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Autore: marziaaadm    16/03/2009    6 recensioni
Benchè fossi sempre stata ispirata dalla mitologia e dai suoi racconti fantastici, quello che stava accadendo rasentava l'impossibile.
Accettarlo, significava ammettere di star impazzendo...o peggio essere già impazzita.
Ma cos'era che mi frenava tanto? Paura? Insicurezza? No! Chiunque, leggendo una storia così potrebbe benissimo affermare che avebbe accettato tutto senza troppi problemi, ma non siamo in un mondo fantastico, questa è la realtà e nella realtà non succede nulla del genere. Non esiste il principe azzurro, non esiste la fata turchina e non dovrebbero esistere nemmeno i licantropi e i vampiri...non dovrebberò,già.
Ma invece...esistono!
«E così cappuccetto rosso si innamorò del lupo cattivo.»
«No...non esiste...nessun lupo cattivo.»
Questa non è la solita storiella da innamorati.
Qui non troverete nessun lieto fine.
Che si alzi il sipario e le marionette inizino a danzare
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Prima di inziare a leggere vorrei apecificare che onde evitare di stressarvi traducendo il mio inglese maccheronico o strani tentativi di scrittura, metto i discorsi in glese tra " -", riportandoli in italiano. I discorsi in italino o latino così: -. Grazie dell'attenzione e buon divertimento.

Marzia.

» Il cielo si tappa il naso e la luna abbassa lo sguardo.
 Il vento ruffiano che bacia tutto ciò che incontra, si rannicchia ammutolito negli abissi per non sentire. 

 William Shakespeare- Otello


Cap.1 - Forks

 
Fino a quel momento la mia vita è stata davvero noiosa. Passavo il tempo a riempire il vuoto dentro di me. Mi sentivo inutile in un certo senso. Uscivo, studiavo, mangiavo,dormivo...era un circolo vizioso che non finiva mai. Mi sentivo prigioniera di me stessa: troppo debole per spezzare la catena che mi teneva legata ad una vita apparentemente perfetta sotto tutti i punti di vista. Avevo degli amici, dei conoscenti, ero una studentessa nella media. I ragazzi venivano e andavano e uscivo quando avevo tempo. Mi divertivo, avevo una famiglia che mi amava. Tutto quello che si potesse desiderare. Ma allora di cosa mi lamentavo? So solo che da quando ho incontrato Jacob Black, la mia vita è cambiata, ha iniziato ad avere un senso.

Oh...vi starò annoiando con la mia melodrammicità e sdolcinatezza.Non mi sono neanche presentata...che tipa! Meglio tardi che mai diciamo dalle mie parti. Piacere sono Marzia. Non penso vi interessi anche il mio cognome, data di nascita, stato sociale o quante volte vado al bagno! Ho ancora  quindici anni, anche se secondo il Nintendo Wii ne ho 72. Bhe, potrei andare a  fare la pubblicità della crema Olaz: ho 72 anni, si vede?

Ma tornando a noi, circa un mese fa, settimana più, settimana meno, visto che avevano chiuso scuola per disinfestarla dai topi ( t’ho guarda se mi tocca vive tra i sorci -.-), i miei genitori mi spedirono da mio zio Charlie Swan, il quale vive nella più triste e cupa città che abbia mai visto: Forks, in America. Non ho ancora capito il motivo, già il mio inglese era pessimo, mi mandano anche dove dovevo parlarlo per forza! Quando arrivai zio Charlie non aveva ancora avvertito Bella, mia cugina. Ero spaesata in un posto sconosciuto senza neanche un raggio di sole ad illuminarmi il cammino. La  prima impressione che ebbi di Forks non fu delle migliori.

Sembrava una di quelle città fantasma che si vedono sempre nei film dell'orrore. Tetra, grigia e deserta. Pioveva quando vi misi piede ed io odio la pioggia. La trovo così...bagnata.

"Piove, piove, piove...sai cosa fa? Piove!" mi ripetevo mentre osservavo il paesaggio boscoso e sinistro che si intravedeva dal finestrino posteriore, bagnato, della macchina. Probabilmente la città non era così male da come la stavo vedendo, sarà stata colpa del mio sbalzo d'umore, insolito per una Bilancia, fatto sta che volevo scappare, subito, teletrasportarmi se possibile. Forse se lo avessi desiderato il Capitano Kirk sarebbe venuto a prendermi. Ok , lo ammetto, la pazzia aveva preso il sopravvento su l'ultimo briciolo di ragione rimastami. Ero come un pesce fuor d'acqua, anche se lì di acqua ce n'era, anche troppa per i miei gusti.

