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Autore: Lady Stark    25/01/2016    1 recensioni
«Per lei, tutto è possibile, ufficiale.» con un gesto delle braccia, il taverniere l'invitò a seguirlo.
Len sapeva che quello che stava per fare era sconsiderato, irrazionale e pericoloso.
Era perfettamente a conoscenza del fatto che quel comportamento l'avrebbe potuto distruggere.
Avrebbe potuto demolire tutto ciò che per anni aveva così faticosamente costruito...
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Len Kagamine, Rin Kagamine | Coppie: Len/Rin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter IV 

Connessi dalla promessa suggellata di fronte al saggio occhio della luna, i ragazzi continuarono a vedersi, bisognosi l'uno della presenza dell'altra.

Notte per notte, l'ufficiale sgattaiolava via dal quartier generale confondendosi nei tanti vicoletti che costituivano il borgo distrutto.

Si incontravano di nascosto, lontano dagli sguardi pericolosi che avrebbero potuti metterli in pericolo.

Len aveva iniziato ad amare la venuta della sera.

Ogni giorno si ritrovava ad attendere, con malcelata trepidazione, il tramonto della sfera solare.

Il luogo in cui i giovani avevano preso l'abitudine di incontrarsi era una bettola squallida e senza nome, il cui taverniere era una uomo tanto vecchio da reggersi a stento in piedi.

La qualità del locale e del mobilio era ovviamente pessima; per non parlare della birra servita dall'unica cameriera presente che, girando per il locale vuoto, cercava qualcosa da fare.

Len, inizialmente, era rimasto tanto disgustato dalla puzza e dallo sporco da non voler più mettere piede nella locanda. Però, quando Rin l'aveva pregato di sopportare quella miseria, l'ufficiale non aveva potuto fare a meno d'accettare. A giustificazione di quella scelta così infelice, la ragazza gli aveva spiegato che essendo una ballerina di successo, il suo viso era conosciuto in tutti i locali della zona. Di conseguenza, se si fosse presentata con un uomo al seguito, nulla avrebbe impedito ai pettegolezzi di diramarsi. Le anziane signore del borgo non attendevano altro che una succosa notizia in cui affondare le gengive sdentate.

Nel giro di pochissimo, tutti avrebbero conosciuto l'identità del suo fantomatico accompagnatore.

Len, udendo quelle parole, aveva immediatamente abbandonato l'idea di spostarsi.

Quando la ballerina era impegnata dal lavoro, l'ufficiale aspettava con ansia il suo arrivo, ticchettando le unghie contro il tavolo marcio per calcolare lo scorrere del tempo.

Con il cappuccio del mantello ben calcato sul viso, l'uomo guardava il liquido ambrato presente nel boccale di fronte a lui. Nei momenti in cui la solitudine lo avvolgeva, i suoi pensieri si facevano più densi e problematici da controllare. Il suo cervello aveva ormai da tempo etichettato la pericolosa sensazione che provava in compagnia di Rin ma, malgrado l'evidenza, Len rifiutava d'accettare la verità dei fatti.

Fino a quel momento, ripetendosi che quel suo interesse derivava solo dalla pura attrazione fisica, era riuscito ad ingannare la sua mente. Così facendo, l'uomo credeva risolto il problema alla radice; in verità, presto o tardi, tutti quei dubbi avrebbero finito per soffocarlo.

Se solo avesse dato ascolto al cervello, quella folle storia sarebbe finita quella sera stessa; eppure, per una volta, voleva che fosse l'istinto a guidarlo.

Poi, per quella sera, le riflessioni si erano vaporizzate con lo scampanellio della porta d'ingresso, spalancatasi verso l'interno.

«A cosa stai pensando, amico mio?»

La roca voce del comandante strappò Len dalla sua incosciente contemplazione, riportandolo brutalmente con i piedi per terra.

Battendo un paio di volte le palpebre, l'uomo si ritrovò di fronte ad una finestra, seduto comodamente su una poltrona di velluto rosso.

«Pensavo a quanto fosse bello questo tramonto, comandante.»

L'anziano dondolò sui talloni, incrociando le mani dietro la schiena. I baffi, candidi come la neve, vennero accarezzati dai riflessi sanguigni del crepuscolo che, quasi per screzio, mise in evidenza l'invecchiamento dell'uomo.

«Sono d'accordo con te, ragazzo. Le cose più belle si celano in quella quotidianità che così poco apprezziamo.»

La sfera rosseggiante si era abbassata ed ora sfiorava i tetti delle case, annerite dal fuoco che le aveva inghiottite durante l'assalto.

L'eco della battaglia ancora rimbombava nelle sue orecchie assieme alle grida disperate di coloro che avevano perso la vita.

Per l'ennesima volta, seguendo chissà quale ideale, si era macchiato le mani di sangue rubando egoisticamente il futuro di persone innocenti.

«Ti piace questa città?»

«È uguale a tutte le altre, comandante.»

