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Autore: Halosydne    14/01/2016    2 recensioni
[SPOILER fino alla 4x22 + possibili SPOILER quinta stagione]
Emma Swan ha sacrificato se stessa per Regina, diventando l'Oscuro. Si è lasciata dietro la sua famiglia, i suoi affetti e il suo grande amore, per risorgere dalla Volta dell'Oscuro... e scoprire che nel suo destino era scritto qualcosa di ancora più grande e terribile di quello che ha affrontato da quando Henry la ha riportata a casa. Mentre lei intraprende il suo nuovo percorso sotto la guida di un mentore d'eccezione, a Storybrooke nessuno sembra disposto a rinunciare a salvarla. Perché Emma vuole essere salvata dall'Oscurità... giusto? È per questo che Killian Jones è pronto a pagare qualunque prezzo. È per questo che Robin Hood sa che è giunto finalmente il momento di fronteggiare il suo misterioso passato. È per questo che Biancaneve, il Principe e il Vero Credente ripongono tutte le loro speranze nella Regina Cattiva. È per questo che raggiungere Camelot prima che sia troppo tardi è di vitale importanza. Perché se ti abbandoni troppo a lungo all'Oscurità, diventerai Oscurità anche tu...
Genere: Angst, Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Regina Mills, Sorpresa, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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5x01 Ϟ Rebirth

 
 
 
 
Dolore. Tutto era dolore. La pelle le bruciava, come se un’ustione le avesse scoperto tutte le terminazioni nervose. Le ossa le sembravano di piombo, per quanto le pesavano. E non riusciva a respirare: per quanto si sforzasse di inghiottire aria, era come se un enorme cuscino invisibile venisse premuto a forza contro la sua faccia. Ma la cosa peggiore era la sensazione di essere stata scaraventata in un oceano di oscurità senza fine, nera come la notte e talmente densa che non riusciva nemmeno a ricordare cosa si dovesse provare a vedere qualcosa. Le sembrava di essere immersa in quel terrificante nulla da anni, ad agonizzare per la sofferenza fisica che stava provando, ma la parte più razionale della sua mente le faceva presente che i ricordi dei suoi ultimi istanti a Storybrooke erano troppo vividi perché fosse davvero passato quel tempo. O forse il dolore la stava facendo impazzire, annullando il tempo nella sua memoria, distorcendo la realtà, creando fantasmi di cose che non erano mai successe, mai esistite?
Forse era proprio così. Forse era davvero impazzita dal dolore. E come avrebbe potuto non impazzire? Nella sua mente vorticavano ricordi e pensieri di decine e decine di vite che non sapeva nemmeno di aver vissuto, istanti e giorni e anni che ora però le ingombravano la mente, in un modo talmente invasivo che nemmeno il dolore fisico che stava provando poteva distrarla, e con un intensità tale che non c’era alcun conforto nell’abbandonarsi alla sua mente per cercare rifugio dal suo corpo straziato.
Amori delusi, amori perduti, omicidi, torture, ferite sanguinanti, madri, padri, figli, fratelli morti in modi indicibili, case bruciate, volontà di vendetta, sete di sangue, brama di potere, tutto le passava davanti agli occhi come un filmato a velocità accelerata, e in lei sentiva crescere il dolore, la rabbia, il risentimento, anche se una piccola, minuscola parte di lei sapeva che quelle immagini, quelle memorie non le appartenevano. Non erano sue… non erano sue, vero?
