Gli porge le
briglie di Caesar e lo liquida con un laconico - Dormi
bene! Va via in direzione l’atrio
dell’imponente dimora
Jarjaies senza neanche guardarlo, senza neanche il conforto dei suoi
occhi che
a lui come sempre sarebbe bastato fino al mattino dopo, quando come in
un
rituale consolidato si sarebbero rivisti, salutati, avrebbero salutato
la
nonna, ricevuto da lei qualche parola buona o qualche improperio
–quello
dipendeva dalle giornate- anche se normalmente le prime erano per lei
ed i
secondi per lui, - raramente la nonna attribuiva qualche colpa ad
Oscar, anche
quando questa sbagliava era sempre e comunque, per una questione
ontologica
decisa da lei, seguendo un oscuro principio che non ha da giustificarsi
che da
sé, colpa di suo nipote, quindi anche dei
“peccati” della sua bambina, quasi
sempre il capro espiatorio era André.
Dopo avrebbero fatto colazione, e sarebbero andati alla volta delle
stalle per
prendere loro rispettivi cavalli, a loro volta già
diligentemente sellati da
André, raramente tra i compiti di lui c’era
l’aiutare Oscar a montare, anche se
ogni nobile riteneva fosse un segno distintivo l’avere
qualcuno addetto ad un
compito simile, a lei non piaceva questa leziosità, la
riteneva roba da idioti,
senza aggiungere che per lei il suo attendente fosse più un
amico che un
sottoposto, quindi se era possibile gli evitava tutte quelle mansioni
che
sottolineassero le loro differenze di ceto nonché di ruolo.
L’aveva
salutato e basta senza guardarlo, come se si trovasse
d’innanzi a Medusa, con
la paura di guardarlo negli occhi, gli fu difficile, più del
solito, non
correrle dietro, non prenderla per un braccio, farla ruotare verso di
sé e
chiederle se non meritasse neanche più le sue attenzioni, se
non fosse più
depositario, se non di altro, neanche della loro Amicizia, non lo fece,
rispose
con lo stesso tono amorfo: - Dormi bene
Oscar!
Nel suo
letto come se fosse trapunto di spine, si rigira tutta la notte, mille
pensieri
le vorticano in testa. – Oh André, da quando sei
così… così bello? Si
vergognò
di se stessa, per aver pensato una cosa simile dell’amico di
una vita,
dell’amico fraterno, ma non poteva fare a meno di pensare
alla pelle ambrata
del petto, o ai muscoli delle gambe così tesi e solidi,
così da uomo. Era
turbata dalle immagini inenarrabili, a suo dire almeno, che le
comparvero per
tutta la notte d’innanzi agli occhi.
-Oh
André,
non ho potuto neanche guardarti stasera, non ho potuto tenere il tuo
sguardo, e
come una sciocca ho immaginato mi stessi anche tu fissando, mi sentivo
i tuoi
occhi addosso, per qualche istante ho pensato che tu mi vedessi come
una donna,
che mi stessi guardando, che sciocca sono, ho proiettato il mio
turbamento su
di te, figurarsi se un amico leale come te possa guardarmi con
lussuria, che
dico?! Con ammirazione, figurarsi se un qualsiasi uomo possa provare
per me un
qualche languore.
Ride di
sé
Oscar, ride con una certa amarezza, anche la persona più
sicura di sé vacilla
di fronte all’amor proprio ferito, alla propria seppur
recondita vanità inappagata,
in fondo se anche lei era cresciuta da uomo, era una donna, ed il suo
corpo
malgrado la sua educazione, glielo stava ricordando, stava stranamente
desiderando di essere desiderata.
-Ma che mi
prende? E cambia fianco in quel letto, sta vedendo l’alba
spuntare oltre le
coltri del baldacchino. Non capisco, Fersen mi piace, o forse mi
è piaciuto,
non lo so più e non voglio curarmi di questa cosa, tanto lui
appartiene ad una
donna soltanto, non ho mai avuto nessuna possibilità con
lui, o almeno nessuna
possibilità di passargli per il cuore, dal suo letto forse
ci sarei potuta
passare, ma anche lui è stato con me un uomo leale.
