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Autore: shimichan    22/01/2016    5 recensioni
[Post Organizzazione] [ShinShiho paring]
Se è vero che nessun paradiso può durare a lungo se vi convivono un uomo e una donna come se la caveranno lo Sherlock Holmes del Terzo Millennio e l'ex donna in nero a condividere lo stesso tetto?
#1. Trasloco [ovvero quando la distanza non conta ]
#2. Scatoloni [il segreto di una relazione sta nel compromesso]
#3. Risveglio [nota: mai lasciare una copia di chiavi ai vecchi proprietari]
#4. Cinema [ovvero mai fidarsi dei poliziotti felicemente sposati]
#5. Gelosia [di diete, tradimenti e bruciante passione]
#6. Detective Boys [di innocenti rancori e indiscrete curiosità]
#7. Amici [metti una sera, a cena...]
#8. Agasa [di abitudini da perdere e di abitudini da prendere]
#9. Esperimento [pronto a tornare cavia, Kudo?]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Shiho Miyano/Shinichi Kudo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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#7. Amici
[metti una sera, a cena…]

 
 
«Sei sicura?».
Shiho si voltò e sul suo sguardo lampeggiò, per un istante, il riflesso luminoso della città, rendendo impossibile prevederne la risposta, che in ogni caso, spesso e volentieri, non coincideva con il suo pensiero.
«Per l’ennesima volta, si» disse, leggermente seccata, e per quanto Shinichi sapesse che l’irritazione la faceva diventare sempre sincera, ciò non bastò a tranquillizzarlo.
«No, perché, se non vuoi, possiamo sempre…».
«Kudo!» lo interruppe. «La vuoi piantare?!».
Ora il nervosismo aveva raggiunto la sua forma completa e a Shinichi non rimase altro che pagare il tassista e osservare la sua ultima possibilità di fuga immettersi nel traffico.
Sentì lo stomaco avvitarsi su se stesso.
Si chiese se anche Shiho provasse qualcosa di simile, ma, sbirciando alla propria destra, notò solamente l’espressione concentrata con cui studiava la coda formatasi fuori dal ristorante.
«Fortuna che abbiamo avuto il buon senso di prenotare!». Una voce alle sue spalle.
Heiji Hattori sfoggiava un sorriso tutto denti, una capigliatura gelata che avrebbe tenuto più o meno fino all’antipasto e, soprattutto, un’aria giovale in netto contrasto con quella del collega. Shinichi drizzò la schiena e cacciò le mani nelle tasche dei pantaloni per soffocare la sferzata d’invidia che lo trapassò da parte a parte nel constatare come il collo di Heiji fosse libero a differenza del suo, stretto da una cravatta di raso blu. Odiava le cravatte, ma Shiho era stata inamovibile e, prima di uscire, gliel’aveva aggiustata con un nodo degno di un lupo di mare. «Prova a toglierla» aveva detto. E si, suonava minacciosa.
«Uhm. Siete già qui».
«Ehi! Ti sembra questo il modo di salutare un vecchio amico?».
Il suo volto si contrasse un istante, ma non c’era reale acredine nelle sue parole; infatti poco dopo Shinichi si ritrovò un braccio attorno al collo. «Dimmi, Shiho, questo qui è sempre così?».
«Non saprei. Io credevo che il broncio fosse un tratto caratteristico di voi detective, ma guardando te, devo ricredermi» ribatté lei dentro un ghigno, in vena di amabili cospirazioni come sempre se l’oggetto di tali mire era il proprio fidanzato.
Una passione che condivideva in particolare con Heiji: oh, quanto si divertivano quei due!
Shinichi approfittò della risata mal trattenuta da entrambi per liberarsi della presa e rivolgere un saluto alle spalle di Hattori, dove Kazuha aveva assistito in silenzio a quel vivace scambio di battute. Aveva lo sguardo di chi è abituato ad  essere bersaglio della medesima ironia e, per una frazione di secondo, s’illuse di aver scovato un’inattesa alleata. Ma fu costretto a ricredersi in fretta, ricordando a se stesso alcuni piccoli, insignificanti dettagli.
