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Autore: IntoxicaVampire    22/01/2016    1 recensioni
«Ma... come fai?» gli chiesi, annebbiata da quel tepore. «Non fa male». Fissai il fuoco, che era basso e di un colore rosso intenso.
«Non ti farei mai del male, Rosalie».
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Alla Sky High, scuola per giovani aspiranti supereroi, Rosalie Frozehart, "Freeze Girl" con il potere del ghiaccio, è da sempre innamorata di Warren Peace, il ragazzo con il potere del fuoco. Ma Ghiaccio e Fuoco sono due Elementi opposti per natura, possono essi convivere senza distruggersi l'un l'altro? Il loro amore così contrastato potrà realizzarsi? Entrambi soffrono eppure è così difficile resistere a un amore reciproco così intenso...
Genere: Science-fiction, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Warren Peace
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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16. Sempre più vicini (e io intanto ho sempre più caldo)


Che caldo.

Caldo caldo caldo.

Che caldo assurdo! Mi stavo sciogliendo.

Ma dai! Non era possibile che a ottobre ci fossero quaranta gradi all'ombra e un sole che cuoceva i sassi. D'accordo, forse stavo esagerando, ma ricordiamoci che io sentivo il caldo molto di più di una persona normale.

Ero distesa sul pavimento fra la cucina e il salotto, in mutande e reggiseno. Almeno le piastrelle erano ancora fresche. Anche i gatti erano distesi poco distante da me, anche loro alla ricerca di un punto fresco.

Stavo soffrendo per davvero. Il caldo atmosferico era il mio più grande nemico. Dopo pranzo mi ero addirittura chiusa nel frigo per cercare di rinfrescarmi. Bevvi un grande sorso dalla bottiglia d'acqua da un litro e mezzo che avevo al mio fianco; era la terza che finivo quel pomeriggio. L'avevo circondata uno spesso strato di ghiaccio perché si mantenesse fresca. Avevo ricoperto anche la mia pelle con uno strato di ghiaccio, ma più sottile, come un velo, per aiutarmi a mantenere una temperatura corporea bassa, anche se più di tanto non potevo fare. Però un po' aiutava.

Non avevo le forze di fare nulla. Di disegnare non se ne parlava, e nemmeno di stare al computer a scrivere. Mi si sarebbero incollate le chiappe alla sedia se solo mi fossi posizionata lì.

Rotolai alla mia destra per cercare una zona di piastrelle ancora fresca.

L'unica cosa che ebbi forza sufficiente per fare fu controllare il cellulare, anche quello posizionato strategicamente nei paraggi, in modo da non dovermi alzare per andare a prenderlo. Mi era appena arrivato un messaggio: era da parte di Ashley, diceva che sarebbe passata di lì fra poco per portarmi il cd che le avevo chiesto. Diceva anche che quel pomeriggio andava a casa di Scarlett, e mi chiedeva se volevo andarci anch'io. Stavo per scrivere la risposta quando qualcuno suonò il campanello.

Già qui? Che velocità, Ash!, pensai.

Raccolsi tutte le briciole di forza che avevo e mi alzai. Con in mano il cellulare, mi diressi alla porta e l'aprii con lo sguardo ancora sullo schermo.

«Ciao Ash» dissi. Alzai gli occhi per salutare la mia amica, ma non mi trovai davanti chi mi aspettavo.

Era Warren. Che mi guardava con due occhi grandi così.

Lo fissai pietrificata.

Cosa.

Non ci stavo capendo niente.

Per la sorpresa mi sfuggì dal palmo un raggio congelante che trasformò il mio cellulare in un blocco di ghiaccio, ma la mia preoccupazione più grande era un'altra.

Lui non aprì bocca, ma percorse con lo sguardo ogni centimetro del mio corpo seminudo.

Contrariamente da ciò che mi spettavo, non si soffermò sul mio seno o sui miei fianchi, ma si concentrò più che altro sulla mia pelle, ancora ricoperta da un sottile velo ghiacciato. Ne sembrava particolarmente attratto.