E allora perché le sembrava di avere di nuovo davanti i genitori adottivi che la avevano tenuta con loro solo fino a quando non erano riusciti ad avere un figlio loro, per poi rimandarla indietro come un elettrodomestico ancora in garanzia? E quella non era forse la casa famiglia da cui aveva cercato di scappare più volte, senza mai riuscirci? E la ragazza bruna che tornava dal suo passato a rovinarle tutto con quella nuova famiglia adottiva, non era forse la sua amica Lilith? I ricordi scorrevano più lenti, ora, come a volerla torturare ancora di più. Le notti passate a piangere fino a crollare addormentata, raggomitolata nel letto di una casa che non sarebbe mai veramente stata sua. La sera terribile in cui Neal la aveva abbandonata, lasciando che finisse in prigione. Il giorno in cui aveva dato alla luce il suo bambino, e non aveva avuto nemmeno la forza di prenderlo in braccio un’ultima volta prima di abbandonarlo. Gli anni passati a rincorrere piccoli criminali, rischiando la pelle per poche centinaia di dollari, tutto per potersi permettere un tetto sopra la testa e del cibo precotto: una vita squallida e solitaria, della quale aveva sempre finto di essere soddisfatta, nonostante il vuoto incolmabile che sentiva nel cuore. L’orrore che aveva provato quando Graham si era accasciato tra le sue braccia, morto, con ancora le lacrime di gioia che gli scorrevano giù per il volto.  Henry che perdeva conoscenza davanti ai suoi occhi dopo aver addentato quel maledetto dolce alle mele. Ritrovare Neal dopo più di dieci anni, per poi rimanere a guardare, impotente, mentre precipitava attraverso un portale. Walsh che si trasformava in una spaventosa scimmia alata e la attaccava, come se il fatto di aver appena scoperto che tutti i suoi ricordi dei precedenti undici anni erano falsi non fosse stato già un colpo abbastanza doloroso. Ritrovare Neal ancora una volta e perderlo di nuovo, guardarlo morire tra le sue braccia dopo che si era sacrificato per salvare tutti loro, mentre in lei il dolore della perdita si sommava al rimorso di averlo sempre respinto da quando si erano ritrovati a New York. La sensazione terribile che aveva provato quando aveva abbracciato sua madre, nel passato, e lei la aveva guardata come se fosse una sconosciuta. L’incontro con Ingrid, che aveva riaperto tutte le ferite della sua infanzia e della sua adolescenza. Il modo in cui si era sentita tradita e ingannata dai suoi genitori, per quello che avevano fatto alla povera Lilith prima ancora che nascesse. Ritrovare Lilith dopo tutti quegli anni e sentirsi terribilmente colpevole anche solo a guardarla negli occhi. Quel terrificante mondo alternativo in cui aveva passato anni in catene, con la terribile consapevolezza di chi fosse davvero mentre tutti gli altri la consideravano solo una folle. Suo padre che pugnalava Killian davanti ai suoi occhi, e lui che come tutte le persone che aveva anche solo pensato di poter amare le moriva davanti, senza che lei potesse fare niente. Quell’ultimo, terribile ricordo, ancora così vicino, fu il colpo decisivo, che la fece crollare.
Urlò. Nemmeno lei sapeva con quale fiato, ma urlò e urlò fino a quando non fu più in grado di riconoscere la sua stessa voce, rotta dal dolore e dall’angoscia. Quando non riuscì più ad emettere alcun suono, si accorse di essere accasciata su un pavimento, una superficie liscia e così fredda da provocare una nuova scarica di dolore sulla sua pelle sensibilizzata. Ma se davvero il suo corpo si trovava raggomitolato su un pavimento, questo voleva dire che lei si trovava in un qualche luogo. Buio, orribile e probabilmente pieno di insidie, ma era pur sempre una conferma del fatto che era tutto reale. C’erano stati lunghi istanti in cui il dolore la aveva offuscata al punto da farle dubitare persino di essere mai esistita veramente. Ma probabilmente la certezza di essere reale, di aver vissuto davvero tutte quelle cose orribili, era una punizione ancora peggiore della sofferenza fisica. Prima ancora che potesse riuscire a imporre alle sue membra tremanti di rimetterla in piedi, però, la superficie gelida sulla quale era raggomitolata cominciò a muoversi, sollevandosi verso l’alto.
Emma Swan emerse dalla Volta dell’Oscuro tremante di dolore e paura, avvolta in una tunica ruvida e sdrucita che era piuttosto sicura di non avere addosso fino a un istante prima. Guardandosi intorno, accolse con un mugolio di sollievo la sensazione del sole caldo sul viso, della brezza leggera che portava con sé un forte odore di pino e di muschio, del cinguettare sereno di qualche uccellino, niente affatto turbato dalla sua improvvisa apparizione. Sembrava il primo mattino del mondo, e, considerando l’abisso di oscurità al quale era appena sfuggita, forse per lei era davvero così. Chiuse gli occhi per un istante ed inspirò a fondo, sentendosi rinascere.
«Ehilà, carina!».