In primo luogo Kazuha non aveva ancora del tutto digerito il trattamento riservato alla sua amica durante le indagini sull’Organizzazione e, nello specifico, l’averle taciuto la vera identità di Conan, cosa che ai suoi occhi appariva come una mancanza di rispetto verso i sacri vincoli dell’amicizia. Imperdonabile era poi la fine della relazione con la stessa: lo reputava, infatti, responsabile di non aver lottato abbastanza per la loro storia e, stando a quanto gli aveva riferito Heiji, di «essersi dimenticato le sofferenze patite da Ran» nel periodo sopracitato.
Ed infine c’era Shiho, cui Kazuha non imputava particolari colpe, anche se non aveva mai abbandonato il sospetto che, nelle vesti di Ai Haibara, il suo contributo si fosse spinto ben più in là di una semplice collaborazione investigativa.
Shinichi le vide scambiarsi un breve cenno, prima che Hattori lo strappasse dall’anarchico flusso dei suoi pensieri.
«Ho fame. Andiamo?».
 

L’interno del locale era arredato con drappi color porpora e luci soffuse, che conferivano all’ambiente un tocco deliziosamente retrò, valorizzato dalle candele accese, poste al centro di ogni tavolo. Lussuoso e immerso in un’atmosfera ovattata, non era difficile intuire fossero quelli i motivi della ressa all’ingresso: un ristorante del genere, a Tokyo, era una rarità.
Furono accomodati nel mezzo dell’ampia sala da un cameriere con dei curiosi baffetti a punta che, dopo aver depositato i cappotti nel guardaroba, porse loro i menù.
«Sei sicuro di potertelo permettere?» sussurrò, riferito ai prezzi esorbitanti delle portate.
Heiji s’illuminò in un sorriso furbo.
«Il proprietario è un mio cliente. Siamo suoi ospiti».
Shinichi non mancò di notare la cadenza arrogante della sua voce.
«Sai che il baratto è una forma di pagamento antiquata? Il lavoro va così male, Hattori?».
Quelle punzecchiature facevano parte del loro lessico famigliare, pertanto Heiji era pronto a controbattere, ma Shiho s’intromise nella conversazione, pacata, senza smettere di scorrere l’elenco delle pietanze.
«Non mi ricordo nemmeno l’ultima volta che mi hai portato fuori a cena, Kudo. Non ti conviene iniziare a parlare di casi, misteri e quant’altro» e fletté le sopracciglia in un modo autoritario che non lasciava spazio a molte interpretazioni.
«Qualcuno è tenuto a guinzaglio, eh?».
«Heiji, vale anche per te!».
«Da che pulpito» soffiò, pensando che almeno le due ragazze avevano trovato qualcosa che le accomunava. Poi rifletté.
Il punto di raccordo consisteva nel non voler ascoltare i loro racconti da detective navigati, ergo rimanevano pochi temi da cui trarre discussione, forse il tempo.
«Mi scusi. Può dirmi cos’è il boeuf bourguignon?».
Sfruttò la spiegazione del piatto, e la conseguente disattenzione di Kazuha, per sporgersi verso Heiji e bisbigliargli se le avesse fatto accenno della convivenza tra lui e Shiho, come d’accordo, al fine di evitare reazioni eccessive nel caso l’argomento fosse stato toccato durante la cena.
«Io…beh…ho cer-».
«E i signori desiderano?». Il cameriere li fissava impettito.
Ordinò velocemente una pietanza francese, sperando fosse commestibile, e una bottiglia di vino, per riallacciare il discorso che l’altro sembrava deciso ad abbandonare del tutto.
«Kudo, dietro di te, al bar. La donna bionda».
L'interesse di tutti s’indirizzò, allora, verso una coppia, seduta sugl’alti sgabelli del bancone, intenta a chiacchierare.