Mi sembrò di intravedere una fiamma accendersi sulla sua mano destra, ma lui fu più veloce e la nascose dietro la schiena.

Lo guardai negli occhi. Non mi sarei mai aspettata una reazione del genere da parte sua. Forse il mio ghiaccio lo eccitava come il suo fuoco faceva con me? Non era un'opzione da escludere.

«Ciao Rosalie» disse infine. Aveva uno sguardo stranissimo in volto. «È il momento sbagliato?» Adocchiò il mio completino, per farmi capire a cosa si riferiva.

Ohmmiosantissimodio. Mi inventai qualcosa. «Ehm... avevo un caldo...!!!» Mi feci aria con la mano, nervosa. Più imbarazzata di così non potevo essere.

Warren concordò. «Sì, Joe mi ha detto che è stata Amber a far uscire questo sole cocente, perché voleva farsi una nuotata in piscina.»

Ridacchiai lievemente isterica. «Ma io quella lì la meno!!» dissi cercando di sdrammatizzare.

Lui continuò a fissarmi. Stava aspettando qualcosa. Alla fine me lo chiese, dato che io ero ancora scombussolata da quella situazione. «Posso entrare...?»

«Ehm... sì, certo» dissi, spaesata. Mi feci da parte, in modo che lui potesse passare. Misi il cellulare congelato fuori dalla porta, sotto il sole, in modo che potesse scongelarsi. Ci mancava solo questa..., pensai. Improvvisamente realizzai e mi girai verso Warren a chiedergli: «Aspetta, ma tu... cosa ci fai qua?!»

Mi guardò confuso. «Non ti ricordi che dovevamo studiare insieme?»

Buonanotte, Rosalie! «Ah già, è vero! Me ne ero completamente dimenticata!».

Lo osservai mentre andava vicino alla vetrata del salotto che dava sul giardino e si mise a fissare fuori. Notai che non aveva portato niente, né borse ne cartelle, ma in quel momento ero troppo disorientata per chiedermi il perché. Osservai il suo abbigliamento: indossava una canottiera e dei pantaloni da ginnastica lunghi. Aveva i capelli raccolti in un codino, così il suo viso era libero e potevo vedere i suoi bei lineamenti anche da dietro. Mi portai le mani in testa per cercare di concentrarmi: nelle condizioni in cui ero, non era proprio il caso di farsi venire strane idee.

Proprio in quel momento Warren si girò verso di me. Mi guardò un po' in silenzio, mentre io lo fissavo di rimando, poi mi si avvicinò lentamente, fin che si trovò a pochi centimetri da me. Allungò una mano e l'appoggiò sul mio bacino. Al contatto, lo strato di ghiaccio si sciolse ed evaporò all'istante. Warren aveva le mani caldissime in quel momento, sembrava che dovesse scaturirvi una fiamma da un momento all'altro.

«No, non ce la faccio» disse sofferente, e ritirò la mano. «Scusa, Rosalie. Io... devo andare.»

Fece per avviarsi alla porta ma io lo afferrai per il braccio. «No, aspetta!» Si girò a guardarmi. Aveva ancora quello sguardo combattuto in volto. «Se il problema sono i miei, ehm... vestiti, posso andare a cambiarmi!»

«Ma se ti vesti soffrirai per il caldo» controbatté. «Non vorrei che ti sentissi male.»

«Non voglio che tu te ne vada» affermai, più convinta. «Aspettami qui.»

Lui mi rivolse un mezzo sorriso e andò a sedersi sul divano. Feci per avviarmi verso il corridoio che portava alle altre stanze quando il campanello suonò di nuovo. Sempre più confusa, andai ad aprire la porta e mi trovai davanti Ashley.

«Ciao Rose, ho trovato il cd che stavi cercando!» mi salutò. Poi notò il mio abbigliamento chiese: «Che cavolo ci fai "vestita" così?»