La pioggia cadeva violenta sui molti alberi che circondavano le strade, e si abbandonava infine sulle vie solitarie.

A Forks vivevano più o meno tremila abitanti, e ciò mi rendeva ancora più depressa. Quanto avrei resistito nella solitudine?

Tutto ciò a cui sfrecciavamo davanti, sembrava tremendamente triste e silenzioso, perfino le persone. Morti viventi, anzi, i morti erano fin troppo arzilli al confronto. Era come se ci fosse una maledizione su quella città. Magari una strega cattiva aveva fatto uno strano incantesimo di cui le persone sono tutt’ora prigioniere. Ma che dico?! Queste cose succedono solo nelle favole. Darwin diceva che si ci abitua al luogo dove viviamo. Vedendo Forks me ne convinsi ancora di più.

Girare sulla vettura della polizia, per di più, mi faceva sembrare una criminale, ma, chissà perché alla gente non interessava se passava o meno la macchina dello sceriffo. Sapevo che gli Americani erano strani, ma non immaginavo fino a questo punto! A pensarci bene, forse ero solo io a vedere tutti quei difetti. Lo zio non fiatava. Il silenzio si tagliava con il coltello, e io mi sentivo terribilmente in imbarazzo, sia per la mancanza di una conversazione, sia per il fatto che la soggezione si impossessava di me quando dovevo  parlare una lingua che a malapena conoscevo.

Ero sperduta in un paese di cui sapevo solo il nome,ero limitata, spaventata e di certo il gelo tra me e mio zio non mi aiutava a sentirmi meglio. Mi ricordavo fosse un tipo piuttosto timido e introverso, ma, santo cielo, un po' di buone maniere le conoscerà anche lui! Chissà, magari questi intricati pensieri se li stava ponendo anche lui! La cosa era buffa sotto un certo aspetto. Sembravamo come i protagonisti di quei vecchi film comici in bianco e nero.

Imboccamo una stradina sdruccevole e non asfaltata. A Poco a poco stavo iniziando a gustarmi quel viaggio senza un'apparente destinazione.

Lo sgretolare della polvere e dei sassi sotto le ruote mi dava uno strano senso di adrenalina.

Una serie di curve.

Di primo acchitto quello che vidi fuori dalla vettura erano poche casette e macchine parcheggiate. Sembrava uno di quei paesini di montagna dove trascorrevo le vacanze estive. Mancavano solo i vecchi bisbetici che criticavano persino i sassi e i bambini che urlavano come barbari.

Zio si fermò davanti una casetta in legno, piccola, dall'aria trasandata ma con uno spiazzale piuttosto ampio e una specie di boscaglia sul retro. La mia conoscenza della flora è alquanto limitata, quindi perdonatemi se riporto descrizioni così superficiali.

Sinceramente immaginavo la casa di mio zio, un tantino  più lussuosa, o almeno più grande.

A capire avevo capito, un tantino, ma quello che non capivo era perché lo zio urlasse in quel modo. Ero straniera, mica sorda!

Benché quattro parole di inglese le conoscessi, mio zio mi guardò perplesso, colpa a mio avviso di un volgare accento romano.

Come un gentiluomo fa alla sua dama, scese e prese i miei bagagli, correndo sotto la pioggia torrenziale. Io lo seguii, maledicendo la pioggia e la parte dell'America che non conosceva gli ombrelli. Vi ho già detto che odio la pioggia? Bhè, mi pare il momento di ribadirlo!

Fortunatamente l'ingresso non era lontano. Mio zio mi aveva preceduta portando goffamente le mie due valige. Fortuna per lui mi trattenevo solo un mese. Mi diressi verso la luce che fuoriusciva dallo spiraglio della porta.

Al suo interno, la casa era modesta come fuori. Un divano, due poltrone, un televisore e un tavolinetto al centro della sala.

Scrutai quel nuovo ambiente, la sala aveva una strana aria accogliente e vecchio stile. Lo zio era scomparso, ma in compenso un signore sulla sedia a rotelle dai lunghi capelli argentei e la pelle bronzea mi sorrideva forzatamente. Accanto a lui, sei ragazzi alti, corpulenti e dai corti capelli corvini mi guardavano incuriositi, alcuni si davano addirittura dei colpetti con il gomito. Mi sentivo tremendamente in imbarazzo al centro di tutta quell' attenzione. Tanto per rilassarmi chiusi la porta dietro di me e quando mi rigirai sentii una forte presa stritolarmi.