Kazuha gettò al fidanzato un’occhiata confusa, ma questo le fece segno di attendere.
Al contrario, il detective dell’est capì subito a cosa si riferisse.
«Sull’annullare sinistro la pelle è più chiara, segno che ha portato per lungo tempo un anello, probabilmente una fede nuziale. Il portamento è elegante e i vestiti di alta sartoria. Lui, invece, si tocca di continuo il nodo della cravatta perché non è abituato a portarla e tiene il drink alla base del bicchiere, sebbene sia appoggiato al bancone. È nervoso. Non per colpa della donna, ma del lusso cui non è avvezzo. Perciò….dico che lei è ricca di famiglia, ha un matrimonio fallito alle spalle e sta cercando di rifarsi una vita con un uomo ordinario» commentò. «Pagherà lei».
Infatti poco dopo la donna estrasse dal portafoglio la carta di credito e la porse al barman.
Hattori batté le mani piano, non tanto per farsi sentire ma per complimentarsi.
«Avevamo detto niente lavoro!».
«Almeno, per una volta, usano il loro intuito su qualcosa di vivo».
Fu il sagace commento di Shiho ad anticipare ogni loro scusa, provocando una punta di risentimento in entrambi i detective, che dimostrarono di non gradire affatto l’uso del sarcasmo come strumento per denigrare il loro talento investigativo, mentre Kazuha gonfiò le guance per trattenere una risata divertita e si disse d’accordo.
«Dai, Kazu, prova tu».
La scelta della ragazza ricadde su una donna e un ragazzo, appena entrati, che un cameriere provvide a sistemare due tavoli dietro al loro. Heiji li studiò attentamente, stringendo le palpebre e accarezzandosi la porzione di pelle tra il naso e la bocca, prima di esporre la sua deduzione. «Gigolò e cliente».
Il sangue si concentrò prima sulle guance di Shinichi, poi su quelle di Kazuha, che emise un versetto strozzato nel tentativo di richiamarlo. Erano due forme d’imbarazzo molto diverse.
Il detective, infatti, ridacchiò divertito da quella conclusione schietta e del tutto plausibile, mentre lei rimase interdetta: non sapeva se prenderlo sul serio oppure se fosse solo l’ennesimo scherzo a proprio scapito.
«Ti sbagli».
Heiji la squadrò al di sotto di due sopracciglia contratte e una fronte corrugata, mentre Shiho si gustava l’ottimo vino con il mento posato sul pugno chiuso e un’espressione impassibile, come se quell’osservazione le fosse sfuggita dalle labbra senza che se ne rendesse conto.
«Un intervento di lifting e una rinoplastica non possono modificare completamente i lineamenti genetici caratteristici di una persona. E l’apertura larga del setto nasale, l’ovale del viso e la leggera stempiatura, che quella donna cerca di nascondere, sono tratti che il figlio ha ereditato».
C’era invero una lievissima somiglianza tra i due.
«Oh andiamo! Nessun figlio di quell’età accetterebbe mai una carezza della propria madre in pubblico e nessun uomo penderebbe dalle labbra di una donna in quel modo se non dietro compenso».
Il ragionamento di Hattori aveva una certa logica e, per quanto poco ortodosso, anche Shinichi dovette ammettere fosse piuttosto attendibile. Shiho, però, lo contradisse di nuovo.
«Non è lui a pendere dalle sue labbra, ma lei a dipendere dal suo sguardo. Inoltre, quando la donna gli ha allungato quella carezza, lui ha poggiato una mano sopra la sua, anziché bacirla come ci si aspetterebbe da un amante».
Parlò con calma, dosando le pause e sottolineando le parole più importanti con uno sguardo molto serio, tanto che Heiji schiuse la bocca alla ricerca di una risposta incalzante, senza tuttavia trovarla. L’arrivo delle portate pose fine al discorso.
E al mistero.
