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Autore: marwari_    22/01/2016    1 recensioni
Prudence Halliwell non esiste più.
Risponde ora solamente all'appellativo di "Miss Hellfire".
{Prue/Piper}
|Se non approvate questa ship, non proseguite nella lettura. Per chiunque voglia procedere, leggete e recensite! Sono assolutamente aperta a critiche, chiarimenti e discussioni intelligenti. Buona lettura!| - finale aperto
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash, Crack Pairing | Personaggi: Barbas, Piper Halliwell, Prue Halliwell
Note: Lime, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest
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Capitolo 2 - stagione di caccia

Si svegliò solamente quando un raggio di sole, fastidioso ed accecante, si posò sul suo viso. Mugolò seccata, mutando il largo sorriso che le aveva piegato le labbra fino a quell’istante in un smorfia. Si rotolò fra le lenzuola stropicciate, tirandosi le coperte fino sopra il petto nudo, cercando di mitigare quella leggera sensazione di freddo che le aveva pizzicato la pelle.

Poggiò il braccio sinistro sulla fronte, in modo da schermare i raggi del sole; a giudicare dalla loro luminosità, doveva essere mattina inoltrata e con piacere, eccitazione, fascino e mistero stava ricordando tutto ciò che era avvenuto la sera prima. Poco importava il fatto che non fosse riuscita ad uccidere i suoi obiettivi prima della mezzanotte: si sarebbe largamente accontentata di una paga più bassa perché, in fondo, ne era valsa la pena.
Ci avrebbe perso in denaro – tanto male: quello proprio non scarseggiava – ma aveva guadagnato in ben altro. Come poteva essersi dimenticata di quella ragazza? Doveva essere stata veramente ubriaca per essersela fatta sfuggire. Eppure lei la ricordava bene, la temeva in un modo del tutto nuovo, anzi, all’inizio non aveva nemmeno provato paura.. aveva visto la sua espressione felice quando era arrivata.. aveva protestato, all’inizio, con la voce strozzata le aveva chiesto, più volte, quali fossero le sue intenzioni e poi, all’improvviso, aveva smesso di agitarsi, ribellarsi. Era diventata una facile preda, un piacevole giocattolo con cui si era divertita, e che ora voleva scoprire, conoscere.. che, forse, non avrebbe ucciso se non quando non si fosse stufata di giocare con lei, se non quando avesse decretato che fosse arrivato il momento giusto.

Aprì gli occhi di controvoglia, raggiungendo con le lunghe dita il pugnale nascosto tra le coperte. Non stava guardando, eppure la sua mano lo raggiunse subito, come se fosse stata perfettamente consapevole della sua ubicazione. Lo portò davanti al viso, passandolo da una mano all’altra e sorrise, divertita e soddisfatta, quando notò che la sua punta era leggermente sporca di sangue; pulì la lama con l’indice e lo portò alle labbra, poi, senza alcun preavviso, lo scagliò contro la parete che aveva davanti, conficcandolo con forza tra le assi di legno ricoperte dalla carta da parati a righe chiare.
Allargò infine le braccia, girandosi tra le coperte fino ad abbracciare il cuscino stropicciato che aveva accolto il capo dell’altra per tutta la notte. Ne sentiva il forte profumo di lavanda e rosmarino e sorrise nel ricordare che quell’odore caldo e familiare avesse fatto da sfondo ad una notte sicuramente calda, ma che non aveva avuto nulla a che fare con tutto il resto: guardandosi attorno vedeva spazzole d’avorio, fiori secchi in vasi dipinti a mano, cuscini di pesante tessuto decorato. Una stanza elegante, linda.. che era stata palcoscenico di una notte infuocata.

Lei era la donna degli estremi, lei era la donna di contrasti.

Il fuoco brucia meglio quando è l’acqua a fomentarlo.

Lei si sentiva come fuoco greco in quella stanza. Quella ragazza era ciò che aveva sempre cercato, inseguito.. il lato di sé che aveva sempre soffocato, fino ad ucciderlo. Era lei ciò che le era sempre mancato. Quella ragazza le serviva.. per qualche scopo che lei non conosceva.. ma le serviva. Anche solo per un’altra notte di passione come quella trascorsa.

Sì, forse l’avrebbe aspettata in quella stanza tutto il giorno, finchè lei non fosse tornata a casa. Non c’era motivo di attribuire la sua assenza ad una ragione negativa, in fondo non poteva certo dire che non avesse apprezzato.

