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Autore: FreienFall    17/01/2016    0 recensioni
Dal sonno mi disciolsi. Ella negli occhi pur mi restava, e nell'incerto raggio del sol vederla io mi credeva ancora.
(Il Sogno, Giacomo Leopardi)
Così, per la tua immagine o per il mio amore,
anche se lontano sei sempre in me presente;
perchè non puoi andare oltre i miei pensieri
e secmpre io son con loro ed essi son con te;
o se essi dormono, in me la tua visione
desta il cuore mio a delizia sua e degli occhi".
(Sonetto 47, William Shakespeare)
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-8.Die Welt hält für dich an, hier in meinem Arm

A farmi tornare al presente fu la sensazione di soffocare, ritornai alla casa in periferia,  lontana dalla mia vita, lontana da lui e forse lontana anche da me stessa. In quel momento sentii di non avere più nulla, di aver perso tutto, di essere a terra senza difese completamente annullata, il cuore aveva ormai lasciato il suo posto ad una voragine che si faceva via via più profonda, qualsiasi concetto si rifiutava di essere concepito, qualsiasi pensiero di essere riflettuto, il fatto di avere un corpo, una vita, delle responsabilità, una figlia era totalmente evaso dalla mia mente per lasciare solo il vuoto, il nulla popolava la mia mente, le mie abilità fisiche erano scomparse, restavo immobile con lo sguardo perso, di chi non ha più motivi per andare avanti, torturata solamente da un dolore cieco che invadeva tutta me stessa. Le concezioni di spazio e tempo si erano dissolte, ero sola, circondata dal nulla, preda della mia sofferenza.
Dopo un tempo indeterminato mi accorsi di essere percossa con veemenza, ma cosa poteva importare a me che ero morta dentro? Continue e sempre maggiori percosse, con lentezza focalizzo lo sguardo su quella  persona che riconosco come Mikela –Chiara, Chiara cazzo, vuoi reagire? Chiara, santo cielo, urla, dimenati, prendimi a pugni ma ti prego fa’ qualcosa- il grido strozzato era finito in un chiacchiericcio piagnucolante –Chiara ti prego- già due lacrime le scorrevano lungo il viso. Senza dire una parola l’abbraccio, nemmeno lei dice nulla, di tanto in tanto un singhiozzo le alterava il respiro, sapevo che non ci sarebbe stato bisogno di dire nulla, almeno non quella sera, ci sdraiamo sul divano in salotto, la stringo tra le braccia e le accarezzo la schiena. Lei si calma presto, di tanto in tanto mi guarda, sa che chi ha bisogno sono io e non lei, ma sa anche che io ho bisogno di tempo, di pensare, di stare da sola nella mia testa. So che si sente in colpa, lo vedo, per aver pianto, per aver ceduto, si addormenta, doveva essere parecchio stanca. Io rimango sdraiata immobile, con gli occhi sbarrati tutta la notte. Lo avevo lasciato, ero scappata nella notte, prendendo tutto quanto potessi infilare nell’auto di Mikela, come avevo potuto? Il suo sonno era così pesante, il suo respiro delicato e il suo viso sereno forse per il sogni di un futuro avido di felicità che io spezzavo nell’istante in cui lo guardavo dormire, con gli occhi pieni di lacrime, incapace di muovere le gambe verso la porta. Come ho potuto? Non gli ho lasciato nulla, né un biglietto, né un recapito solo una cameretta dipinta e una culla vuota. Mi odierà avevo pensato, mi odierà per sempre, per avergli negato la possibilità di conoscere sua figlia, di crescerla, di viverla ogni giorno, per aver preso la decisione senza di lui, per averlo estromesso dalla sua stessa vita, quella che con coraggio aveva scelto dedicandole tutto se stesso.