Il cameriere, infatti, scusandosi per aver origliato parte della conversazione, confermò la tesi di Shiho, conquistandosi la sua simpatia, come suggeriva la leggera fossetta apparsa sulla sua guancia: riusciva sempre a creare un’immediata complicità con chi avvalorava le sue posizioni, tanto che lui azzardò un impercettibile scatto della testa per farle notare le mascelle serrate più del necessario con cui il ragazzo addentava ogni boccone. Evidentemente la sconfitta patita nell’ambito di sua specialità bruciava, anche se la ferita peggiore doveva essere quella inflitta al suo orgoglio.
Shiho scosse il capo, ma mostrò comunque un accenno di sorriso prima che le labbra si aprissero per far spazio alla forchetta.
«Signori, bon appetit».

 
«Quello non è Benjiro Takeda?».
«Già. Della Takeda Pharmaceutical. Non è sotto processo?».
«A quanto pare…».
Heiji lasciò la frase in sospeso come se stesse mettendo a fuoco un ricordo, poi si portò una mano tra i capelli, leggermente rammaricato. Nei suoi occhi Shinichi lesse il desiderio di aggiungere altro, che capì essere, troppo tardi, un «mi dispiace».
«Ran dice che anche a Tsukuba si producono rifiuti tossici e per inserirli tra i capi d’accusa è stato chiesto un rinvio» spiegò Kazuha.
Quel nome vibrò nell’aria come una nota stonata.
Nel sentirlo pronunciare, il pezzo di carne che stava masticando gli scivolò in gola, fermandosi all’altezza del nodo della cravatta. Per non rischiare di soffocarsi, Shinichi fu costretto ad allentarlo e a deglutire più volte.
Insieme al boccone inghiottì anche la propria voce, perché la sua replica, un mesto «ah si», venne accolta da Kazuha come un invito a continuare.
Raccontò della passione di Ran per i diritti umanitari, della sua intenzione di abbandonare lo studio della madre e della nuova vita che stava conducendo ad Osaka. Forse accennò anche ad un fidanzato, ma Shinichi era talmente assorto nella contemplazione del suo piatto da non accorgersene.
«Sembri corrucciato» esclamò Shiho alla sua sinistra. «Qualcosa non va? Non è buono?»
«Cos..? No…no…è ottimo» rispose, per poi avvicinarsi il bicchiere alle labbra.
Capitava, a volte, che lei si estraniasse dalla conversazione e non vi prestasse particolare attenzione; gli venne dunque da chiedersi se fosse davvero una di quelle volte, oppure se stesse solo cercando di celare…
«Forse è preoccupato che questi discorsi t’infastidiscano».
Appunto.
Il tono di Kazuha era lo stesso di poco prima, rigato da un’alterigia che si arrotolava fiera attorno ad ogni parola.
Sembrava pronta a compiacersi del «si» che l’argomento prometteva, ma la scienziata appariva confusa, non disturbata; infatti dalla sua reazione emerse solo una certa sorpresa per essere stata trascinata così, all’improvviso, al centro dell’interesse.
«Perché dovrebbero?» e addentò con nonchalance degli asparagi verdi, ricoperti da una densa crema al limone.
Per la seconda volta nel corso della serata, Shinichi si sentì profondamente vicino a Kazuha e alla sua espressione, di certo non la più intelligente del repertorio. «Beh…io…ecco…» boccheggiò.
Shiho attese fino a quando non fu chiaro che non sarebbe mai riuscita ad articolare la frase, quindi intervenne, dicendole ciò, che aveva ormai capito, voleva sapere. «Ran è sempre stata gentile con me. Non ho ragione di non contraccambiare».
