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Autore: marwari_    29/01/2016    1 recensioni
Prudence Halliwell non esiste pił.
Risponde ora solamente all'appellativo di "Miss Hellfire".
{Prue/Piper}
|Se non approvate questa ship, non proseguite nella lettura. Per chiunque voglia procedere, leggete e recensite! Sono assolutamente aperta a critiche, chiarimenti e discussioni intelligenti. Buona lettura!| - finale aperto
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash, Crack Pairing | Personaggi: Barbas, Piper Halliwell, Prue Halliwell
Note: Lime, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest
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Capitolo 3 – bambolina

Portò gli occhiali da sole sulla punta del naso, abbassando appena il capo perché potesse vedere attraverso il buio del garage: la lampadina solitaria che penzolava sulla sua testa non era ovviamente abbastanza per illuminare sufficientemente l’ambiente, perciò lasciò la porta socchiusa.    
Osservò a lungo tutti gli attrezzi che riposavano impolverati negli angoli, alcuni coperti malamente da teli di plastica. Vedeva biciclette per bambini, vecchi tagliaerba arrugginiti, e ciò che le premeva di più, al centro del fatiscente edificio.

Non guardò nemmeno la Jeep parcheggiata sulla destra, dirigendosi direttamente verso la Mazda decappottabile con il tettuccio abbassato. Avrebbe preferito una macchina sportiva, sicuramente, ma quello non era il momento di storcere il naso.

Si chinò sotto il volante, spostando indietro il sedile e prese il coltellino svizzero da uno degli scompartimenti segreti nella fodera della pelliccia; lo fece scattare con un gesto veloce e trovò il tempo per sorridere, nonostante l’agitazione e la preoccupazione, per il sottile sibilo che la lama aveva prodotto nello sferzare l’aria viziata del garage.

Le sue dita esperte quasi la precedevano nei movimenti, intanto che districava i fili ricoperti di plastica e gomma colorata, individuava quelli giusti e, con un gesto preciso e veloce, interrompeva le connessioni che le interessavano. Le ci vollero pochi minuti prima di riuscire a ricollegarli, isolarli e rimetterli al loro posto mentre sul suo volto si dipingeva spontanea un’espressione soddisfatta e compiaciuta, non appena le sue orecchie furono piacevolmente solleticate dal rombo roco e cupo del motore in accensione.

Si sedette al posto di guida e partì sgommando per il vialetto, incurante del gruppo di adolescenti costretti a buttarsi per terra nel tentativo di evitare di essere investiti.      
Guidò veloce, incosciente ed sfrontata per le vie di San Francisco, alla vista delle macchine ammaccate e delle persone urlanti che si lasciava alle spalle. Aveva osservato più volte, compiaciuta, le nuvole di fumo nello specchietto retrovisore, dalle quali spuntavano macchine malandate, ammaccate, in fiamme, persone urlanti ed colleriche verso quell’automobile decappottabile sgusciata fuori dal groviglio di rottami con un’abile sgommata.  

I suoi pensieri erano focalizzati su Barbas, Bane, su quello che avrebbero potuto farle, come punizione della sua negligenza verso il lavoro assegnato, oppure solamente per divertimento. E se era come immaginava lei, sarebbe andato tutto a discapito di Piper. Sicuramente stavano pensando di tenerla in pugno, di avere la vittoria ad un passo da loro, forse pensavano che l’indifesa ragazzina era la perfetta merce di scambio.        
Ed era proprio lì che si sbagliavano: Piper era il suo giocattolo, la sua preda e nessuno si sarebbe divertito con lei al posto suo.. li avrebbe uccisi senza battere ciglio, se solo le avessero torto un capello. Ma no, chi voleva prendere in giro? Li avrebbe uccisi comunque, senza pensarci, perché nessuno poteva osare tanto, nessuno aveva mai osato sfidarla e quei pochi stupidi che avevano tentato, non avevano avuto il tempo nemmeno per rimpiangere la loro ottusa decisione.

Piper.. lei era solo una motivazione in più per premere il grilletto.