Da quando sono uscita da quella casa non sono più riuscita a cercare notizie di lui, ma so che è a pezzi, so di averlo distrutto, di aver sgretolato ogni sua speranza di una vita normale e forse di una vita felice. Il solo pensiero mi uccide. L’ho fatto per lui, ho dovuto farlo per lui, per la sua carriera, non avevo scelta. Farnetico. Non potrò mai perdonarmi o perdonare Karl per averci fatto questo. A volte sento Mikela parlare al telefono con Bill, stanno ancora insieme, ma discretamente, lei senza una apparente ragione logica ha proposto a lui di allentare un po’ il rapporto. Bill ha pensato che lei fosse spaventata dai legami e dal legame con lui nello specifico, non sa, non sa nessuno qual è la verità. Mikela si nasconde quando parla con lui ma casa è piccola e in fondo è il mio stesso corpo ad ascoltare anche se non dovrei, non vorrei. Sento Mikela consolare Bill che è in pena per il fratello che è in pena per me, quella su cui ricade la colpa. So che Tom non è più lo stesso, non scherza, non ride e spesso si arrabbia con chi gli capita a tiro, spesso con lo stesso Bill. La situazione in quella casa è insostenibile, ho sconvolto il loro status quo, i loro equilibri, non so se posso convivere con questa consapevolezza, non so se posso convivere con me stessa.

Mi alzo scossa dal pianto di Will, la ragione per cui ancora respiro, il mio corpo è stanco e la mente esausta dal troppo pensare, corro in camera e prendendola tra le braccia la cullo camminando su e giù per la stanza cercando di calmarla ma dai suoi occhi non smettono di scendere lacrime dense. I suoi occhi meravigliosi un po’ a mandorla come quelli del padre, del colore del mare con ciuffi di pagliuzza color miele attorno alla pupilla sono come i miei con dentro il riflesso di quelli di Tom. –Non piangere amore la mamma è qui con te- le sussurro stringendola al petto, le porgo il seno sedendomi al centro del letto e sembra tranquillizzarsi poco alla volta. E in parte anche io, la sua dolcezza, la sua purezza rimettono insieme i cocci di quello che sono. Il suo riso può portare gioia anche nei posti più bui della Terra, può accendere le stelle quando il cielo è nuvoloso, può vincere ogni cosa. Giuro. Lei non è sbagliata, non è un errore, non è la causa, non è un problema, non lo sono io, non lo era la nostra famiglia. Avremmo potuto essere la soluzione, avremmo dovuto essere la soluzione.

 Finita la poppata fissa i suoi occhi grandi dentro i miei, sembrano nascondere un segreto, le accarezzo il viso con delicatezza e le do un leggero bacio sulla fronte, quella bambina mi salva e mi uccide contemporaneamente, guardarla è come accedere al mio dolore e alla mia colpa e alla parte migliore di me. Dal cellulare metto “In die Nacht” quasi come un sussurro, lei piano piano si addormenta e io stendendomi lentamente sul letto metto a riposo la mia mente colmandomi solo della gioia e dell’amore che provo nell’avere quella bambina tra le braccia.

