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Autore: Therainsmelody    20/01/2016    1 recensioni
Abby ha problemi con il padre che la tratta come una serva;
Cara vive una vita agiata ma è insoddisfatta di se;
Nicholas ha un terribile e oscuro passato;
Lucas non fa che preoccuparsi per gli altri;
Ethan cerca solo di salvare il fratello dalla loro disastrosa famiglia
e Alan di scoprire il segreto che suo padre gli tiene celato da anni.
Sarà una lettera a dare inizio a quella che verrà ricordata come
la più grande rivelazione di segreti a cui la piccola cittadina di Wahoo abbia mai assistito,
ma la verità arriva sempre con un prezzo.
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 15 – Non c’e altra via

Per arrivare all’alba
Non c’è altra via che la notte.
 
 
Pov Abby
Ero seduta su un enorme roccia muschiosa al limitare del boschetto. Gli altri stavano smontando le tende e raccattando le loro cose in vista della partenza. Io fissavo il nulla, mentre spostavo il ciondolo della mia collana a destra e a sinistra, ritmicamente. La mattina del giorno prima Nick mi aveva esposto la sua idea: tornare indietro ed affrontare mio padre. Sembrava semplice, la scelta giusta da fare, ma io non ne ero convinta così avevo proposto di metterla ai voti.
Erano stati tutti d’accordo.
Nessuno di loro aveva più voglia di restare rintanato in un paesino sperduto.
Volevano tornare a casa e, in un certo senso, riuscivo a capirli.
Sapevo che era martedì ventisette novembre.
Sapevo che mancavamo da casa da ben diciassette giorni.
Dovevamo tornare.
Mi lasciai scivolare a terra e mi diressi dagli altri, con l’intenzione di aiutare Nicholas a ripiegare le nostre cose per poi infilarle negli zaini. Quando lo raggiunsi aveva quasi finito.
<< Mi spiace di non averti aiutato prima, ormai è troppo tardi. >> Sentii le sue braccia cingermi all’altezza della vita e tirarmi dolcemente nella sua direzione.
<< Questo perché sono dannatamente bravo ed efficiente. >> Sorrise e un attimo dopo mi stampò un bacio delicato sulla fronte.
<< Ho pensato che avresti avuto bisogno di stare un po’ da sola e così ho preparato anche la tua borsa. >> Lo baciai rapidamente sulle labbra prima di sciogliermi dal suo abbraccio per controllare che tutto fosse effettivamente al posto giusto.
<< Ti ho già detto che sei il ragazzo migliore del mondo? >> Nicholas si mise a ridere mentre stringeva l’ultima cinghia del suo zaino.
<< Certo, perché sto con la ragazza migliore del mondo! >>
 
Tutto sembrava pronto per il nostro ritorno a casa: sia le borse che gli zaini erano chiusi e in giro non sembrava esserci più niente di nostra appartenenza. D’un tratto mi accorsi che gli altri mi stavano fissando in silenzio, nessuno escluso, come se si aspettassero che dicessi loro qualcosa. Non ero mai stata brava nei discorsi; solitamente diventavo ansiosa, incominciavano a sudarmi le mani e finivo sempre per straparlare.
A questo discorso, però, non potevo sottrarmi così presi un bel respiro e incominciai a parlare:
<< Ragazzi, sono grata a tutti voi per essere venuti via con me. So di avervi chiesto molto: avete dovuto abbandonare le vostre famiglie, la scuola, la vostra vita di tutti i giorni, eppure nessuno di voi si è lamentato. Mi ha avete sostenuta per tutto questo tempo e per questo vi ringrazio, ma quando torneremo a casa sarò io, e io soltanto, a vedermela con mio padre. >>
Per un attimo le parve che Lucas volesse aggiungere qualcosa, probabilmente dirle che non doveva affrontare John da sola, invece rimase in silenzio insieme agli altri.
<< Forza, muoviamoci. >>
E così dicendo prendemmo la direzione che, dall’area semi boschiva destinata ai campeggiatori, portava alla fermata degli autobus.
 