«Ehm...» farfugliai, incapace di formare una risposta di senso compiuto, ma lei fu più veloce di me e notò Warren, che si era alzato in piedi, e mormorò un «Uh... oh...» Mi mise il cd fra le mani. «Ops. Ok è imbarazzante. Sono arrivata proprio al momento sbagliato.»

«Ma no, non è come pensi!» cercai di dirle.

«Potevi avvisarmi, però, eh.» Mi lanciò un'occhiata di rimprovero.

Le indicai il mio cellulare vicino alla porta, che pian piano si stava scongelando.

«Ah. Beh inutile che ti chieda se vuoi venire da Scarlett con me, direi che la risposta è abbastanza ovvia. Tieni pure il cd, adesso a me non serve.»

«Non dirlo a Ska, per favore!» la supplicai. Siccome Ash non aveva capito niente di quella situazione, chissà cosa avrebbe potuto inventarsi da raccontare a Scarlett.

Ash mi rivolse uno sguardo divertito. «Non credo che ce ne sarà bisogno: probabilmente i pensieri di Warren sono così rumorosi che Ska li sente fino a casa sua» sussurrò con un sorrisetto, dando un'occhiata a Warren, poi mi fece ciao con la mano e se ne andò.

Per la seconda volta quel pomeriggio, rimasi pietrificata sulla soglia senza capirci niente.

Ad analizzare meglio quella situazione, però, realizzai che molto probabilmente le parole di Ashley erano vere: io cercavo sempre di controllare i miei pensieri quando Warren era nei paraggi, per non rischiare di saltargli addosso, ma chissà cosa stava pensando lui adesso a vedermi quasi nuda. Sicuramente niente di casto.

Divenni tutta rossa al solo pensiero che Warren avesse simili fantasie nei miei confronti, e siccome lui in quell'esatto momento mi guardò negli occhi, l'effetto venne ampliato a dismisura. Corsi in camera mia prima di compiere azioni avventate.

Indossai un top scollato e un paio di pantaloncini corti. So che non era il massimo, ma più stoffa di così proprio non riuscivo a sopportare con quel caldo.

Tornai in salotto e appena varcai la soglia Warren mi guardò.

«Così va meglio?» gli chiesi.

Fece un lieve sorriso. «Come se quei vestiti ti nascondessero» mi fece notare, ironico.

Ridacchiai, sollevata che l'atmosfera si fosse alleggerita e mi sedetti di fianco a lui sul divano.

Fece l'ultima cosa che mi sarei aspettata. Mi sussurrò: «Vieni qui», mi prese per la vita e mi attirò a sé.

Le parole che dolcemente mi disse all'orecchio furono: «Così hai ancora più caldo o resisti? Sei molto fresca.»

Che domande. È ovvio che pur di stare con te mi andrebbe bene anche vivere nel deserto, scemo. «No, sto meglio così, grazie.» A quel punto non resistetti e gli strinsi le braccia al collo. Lui di per sé emanava un sacco di calore, ma in quel momento non me ne importava un tubo.

Warren a quel punto mi chiese: «Ma allora, se soffri così tanto il caldo...perché mi stai così appiccicata?»

Cercai una spiegazione. «No, io soffro il caldo atmosferico, ma mi piace quello corporeo.» Mi strinsi di più a lui, chiudendo gli occhi. «È come se aggiungesse i gradi che mancano in me».

Mi venne un'idea, se così si poteva chiamare: per rinfrescarmi avrei potuto mangiare una delle mie mentine extra-strong. Presi il pacchetto dal tavolino di fronte a noi, ne mangiai una e poi mostrai la scatoletta a Warren. «Vuoi?»

Arretrò. «Oddio, sono quelle dell'altra volta?» mi chiese terrorizzato. Ridacchiai.

Tuttavia ne prese una, più che altro per accontentarmi, dato che lui il caldo non lo soffriva.

«Come mai non hai portato i libri?» gli chiesi, curiosa.

«Perché per Scienze sono a posto, per ora. Oggi tocca a te».