Il mattino arriva presto, indesiderato, raggiungo con Will la cucina dove trovo Mikela che ha già preparato il caffè e sta cucinando i pancakes, -Buongiorno! Non posso credere di essermi addormentata sul divano stanotte, come state? Fammi vedere la bambina più dolce del mondo..- si avvicina e con versetti strambi inizia a giocherellare con lei, Will ride di gusto e posa entrambe le manine sul viso di Mikela –Ahahah sei la più bella del mondo? Sisi che lo sei amore di zia!-. Rido anche io, adoro questi momenti e anche se il segno della notte scorsa è rimasto insieme a quello di altre notti, riesco ad attenuarlo e a riporlo da una parte per godere dei giorni con Will –Si ok Miki, Miki?! Ehi?- cerco di attirare la sua attenzione –Mikela i pancakes si bruciano!- lei alza lo sguardo sdegnato su di me –Ok mammina!- mi fa una boccaccia –Hai visto amore di zia la mamma ha fame e vuole impedirmi di stare con te!- le stampa un bacio sulla guancia morbida e torna ai fornelli. Mi siedo a tavola e inizio la poppata del mattino sorseggiando il caffè e parlando di del capo di Mikela, della spesa da fare e poi le chiedo -Hey Mich a che ora devi stare a lavoro? Mi terresti Will un paio d’ore che devo andare a fare l’esame stamattina e insomma non va di portare anche lei..-. –Oh ma certo, ah ma è oggi! Non mi ricordavo, finalmente ti levi il pensiero tanto è solo una formalità lo sai meglio di me! Comunque si si la tengo io, ti serve un passaggio?- -No grazie Miki passa a prendermi Mark alle 9, e forse è meglio che vada a prepararmi è già tardissimo!- guardando l’ora, metto la bambina nel seggiolino auto che usavamo per tutto, le do un bacio e poi un altro e lei stringe la sua manina attorno al mio dito. Dopo dieci minuti netti ero di nuovo in cucina pronta per andare a scuola, indossavo una bella camicetta azzurro cielo, stavo inghiottendo un pancake quando suona il clacson fuori alla porta di casa. Ancora con la bocca piena saluto Mikela con un bacio e Will con il solletico sulla pancia, e letteralmente salto fuori di casa. Intravedo il viso sorridente di Mark mentre scendo gli scalini a velocità supersonica, inciampo per salire in macchina e mi ritrovo con la faccia sul sedile. Mi rialzo ridendo –Buongiorno signorina, in ritardo come sempre, ma non per questo devi schiantarti nella mia macchina!- ridacchia Mark, io mi ricompongo sul sedile –Scusa Mark so che non dovremmo fare tardi ma non posso farci niente, è più forte di me più cerco di essere in orario e più arrivo in ritardo- mi esibisco in un sorriso tirato che fece solo ridere di più Mark. Il viaggio in auto fortunatamente è stato breve e tutto sommato non avevamo totalizzato neanche un ritardo troppo imbarazzante –Buona fortuna Chiara!- -Ma come tu non vieni dentro? Dai per favore ho bisogno di una faccia amica!- lo supplico e alla fine lo convinco. Dopo una buona mezzora esco con il diploma in mano! Finalmente era finito, finalmente ero diplomata! –Ehi ti va di andare a prendere un caffè o qualcos’altro insomma dovremmo festeggiare- esordisce Mark abbracciandomi, -Volentieri hai qualche posto in mente?- -In realtà sì, perciò sali in macchina e vedrai- mi guarda con un sorriso fin troppo gentile, chissà cosa vede di me. Non gli ho mai raccontato il motivo per cui era finita con Tom, a dire la verità non avevamo mai affrontato il discorso, o forse io lo avevo sempre evitato abilmente. Mi ha sempre rispettata Mark, non so perché, ma non ha mai voluto chiedermi più di quanto non volessi dire e non ha mai cercato di superare la barriera professionale che ci divideva, rimanendo sempre una persona disponibile, interessata al mio benessere. Ha sempre gestito le mie giornate storte al meglio, standomi accanto quando ne avevo bisogno e lasciando perdere quando nulla avrebbe potuto contro le mie sfuriate. È proprio una brava persona in effetti, e forse non l’ho mai ringraziato abbastanza. Sorrido e salgo in auto, dopo poco parcheggia davanti a un bar molto carino dall’aspetto contemporaneo –Che bello qui, non ci sono mai stata, eppure non è così lontano da casa mia- esordisco aprendo lo sportello e ringraziandolo nella mia mente per non avermi portata in centro dove avrei potuto incontrare Tom.

Ci sediamo in un tavolo a fianco della vetrata che da sulla strada e ordiniamo per me un succo all’ananas e per lui un caffè, chiacchieriamo del più e del meno mentre il tempo passa e parlare con lui anche di cose futili è bello, è come tornare alla normalità, è come essere una qualunque ragazza in un bar.  –Insomma ora che ti sei diplomata non ci vedremo più- una strana espressione compare sul viso di Mark, scherzando gli rispondo –Beh dovresti essere contento di non avermi più tra i piedi!- -Veramente no, adoro gli studenti cocciuti e tu senza di dubbio ne sei l’emblema- replica con un occhiolino. –Ahahah scommetto che non sentirai la mia mancanza, come studente sono difficile e come persona anche di più! Vedrai che sollievo insegnare ad altri ragazzi, magari più spensierati e con meno problemi- continuo ridacchiando, -E se io volessi continuare a vedere te?- mi domanda con un mezzo sorriso. Un attimo di silenzio cala sul tavolo finché si sente vibrare un telefono, il mio. –Scusami- borbotto vedendo che era Mikela che mi stava chiamando; mi alzo ed esco dal bar mentre rispondo presa da una strana ansia –Pronto?- -Chiara devi tornare subito qui, ti ho chiamata duecento volte, dove hai la testa?!- risponde concitata, la sua voce rotta dalla tensione non fa che accrescere enormemente l’angoscia dentro di me –Santo cielo è successo qualcosa alla bambina? Oh mio dio che è successo? Sta bene? Dimmi che sta bene ti prego!- la supplico, -No Chiara non si tratta di Will, lei sta benissimo anzi è stata buonissima, abbiamo giocato, le ho dato il latte in polvere caldo ma non bollente come fai sempre tu e poi si è addormentata- risponde immediatamente notando che stavo per impazzire, -Allora che succede? Sento che sei strana!- mentre le porgo queste domande, dal cellulare sento dei botti –Mikela che diavolo erano quei botti?- riprendo attonita. –Chiara torna subito qui, non farmelo ripetere- usa un tono deciso, ma più che un ordine sembra che mi stia implorando –Cristo santo dimmi che succede! Mi sto preoccupando. Siete a casa vero? Oh mio Dio stanno sfondando la porta sono i ladri!- mi accorgo di aver cominciato ad urlare e sbraitare, tanto che Mark dapprima mi lancia uno sguardo interrogativo e poi va verso la cassa per pagare e si appresta ad uscire.

