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Autore: Duncneyforever    24/01/2016    2 recensioni
Estate, 1942.
Il mondo, da quasi tre anni, è precipitato nel terrore a causa dell'ennesima guerra, la più sanguinosa di cui l’uomo si sia mai reso partecipe.
Una ragazzina fuori dal comune, annoiata dalla vita di tutti i giorni e viziata dagli agi che l'era contemporanea le può offrire, si ritroverà catapultata in quel mondo, circondata da un male assoluto che metterà a dura prova le sue convinzioni.
Abbandonata la speranza, generatrice di nuovi dolori, combatterà per rimanere fedele a ciò in cui crede, sfidando la crudeltà dei suoi aguzzini per servire un ideale ormai estinto di giustizia. Fortunatamente o sfortunatamente non sarà sola e sarà proprio quella compagnia a metterla di fronte ad un nemico ben peggiore... Se stessa.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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Guardo la brodaglia nel piatto con circospezione, poiché l'aspetto non è certo dei migliori.
Il contenuto di questo strano intruglio? La zuppa è di un color rosso vermiglio; sembra quasi ketchup, rossa come il sangue. 
Ma che ingrediente hanno usato? Rape, forse barbabietole. 
Non ho il coraggio di ingurgitarne un solo cucchiaio, specialmente in questo posto. 

I ricordi di poche ore fa continuano a tormentarmi: i pianti, le lacrime, le grida di quella gente... Questi uomini non provano nulla? Mangiano tranquilli, con la coscienza pulita, o così parrebbe dalle battute goliardiche che si scambiano fra di loro, tra un sorso e l’altro. Riescono ad uccidere una persona guardandola negli occhi, oppure hanno bisogno di sparargli alle spalle per dormire alla notte? 

Vorrei urlargliele queste domande. 

- Vedo che non hai appetito. Pretendevi di ricevere un piatto di pasta, Spaghetti-Fresserin? - Un soldato dai piccoli occhi color carbone mi schernisce, provocando una risata generale. È vero, quasi nessuno padroneggia l’italiano, ma non dev’essere stato difficile per loro capire il contesto; " essen " significa" mangiare " ed è usato per gli esseri umani, così come " fressen " per gli animali. Non solo il pregiudizio, ma anche la beffa, come se si stesse rivolgendo ad un cane, piuttosto che ad una ragazza. 

- Genug, Soldat. Lass das Kind in Ruhe. / Basta, soldato. Lascia stare la bambina. - Dopo il rimprovero del colonnello, il moro non infierisce oltre, contenendosi. 

Il perché di questo improvviso atto mi è del tutto sconosciuto. 

- So difendermi benissimo da sola. - Enfatizzo, con una nota di disappunto. 

- Se così affermi... - Il rosso torna sul soldato di prima, fissandolo con un ghigno poco rassicurante, prima di aprir bocca. - Sauer, gefällt dir?/ Sauer, ti piace? -

- Wer, sie? - Si chiede quello, indicandomi. - Ich kann es nicht erwarten, meine Hände an diesem schönen Körperchen zu haben. / Non vedo l’ora di mettere le mani su quel bel corpicino. - Sghignazza a sua volta quello, facendo scomparire la smorfia di superiorità dalle mie labbra. 

- Gut. Prenditela. - Schneider mi esamina con un riso a dir poco satanico, aspettando di godersi lo spettacolo. 

Il ragazzo bruno si alza e si avvicina con enfasi: il batticuore mi impedisce di pensare. Afferro il coltello con insicurezza, mentre le prime calde lacrime sopraggiungono sulle mie guance. 
Nessuno mi aiuterà, nemmeno Fried. Non può, nessuno può. 

- N-on mi t-toccate. - Singhiozzo, puntando la lama contro di lui. 

Friederick trattiene il respiro, terrorizzato. 

Vorrebbe aiutarmi, ma sono sola, sola contro di lui. 

- Cosa credi di fare, paperella ? - Mi raggomitolo sulla mia stessa sedia, mentre il tedesco si fa beffe di me. - Difenditi italiana. - 

Un rumore si ode in tutta la stanza. Il nazista si ritrae, con una mano poggiata sul punto leso. Sono stupita di me stessa. Rimiro il mio palmo arrossato e la cinquina stampata sul viso dell'uomo che ho di fronte, che mi guarda incredulo. 

Il diretto interessato è in procinto di ribattere, finché non interviene Friederick; - vi state divertendo? È soltanto una ragazzina, per la miseria! Cos'altro avete intenzione di farle? - Prima che Schneider possa replicare, corro via, senza neanche sapere dove. 

Scappo, attraversando il patio tra le lacrime e la voce di Fried in sottofondo...

- Scusami. - 

- Cosa? - Gli domando, non potendo credere di aver udito quella parola uscire dalle sue labbra. 

- Non sarei dovuto restare in silenzio. Dovevo intervenire prima, dovevo prevedere le intenzioni del Kommandant e... - 

- Non hai nulla di cui scusarti. Ti avrebbe sparato senza esitazione se fossi intervenuto. - Abbasso il viso rigato, prima di rifugiarmi tra le sue braccia. - Voglio tornare a casa. - Gli sto impregnando la camicia, eppure lui non sembra curarsene. - Lo avrebbe fatto davvero? Avrebbe permesso che quel soldato mi stuprasse davanti a tutti? Io non ci voglio vivere con quell’animale! - 

- No, questo non lo credo. Lo avrebbe fatto retrocedere, prima che potesse anche solo sfiorarti. - Mi permette di arrampicarmi su di lui, di sfogarmi contro il suo petto. 