Per evitare spiacevoli inconvenienti, Len vestì la propria espressione della maschera più fredda presente nel suo repertorio.

Ovviamente quel misero borgo gli era entrato nel cuore con la stessa potenza di uno stiletto. Un solo paio di occhi erano riusciti a sciogliere i cristalli di ghiaccio che, per anni, avevano morso la sua carne.

«Sei il solito insensibile, ragazzo. A volte mi chiedo seriamente se tu abbia un cuore in quel petto.» Il vecchio gli diede un vigoroso colpo sui pettorali, facendolo espirare bruscamente. Per quanto fosse avanti con l'età, il soldato possedeva ancora molta della forza che aveva caratterizzato la sua giovinezza.

«Ma è per questo che mi piaci. Non ho mai avuto nelle mie file una macchina assassina come te.»

Len chinò il capo in segno di ringraziamento, cercando di non pensare a ciò che l'uomo aveva appena detto. La poltrona in cui si era seduto sembrava essersi trasformata in un ammasso di spilli dalla punta avvelenata. Il nervosismo provocatogli dalla presenza del comandante, aveva trasformato la sua pelle in una pellicola sovrasensibile. I muscoli dell'avambraccio appoggiato al bracciolo gli facevano male, tanto erano contratti.
Len respirò profondamente senza farsi notare dall'uomo di fronte a lui, impegnato in una delle sue frequenti divagazioni. Ondeggiando le mani nodose, il caporale gli stava raccontando di un lontano episodio che, ovviamente, lo aveva visto protagonista incontrastato della scena.

Il cervello del ragazzo era però distante anni luce dal luogo in cui si trovava fisicamente.

L'anziano soldato non sospettava niente e, di conseguenza, mantenere le apparenze era l'unica cosa importante in quel momento.

Len aveva sentito i soldati dire che era pressoché impossibile sfuggire dal fiuto di quella volpe spelacchiata. Deglutendo, avvertì un senso di puerile disagio rosicchiargli la bocca dello stomaco. Non aveva mai mentito al generale e adesso, di punto in bianco, la sopravvivenza della sua carriera si reggeva in bilico sulla minuscola cruna d'un ago.

Len riuscì difficilmente a nascondere lo sbocciare di spontaneo sorriso.

Non si era mai sentito tanto vivo in vita sua! L'adrenalina sembrava scorrere nelle sue vene densa come ferro fuso.

«Ti volevo chiedere un'opinione.»
I furbi occhi scuri del militare si soffermarono sul viso del ragazzo, attendendo una qualche reazione da parte sua. Len rimase immobile, come suo solito, sperando che l'uomo procedesse senza bisogno del suo intervento.
«Il governante di questa bettola, per ingraziarci i nostri favori, ha pensato di organizzare un ballo in nostro onore.» con un grandissimo sorriso, l'uomo batté i palmi delle mani contro le ginocchia fasciate dall'uniforme. Un fiotto di bile inacidì la saliva del ragazzo.

Un ballo?! Ci mancava solo quella stupida usanza cortigiana a complicargli la vita.

«Ci sarà cibo della miglior qualità, le melodie dei musicanti più famosi ed infine, fanciulle dalle generose scollature.»

L'uomo scoppiò a ridere, forse allietato dalla sua stessa ilarità.

Len abbozzò un sorriso d'intesa cercando di mascherare al meglio i propri pensieri.

«Non puoi mancare, Len.»
Quello del capitano non era un consiglio.

La sua voce s'era trasformata in una lastra di ferro: fredda come il tocco dei primi fiocchi di neve. L'ufficiale chinò il capo in segno d'assenso, malgrado tutto il suo animo tremasse all'idea di doversi atteggiare al ruolo d'educato cagnolino.
«Bravo, il mio ragazzo! So che non ami questi eventi mondani, ma fallo almeno per la compagnia femminile! Ora,» con un gemito, il vecchio si alzò dalla poltrona, accompagnato da un coro di scricchiolii.

Le sue ossa sembravano d'improvviso essersi trasformate in delicatissimi steli di cristallo.
L'età restava il più temibile dei nemici, anche per gli instancabili uomini d'armi.

«Ti farò sapere al più presto la data precisa del ballo, mio caro.»

«Grazie, comandante.»

L'uomo incrociò le braccia dietro la schiena e, nell'allontanarsi, fece picchiettare i tacchi degli stivali contro il pavimento di marmo. Len si abbandonò contro lo schienale della poltrona e, nel farlo, avvertì il sudore scivolargli lungo la schiena.

Il suo viso, riflesso nel vetro dello specchio, si era trasformato in una maschera di gesso. Fuori, gli astri stavano iniziando a manifestarsi dietro il sottilissimo velo di nuvole, simili a diamanti dai riflessi caleidoscopici. Era davvero uno spettacolo mozzafiato e, nell'osservarlo, l'uomo non poté far a meno di domandarsi come prima avesse potuto odiare la sera.

