivere!»
E boh? Vai a controllare nel salotto, forse ha confuso le porte.
«Ma guarda tu, cosa mi tocca fare!»
«Sono qui»
La voce del Guardiano risuonò alle spalle del ragazzo, facendolo balzare in piedi. Mosse qualche passo, girando attorno al letto, e lo trovò. Era seduto a terra, nell’angolo in cui si raccoglieva la tenda della finestra.
«Cosa ci fai lì?!»
«Aspettavo che si facessero le tre, mi sembra ovvio»
Da quand’è che sei seduto lì?
«Da prima che arrivasse il Direttore»
«L’ho avuto in casa per tutto il tempo e tu vuoi farmi credere che non ne sapevi niente?!»
No che non lo sapevo! Non è mica colpa mia se è così inquietante!
«Ma ci hai creati tu!»
Senti, fatti portare a visitare il Natale futuro e vediamo di finirla, mi state facendo venire il mal di testa.
A quelle parole, Uriel si mise in piedi, diretto verso la porta. Robin lo seguì senza replicare. Non sapeva cosa aspettarsi, dopo tutto quello che aveva visto si aspettava di tutto, ma quello che trovò riuscì comunque a stupirlo. Dall’altra parte c’era il suo salotto.
«Siamo ancora a casa mia» osservò «dov’è la fregatura?»
«Ce l’hai davanti»
Robin sembrò non capire, continuava a guardare la stanza, senza trovare niente che potesse indicargli cosa fosse fuoriposto, ma più cercava, meno trovava.
«Smettila di guardare intorno, ci siamo solo tu ed io. È questa la fregatura, sei solo e continuerai ad esserlo, se non cerchi di afferrare la mano che ti tendono gli altri. Prendi me, io non ci volevo andare alla festa, però ci sono andato»
«E cosa ne hai ricavato?»
«Niente. Anzi, ora che mi ci fai pensare, mi è venuto il mal di testa e sono andato via. Ecco perché ero nell’angolino»
Uriel, ti ho mandato là per convincerlo, non per dissuaderlo!
«Sapete una cosa? Credo di aver capito» disse il ragazzo, sorprendendo il Guardiano e me «Forse vale davvero la pena passare il Natale in compagnia di qualcuno»
Questo significa che domani farai qualcosa di natalizio?!
«Credo proprio di si»

Il resto della nottata passò tranquillamente; Robin tornò a letto, dormendo profondamente mentre Uriel vegliava nell’angolino buio più a lungo che poté, per poi cedere anche lui al sonno. Nessuno dei due si accorse che, alle cinque, qualcuno entrò nella bottega, pronto a lavorare.
Quando riaprì gli occhi, il bottegaio si rese conto dell’ora tarda, e balzò fuori dal letto per prepararsi in fretta e furia e uscire di casa. Non mangiò neanche, per sbrigarsi e saltò i gradini a due a due per fare prima. Appena entrò nella bottega vide che Luca era alla sua scrivania e, con molto disappunto, gli si avvicinò.
«Tu!» gli disse, indicandolo con l’indice «Cosa ci fai qui?»
Il ragazzo non riuscì a mascherare lo stupore «Ma ieri … ieri ha … sono qui dalle cinque!»
«Alza le chiappe e tornatene a casa! Vedi di prepararti in fretta, tra mezz’ora dobbiamo essere da Daiki»
Capendo che la reazione del suo datore di lavoro era oltre i limiti della sua comprensione, Luca si alzò, prese la giacca e uscì senza neanche chiedergli se si sentisse bene, tanto era stravolto da ciò che gli era stato detto.
In quattro e quattr’otto fu pronto per uscire, con indosso la giacca e due giri di sciarpa, quindi chiuse a chiave la porta e si avviò per la strada. La neve era ghiacciata e in alcuni punti era diventato difficile camminare, ma lui non si lasciò spaventare, continuando per la sua strada indisturbato.
La casa in cui Daiki abitava non era molto lontana e nel tratto di via che la separava dalla bottega di Robin c’erano tanti negozi dalle vetrine illuminate. Mentre avanzava, non poté fare a meno di gettarvi uno sguardo e, quando vide qualcosa di interessante, si fermò di colpo ed entrò.

Tutti erano seduti attorno al tavolo, ancora sconvolti dal vedere presente Luca, che mai, da quando lavorava al reparto contabilità, aveva potuto passare il Natale in loro compagnia. Tutti erano felici, soprattutto Giulia, che sembrava aver deciso di non staccarsi più dal suo abbraccio.
Appena il Direttore e Daiki cominciarono a portare i piatti suonò il campanello. I presenti si guardarono, cercando di capire se mancava qualcuno, ma così non era.
«Che sia Babbo Natale?» scherzò Gabriel, anche se il suo, più che uno scherzo, sembrava una vera e propria speranza.
Tra le risate ed altre battutine, il Direttore andò ad aprire la porta, restano di stucco. Preoccupato, Daiki poggiò i piatti che aveva in mano e la raggiunse. In primo momento non credette ai suoi occhi, tanto che si pulì gli occhiali per vedere meglio, poi capì che ciò che vedeva era reale.
«L’invito è ancora valido?» chiese Robin.
I due non riuscirono a fare altro, se non annuire.
«Mi dareste una mano a portare dentro i pensierini?»
Come riscossi da un incantesimo, entrambi si mossero per aiutarlo, facendolo entrare.
Gli sguardi di tutti erano puntati su di lui. Per un attimo temette di non essere più il benvenuto, era già incredulo del fatto che l’avessero lasciato entrare. Ma ormai era lì, dopo tanti anni aveva accettato l’invito.
Nuhr si alzò, facendo cenno agli altri di stringersi un po’ e andando a prendere un’altra sedia, Gabriel prese altre posate, e il suo posto fu pronto. Pranzarono tutti insieme, ridendo e scherzando come mai avevano fatto. Dopo aver banchettato fu il momento dei regali. Tutti ne avevano fatto uno per tutti e finalmente Robin poté ricevere i suoi senza che qualcuno temesse la sua reazione.


Dì la verità, adesso hai capito perché è bello passare insieme il Natale?
«Si, i regali!»
Bravo Robin, i regal … cosa?! Sei andato alla festa solo per questo?
«Ovvio!»
E sentiamo, tu cosa hai regalato agli altri?
«Cioccolato. È economico e mi da la sicurezza che possa piacere a tutti»
E cosa hai ricevuto?
«Sciarpe, cappelli, guanti, un set di mazze da golf, una caffettiera e … scusami, ma non ricordo tutto»
Lo dici anche con sufficienza …
«Che ti aspettavi? Io odio il golf e non bevo caffè. Ah, ora che ricordo, in realtà qualcuno mancava al pranzo»
Mancava qualcuno? Com’è possibile? Ero sicura che foste tutti là!
*torna su a leggere*
«Ti evito la fatica, si tratta di Uriel»
Lo hai chiuso in casa e te ne sei andato! Come hai potuto?!
«Aveva detto di avere mal di testa!»
Ma che esempio dai a chi legge di te?
«Almeno io non dico bugie come quella su Babbo Natale!»
Chiudo questo speciale augurandovi un Buon Natale. Spero che la lettura vi sia stata piacevole e che Robin non vi abbia infastiditi troppo.
-Alexel
«Ehi! Non puoi ignorarmi!»
Sbagliato, l’ho già fatto.
   
 
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