Era un ragionamento mirabilmente equilibrato e asciutto, tipico di una mente fredda, precisa e analitica come la sua e, sebbene fosse a conoscenza delle sue idee in proposito, anche Shinichi rimase stupito dal fatto che fosse capace di trattare i sentimenti, specie i propri, parimenti nozioni scientifiche. Poi, però, la vide aggrottare le sopracciglia nel mezzo, come se qualcosa avesse disturbato l’ingranaggio lineare del suo pensiero, e giudicò quindi saggio allontanare la saliera. Non era sicuro che sale e pepe costituissero un pericolo, ma Shiho aveva creato un veleno in grado di rimpicciolire le persone e la prudenza, si sa, non è mai troppa.
«Anche se…» esordì – e lui spostò l’olio – «…avrei preferito insegnasse a questo qui come tenere in ordine i calzini».
La mano con cui reggeva il coltello compì un’elegante parabola, indicando il posto accanto a sè.
La coppia di Osaka si scambiò un’occhiata smarrita, dimostrando di non seguire il filo logico del discorso, mentre il diretto interessato terminava il proprio pasto ferocemente, irritato sia dall’epiteto sia da quella rivelazione troppo intima.
«Oh. E perché?» chiese timidamente la ragazza.
«Perché ogni volta che devo sistemare il bucato, mi tocca anche riordinargli i cassetti».
Kazuha continuava a non capire. Fissò prima il volto accaldato di Shinichi, poi quello imperturbabile di Shiho e ripeté l’azione tre volte finché non spalancò la bocca. 
Il detective dell’est tremò. Conosceva quello sguardo, l’aveva visto sorgere mille volte negli occhi di Ran.
«N-non dirmi che…voi…voi due vivete insieme?!?».
«Si».
Ci fu qualche secondo di silenzio, in cui Heiji si mise a sghignazzare, guadagnandosi una gomitata dal collega.
«E…si può sapere come hai fatto?».
Aveva sentito bene?
L’universo femminile era senza dubbio un campo di difficile comprensione perché, tra tutte le cose che Shinichi si sarebbe aspettato, quella…beh, non rientrava nemmeno nell’elenco!
Ma a quel punto gli parve inutile tergiversare sull’argomento per godersi lo sgomento della fidanzata, vittima del suo stesso sarcasmo, e quello di Heiji, il quale vide avverarsi i suoi peggiori incubi, dal momento che Kazuha non si sarebbe più accontenta delle solite scialbe scuse per imprimere una svolta al loro rapporto.
«Kudo, puoi darmi una mano?» lo pregò, in evidente difficoltà.
«Te lo sogni» rispose l’altro con sufficienza.
«Questa me la paghi, sappilo».
«Chi è vittima del proprio mal, pianga se ste-».
«Dottoressa Miyano?».
Si voltò per vedere a chi appartenesse la voce, soggiuntagli improvvisamente alle spalle, e con grande meraviglia si ritrovò di fronte Benjiro Takeba, che lo scavalcò per portarsi sul lato libero del tavolo.
Shiho finì di svuotare il bicchiere, si passò il tovagliolo sulle labbra e infine si alzò, premurandosi al contempo di stirare le pieghe del vestito. «Signor Takeba» disse con tono gioviale e assolutamente falso.
Dovette accorgersene perfino l’uomo che aumentò la stretta attorno alla sua mano abbastanza da farla vacillare sui tacchi.
C’era una leggerissima tensione tra i due, di cui nessuno, neanche Shinichi, sapeva spiegarsi il motivo.
D’altronde Shiho si era astenuta dal rendere nota una simile conoscenza.
«Ha riflettuto sulla mia proposta?».
«Non mi sembra il momento adatto per riprendere la questione. Come vede sono in compagnia» sospirò, tralasciando le presentazioni. E quando ciò accadeva, quando Shiho dimenticava le buone regole dell’educazione, era per scampare da un impiccio.
«Quale momento migliore di un incontro fortuito?».
«La fortuna dipende dalle prospettive, signor Takeda».
L’uomo rise cogliendo perfettamente l’ironia, ma l’istante successivo ritrasse lo sguardo sotto le ciglia e divenne serio, quasi minaccioso. «Le consiglio di valutarla. Non mi capita spesso di concedere altre possibilità».