Ne aveva le prove: aveva sentito il loro affiatamento, lo aveva percepito, toccato e respirato. Quella ragazza avrebbe potuto tutto, tranne negarlo.. avrebbe letto nei suoi occhi e lei si sarebbe piegata. Non era stata forse lei la prima ad essere felice della sua presenza? Non era stata forse lei ad accoglierla con un sorriso? Non era forse stata lei a ricordare il suo volto per prima? Non era forse stata lei a non provare paura nel vederla? Era stata lei, sempre e solo lei. Non doveva fare altro che assecondarla.

Si alzò dal letto, lasciando cadere le coperte a terra ed afferrò la sua pelliccia dal pavimento, rovistò a lungo tra le tasche ed estrasse un portasigarette in argento, intarsiato, dal quale tolse una sottile sigaretta con bocchino ed un fiammifero per accenderla. Immaginò che nessuno avesse mai fumato in quella stanza ed immaginò anche che quella dolce ragazza glielo avrebbe impedito se solo fosse stata là.. ciò la divertì molto e, con un sorriso, sputò verso il soffitto una nuvola di fumo densa e bianca.
Passeggiò tranquillamente per la stanza, facendo scorrere il suo sguardo sui mille oggettini contenuti in essa: storse il naso nel vedere gli enumerabili oggetti antichi che la adornavano, che spaziavano da lampade ai mobili, da specchi a spazzole, da cuscini a portafoto.. Quella ragazza doveva proprio essersi innamorata follemente di lei se possedeva una foto di loro due sulla cassettiera. Come poteva non ricordarsi di una relazione così duratura? Possibile che fosse sempre sotto effetto di alcool o droghe mentre la frequentava? Eppure non c’erano altre spiegazioni: non ricordava di quella foto, non ricordava di quella ragazza, non ricordava nemmeno il suo nome.. e da sobria non avrebbe di certo mai indossato quel maglioncino rosa che sfoggiava con così tanto orgoglio.

La donna prese in mano la cornice, osservando da vicino le persone della foto. Si vedeva tanto giovane.. forse era stato prima dell’incidente. Sì, non poteva esserci altra spiegazione. Forse quella relazione che doveva essere stata tanto lunga, profonda e duratura era stata prima del suo lungo periodo di coma e convalescenza: aveva perso anni di vita dopo che quel suo incarico l’aveva colta alla sprovvista, quasi all’inizio della sua carriera, e le aveva sparato un colpo dritto in testa. Era sopravvissuta per miracolo. E ne era uscita con dei buchi nei suoi ricordi e nella sua vita, una sete di sangue più forte di prima, un animo bellicoso e un sano desiderio di vendetta.
Da quel giorno non si era lasciata cogliere di sorpresa nemmeno una volta. Aveva ucciso tutti, specializzandosi in tutte le discipline conosciute. Aveva sempre adempiuto al suo dovere.. fino alla sera prima. Ma non di certo per una sua debolezza, anzi.. era stata una sua scelta. E lei ne andava fiera.

Posò la cornice e portò nuovamente la sigaretta alle labbra. Prese profondi respiri, osservando il suo corpo nudo allo specchio, velato dal fumo bianco che soffiava dalla bocca. Poteva ricordare ogni cicatrice ed ogni taglio.. eppure ciò che la fece sorridere furono i segni delle unghie più recenti, i lividi sulla sua pelle bianca che si stavano formando, giovani e scuri sui suoi fianchi e sulle sue braccia. Quella ragazza era stata una rivelazione in tutti i sensi: così composta, raffinata, come quella stanza.. e che poi, nel buio della notte, si era trasformata nella più selvaggia delle amanti, fino ad addormentarsi accanto a lei come un’adolescente alle prese con il primo amore. Non riusciva a capire quella ragazza, per quanto si sforzasse.. e le piaceva così.
Tutto quello era estremamente misterioso, affascinante, eccitante, nuovo e soprattutto divertente.
Non sarebbe potuto durare a lungo, però, quello era chiaro. Come potevano convivere due persone tanto diverse come assassino e vittima? Come avrebbe potuto continuare a fare ciò che le piaceva di più, come poteva continuare ad essere una spietata killer indipendente e dal cuore ghiacciato se c’era lei? Come poteva continuare ad essere miss Hellfire? No, non poteva durare a lungo.. ma per un periodo sicuramente. Un periodo di pausa da tutto il resto. La sua piccola selvaggia, nuova, strana e divertente distrazione.