Mentre attraversavamo la piccola cittadina di Antimony, Utah, non incontrammo nessuno. Non uno dei suoi centoventotto abitanti; nemmeno Becky, la parrucchiera che era diventata amica di Cara. Il posto era deserto, come se durante la notte tutti avessero racimolato i loro averi e fossero scoparsi prima dell’alba.
Antimony era diventata una città fantasma.
Camminare in mezzo a quel silenzio mi metteva in soggezione. Mi sentivo la schiena percorsa da un’infinità di brividi e certamente quest’ultimi non dipendevano dal freddo.
Strinsi la mano di Nicholas e premetti leggermente il mio corpo contro la sua spalla; il lieve calore che emanava mi tranquillizzò un pochino.
Sfortunatamente non abbastanza.
Sempre appoggiata alla sua spalla mi voltai verso Lucas nel preciso istante in cui lui si girava per cercare il mio sguardo. Dai suoi occhi capii che anche lui trovava strana quella situazione. Ora ero sicura al cento per cento che qualcosa non andava.
Il primo uomo comparve da una stretta stradina laterale che conduceva al Rockin R Ranch. Era alto e ben piazzato, con un tatuaggio a spirale che gli risaliva lungo il collo. Ruotò la testa lentamente verso destra e, anche se era piuttosto lontano da noi, riuscii comunque ad udire distintamente lo scrocchio.
L’ennesimo brivido mi attraversò interamente il corpo.
L’uomo incrociò le braccia sul petto, fissandoci in modo minaccioso, ma non si mosse.
<< Li ha mandati John, suppongo. >> Lucas l’aveva bisbigliato così piano che soltanto io ero riuscita a sentirlo.
<< Credo proprio di sì, sembra uno dei suoi uomini. >> Risposi senza staccare gli occhi da Tatuaggio-a-spirale; finché non cercava di colpirci, com’era successo in precedenza, sarebbe andato tutto bene.
<< Sembrano. >> mi corresse Lucas. Solo allora spostai lo sguardo e notai gli altri cinque uomini che ci circondavano.
Quattro di loro erano gli stessi che ci avevano aggredito settimane prima, tra cui Tatuaggio-a-serpente, mentre l’ultimo, così come il primo, era una faccia sconosciuta. Aveva i capelli molto corti e quasi del tutto grigi, ma qua e là si riusciva ancora ad intuire che un tempo erano stati biondi quasi quanto quelli di Ethan e di suo fratello. Rispetto agli altri era più basso e meno muscoloso, nel complesso il suo fisico era più scattante, un po’ come quello di un ex-atleta. Se avessi dovuto scommettere su chi, tra i sei tirapiedi di mio padre, era la mente avrei puntato tutto su di lui.
Ex-atleta-biondo era il capo.
Le mie conclusioni si rivelarono esatte quando fece un passo avanti e incominciò a parlarci, o meglio, a parlare con me.
<< Signorina Sullivan, il mio nome è Mark Leery e suo padre mi ha incaricato di riportare lei e i suoi amici a casa. Immediatamente. Se ci seguirete senza fare resistenza nessuno di voi si farà male, in caso contrario non mi sento di garantirle nulla del genere. >>
La cosa che più mi stupì del suo discorso fu la sua apparente cortesia unita ad un’incredibile proprietà di linguaggio per uno che nella vita faceva da scagnozzo a mio padre. Nonostante questo era chiaro dal suo tono di voce, così roco e terrificante, che non era il genere di persona con cui si poteva scherzare.
O decidevi di seguire i suoi ordini oppure ti avrebbe costretto a fare come voleva lui. Sostanzialmente non c’era via di scampo.
Fu in quel momento che compresi perché era lui il capo; oltre ad essere fisicamente prestante e in grado di emanare un’aura di puro terrore, Mark Leery era intelligente. La motivazione che l’aveva spinto a scegliere quello come lavoro e aspirazione di una vita restava un mistero per tutti noi. L’unica cosa che davvero importava era che quell’uomo era lì per riportarci a casa, con o senza il nostro consenso.
Stavo giusto per aprir bocca e rispondergli che, a casa, ci stavamo già tornando e che lui e la sua brigata di uomini erano del tutto inutili per quel compito. Ovviamente avrei pronunciato un discorso meno aggressivo di come lo avevo pensato, se Ethan me ne avesse lasciato il tempo.
<< Nessuno di noi andrà da nessuna parte con te e i tuoi amichetti, Mark L’idiota. >> Vidi Cara far scivolare lentamente il viso tra le mani con aria desolata, la sua testa che si muoveva leggermente a destra e a sinistra. Potevo capirla benissimo.