- Non piangere più, è tutto passato... Vieni con me dai, ti mostro una cosa. -

La Volkswagen, quanto mi era mancata quest’auto! È questione di venti minuti, dopodiché sopraggiungiamo nuovamente in prossimità del campo, dove si trovano gli alloggi delle SS. 

- Wir haben Glück, non c'è nessuno qui fuori. - 

Mentre il biondo armeggia con le chiavi do una rapida occhiata al luogo: è di grandi dimensioni, due, forse tre piani, facciata grigia, stessa planimetria delle baracche di Auschwitz I... 

- Quante persone ci vivono qui? - Domando, curiosa. 

- Ho smesso di contarli. - 

Camminiamo per il lungo corridoio, udendo solamente il suono del silenzio. Scommetto che sono insonorizzate, altrimenti, conoscendo gli uomini del campo, chissà cosa si sentirebbe! Piego la bocca disgustata, soffermandomi su una porta in particolare, semiaperta.

- Non possiamo fare nulla. - Fried sospira afflitto, deviando lo sguardo. 

- Dio mio... - Sussurro, coprendomi la bocca con le mani.

Entriamo in una camera pressoché isolata, con un comune pensiero... 

Povera ragazza, l'indecenza di questa gentaglia non ha confine. Io e Fried possiamo opporci quanto vogliamo, ma entrambi sappiamo che il nostro dispiacere non potrà aiutarla in alcun modo. 

- Sono delle bestie. Alcuni di loro non vedono una donna da così tanto tempo e persino tu, che sei poco più di una bambina, potresti... - 

- Comprendo ciò che intendi dire. Vedrò gli star lontana da loro. - Siedo sul bordo del letto, attendendo che Friederick chiuda a chiave. 

- Auschwitz crea mostri. - Lui mi raggiunge e, successivamente, si sistema accanto a me. 

- Fa piano, biondino, qualcuno potrebbe sentirti. - 

- Non ti preoccupare. Le pareti sono completamente insonorizzate. - Il soldato mi tende gentilmente una mano... 

- Cosa fai? - Decido di non trarre la mano indietro, perché mi fido ciecamente di lui. Il nordico si alza in piedi, scosta il comodino a lato del letto ed apre un piccolo scompartimento celato nella parete. 

Estrae dalla cassaforte una scatola di legno e, da essa, alcuni dischi. 

- Non ci credo! - 

Benny Goodman, Glenn Miller, Count Basie, Jimmie Lunceford... Sono autori di musica jazz e swing. 

- Come hai fatto ad ottenerli? - Domando, esaminandoli uno ad uno. 

- Una mia ex conoscenza... Un americano. - Mi risponde, sorridendo orgoglioso. 

- Ma è proibito! - Sussurro, ricambiando il suo sorriso. 

- Ho l'aria di un ragazzo che prende in considerazione le parole di Hitler come se da esse dipendesse la sua stessa vita? - 

- No, non ho detto questo. - Mi fingo offesa, mentre gli volgo giocosamente le spalle. - Ma, in fin dei conti, è vero. La tua vita dipende da lui. - Fried storce il naso, prendendo tra le mani uno di quei dischi. 

- Ad ogni modo, non ho il giradischi e non posso ascoltare questa musica... Non qui. - Sospira, cingendomi la vita da dietro e posando il mento sull'incavo della mia spalla. 

- Aspetta, posso aiutarti. - Estraggo il telefono con le relative cuffie dalla tasca e le rivelo a lui. Me ne sono accorta prima, quando mi sono seduta nell’auto di Rudy... A che diamine pensavo mentre lo riponevo nella valigia e, soprattutto, che ci ho messo al posto del telefono? Non potevo neppure tirarlo fuori e verificare di aver tolto il suono; meno male che lo tengo sempre in modalità silenziosa... Non avrei saputo come spiegarlo, se mi fosse partita la suoneria. Sì, va bene, una radiolina, però non così piccola e sottile! 

Fried mi guarda sbalordito, esaminando l'oggetto con naturale stupore. 

- Con questo puoi mandare messaggi, telefonare, cercare informazioni, trovare coordinate, giocare, ascoltare musica, scattare foto, girare video... E molto altro ancora. - 

Assaporo ogni singola emozione sul suo viso, prima di poggiare una mano sulla sua.

- Abbiamo fatto progressi negli ultimi settant'anni. - Farfuglia, impacciato. 

- Non immagini quanti. - Ammetto.

- Sara? - Mi richiama, stringendomi le mani; le sue sono sudaticce. È nervoso. 

- Dimmi pure. - 

- Quando finirà questa guerra? - Inizio a respirare affannosamente, il cuore sobbalza nel petto. 

Ho paura. Non so cosa fare. Confessare o mantenere il silenzio? Friederick è un ragazzo giudizioso e prudente, non condividerà niente con chi ne farebbe un uso sconsiderato, ma questo non è il mio solo cruccio. Se si facesse scappare qualche informazione, anche non volendo, la storia potrebbe mutare.

- Ti prego, mai nulla uscirà dalla mie labbra. - Supplica, con le lacrime agli occhi. 

- Io... - 

 

 

 

  
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