Quella ragazzina era diventata il suo giocattolo, la sua preda e ciò che le piaceva di più era che lei glielo lasciava fare. Doveva solo ricordare il suo nome. Ingannarla ancora un po’ perché le permettesse di giocare ancora.

Certo, quella svolta decisamente inaspettata le aveva fatto cambiare i piani, eppure lei continuava ad essere miss Hellfire: lei doveva guidare, non essere condizionata. Lei doveva avere in mano la situazione, come sempre, lei doveva comandare, lei doveva avere il controllo.. e, per farlo, le occorreva solamente una parola. Doveva conoscere il suo nome per poterle provare che i suoi ricordi vivevano ancora nella sua mente, forti quanto come quelli della brunetta, doveva dimostrarle che anche lei provava gli stessi profondi e potenti sentimenti che lei nutriva nei suoi riguardi. Doveva, perché quello era l’ennesimo inganno, l’ennesima farsa, l’ennesimo gioco che le avrebbe permesso di dominare.. uno dei pochi incarichi e delle rare situazioni che le permettevano di mettersi alla prova in tutti i campi che più le piacevano. Non si sarebbe certo tirata indietro adesso.

Passò distrattamente la mano libera sulla superficie liscia e fredda del marmo della toeletta, sistemò le boccette di profumo in modo che fossero perfettamente allineate e sorrise ai piccoli peluche e bambole di pezza che le sorridevano con espressione anonime e vuote, schierati davanti allo specchio.

Espirò ancora una volta.

Poi la vide.

Una cartolina bianca, in bella vista tra le zampe paffute di un orsacchiotto dal pelo rovinato a causa degli anni

«Piper..» lesse con voce sottile, quasi dolcemente. Un sussurro così lontano dal suo usuale tono di voce. Era dunque quello il nome della fanciulla? Doveva essere così: altrimenti non si spiegava perché avesse subito provato qualcosa nel pronunciarlo, perché le sembrasse così familiare, così bello. Tutto tornava, tutto era chiaro.

Quella fanciulla era stata un tassello importante nella sua vita e lei l’aveva scordata. Tuttavia, come diceva sempre sua madre – era sua madre? – “tutto accade per un motivo” e forse Barbas, inconsapevolmente, le aveva affidato quella ragazza, quella Piper, perché così aveva voluto il fato. I loro cammini erano stati destinati ad incontrarsi di nuovo e quello era stato il momento propizio.

Carezzò quelle lettere con l’indice della mano, stringendo le labbra attorno al bocchino ed inspirando ancora e ancora. Fu solo quando voltò la carolina che trasalì.

Spalancò le labbra, il suo cuore in preda all’agitazione e alla paura.
Riconosceva bene quell’opera riprodotta su carta scadente: “L’urlo di Munch, 1893, galleria nazionale di Oslo, valore d’asta circa 100 milioni di dollari.” Pensò meccanicamente, senza preoccuparsi troppo da dove potessero provenire quelle informazioni. Quel dipinto era da sempre stato considerato emblema della solitudine, dell’angoscia, dell’abbandono.. il ritratto della paura stessa.

«Barbas.» sibilò a denti stretti.

Spense la sigaretta pestando il piede con un gesto deciso, adirato, incurante della cenere ancora accesa che stava già bruciacchiando le setole più esterne del tappeto. No, questo Barbas non avrebbe dovuto farlo. L’aveva tradita, l’aveva sottovalutata.. e lei non lasciava mai impunito tale errore. Aveva già ucciso parecchi suoi mandanti, lui non avrebbe fatto certo eccezione.

Il suo sangue ribolliva, carico d’odio, ira e di vendetta. Indossò i suoi abiti di pelle nera, la pelliccia, gli occhiali da sole e si legò i capelli in una lunga treccia. Le armi erano al loro posto. Avrebbe inseguito quell’uomo spregevole fino all’inferno se fosse stato necessario e l’avrebbe salvata, l’avrebbe portata a casa sua, al 1329 di Prescott Street. Era il suo giocattolo, solo il suo. E lei non aveva condiviso mai niente con nessun altro.

Barbas aveva aperto la stagione di caccia e lei avrebbe agguantato la preda migliore.

   
 
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