Sospirai, rassegnata. Era arrivato il momento delle mie esercitazioni atletiche. «Va bene. Andiamo di sopra in mansarda, che c'è spazio e c'è il parquet, quindi non rischio di farmi troppo male».

Perciò salimmo al piano superiore.

Warren mi annunciò che "l'argomento" del giorno erano i combattimenti. Visto che a quanto pare Boomer ci aveva preso gusto con "Salva il Cittadino" (infatti ne aveva già programmati altri per i sabati a venire), Warren credeva fosse una buona cosa allenarsi per un'eveniente chiamata sul campo.

Siccome avevo fatto otto anni di corso di karate, quasi mi offesi quando disse che pretendeva di "insegnarmi a combattere".

Gli lanciai uno sguardo di sfida. «Guarda che io sono cintura nera di karate!» lo avvisai. Assunsi la posa da combattimento.

Warren, in piedi davanti a me, mi rivolse un'espressione furba, della serie "mostrami di cosa sei capace".

Non ne ero molto convinta, ma ci provai lo stesso. Cercai di tirargli un pungo indirizzato al suo viso ma lui lo bloccò proprio quando stavo per colpirgli il naso.

Tentai di divincolarmi ma mi girò il braccio e mi serrò i polsi da dietro.

Ecco, ora mi aveva immobilizzata, non potevo fare più niente. Rimanemmo così fermi per un po', lui dietro di me, mentre io meditavo sul da farsi. Improvvisamente, con mia grande sorpresa, lui mi attirò a sé, la mia schiena contro il suo petto, fino a quando sentii il suo respiro sul mio collo, e mi baciò lì.

Un miliardo di emozioni e impulsi arrivarono tutto d'un botto, come se dentro di me fosse esplosa una bomba. Per fortuna che non poteva vedermi in viso. Decisi di non dar a vedere la mia sorpresa e far finta di niente, anche se per compiere ciò mi ci volle uno sforzo enorme. Quello che veramente avrei avuto voglia di fare era girarmi e baciarlo. Sì, avvicinare le mie labbra alle sue e lasciare che il caldo della sua pelle si trasportasse nella mia, assaporare la dolcezza e la morbidezza delle sue labbra bollenti mentre lui mi esplorava il corpo freneticamente, infilare le mie dita nei suoi capelli e lasciarmi trasportare dalla passione...

Va bene, basta. Concentrazione.

«Eh no! Questo è tradimento!» lo accusai mentre ridevo, ma dalle mie risa traspariva il nervosismo che stavo cercando di reprimere.

Scattai e mi liberai dalla sua presa. Per contrattaccare feci un calcio alto ma Warren prontamente mi afferrò la caviglia. Porco cane, il ragazzo aveva dei riflessi spaventosi!

A causa della sua presa persi l'equilibrio e mi aggrappai a lui per non cadere, ma invece lo trascinai con me e atterrammo entrambi sul tappeto.

Ahia, non era stato morbido. Sentivo Warren pesarmi addosso e aprii gli occhi: lui era sopra di me.

Lo sentivo benissimo. Sentivo il calore della sua pelle, il suo profumo così inebriante, i suoi occhi profondi fissi nei miei, tutto insieme era un turbinio di emozioni che mi dava alla testa. Per me era troppo.

Lì in quel modo, così vicini, -e così attratti l'uno dall'altra-, avrei potuto compiere gesti avventati senza rifletterci due volte.

Soprattutto perché Warren aveva uno sguardo dolcissimo, che mi sciolse l'anima, con i miei occhi che si specchiavano nei suoi. Mi accarezzò una guancia e avvicinò il suo viso al mio: stava per baciarmi.

I due lati di me stessa (eh sì, mi sa proprio che ero bipolare) stavano combattendo arduamente fra di loro: uno voleva lasciare che le cose seguissero il corso naturale che ormai avevano preso, l'altro voleva mantenere la lucidità e prestare fede al "programma" che mi ero fatta per la relazione con Warren, affinché tutto fosse perfetto.