–Non sono i ladri Chiara, ma devi tornare qui…- fece una pausa -È  Tom, è fuori dalla porta da venti minuti, urla e vuole entrare. È successo un casino: stava facendo un’intervista insieme agli altri e si vedeva che non stava bene, non scherzava come fa sempre, era muto finché la giornalista non gli ha chiesto come andasse la sua vita amorosa, visto che era un periodo che si comportava in modo strano, pensa che ha addirittura fatto un concerto ubriaco marcio! Ecco a quel punto è successo tutto.. Ha iniziato a sbraitare dicendo che non potevano fargli quella domanda, che si erano accordati telefonicamente per escludere quell’unica domanda, che la giornalista non aveva rispetto e dopo un paio di imprecazioni verso di lei, è uscito dalla saletta correndo. Bill, Georg e Gustav hanno provato a salvare l’intervista ma ormai la situazione era insalvabile soprattutto perché tutte le telecamere stavano seguendo Tom.- fece un’altra pausa –Chiara stai bene?- nessuna risposta –Chiara rispondi stai bene?- di nuovo nessuna risposta –Chiara porca troia! Rispondimi ti prego!- la sua voce era strozzata dal pianto –E poi che è successo? Continua.- la voce quasi un bisbiglio, la mente incapace di comprendere, il cuore aveva capito fin troppo. –Tom era in lacrime anche se cercava di nasconderlo, si è precipitato nella Cadillac e ha guidato fino a qui seguito da un’orda di giornalisti che non vedono l’ora di avere un nuovo scoop.  Ora è fuori dalla porta ed è veramente disperato, devi parlare con lui, quindi ti prego ancora una volta vieni qui.- era sconvolta e lo ero anche io –Arrivo- rispondo secca e chiudo la telefonata.

Mark mi sommerge di domande ma non ho tempo per rispondere, non ho tempo per spiegargli. –Grazie Mark, davvero- lo saluto di fretta e inizio a correre verso casa, sento Mark che grida qualcosa mentre mi allontano ma non posso stare a sentirlo ora, devo correre, solo correre il più velocemente possibile, devo raggiungere Tom.

Non sono più io a governare il mio corpo, reagisce da solo, anche se volessi non potrei fermare le gambe. Il fiato mi manca e sento una stretta forte alla bocca dello stomaco, le gambe quasi non toccano il terreno per la velocità e potrebbero cedere da un momento all’altro. Corro, corro e basta, non penso, non so pensare, la mente è vuota ad eccezione di un unico pensiero :”devo arrivare lì”; è come se si fosse spenta e avesse lasciato carta bianca all’istinto, alle emozioni. Nel tiro alla fune tra mente e cuore, la mente ha lasciato la fune ed il cuore macina metri e metri, inesorabile, tirando la fune da solo. Vedo casa, in lontananza, o meglio vedo una folla di persone con telecamere e macchine fotografiche e capisco che è casa mia. Corro più forte anche se le energie ormai sono del tutto esaurite. –Permesso! Levatevi!- grido cercando di farmi largo tra la folla, ma nessuno sembra volersi muovere di un centimetro. Non posso mollare! Grido ancora più forte, cerco di spostare le persone a spintoni e passo sotto i loro gomiti alzati per riprendere Tom, facendomi più piccola che posso. Passo di traverso tra due giornalisti in prima fila e finalmente lo vedo. È accasciato a terra con gli occhi gonfi, la testa appoggiata alla porta, fuma una sigaretta con lo sguardo perso nel vuoto. Non mi vede nemmeno. –Tom!- lo chiamo e mi precipito verso le scale e lo abbraccio prima che lui faccia in tempo a realizzare che sono davvero io.
 
   
 
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