Una voce acuta e palesemente divertita risuonò a poca distanza da lei, così inaspettata da farla sobbalzare come se fosse stata un colpo di cannone. Emma spalancò gli occhi. Davanti a lei c’era Rumplestiltskin, ghignante, che la fissava con un luccichio eccitato nello sguardo. Non era il Rumplestiltskin di Storybrooke, l’uomo dalla voce calma e dai modi affabili, sempre impeccabile nei suoi completi scuri, sempre cauto nel muoversi, eppure capace di farle rizzare i peli sulla nuca con un semplice sguardo. Quell’uomo era astuto, potente, dotato di un’enorme conoscenza del mondo dal quale tutta Storybrooke proveniva, imprevedibile, determinato a tenere al sicuro se stesso e i suoi cari, ma erano tutte cose che Emma aveva scoperto solo con il tempo: all’apparenza, il signor Gold non era altro che un pacato uomo di mezza età che gestiva il vecchio negozio di antiquariato su High Street. Quello che stava davanti ad Emma in quel momento, invece, era il Rumplestiltskin che le era capitato di incontrare una sola volta, quando lei e Killian erano finiti nel passato e avevano avuto bisogno di tutto l’aiuto possibile per tornare a casa: i capelli erano crespi e rossastri, la pelle verdognola e squamata, i denti aguzzi dietro al suo ghigno insolente. Ma la cosa più terrificante erano i suoi occhi: grandi occhi giallastri, da rettile. Da Coccodrillo, avrebbe detto Killian, probabilmente sputando quelle sillabe con tutto il disprezzo che fosse riuscito a infondervi.
«Rumplestiltskin» mormorò Emma cautamente, con il filo di voce che riuscì a tirare fuori.
«Oh no, carina, non sono Rumplestiltskin… non soltanto almeno!» rispose il folletto, con voce querula, gesticolando come un prestigiatore. «Io sono molto, molto di più di lui… Ho solo scelto di assumere l’aspetto più incredibilmente affascinante che gli Oscuri abbiano mai avuto da quando esistono!».
«E cosa vuoi da me, Oscuro?» chiese Emma, stringendo gli occhi con fare guardingo. Che quell’essere fosse o non fosse veramente il signor Gold in versione lucertolona, la cosa di cui era sicura era che non poteva e non doveva assolutamente fidarsi di lui.
La creatura le si avvicinò con una rapidità inumana, le prese il volto con le sue mani viscide e fredde e la guardò con dolcezza, in modo quasi paterno. «Non essere sciocca, ragazza. Sai benissimo cosa voglio da te… voglio tutto quello che sei!» sussurrò, abbandonando la sua teatralità e le sue moine in favore di un sussurro terribilmente minaccioso.
Emma si ritrasse da lui così bruscamente da perdere l’equilibrio e ruzzolare giù dall’apertura della Volta. «Mai!» ringhiò senza nemmeno alzarsi da terra, infischiandosene della fitta di dolore alla gola e di quella alle mani e alle ginocchia, che si erano scorticate nella caduta. «Io non diventerò mai una cattiva! Sono nata per essere la Salvatrice, e lo sarò sempre… non ti darò ascolto, nemmeno se mi costringerai a starti a sentire! Vai via!».
«Quanto fuoco, tesorino!» sibilò Rumplestiltskin nel suo orecchio sinistro. Emma trasalì: non si era nemmeno accorta che lui si fosse mosso. «Tuttavia credo che tu stia sprecando le tue forze. Non è facile ignorarmi… visto che sono dentro la tua testa, ha!».
Istintivamente, Emma si mise in piedi, cercando di allontanarsi da quella creatura inquietante. Ma una frazione di secondo dopo, Rumplestiltskin era alla sua destra, con il suo orribile ghigno stampato sul viso e un luccichio divertito negli occhi mostruosi. «Oh sì, carina, proprio così. Io sono la tua guida, il tuo mentore, il tuo maestro! Sono qui per aiutarti a fare ciò che prima o poi sarai portata a fare, nonostante cercherai di fare qualunque cosa pur di impedire che accada…».
«E sarebbe?» tagliò corto Emma. Più passavano i secondi, più era sicura di una cosa: preferiva di gran lunga la versione di Rumplestiltskin con la quale aveva fatto i conti a Storybrooke rispetto a quella che aveva incontrato nella Foresta Incantata. Quanto meno, il signor Gold non parlava come un invasato, né si divertiva a far risuonare ogni consonante come se ce ne fossero almeno altre tre o quattro da pronunciare. Se si tralasciava la parte in cui quel mostriciattolo era nella sua testa, orribile come un incubo ma molto più persistente, tutta la situazione era incredibilmente snervante.