 

Sterzò di colpo, lasciando una vistosa striscia nera sull’asfalto di fronte all’edificio elegante e sofisticato. Stonava vistosamente in mezzo a quegli uomini in giacca e cravatta, quasi si sentiva quasi fuori luogo. Eppure non ne aveva motivo.. era solamente un sicario in mezzo a tanti altri sicari con armi nascoste sotto stoffe pregiate e di velluto, nel quartiere più importante della città in quanto affari.       
Esattamente come la regola fondamentale dell’assoluta segretezza, l’arte del camuffamento lì era di casa. L’identità di ognuno di quei pericolosi assassini era a tutti sconosciuta. Ci si chiamava per nome, un nome che bisognava aver guadagnato in anni di servizio, per buona condotta ed ottima reputazione da killer. Si parlava spesso in codice, per formule che tutti avevano studiato e comprendevano e al minimo sospetto si veniva tolti di mezzo con una pallottola in mezzo agli occhi.        
Era una società pericolosa, ma pagava bene e lei non se ne era mai lamentata.

Salì i pochi gradini d’ingresso ed osservò i finti uomini d’affari con le loro 24 ore piene, presumibilmente, di dollari, chiacchierare animatamente all’interno e fuori dell’edificio, attraverso le ampie vetrate infrangibili. Si svolgeva praticamente tutto alla luce del sole e non avevano mai avuto dei guai. Aveva presto imparato anche lei che meno celava i suoi loschi affari, meno attenzione avrebbe attirato.      

E per la stessa ragione si era concessa un attico di lusso, macchine veloce, abiti e gioielli sontuosi, senza far segreto del suo denaro e del suo benessere. Nessuno aveva mai sospettato di lei, nessuno aveva mai controllato i suoi giri d’affari e nessuno si preoccupava di lei.. tranne il suo capo. E quella era l’unica nota stridente nella sua vita perfetta: si era unita a quel circolo solamente per essere pagata meglio, eppure, incarico dopo incarico, si era sempre sentita più parte di una fabbrica, una pedina che altri usavano, un’arma da comandare a piacimento in cambio di denaro.         

Lo aveva sopportato fino ad allora perché il confine non era ancora stato varcato.       
Non avrebbe più eseguito ordini, non avrebbe più accettato commissioni da loro, si sarebbe riappropriata del suo giocattolo, avrebbe dato loro una lezione e sarebbe tornata alla sua vita, quella da sicario, senza legami e senza società da cui dipendere.

Si diresse a passo sicuro verso l’ingresso, attendendo che le porte scorrevoli la lasciassero entrare. Il portiere le rivolse un’occhiata impassibile

«Hellfire.» non si voltò quando uno degli uomini di Bane cercò di attirare la sua attenzione. Loro erano gli unici che vestivano come pompose guardie del corpo ed erano gli unici ad essere riconoscibili

«Non ho tempo adesso.» sibilò tra i denti, dirigendosi verso l’ascensore. I due la seguirono senza fare complimenti

«Il signor Bane si chiedeva che fine avevi fatto.» disse il più alto e lei osservò il suo sorriso irrisorio crescere sulle labbra sottili

«È gentile a preoccuparsi per me.» attese che l’ascensore fosse sgombro, poi vi salì sopra, voltandosi verso i due ed impedendo loro di entrare «Vedrà da sé che so badare a me stessa.» concluse, schiacciando senza guadare il pulsante del 20° piano.

 

Aveva preparato tutte le sue armi con cura, come in un rituale, mentre i piani scorrevano veloci sotto i suoi piedi. Era pronta a sparare, se necessario, aveva il pugnale a portata di mano, i suoi piccoli e discreti shuriken nascosti nel corpetto ed altri subdoli oggettini sparsi dovunque. Tutto si poteva dire di lei, tranne che poteva venir colta alla sprovvista.
Quando l’ascensore arrestò la propria corsa, la donna sfilò lentamente gli occhiali e li lasciò su uno dei tavolini appoggiati contro il muro, in mezzo a due vasi antichi ricchi di fiori freschi e profumati. Si prese tempo per studiare l’ambiente circostante: le deboli luci da pareti, i pochi angoli presenti e i mobili che occupavano ogni nascondiglio perfetto per un eventuale agguato o sparatoria. Quel luogo, era evidente, era stato creato appositamente per regalare un vantaggio ai proprietari.. chiunque si fosse trovato nella sua situazione avrebbe compreso che il tentativo di uccidere Barbas o Bane sarebbe stato un suicidio.. un’opera impossibile. Ma lei non si era mai fatta intimidire e non avrebbe cominciato proprio allora.

I corridoi erano silenziosi, forse troppo e più avanzava, ascoltando il sordo rumore dei suoi tacchi sulla passatoia bordeaux, più la tensione saliva, facendo tendere i suoi muscoli e le sue orecchie già in allerta; non poteva certo escludere la presenza di telecamere nascoste e quasi poteva immaginare i volti beffardi e divertiti di quei due mentre attendevano come avvoltoi il momento giusto per scatenare i loro scagnozzi armati.