- Mayetta! Che bello rivederti!-

La folta chioma caramello e liscia di mia cugina copriva la visuale. Era la prima cosa calda che sentivo da quando ero scesa dall'aereo. La abbracciai a mia volta stringendola forte a me. Adoravo mia cucina, era la mia amica oltreoceano. Siamo sempre state molto unite, forse perché avevamo gusti in comune o perché riuscivo ad ascoltarla senza giudicarla. Anche se ultimamente ci eravamo sentite molto poco. Addosso aveva uno strano odore, come quello...di un cane. Puzzare? Mia cugina?! Probabilmente era il cambio d'aria.

-Lei è mia cugina Marzia- iniziò a dire rivolta alla folla di fronte a me.

- Ciao - fu tutto quello che riuscii a dire sollevando gestualmente la mano. Era l'unica parola universale che sapevo avrebbero capito.

Li vidi sghignazzare...maledetto accento! Vedi tu se mi dovevo sentire in quel modo appena arrivata!

Probabilmente arrossii perché sentii Bella strofinarmi le spalle in modo rassicurante. Che fossero i miei vestiti a suscitare tutto questo scalpore? Un paio di jeans e un maglioncino azzurro non credo fossero tanto strani a vedersi. L'ho detto e lo ripeto, gli Americani sono fin troppo strani.

Provai a sorridere, anche se più che  un dolce sorriso sembrava avessi appena mangiato un limone. L'odore di cane bagnato ancora non era svanito, la casa era impregnata di un fetore che mi dava la nausea. Non mi era mai parso di essere così sensibile agli odori come in quel momento. Più mi avvicinavo a quegli sconosciuti e più l'odore si faceva forte e batteva nel mio naso come un tamburo. Stava diventando quasi insopportabile.

Strinsi la mano al signore, aveva una presa salda, ma la sorpresa più forte la ebbi nello stringere quella degli altri ragazzi. La presa era identica tra loro, forte e vigorosa, quasi stritolatoria e...caldissima.

Sembrava di toccare un ferro rovente. Feci finta di nulla sopportando in silenzio e mostrandomi forte. Uno dei ragazzi sembrava aver capito il mio bluff, mi guardò incuriosito e si leccò le labbra a mò di sfida. Che patetico. Avrei avuto voglia di provocarlo, ma era davvero troppo grosso per me, farlo spazientire non era la mossa più adeguata.

Non feci in tempo a finire il pensiero che  il ragazzo che sembrava più maturo e taciturno gli lanciò un'occhiataccia.

-Smettila Paul!- lo rimproverò. Il suo tono sembrò più simile a un ringhio che ad una voce umana.

Ero sempre più confusa. Il fetore mi dava alla testa e gli occhi iniziarono a infastidirmi. Quegli elementi mi provocavano strane reazioni fisiche, ma probabilmente ero solo allergica alla polvere che sporcava l'aria.

Tutto il mio disturbo era palpabile e non riuscivo ad evitare il nervosismo che cresceva costantemente.

C'era qualcosa, in quei nuovi personaggi, che non mi tornava, qualcosa di veramente strano e bizzarro, troppo per una persona comune. Probabilmente avrei dovuto spaventarmi e smettere di fantasticarci su, ma, al contrario, ne ero tremendamente affascinata.

Neque irasci, neque admirari, sed intelligere (non arrabiarsi, non stupirsi, ma comprendere) dicevano i latini ed io, degna figlia di quella cultura, non potevo sottrarmi a quell' incoraggiamento.

sghignazzò Paul dando gomitate al ragazzo di fianco a lui per poi tornare a soffermare il suo sguardo su di me. Sembrava volesse leggermi l'anima.

Quel suo modo di fare il simpatico, il tono di voce che usava e la sfacciataggine che aveva nel guardarmi mi davano il nervoso. Sentivo il sangue ribbollirmi nelle vene, ma trattenni il respiro e distolsi lo sguardo.

I miei occhi viaggiavano lungo le pareti consumate della stanza cercando non so cosa. Scrutavano i mobili, le finestre, ogni minimo oggetto per

cercare di calmare l'agitazione che quei ragazzi imponenti mi creavano. Mentre cercavo di tranquillizzarmi, il mio sguardo cadde su un piccolo oggetto, il quale a prima impressione suscitava interesse. Era poggiato sul tavolinetto antico vicino al divano, illuminato dal bagliore della abat-jour .

Era un braccialetto davvero particolare, costituito da legno di mogano lavorato, intagliato con grande precisione ritraeva decorazioni di stile indiano credo. E infine gli era legato un ciondolo molto bello, la testa di un lupo. Una testa grande e nera con due occhi bianche dalle pupille rosse disegnati ai lati ,, i denti che sporgevano erano grandi e minacciosi. Mi intrigava. Avrei avuto voglia di prenderlo e giocari, passarlo tra le dita, osservarlo, come fossi un bimbo che vede un nuovo gioco.