«Cercherai di resistere, di dimostrare che i tuoi genitori si sono preoccupati inutilmente tanti anni fa e che tu sei sempre tu, Emma Swan la Salvatrice, una donna forte che può sopravvivere a tutto, ma alla fine dovrai cedere… alla fine anche tu ti abbandonerai all’Oscurità!» proclamò il folletto, gesticolando nel suo solito modo teatrale mentre il suo ghigno si allargava ancora di più.
«Per essere uno che afferma di vivere nella mia mente, non mi conosci affatto» ribatté Emma, continuando istintivamente a cercare di tenersi fuori dalla portata delle mani verdognole di Rumplestiltskin. «Lo hai detto anche tu, io sono la Salvatrice. È il mio destino, e nemmeno un essere inquietante come te può portarmelo via. Io non cederò all’Oscurità… mai!».
Il dannato folletto finse di rabbrividire. «Uuuuh, quanta sicurezza, signorina Swan!» la schernì, saltellandole tutt’attorno. «Eppure, se ben ricordo, ci hai messo mesi e mesi perfino ad accettare l’idea che il tuo prezioso Henry avesse ragione con la storia della maledizione, e anche quando – per miracolo, oserei dire – sei riuscita a spezzarla e hai visto con i tuoi occhi giganti, streghe e mostri di ogni tipo hai avuto difficoltà persino a chiamare Campanellino per nome senza sentirti fuori di testa mentre lo dicevi! Quanto poi ad accettare l’idea di essere la Salvatrice… beh, non farmi ridere, carina! Persino quei due sconsiderati dei tuoi genitori ci credevano più di te, e visti tutti i disastri che hanno combinato per assicurarsi che tu non avessi nemmeno lontanamente la possibilità di scegliere se essere buona o meno, credo che questo basti a dimostrare come stanno le cose!».
Rumplestiltskin ridacchiò malignamente, continuando a girarle intorno, ed Emma – che cercava di non perderlo d’occhio nemmeno per un istante – cominciò a sentire la testa che le girava. «N-no, ti sbagli. I miei genitori credono in me, tutti credono in me… e io non sono più la persona disillusa che ero quando Henry ha bussato alla mia porta la sera del mio ventottesimo compleanno!».
«Oh, no no no no, certo che no» il folletto si esibì in quello che doveva essere un atteggiamento paterno, senza mai smettere di camminare in cerchio attorno a lei. Emma rabbrividì, ma si rifiutò di chiedergli di smetterla. Non gli avrebbe dato questa soddisfazione. «Ora sei una donna diversa, te lo concedo. Devo ammettere che – e parlo a nome della tua stessa mente ora – stento quasi a riconoscerti! Chi avrebbe mai potuto dire che quella povera, piccola ragazzina abbandonata da tutti, l’orfanella sfortunata e ripudiata così tante volte, sarebbe riuscita alla fine ad aprire il suo cuore all’amore?».
Emma decise che forse valeva la pena di concedere a quella creatura infausta qualche soddisfazione, dopotutto. Con un notevole sforzo, impose alle sue gambe di mettersi al lavoro, e mosse qualche passo incerto sul terreno morbido e coperto di aghi di pino. «Che cosa staresti insinuando, folletto?» domandò, combattuta tra il desiderio di allontanarsi il più possibile da Rumplestiltskin e quello di sapere che cosa le avrebbe risposto. Nemmeno una quasi ex scettica come lei, a quel punto, poteva negare la verità di quanto quell’essere le aveva appena detto: lui era veramente nella sua testa, e, cosa ancora peggiore, sembrava aver avuto facile accesso a parecchi angoli della sua mente che di solito lei cercava di evitare. Era come stare a guardare lo specchio incantato di Ingrid, almeno secondo il racconto di Belle… solo che nel suo caso distogliere lo sguardo non serviva a nulla.
«Io? Ma io non sto insinuando proprio nulla, tesorino» rispose Rumplestiltskin, continuando a saltellarle attorno mentre lei cercava di non finire in qualche cespuglio spinoso o di inciampare in una radice sporgente. «Non dimenticare che io sono te! Sei proprio tu a pensare ogni singola cosa che ti dico… ma ammetto di aggiungere sempre un pizzico del mio senso dell’umorismo, quando le dico. Sai, ragazza, sei davvero noiosa per essere così giovane. Penso che dovresti svagarti un po’, di tanto in tanto!».