L’ufficio era sempre più vicino, il silenzio sempre più assordante e si ritrovò a pensare, senza praticamente rendersene conto, se quella Piper non fosse già perita in mano loro. Cosa avrebbe fatto allora? Li avrebbe ammazzati e poi? Non avrebbe ottenuto il suo piccolo e prezioso trofeo.. Ma no, né Barbas né Bane si comportavano in quel modo, esattamente come lei: se si fosse trovata nella loro situazione, se il suo compito fosse stato quello di punire qualcuno, di certo non avrebbe tolto di mezzo l’oggetto del suo desiderio.. la sofferenza e il divertimento, soprattutto, sarebbero stati troppo modesti.

Arrivò di fronte alla pota chiusa, attese qualche istante e sollevò la gamba destra, calciando con tutta la sua forza sulla maniglia e sulla serratura. Socchiuse le palpabre, per evitare che delle piccole schegge, ancora in aria, le infastidissero gli occhi

«Cerco Bane.» disse telegrafica e i due uomini, allertati e colti alla sprovvista, si affrettarono ad agguantare le loro armi «Ho un appuntamento.» disse sprezzante, afferrando saldamente un fermalibri in marmo e colpendo il primo uomo dritto alla tempia. Il secondo la stava tenendo sotto tiro con una pistola silenziata.

La donna sorrise, lasciando cadere la sua arma e si voltò verso di lui toccandosi i denti con la lingua; il ciuffo corvino della scarna frangia le era ricaduto sugli occhi «Cosa state sorvegliando?» domandò con un filo di voce, portando le mani accanto al capo. Non vedeva Bane, non vedeva Barbas.. non vedeva nemmeno una cassaforte in qualche angolo della stanza. In effetti non vedeva niente, nemmeno un motivo per cui due uomini armati e altamente addestrati dovessero trovarsi proprio lì.

Osservò attentamente le mani salde del suo avversario e non appena lasciò diminuire, anche di pochissimo, la presa sull’impugnatura dell’arma, la donna si abbassò, tendendo la gamba sinistra verso l’uomo e colpendolo alle caviglie. Avrebbe dovuto trovarsi disteso per terra, confuso e con l’espressione intontita.. eppure lui era già scattato in piedi prima di lei, le aveva lanciato un’occhiata fulminea ed era sparito dentro la parete.

La donna guardò attonita il muro.       

Ne aveva visti di passaggi segreti, lei era la prima a possederne nel suo appartamento, in caso necessitasse di una fuga rapida, ma non ne aveva mai visti di così ben riusciti: non si vedevano affatto i confini della porta e non si vedevano usure sul pavimento. Lei per prima non avrebbe mai pensato ad un passaggio segreto proprio in quel punto.

Piegò le labbra in una smorfia soddisfatta e curiosa, pensando che forse, per la prima volta, il nemico possedeva armi e mezzi più sofisticati dei suoi. Sarebbe stata una prova decisamente interessante.

Si sistemò la pelliccia sulle spalle e carezzò l’impugnatura della sua pistola con le dita, prima di avvicinarsi restia al muro. Allungò l’altra mano e spalancò gli occhi sorpresa ed incuriosita quando vide le sue dita scomparire, inghiottite da quella materia così soffice e malleabile da sembrare inesistente.      

Si modellava sulla sua pelle, quasi come un’illusione ottica.         

Ecco cosa doveva essere: un’illusione ottica, non c’erano altre soluzioni.

Allungò il piede e, trattenendo il fiato, si gettò dall’altra parte, socchiudendo appena gli occhi

«Codardo!» la voce di Barbas le riempì le orecchie, attirando la sua attenzione. L’unica cosa che riuscì a scorgere di quell’uomo, o quello che ne rimaneva, furono le sue poca ossa carbonizzate da fiamme alte e gialle. La donna si chiese quale nuovo tipo di bomba fosse e dove potesse procurarsene alcune «Miss Hellfire.» Barbas si stava strofinando le mani con aria compiaciuta, lei avanzò con passo lento verso di lui

«Questo sarebbe il tuo angolino segreto..? O dovrei dire il vostro?» più si guardava attorno, più si chiedeva come due persone ricche e facoltose potessero rifugiarsi in un antro buio, umido e spoglio come il ventre di una caverna. Fu sufficiente una rapida e discreta occhiata al gruppo di uomini più avanti per capire che, con molta probabilità, ciò che bramava si trovava là. Respirò cautamente, cercando di non mostrare verso quale direzione fosse realmente rivolto il suo interesse