Era la prima cosa che mi piaceva in quella casa, però devo ammettere che ho sempre avuto un debole per lo stile “pellerossa”,

sapeva tanto di....indiano/selvaggio!

L'istante seguente mi voltai verso Bella,cercando un minimo di conforto,lei ricambiò lo sguardo, non sapendo se sorridermi o arrabbiarsi con Paul.

-Avrai capito che lui è Paul...- lo inidicò pronunciando il nome con un tono che di solito si usa con ciò che ci fa schifo, il quale mi fece l'occhiolino mentre lo guardavo -...e lui è Sam!- spostò la mano verso l'altro ragazzo. ora che lo guardavo meglio di corporatura era anche il più grosso. Era uno spettacolo così grosso da fare senso.

-Io sono Billy- si presentò l'uomo sulla sedia a rotelle sfoderando un altro sorriso, apparentemente garbato. Avete presente le maschere del teatro No? Quelle dal sorriso così strano da non capire se sia buono o cattivo? Vedendo il suo sorriso mi posi la stessa domanda.

-Loro sono Embry...- proseguì Billy indicando il ragazzo alla destra di Paul -...e Jared- Spostò la mano verso la figura alla sinistra di Paul.

Non so come feci e se tantomeno mi ero immaginata tutto ed ebbi fortuna nell'azzeccare ciò che accadde.

-Qualcuno sta venendo qui!- interruppi Billy,

-Sarà Charlie!- rispose Bella, come se la mia fosse stata un'affermazione inadeguata.

-No, il passo è leggero, ma il peso...sembra quello di un orso!- risposi stupita e irritata dall'affermazione di mia cugina.

Immediatamente mi accorsi della precisione con cui avevo descritto quei passi, mi resi conto inoltre che nessun'altro, oltre me, aveva udito quel lieve rumore. Stavo forse sviluppando il senso dell'udito e dell'olfatto?O forse era solo l’apice che preannunciava la mia futura pazzia? O probabilmente mi stavano solo prendendo in giro, ma da come mi guardavano allibiti…non avevano sentito nulla per davvero. Eppure era un rumore chiaro, come quello dei tacchi che picchiettano sul pavimento.

Poco dopo entrò un ragazzo, alto, molto alto, dai capelli corti e corvini, dalla corporatura più che grossa oserei dire imponente e massiccia,e, maledetta me e il momento in cui li guardai, aveva due occhi scurissimi che mostravano l'irrequietezza di un cavallo imbizzarrito.

Attrazione, eccitazione, adrenalina, forse confusione o sorpresa...non so cosa provai in quel secondo, fatto sta che mi sentii come...rinata.

Non immaginavo minimamente, la piega che di lì a poco, la storia avrebbe preso.

In quell'istante le altre persone mi sembrarono inesistenti, tutto nella stanza polverosa sembrava sparire, tutto, tranne quella nuova essenza che aveva varcato la soglia. Il tempo si era bloccato, il cuore si era fermato, non sentivo più il mio respiro e qualcosa di indescrivibile, forte come una scossa, ma delicato accadde.

Lui mi fissò, io lo fissai.

-Piacere!- Ci presentammo contemporaneamente.

Che ore erano? Per quanto tempo ero rimasta ad ammirarlo?

No, l'ora di cena era passata, ero scesa dall'aereo con lo stomaco pieno...

-Marzia, lui è mio figlio Jakob, e nel tempo in cui sarai ospite a casa nostra, sarà la tua guida e accompagnatore ok?- la voce di Billy mi riportò alla realtà. Stavo ancora fissando il ragazzo appena entrato? Guarda il fato, appena conosciuto e già ho sono riuscita a renderlo la mia balia personale.

-S-si!- provai ad essere il più naturale possibile.

-Le tue cose sono già nella tua stanza. Bella noi andiamo a casa, domani avrete tempo per parlare!- aggiunse Charlie

-Jakob falle vedere la stanza!-

Il figlio di Billy si incamminò con passo incerto ed io lo seguii impietrita nell'ombra del corridoio.

Note della [folle] autrice:

Fa schifo.

Lasciatemi delle recensioni con delle critiche costruttive, please. Vorrei scrivere delle cose decenti da postare su questo fandom.

E sembra proprio che questa cosa non appartenga alla categoria…

Sofy ti voglio bene, sei la migliore beta.

E ne voglio anche a te, O coglione che hai letto questa fan fiction.

E te ne vorrò ancora di più se mi lasci una recensione

 

Cordialmente [o forse no?] vostra,

BlAcK_BerrY


  
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