«Vuoi smetterla di prendermi in giro e iniziare a parlare chiaro?» sbottò Emma furente, voltandosi a fronteggiarlo.
«E sei anche sgarbata… proprio una brutta combinazione! Cosa ti salta in mente, signorina Swan? Ah, aspetta! Lo so perfettamente!» ridacchiò la creatura. «Da quando hai capito che questa storia della Salvatrice è terribilmente reale, hai proprio una brutta sensazione alla bocca dello stomaco… dev’essere terribile sentirsi così e ritrovarsi a sperare che il tuo infallibile istinto per una volta fallisca eccome, vero? Perché tutto quello che ti è successo da quando tu e il piccolo Pinocchio siete arrivati nel tuo mondo ti ha insegnato che, in media, i buoni non fanno mai la fine che tutti pensano si meritino… e si suppone che tu sia una super-buona, no? Quindi quello che ti succederà dovrà per forza essere super-orribile!» concluse il folletto, trionfante.
«Non è così!» cercò di ribattere Emma. «Ho passato anni veramente schifosi, te lo concedo, ma quando Henry mi ha riportato a Storybrooke mi ha restituito tutto quello che la vita mi aveva tolto: ora ho una casa, ho ritrovato i miei genitori, ho un’altra chance con lui che è mio figlio, ho Killian… quello che mi è successo non è affatto stato super-orribile!».
«Continua a ripeterlo, carina… magari se lo dici ad alta voce i passerotti e i coniglietti del bosco ci crederanno. Ma io so qual è la verità, e la sai anche tu: tutte queste persone meravigliose che stanno rendendo la tua vita piena e degna di essere vissuta e blablabla, sono solo un altro punto nella lunga lista di cose che hai perso, perderai o stai perdendo proprio in questo momento. Com’è quella frase di Harry Potter che tanto ti ha colpita quando hai visto il film? “Finisce solo che tieni a troppe cose, e più ci tieni…”».
«“… più hai da perdere”» concluse Emma in un sussurro, fermandosi di botto. Nonostante fosse passato del tempo, ricordava chiaramente la maratona di Harry Potter che Henry la aveva costretta a subire quando aveva compiuto dodici anni, a New York, e come aveva provato un brivido a sentire il giovane attore protagonista pronunciare quelle parole che sentiva così vere, così sue, anche se quella in teoria era la vita felice e spensierata, costruita su ricordi totalmente falsi, che Regina aveva donato a lei e suo figlio per salvarli dalla maledizione di Pan.
«E dimmi un po’, signorina Swan, non trovi che la storia di quell’irritante maghetto sia fastidiosamente simile alla tua? Per quanto sia innegabile che le tue allucinazioni siano molto più affascinanti delle sue, dobbiamo ammettere che la storia dell’orfano predestinato a salvare capra e cavoli sia più che familiare!» ridacchiò Rumplestiltskin, palesemente estasiato dal turbamento che stava procurando ad Emma. La quale però non aveva intenzione di cedere.
«Beh, se il tuo intento è quello di spaventarmi, Oscuro, allora hai sbagliato esempio… persino i sette nani sanno che alla fine Harry Potter vince».
«Oh, sì sì, questo è vero… ma persino i sette nani sanno che Harry Potter non è altro che un personaggio di fantasia… il protagonista di un libro per bambini, e nessuno si sognerebbe mai di raccontare ai bambini la tremenda verità: nel mondo reale non ci sono eroi, e sono sempre i mostri a vincere!».
«Magari stavolta è diverso. Magari posso farcela… ce l’ho fatta tutte le altre volte, o ti sei dimenticato di questo piccolo dettaglio?»
«Oh no carina, io non dimentico. Sei tu quella che tende a dimenticare i dettagli. Questa volta gli eroi sono gli altri… perché il mostro sei tu!» ribatté Rumplestiltskin, con la voce più bassa di parecchi toni, puntandole contro un dito adunco, adornato da un’unghia lunga e verdastra veramente disgustosa.
Emma si ritrovò a pensare che lo preferiva quando faceva il giullare: la voglia di prenderlo a pugni era più piacevole del terrore puro che quell’essere sapeva ispirare. Cercò di dimostrare più sicurezza e calma di quanta ne stesse provando in quel momento, anche se una parte di lei sapeva che era inutile: poteva mentire a tutti, ma non a se stessa. «Non mi sento affatto un mostro. Non mi sento affatto diversa da com’ero prima…».