«Sei venuta a farci visita?» la voce flautata di Bane riecheggiò tra le pareti scure per qualche istante

«Avete qualcosa che mi appartiene.» rispose sintetica lei, mostrando appena i denti stretti

«Qualcuno che non ti sei guadagnata.» ribadì Barbas, muovendo teatralmente le braccia come suo solito. La donna si trattenne a stento

«Ho chiuso con voi.» l’uomo dai capelli grigi piegò le labbra in una finta espressione infelice «La rivoglio, ora. Altrimenti..»

«”Altrimenti” cosa?» Bane sembrava essere stato punto sul vivo, lei gli sorrise

«Altrimenti vi uccido.» Barbas fu il primo a ridere beffardo, il suo compare lo affiancò con un risolino appena accennato «Non mi sfidate.» li avvertì lei, ma senza successo.

A differenza del suo capo, Bane aveva sfoderato la sua pistola e, senza prendere nemmeno la mira a dovere, le aveva scaricato addosso una raffica di colpi che non andarono a segno.     

L’assassina con la quale si stava confrontando era agile, preparata e sicura di sé. Avrebbe fatto di tutto pur di riottenere il suo giocattolo, avrebbe fatto di tutto pur di vendicarsi.    
E lo fece: non appena si sentì alle strette, portò una mano al petto, strinse il suo fidato shuriken tra l’indice e il pollice e lo lanciò contro Bane con un gesto veloce e preciso.

Sorrise nell’udire il sottile sibilo dell’arma e poi il lamento soffocato di Bane, il quale, invano, cercava di estrarre il piccolo oggetto di metallo dal suo torace. L’uomo stramazzò al suolo dopo pochi istanti, mentre il suo sangue sgorgava veloce dalla ferita

«Molto brava.» la voce di Barbas era accanto al suo orecchio. Si era quasi completamente scordata della sua presenza. Si sentiva in sua balia, impotente, come ogni volta che le sue dita ossute le stringevano il braccio, come ogni volta che quei piccoli occhi chiari si fissavano nei suoi, come ogni volta che il dorso della sua mano destra scorreva davanti al suo viso.   

Come aveva potuto permettere che si avvicinasse tanto a lei? Come aveva potuto abbassare la guardia proprio quando si trovava così vicina al suo obiettivo?

«Non puoi sconfiggermi.» sibilò lei tra i denti, cercando strenuamente di combattere contro il suo corpo che, pigramente si stava piegando al volere di quell’essere

«La tua paura più grande..» continuò con voce perentoria, vittoriosa «È che qualcuno scopra la tua vera identità.» la donna lo guardò a lungo: aveva ragione.       

In tutti quegli anni aveva ucciso persone e lo aveva fatto ogni volta con un volto ed un’identità differente; spesso, nelle giornate più nere, si ritrovava davanti allo specchio con una bottiglia in mano a rivolgersi domande sulla propria identità, sulla propria vita, sulla propria esistenza. Era nata per uccidere e forse il mondo l’aveva accolta per quella che era, per una donna dalle mille facce, oscura e misteriosa. Aveva celato il suo viso così tante volte che stentava a riconoscerlo persino lei.          

Eppure.. eppure qualcuno c’era che teneva a lei. Qualcuno che l’aveva accolta per quella che era, qualcuno che aveva fiducia in lei, qualcuno che avrebbe messo la propria vita nelle sue mani. Qualcuno che l’aveva guardata negli occhi e non l’aveva temuta.       

Qualcuno che, forse, l’aveva amata.. e che probabilmente avrebbe continuato a farlo, nonostante lei lo ritenesse solamente un gioco divertente.           

Curioso come la sua preda, colei che avrebbe usato e poi ucciso di lì a poco, si fosse trasformata nella sua salvezza. La risposta era lì vicino a lei, a pochi metri di distanza.
La risposta era un giocattolino inerme che rispondeva al nome di Piper.          

Osservò Barbas a lungo. Poi sorrise.

Le apparve, forse per la prima volta, confuso.