Alla fine il secondo prevalse, anche se in realtà avrei preferito di no. Senza quasi volerlo, girai la testa di lato, e Warren finì per darmi un bacio sulla guancia. Ansimai, subito pentendomi del mio gesto.

Lui mi guardò negli occhi, disorientato, ma io non volevo incrociare il suo sguardo. Mi stavo vergognando tantissimo della mia avventatezza, e già mi sentivo un'idiota.

«Rose?» mi chiese. Non risposi. Non volevo, e non sapevo cosa dire. Sospirò, si spostò da sopra di me e si sedette sul tappeto. Anch'io mi tirai su e mi sedetti con le gambe incrociate. Ero mortificata, mantenevo lo sguardo basso per non farmi assalire dai sensi di colpa. Warren era confuso, deluso.

«Ah... scusa...», cercai di rimediare.

«Cosa c'è?» mugugnò dolcemente. «Non vuoi stare con me?»

Non sapevo come spiegarmi. Andai per tentativi. «Non è questo... è solo che... non sono sicura di... ecco...»

Zero. Non mi venivano le parole. Osservai il suo sguardo e, ancora prima di interpretarlo, sentii i miei occhi diventarmi lucidi. Avevo voglia di piangere. E non penso sarei riuscita a resistere ancora per molto.

Warren, senza dirmi né chiedermi niente, mi abbracciò teneramente (sempre da seduti a gambe incrociate quindi era un po' un casino), poi mi prese la testa fra le mani e mi baciò in fronte. Accarezzò i miei capelli e sospirò. «Sei bellissima».

Si alzò in piedi, visto che io ero ancora immobile e che a quanto pare non avevo intenzione di muovermi di lì, e mi tese una mano per aiutarmi ad alzarmi. La presi e mi tirai su.

Warren mi guardò per qualche istante, in silenzio, studiando l'espressione del mio volto. Io cercai di sostenere il suo sguardo con tutte le mie forze, non volevo deluderlo ancora di più di quanto non avessi già fatto. Alla fine lui sospirò e disse: «Forse è meglio che me ne vada.»

Non attese la mia risposta, ma lo seguii mentre scendeva le scale a chiocciola che portavano al piano terra.

Si diresse alla porta e mi salutò. «Ti chiedo scusa se sono stato un po' invadente. Cercherò di stare di più nel mio spazio».

Iniziai a dirgli «No, non hai fatto niente di male, sono io che sono una stup...-» ma lui mi interruppe posandomi una mano sulla guancia. «Non serve che ti scusi. Non ti preoccupare.» Mi rivolse un sorriso. «Ci vediamo» disse, uscì dalla porta e sparì.

Rimasi a fissare la porta chiusa per un bel po', cercando di riordinare la confusione di pensieri che avevo in testa, con pochissimo successo. Avevo bisogno di un po' di tempo per riflettere.

In quel preciso momento suonò il telefono di casa e, dopo aver letto il nome sul display, risposi.

«Pronto? Ciao mamma.»

«Ciao Rosalie, volevo dirti che io e il papà stiamo arrivando a casa. Tu sei lì?»

«Ma mamma! No, guarda! Esco con il telefono fisso appresso» risposi con quest'espressione: -.-"

Rise. «Giusto. Bene, ci vediamo fra poco!»

«Ciao».

Riattaccai. Di solito ero sempre felice di rivedere i miei dopo che erano stati in missione per più giorni, ma questa volta era diverso. Non avevo nessuna voglia di dover rispondere a domande sul perché avevo quella faccia. A quanto pare il mio volto era talmente espressivo che solo dandomi un'occhiata si capiva cosa mi passava per la testa.

Udii una strana musichetta attutita provenire da poco distante, e mi ricordai del mio cellulare. Aprii la porta d'ingresso e lo raccolsi: ormai si era scongelato. Stavo ricevendo una chiamata da Ashley, così risposi. Ad essere sinceri, ero un po' innervosita per quello che stava per dirmi.

«Pronto?»

«Warren è ancora lì?» chiese Ash senza neanche salutarmi.