«E a me non capita mai di cambiare idea» soffiò, per poi aggiungere un «indipendentemente dal numero di zeri su un assegno» che pose fine al discorso.
Takeda scioccò la lingua contro il palato. «Allora le auguro buon proseguimento».
«Altrettanto».
Non appena Shiho si riaccomodò al suo posto, la domanda scattò fuori dalle labbra di Heiji, sebbene gli altri ne conservassero una uguale sulla punta della lingua. «Come mai lo conosci?».
Neppure il cipiglio interrogativo di Shinichi riuscì a strapparle qualcosa in più rispetto all’inappagante e criptico «lavoro».
 
 
Si lasciarono alle spalle il ristorante e un’agguerrita Kazuha che prometteva di tormentare Heiji fino all’alba, avviandosi verso il loro quartiere.
Avevano entrambi voglia di camminare.
«È stata una bella serata».
Shiho reclinò il capo e scorse una stella in un ritaglio di nuvole. «Discreta».
«Hai battuto Heiji ad una gara di deduzione».
«Si».
«E lo hai messo nei guai».
«Si» confermò di nuovo, scoppiando in una risatina silenziosa.
«E sei».
«Kudo» lo interruppe «c’ero anch’io, perciò smettila di girarci intorno e chiedimelo».
Shinichi si fermò senza preavviso e lei se ne accorse solo dopo un paio di metri.
A quella distanza potevano guardarsi negl’occhi e tradire la propria amarezza, quella di chi è deluso e quella di chi è nel giusto anche se è il solo a pensarlo.
«Perché non mi hai detto che la Takeda Pharmaceutical ti aveva proposto un lavoro?» chiese, afflitto. «Non eravamo forse d’accordo di dirci tutto?».
«Tutto ciò che è importante» precisò lei.
«A me sembrava importante».
«Era solo un lavoro».
«Avrei comunque preferito saperlo. Di che si trattava?».
Sospirò. Affrontare qualcosa di così futile la metteva inspiegabilmente a disagio e tale disagio aumentava il suo imbarazzo.
«Mi aveva offerto di dirigere uno dei suoi centri».
Fece per complimentarsi, ma si fermò. Il volto di Shiho parlava chiaro e anche il sorriso apparso tra le sue labbra sparì, quasi colpevole per la fretta istintiva.
«Mi pare sia un’ottima posizione. Perché non hai accettato?».
«Perché il centro è in America».
Osservò l’espressione di Shinichi trasformarsi, divenire triste e scivolargli sulla pelle come un’ombra. Quando la vide stabilizzarsi dentro gli angoli abbassati della bocca, decise di raggiungerlo. C’erano cose che andavano dette faccia a faccia, perché nessun’altro potesse sentirle.
«E poi mi avevi appena chiesto di venire a vivere con te».
«Stai dicendo che hai rifiutato a causa mia?».
«No» rispose, senza esitazione. Shinichi ebbe l’impressione che fosse arrossita. «Ho pensato seriamente di accettare, però la distanza era troppa. E quando ho capito che non potevo starti così lontano, ho deciso che tanto valeva starti così vicino».
Si sollevò sulle punte per baciarlo, poi si ritrasse con un sorriso furbesco che divenne un ghigno davanti all’aria vagamente ebete di lui.
«Mi…mi hai appena baciato?» balbettò. «In pubblico?».
Rise. «Si, ma non farci l’abitudine, Kudo».
 








Angolo Autrice
Buondì!!!
Torno dopo un discreto periodo di tempo e spero che questa shot, ricca di episodi interessanti, aiuti a farmi perdonare.
Avrò iniziato come minimo sette/otto flash (una ero certa di riuscirla a postare per Natale), senza concluderne una....e poi è arrivata questa. Che dire? Alcuni di voi si erano interrogati sulla fine di Ran ecc...e questa è la mia (parziale) risposta! ^^
Come sempre alla prossima!

Grazie a tutti!

 
  
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