Ma quella conversazione sempre più spiacevole fu interrotta da un improvviso rumore: c’era qualcuno nascosto dietro i cespugli, Emma lo intuì subito. «Chi va là?» chiese, autoritaria. «Vieni fuori, chiunque tu sia!».
Una figurina magrolina e spaurita emerse timidamente dal fogliame: era una ragazzina, vestita poveramente e con il viso sporco; probabilmente era poco più piccola di Henry, e la stava fissando con gli occhi castani spalancati e la bocca semiaperta. Emma cercò di sorridere con fare rassicurante, ma dentro di lei era terrorizzata: sapeva che la cosa migliore era cercare di tenere segreto il suo arrivo nella Foresta Incantata, o quanto meno le ultimissime cose che le erano successe. E il cielo sapeva quanto la ragazzina avesse sentito…
«Tutto, carina» il sibilo di Rumplestilskin giunse in risposta ai suoi timori, e il sorriso sforzato di Emma si incrinò. «La ragazza ha sentito tutto quello che ci dicevamo… o meglio, che tu dicevi a te stessa, visto che solo tu hai il privilegio di vedermi! Nel migliore dei casi, penserà che sei completamente matta…»
«Ciao, piccolina!» disse Emma forte, cercando di ignorare il sussurro del folletto. «Tutta sola nel bosco?». La ragazzina annuì, senza mai battere le palpebre o distogliere lo sguardo da lei. Era spaventata a morte, e dietro la terra che le impolverava il viso si vedeva che pallidissima. «E come ti chiami?»
«P… Prim. Primrose» balbettò la ragazzina.
«… ma qualunque adulto al quale racconterà di aver incontrato una strana donna nei pressi della Volta dell’Oscuro capirà chi sei… capirà cosa sei diventata!» continuò Rumplestiltskin imperterrito. «Non devi permettere che accada!».
«Silenzio!» intimò Emma, incapace di trattenersi oltre. Ma capì immediatamente di aver compromesso ulteriormente la situazione: la ragazzina sobbalzò e si ritrasse, facendosi piccola piccola e continuando a fissarla, ora palesemente in preda al terrore. Emma seppe che aveva capito. E nello stesso istante, si fece strada in lei una tremenda consapevolezza… alla quale ovviamente Rumplestiltskin non mancò di dare voce.
«Non puoi lasciarla andare. È un pericolo.» constatò il folletto, ora stranamente pacato, molto più simile al signor Gold di quanto non lo fosse stato fino ad allora. Cosa che lo rendeva ancora più inquietante. «Questa ragazzina ha sicuramente dei genitori o dei parenti da cui tornare, degli adulti, che capiranno e verranno a cercarti… ed è nel tuo preciso interesse agire indisturbata!» incalzò.
Emma strinse i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi, e cercò di ignorarlo. Ma non ci riuscì, e si voltò a fronteggiarlo. «Non intendo farle del male!» urlò.
Era troppo, decisamente troppo per la piccola Prim. Con la coda dell’occhio, Emma la vide che iniziava a correre tra gli alberi, veloce come il vento. «Ferma… fermati, ragazzina, torna qui!» esclamò, disperata, tendendo una mano in avanti come se avesse voluto afferrarla. Era impossibile, ovviamente, sapeva che non sarebbe riuscita a fermarla… ma allora perché la piccola si era immobilizzata, a poche decine di metri da lei?
Emma corse nella sua direzione. Primrose stava lottando disperatamente per liberarsi da una qualche forza che la teneva ferma, inchiodata ancora a metà di un balzo. La piccola piangeva dal terrore.
«Ma che sta succedendo?» si chiese Emma ad alta voce, guardandosi intorno. Quella era magia, era ovvio, ma chi la stava praticando? C’era qualcun altro in quella radura, oltre a quella povera bambina, a lei e ai suoi fantasmi?
«Non è ovvio, carina?» rispose Rumplestiltskin, sempre irritante. «Sei tu!»
Emma si fissò le mani, incredula. «No… non è possibile! Devo sempre concentrarmi per usare il mio potere, devo canalizzare le mie emozioni e tutto il resto… sei stato tu ad insegnarmelo, a Storybrooke!».