Ethan ci ha appena infilato in un casino di proporzioni stratosferiche!
<< Tu devi essere uno dei McKaine, vero piccolo figlio di puttana? >> Ethan mi scansò di lato, senza spintonarmi, ma con un’espressione così arrabbiata che per un attimo credetti che lo volesse fare sul serio. Vidi le sue braccia irrigidirsi sui fianchi e le sue mani stringersi a pungo mentre si avvicinava a Mark.
<< Come mi hai chiamato? >> Mark sogghignò e fece scrocchiare le dita della mano destra.
<< Figlio di puttana, tu e tuo fratello. Anche se devo ammettere che quello con la faccia da stronzo sei solo tu. >> Ethan scattò verso l’uomo che, pur essendo fisicamente meno minaccioso degli altri cinque, era comunque grande il doppio di lui e quest’ultimo lo afferrò per la giacca sollevandolo da terra.
<< Lo sai cos’ha fatto tuo padre? Lo sai che è un lurido assassino? >> Benché Mark gli stesse urlando in faccia Ethan non si mosse, o almeno non lo fece da quello che riuscii a vedere io.
<< So che ha ucciso uno dei vostri, ma l’ha fatto per difendersi. Quell’uomo era lì per uccidere il suo migliore amico e, molto probabilmente, anche lui! >> L’espressione seria, calma e solo vagamente scocciata che aveva contraddistinto Mark fino a quel momento scomparve. Quello che comparve dopo fu molto peggio.
Odio.
Puro e cieco odio.
<< Quell’uomo era mio fratello! >> Mentre le ultime sillabe della frase mi raggiungevano, sentii il suono del naso di Ethan che si rompeva a seguito del cazzotto con cui Mark l’aveva colpito. Ethan volò, letteralmente, e si schiantò a terra poco lontano da noi. Si portò una mano all’altezza del naso e rimase a fissarla stupito per qualche secondo quando si accorse che era coperta di sangue. Stava per alzarsi e ribattere, ma Cara lo raggiunse, fazzoletto alla mano, e con lo sguardo più minaccioso che le avessi mai visto lanciare lo costrinse al silenzio.
<< Ora muovetevi, vi porto da John. >> Tutti, Ethan compreso, ci accodammo a Mark e i suoi uomini si chiusero a cerchio attorno a noi. Un po’ come se fossimo stati dei vip e loro le nostre guardie del corpo.
Era solo più inquietante.
E con un numero decisamente minore di party e milioni da spendere in oggetti futili.
Mi voltai verso Ethan e Cara. Lei gli stava tamponando leggermente il naso, che aveva smesso di sanguinare, ma aveva un aspetto pietoso tanto quanto prima. Ethan cercava di fare il duro, eppure vedevo che soffriva dalle smorfie che faceva ogni volta che il fazzoletto gli sfiorava il naso.
Lucas camminava davanti a me con fare tranquillo. La sua filosofia nei momenti di panico era pretendere di non essere spaventato e dovevo ammettere che la cosa gli riusciva sempre particolarmente bene.
Jess, più che altro, sembrava preoccupato per lo stato di salute del fratello maggiore e al contempo infastidito dal fatto di non poter leggere uno dei suoi innumerevoli libri.
Io ero ancora stretta a Nicholas e lui era ancora stretto a me.
Fu in quel momento che notai quello che stava facendo mio fratello. Lentamente, con tutta la grazia possibile e cercando di non farsi notare, stava componendo un numero sul telefonino che Chris gli aveva lasciato per le emergenze.
John che tenta di rapirci rientra sicuramente tra le situazioni d’emergenza.
Distolsi lo sguardo per non insospettire nessuno, cosa che non sembrò servire a molto. Di lì a qualche secondo uno degli uomini si mise a urlare in direzione di Alan.
<< Hey tu! Cosa stai facendo? >> Al suono della voce di Tatuaggio-a-spirale, Mark si voltò. Abbassò lo sguardo sul telefono. Lo rialzò per guardare Alan negli occhi. Afferrò il cellulare dalle sue mani e lo gettò a terra con un colpo secco. Inutile dire che l’apparecchio andò in mille pezzi.
<< Prova a rifarlo, ragazzino, e il prossimo a finire spiaccicato sul terreno sarai tu. >> Se possibile la sua voce si era fatta ancora più terrificante che in precedenza.
Alan non fiatò.
Riprendemmo a camminare nel silenzio più assoluto. Solo dopo qualche minuto mi azzardai ad alzare lo sguardo su di lui e gli occhi ambrati di Alan erano lì ad aspettarmi.
Mi sorrise compiaciuto.
Sono riuscito a chiamare Chris.
Anche se non l’aveva pronunciato, e io non l’avevo udito, sapevo che era questo che voleva dirmi.