Che
strano, quando pensavo a Fersen non ho mai
desiderato di toccarlo e di essere toccata
–avvampò all’idea, si stupì
di se
stessa- né di essere bramata o essere oggetto di eccitazione
erotica, volevo
solo piacergli, o meglio, volevo solo che mi vedesse bella, che mi
vedesse, che
mi vedesse come una donna, volevo capire cosa si provi ad essere
“visti”, ma
forse non l’ho mai desiderato io, non nel senso stretto del
termine. Ho messo
un vestito, il mio primo e ultimo, per ora almeno, per lui, ma sono
stati gli
occhi verdi di André che mi hanno fatta tremare dal fondo
delle scale, ho
pensato che fosse l’imbarazzo per il peccato di
vanità che mi stavo concedendo,
forse non era questo, oh, non lo so! Si sente impazzire, la camicia
madida di
sudore le si è incollata addosso, si siede nel centro del
letto e si scopre. – Cosa
mi prende? Cos’è questo languore liquido che mi
morde le viscere, e rende
vicinissime le mie ginocchia? Ogni volta che mi guardi,
André,sento il ventre
contrarsi, non lo so, non era mai accaduto, ma credo sia quello che si
chiama
e…e..c.citazione, che vergogna, che smarrimento, tu sei il
mio amico, mio
fratello, la mia ombra, cosa penseresti di me se sapessi che ti guardo
non come
dovrei, come era sempre stato?
-Sono una
stupida, proprio una stupida, cosa dovrebbe attrarti in me? Cosa
potrebbe
attrarre di me un qualsiasi uomo con sani appetiti, oltre il patrimonio
intendo? Io ho visto le occhiate di brace di Paulette, di come con quel
petto
florido ed esposto ti si strusci contro con studiata sbadataggine tutte
le
volte che può, e di come tu, pensando di non esser visto la
segua in dispensa,
e di come poi riappariate entrambi dopo una decina di minuti con
un’aria
esageratamente indifferente, come la prendi André? In piedi,
sul tavolaccio
tutto rovinato? Come? E chissà come deve essere calda,
morbida, bagnata, oh sì,
bagnata come sembra
che sia io adesso,
solo che dubito qualcuno avrà mai per me quella che, come si
chiama? Oh sì,
un’erezione, temo che non saprò mai come ci si
senta ad essere piacevolmente
invase, pervase, prese, oh sì, anche con
volgarità, come in una delle cronache
dei miei soldati, che dietro quelle riverenze nascondono i pensieri
più
peccaminosi e le fantasie più pruriginose, in
realtà, non saprò mai cosa si
provi ad essere amate e desiderate allo stesso tempo, cosa significhi
far
l’amore, e credo che tutti questi pensieri stupidi e da
voyese siano i morsi
della gelosia che io, André, ho per mio fratello, e non ho
diritto di provare.
Come
sono ridicola, e questi pensieri osceni
dei quali mi fregiavo di essere immune, da dove mi provengono?
È l’alba ormai, ha i capelli incollati a contornarle il viso, e ben altra alba sta sorgendo nella sua coscienza, la lussuria ed il desiderio fanno capolino dalle coltri della sua anima, è l’alba e la rugiada imperla le rose in giardino, due dita a scostare i suoi petali, resina odorosa su incerti giunchi, è la prima volta che il suo desiderio si fa miele, è la prima volta che i suoi polpastrelli non l’avorio del piano, ma la carne eccitata sfiorano, prima con timore, pudore, vergogna, e via via sempre con maggior frenesia, che neanche lei sa da dove provenga, come fosse un’antica sapienza, come respirare, nessuno te lo insegna eppure lo sai fare, capisce con le sue dita di farfalla il piacere sublime di sfiorare l’abisso e il cielo insieme per poi tornare.
Fine
S.
P.S. l'avevo conclusa, ma da qualche parte nel mio pc giaceva una sorta di capitolo appendice, e così la storia da one-shot ha subito un incremento, spero sia gradito, e spero di non essere stata eccessiva nel descrivere certe situazioni. P.P.S.Mi scuso anche per la differenza di dimensione tra un capitolo e l'altro, non riesco a gestire l'html, spero di riparare presto.