«Naaah, non sono stato io. Io non sono io, io sono te!» ridacchiò la creatura. «E qualunque cosa tu abbia imparato sulla tua magia prima di oggi, puoi dimenticarla… Ora sei molto più potente, incredibilmente più potente!».
«No…» Emma non poteva essere felice, non riusciva ad essere felice nell’apprendere una simile verità. Ricordava fin troppo bene cosa aveva combinato con i suoi poteri quando Ingrid aveva minato tutte le sue sicurezze, e non avrebbe mai potuto dimenticare nemmeno la sensazione che aveva provato nell’usarli indiscriminatamente per colpire Crudelia: un misto di orrore e di onnipotenza, che si era augurata non le capitasse mai più di sentire scorrerle nelle vene.
«Su con la vita, tesorina!» esclamò Rumplestiltskin, con l’intento di tirarle su il morale. «Non succede tutti i giorni di acquistare un potere immenso e praticamente indistruttibile!».
Lo sguardo di Emma andava dagli occhi spiritati del folletto a quelli terrorizzati e imploranti di Primrose, alle sue mani ancora tremanti. «Che cosa faccio adesso?» sussurrò, con il sangue che le rombava nelle orecchie.
«Oh, adoro il mio ruolo di mentore!» celiò quella creatura maledetta, battendo le mani con entusiasmo. «E adoro ancora di più inaugurare un nuovo cammino verso l’Oscurità nel modo più classico di tutti: prendi il suo cuore!».
Emma prese un profondo respiro, e tese un braccio in avanti.

 



 
··· Angolo Autore ···
Ciao a tutti/e! Ecco il secondo capitolo della storia ^^"
È stato molto interessante calarsi nei panni di Emma, perché è un personaggio che - nonostante non sia affatto uno dei miei preferiti - ha sempre qualcosa di affascinante, fosse anche solo per il fatto che ha avuto una vita così intensa e complicata. Diciamo che nel fargliela ripercorrere ho voluto renderle un omaggio, ecco. Tasto dolentissimo è invece Rumplestiltskin, un maledetto genio che sono abbastanza sicura non riuscirò mai a rendere come si deve: la bravura degli sceneggiatori (e il talento di Bobby!) non sono facili da mettere "su carta"... diciamo che ci ho provato e che spero di averlo reso minimamente degno di considerazione, ecco XD
Penso che sia superfluo dire che la citazione da Harry Potter 5 e il nome della ragazzina sono due umilissimi omaggi a due saghe che adoro (ovviamente Hunger Games non avrà nulla a che vedere con questa storia, la ragazzina si chiama così ma non c'entra niente con Primrose Everdeen... che tra l'altro dovrebbe anche essere bionda :P); invece "Nel mondo reale non ci sono eroi, e sono sempre i mostri a vincere" è una citazione meno ovvia, ma per me altrettanto importante: è Sansa Stark. *adoro, adoro, adoro* *adoratela anche voi, suvvia!*
Non credo ci sia altro da dire a questo proposito.
Quanto al resto... cosa starà succedendo a Storybrooke? Cosa farà Emma alla povera Prim? Lo scopriremo nelle prossime puntate, mwahah.
Ma visto che sono già un po' avanti con la scrittura della storia, vi lascio un piccolissimo "sneak peek" del prossimo episodio, giusto per incuriosirvi un po'. Protagonista del capitolo: un certo pirata irruento di nostra conoscenza ;)

«Magia» borbottò il pirata, infondendo in quelle poche lettere tutto il suo disprezzo e tutto il suo timore, e distogliendo poi lo sguardo dall’oggetto che teneva appeso all’uncino per concentrarsi sul cielo stellato. Sapeva che non ci sarebbe voluto molto: non era la prima volta che la convocava in quel modo… anche se tanti anni prima era stato convinto che lo avrebbe dovuto fare un’unica volta.

Spero di avervi incuriositi/e a sufficienza... a presto! 

 PS: ovviamente ci tengo a ringraziare moltissimo chi legge, chi segue e chi recensisce... spero continuerete a leggermi ^^"
 -R


Disclaimer: tutti i personaggi, meno eventuali OC, appartengono ai creatori della serie TV. Se fossero miei, probabilmente sarebbero tutti felici e contenti, e io sarei ricca sfondata. Vista l'infelicità che aleggia su Storybrooke e nel mio portafogli, direi che sappiamo tutti qual è l'amara verità.
   
 
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