 
Pov Chris
I ragazzi erano partiti più di due settimane prima. Il fatto che non avessi ricevuto alcuna loro notizia avrebbe dovuto tranquillizzarmi, visto che l’accordo era di chiamare solo in caso di difficoltà, ma non ero per niente calmo. Avevo passato l’ultimo periodo a svegliarmi di soprassalto, colto alla sprovvista da un’infinita serie di orribili incubi.
Ricordavo il primo con estrema chiarezza.
 
Ero a casa, sdraiato sul divano, e leggevo il giornale come ogni mattina. Non sentivo nessuno di loro da giorni, ma non ero spaventato. Mi sembrava tutto normale. Di colpo il telefono di casa cominciò a squillare a volume molto più alto del solito. Iniziai a correre verso l’apparecchio, ma la sala sembrava non finire mai. Divenne sempre più lunga e gli squilli si fecero sempre più insistenti. Quando finalmente riuscii a rispondere dall’altro capo si udirono solo urla, il suono di spari e poi il silenzio. Infine la voce di John.
<< Ciao, Chris. >> In quel momento mi accasciai a terra, in lacrime, perché sapevo che erano tutti morti.  
 
Solo a ripensarci mi tornarono i brividi. Sogni del genere mi avevano accompagnato ogni notte sin dalla loro partenza. Mi diressi in cucina, con l’intenzione di prepararmi da mangiare, e rimasi incantato davanti al frigorifero per parecchi minuti. Era interamente ricoperto dei disegni che Alan aveva fatto da piccolo.
Quanto mi mancava.
Negli ultimi diciassette anni Alan aveva sempre vissuto con me. Anche quando stava chiuso in camera sua per tutto il giorno, e c’incontravamo solo per cenare, sentivo la sua presenza silenziosa riempire la casa. Tutto quello che restava ora erano quattro mura e un tetto. Dentro non era rimasto niente.
Non importa quanto lunga sarà l’attesa, se prometti di tornare ti aspetterò in eterno.
Alexis l’aveva detto quando ci eravamo lasciati e fino ad ora ero stato convinto di aver provato quella sensazione solo con lei. Di aver amato solo lei. In quel momento mi resi conto che non era così. Al mondo esistevano tanti tipi diversi di amore e io avevo amato Alexis; avevo amato i miei migliori amici e amavo Alan.
Mio figlio era l’unica cosa che mi fosse rimasta e non potevo permettermi di perderla.
Non potevo permettere a John Sullivan di sottrarmi anche lui.
Mi sarei battuto per i miei figli.
Per Alexis.
Per Alan.
Per me.
Appena formulai il pensiero nella mia testa con chiarezza, il telefono di casa squillò. Corsi in soggiorno e sollevai la cornetta. Silenzio e poi delle voci in sottofondo.
<< Hey tu! Cosa stai facendo? >> Dal tono di voce si trattava di un adulto.
Gli uomini di John sono lì!
Un tonfo assordante mi costrinse ad allontanare il ricevitore dall’orecchio, ma quando lo riaccostai la linea era caduta. Ogni mio incubo; ogni mio più orrendo pensiero fatto nei giorni precedenti mi pervase.
Li ha catturati, picchiati, uccisi!
Feci un respiro profondo. L’uomo aveva parlato con qualcuno di loro, probabilmente Alan visto che il cellulare l’avevo dato a lui. In quel momento mio figlio doveva essere ancora vivo.
Se voleva ucciderli o far loro del male a quest’ora sarebbe già stato fatto.
Se l’intenzione di John era solo quella di riportarli a casa, e quasi certamente rinchiuderli da qualche parte per spaventarli a morte, allora avevo tempo di scoprire dove e salvarli.
Se fossi riuscito a far capire alla gente che genere di uomo era John Sullivan l’avrebbero sbattuto in prigione e non ne sarebbe uscito mai più. Coinvolgere la polizia significava rischiare il carcere per quello che avevo fatto in passato, perché John non si sarebbe arreso così facilmente, ma per la salvezza di quei ragazzi, e della città intera, era un piccolo prezzo da pagare.
Lentamente il piano per incastrare John e salvare Alan e Abby si andava delineando nella mia mente. L’unico pezzo mancante era il luogo in cui poteva averli portati. Di sicuro era un posto a cui non avrei mai pensato, in cui non andavo e che non potessi trovare per caso.
Un luogo sicuro.
Nascosto.
Un posto come le grotte.
Le caverne naturali in cui io e Daniel avevamo costruito il nostro magazzino segreto.
Le caverne che John conosceva.
Quelle dove non ero più tornato da quel giorno di tanti anni prima.
Quelle che erano impossibili da trovare a meno che non le si stesse cercando.
Era il luogo ideale per qualsiasi attività illegale.
Loro sono lì.

Spazio Autrice
So di avervi promesso il capitolo entro Natale (è orami piuttosto ovvio che sono pessima con le scandenze, cercherò di migliorare, ma non vi prometto nulla perché passerò i prossimi mesi a preparare esami.)
Detto questo spero che il capitolo vi sia piaciuto e come sempre se avete commenti/critiche lasciate una recensione.
La fine della storia si avvicina e sono davvero curiosa di sentire le vostre opinioni a riguardo.

La frase iniziale è una citazione di Khalil Gibran.

Al prossimo capitolo,
Mel

 
   
 
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