Mi venne un groppo in gola. Come vorrei poter tornare indietro nel tempo e fare in modo che lui fosse rimasto, pensai. «No» dissi, cercando di mantenere il mio tono di voce più neutro possibile.

«Guarda che con noi puoi parlare, Rose» mi rassicurò Ashley. «Le amiche servono a questo.»

Sorrisi, commossa. «Grazie Ash... però adesso non me la sento, scusami.»

«Ehi» disse, con un tono leggermente preoccupato. «Va tutto bene?»

Stavo per risponderle quando sentii dei rumori dall'altra parte della cornetta, e la voce che parlò dopo fu di Scarlett. «Ashley mi ha raccontato tutto» dichiarò.

Scossi la testa. Proprio come mi aspettavo. «Sì, chissà cos'ha capito! Guarda che non-»

Non mi lasciò finire che mi chiese: «Avete fatto sesso?».

Sgranai gli occhi.

Lei, dato che non rispondevo, fece: «Che c'è?»

Mi ripresi dopo qualche momento di shock. «Ma... ti rendi conto di quello che stai dicendo?!»

Ridacchiò. «Non tanto. Prima ho mangiato quattro pacchetti di biscotti».

Ecco spiegato l'enigma. «Capisco. Passami Ashley.»

«Dimmi» rispose subito. Probabilmente erano in vivavoce.

«Allontana Scarlett dai biscotti, sta straparlando.»

«Ma allora non l'avete fatto?»

Mi esasperai. «Ashley!! Anche tu adesso?!»

Ridacchiò.

«Ma se non ci siamo neanche baciati! Cosa vuoi che arriviamo direttamente ad andare a letto assieme!!!» esclamai, sconvolta.

Scarlett, che evidentemente si stava divertendo più del dovuto, raccontò: «Dai pensieri che urlava Warren fin qua a casa mia sembrava fossero quelle le sue intenzioni!»

Fu come se un fulmine mi squarciasse in due.

Però mi arrabbiai. «Ska, adesso smettila, sono già abbastanza in imbarazzo per oggi! Dai, domani vi racconto sennò non la finite più!»

Ashley mi aiutò. «Va bene dai, Rose, ci racconti domani. Sicura che non vuoi venire qui con noi?»

«Sicura. Anzi, fra poco dovrebbero arrivare i miei, voglio stare un po' con loro stasera.»

«Certo. A domani allora. Buonanotte.»

«'Notte Ash.»

Riattaccai.

Mezz'oretta dopo arrivarono i miei genitori. Li salutai con un abbraccio, e non mi fu difficile sembrare felice, perché lo ero davvero. Dopotutto mi erano mancati. Fui travolta da Black, che si mise ad abbaiare e saltellare tutto contento di rivedermi, mentre io gli sfregavo energicamente il pelo e lo grattavo dietro le orecchie. Era impaziente di entrare in casa e appena aprimmo la porta arrivarono di corsa Glitch e Pixel che fecero le feste al cagnone, che stava scodinzolando come un forsennato. Alla fine andarono tutti e tre in salotto, Black disteso sul tappeto e i gatti comodamente sdraiati su di lui, che facevano il pane sul suo folto pelo. Era una scenetta davvero tenera. Mi stupiva sempre come quei tre andassero d'accordo.

Aiutai i miei a portare in casa i bagagli e disfare le valigie, standomene perlopiù in silenzio. Di solito non avevo problemi a parlare con mia madre, le raccontavo quasi tutto, ma di Warren non mi andava di approfondire l'argomento. Anche perché lui avendo un potere così pericoloso, avevo paura che i miei fossero contrari all'idea che io lo frequentassi. Ma dopo il casino che avevo combinato quel pomeriggio, forse non avrei più dovuto preoccuparmene...

Per cena preparai io un risotto, e a tavola lasciai che i miei genitori mi raccontassero della loro missione.

Almeno quell'argomento mi avrebbe distratto dai miei pensieri pieni di rimorsi.

  
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