«A quanto pare qualcuno ti ha preceduto, Barbas.» disse infine lei, trionfante «Qualcuno mi conosce già per come sono. E non prova paura. Come non ne ho io.» vide nuovamente il dorso della sua mano destra passare sui suoi occhi, una, due, tre volte. Barbas non aveva più potere su di lei «Io non ho paura.» ripetè, più forte, certa che quelle parole sarebbero bastate per sconfiggerlo e così fu. L’aveva tenuta in pugno per anni, con le sue paure. Era stata l’arma segreta di Barbas con tutti, in quell’enorme stabile.. ma ora non avrebbe mai più comandato su di loro, su di lei specialmente. Aveva combattuto la paura con l’unica cosa che il suo giocattolo poteva offrirle: l’amore.

«Hai vinto la battaglia.» Barbas stava sorridendo in modo strano. Agitava l’indice con fare quasi orgoglioso, come un padre che vorrebbe denigrare la bravata del figlio e finisce per lodarla. Si era arreso così? «Ci rivedremo, mia cara strega.» disse con voce tranquilla, dandole le spalle e sparendo oltre la porta invisibile che celava quel tetro nascondiglio.
Si sarebbe aspettata grandi uscite di scena, guardie che giungevano da ogni lato, colpi d’arma da fuoco, coltelli lanciati da ogni dove.. era quasi delusa dall’uscita del suo temutissimo capo ed era spaventata, perché non era riuscita a comprenderlo. 

«Come se fosse il peggior epiteto con il quale io sia stata chiamata.» commentò la donna, camminando con noncuranza sopra le ceneri sparse sul pavimento e dirigendosi svelta verso il piccolo antro che aveva notato in precedenza. Con suo grande dispiacere, notò che gli uomini che presidiavano quella squallida cella, erano sfuggiti.

«Piper?» chiamò incerta, l’orecchio appoggiato al freddo metallo che costituiva una porta storta e massiccia

«Prue?» sorrise spontaneamente sentendosi chiamare in quel modo, perché oramai lo associava al volto di quella ragazza. Doveva aver coniato quel nome prima dell’incidente, perché nella sua voce poteva distintamente percepire quella nota d’affetto capace di riscaldarle il cuore, in qualche modo. E se lei continuava a chiamarla così, anche allora, in passato doveva averglielo permesso.. non vedeva motivo per il quale proibirglielo. Una piccola gioia per il suo prezioso giocattolo: Piper sembrava essere tanto felice quando la chiamava così e lei non protestava. Era quella l’identità che voleva possedere per lei, solo per lei. Una faccia tra le mille solamente per Piper. «Sei tu..?» la sua voce era flebile, spaventata, quasi un pianto. Non le piacque. Dovette far ricorso alla maggior parte delle sue armi per riuscire a scardinare quelle serrature, ma alla fine riuscì ad aprirsi un varco.

Piper era stesa a terra, legata ed imbavagliata, tremante di freddo e di paura.
La donna le fu accanto in pochi istanti e la liberò velocemente. Ricambiò il dolce sorriso dell’altra con uno dei suoi più sinceri

«Ti riporterò a casa, non temere.» la rassicurò, poggiando appena le labbra sulle sue, in un morbido bacio.  
Era un bacio che sapeva di vittoria, perché aveva conquistato il suo trofeo, il simbolo della sconfitta di Bane e Barbas, la testimonianza che la vendetta di miss Hellfire era sempre fatale.           
Era un bacio che sapeva di casa, perché il 1329 di Prescott Street sarebbe stata la sua dimora per quella notte e quelle avvenire, fin quando non si fosse scoperta troppo annoiata.         
Era un bacio che sapeva di passione, perché aveva percepito la sua stretta sul suo corpo, quando le aveva tolto la benda e le aveva concesso di rifugiarsi nel suo abbraccio.    
Era un bacio che sapeva di lavanda e cannella, amaro e caldo, dolce e pepato, come la sua vita da quando l’aveva ritrovata.

Quasi si sentiva in colpa a doverla uccidere, un giorno. Sarebbe stato come tradirla.        
Eppure come poteva fare diversamente? Non poteva esistere Miss Hellfire se c’era amore nella sua vita, non poteva vivere temendo per la vita di qualcun altro. Doveva fare quello che andava fatto.. ma certo non avrebbe lasciato che altri giocassero con la sua preda. Era solo sua e non l’avrebbe divisa.     

E anche il suo giocattolo non avrebbe mai avuto occhi per altri. Glielo aveva detto, sussurrato all’orecchio la notte prima: sarebbe stata solo e solamente sua, per tutta la vita.
Com’era fragile Piper, così devota ed ingenua.

Il suo giocattolo preferito.. la sua bambolina.           

 

   
 
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