Con un colpo di reni, si alzò dalla poltrona per raggiungere la finestra. In lontananza, ad un piano di distanza, le forme dei cespugli svettavano tra le aiuole, simili a tenebrosi guardiani.

Al centro del giardino, una fontana secca da anni riportava sulla sua sommità un paffuto angioletto dalle guance cosparse di licheni. L'arco e la freccia che stringeva tra le mani si era sgretolata, cadendo nella vasca sottostante assieme a grumi di sporco e foglie marcescenti.

Improvvisamente, un movimento veloce catturò l'attenzione del ragazzo che, accostando il proprio volto alla finestra, socchiuse gli occhi. All'inizio Len credette d'essersi sbagliato ma, dopo un secondo, quella mossa si ripeté accompagnata da un baluginio d'oro. Len non voleva credere ai propri occhi. Nascosta dietro la curva della vasca, Rin scrutava con circospezione l'ambiente che la circondava, alla ricerca di un qualche possibile impaccio.

Che cosa stava facendo lì? Era forse impazzita?

Senza neanche rendersene conto, Len cominciò a correre lungo i corridoi; i suoi piedi bruciavano ed il suo cuore ruggiva nella stretta ossea delle costole.

Se l'avessero trovata, Len non avrebbe potuto far niente per salvarla. Spalancando la porta del giardino sul retro, l'uomo avanzò nel gelo della sera senza curarsi dei tanti spilli che gli foravano la pelle.

«Rin..!»
Il ragazzo sibilò a denti stretti il nome della ballerina che, ora, s'avventurava chissà dove in quel mare di aiuole e rametti coperti di piccole foglie.

«Rin! Dove sei?»

Len alzò lo sguardo in direzione delle finestre inondate di luce, pregando che nessuno s'affacciasse. L'atmosfera era immobile ed il solo elemento che turbava quella stasi erano i pugni di condensa che uscivano dalle sue labbra socchiuse.

«Rin!»

«Ma insomma.. quanta insistenza, generale.» un paio di mani si appoggiarono alle sue spalle, trascinandolo indietro verso una delle tante aiuole invecchiate. Len si lasciò condurre al riparo del cespuglio, voltandosi solo quando fu abbastanza sicuro di non essere più visibile dall'alto del primo piano.

«Si può sapere che cosa diamine ti salta in mente?!» ruggì l'uomo, afferrando di scatto un bavero del mantello che le nascondeva il corpo. Lei arricciò le labbra in uno dei suoi adorabili sorrisi di sfida, allentando con impassibilità la sua ferrea stretta.

«È questo il modo con cui accogli i tuoi ospiti, generale?»

Len era talmente fuori di sé da non riuscire ad apprezzare i suoi soliti sbuffi d'ironia.

«Hai corso un rischio troppo grande, Rin. E se ti avessero trovata?»

«Sarei scappata, come sempre.»

«Ci sono centinaia di guardie in questo maledetto fortino.»

Rin si sedette a terra, incrociando le gambe sotto il corpo.

La luce delle stelle giocava tra i suoi capelli, per poi accarezzare la pelle eburnea.

Anche se vestita di quello straccio cencioso, assomigliava ad una ninfa. Le sue iridi, prima così vivaci, erano state oscurate da una pesante nuvola di sdegno, probabilmente a causa delle parole dure del generale.

«Ed io che pensavo di farti una sorpresa.» Quando la giovane atteggiò la bocca in un broncio infantile, Len avvertì le sue difese crollare, seppellendo sotto le macerie le braci della sua rabbia. Con un sospiro si lasciò cadere nell'erba umida, scuotendo la testa con fare rassegnato.

«Una sorpresa perfettamente riuscita, oserei dire.»

Rin scrollò le spalle, evidentemente poco convinta dall'affermazione di lui.

«Non sembrerebbe, a giudicare dalla tua reazione.»

Le sue parole generarono una strana reazione chimica nell'animo del generale che, voltandosi di scatto in sua direzione disse:

«Ero preoccupato, possibile che tu non lo comprenda!?»

Quando si rese conto di aver pronunciato quelle parole, era troppo tardi.

Rin rimase in silenzio per un paio di minuti; le sue guance si erano trasformate in fragole ed i suoi occhi scintillavano d'un emozione mai provata prima. Poche erano state le persone a cui si era potuta affidare nel corso della sua vita e nessuno di quelle le avevano mai rivolto parole tanto dolci e affettuose. Possibile che qualcuno potesse davvero preoccuparsi per lei?

«Ripetilo..» la giovane si inginocchiò nell'erba, protendendosi in direzione dell'ufficiale.

Questi volse la testa altrove, atteggiando le proprie labbra in un broncio scontento. Non avrebbe dovuto dire una cosa tanto avventata eppure, niente aveva potuto bloccare il muoversi precipitoso delle sue labbra. Ed ora, quel pericolosissimo pensiero galleggiava tra loro, tanto reale da spaventarlo.

Non c'era più alcun modo di sfuggire alla verità. Era giunto il momento di confrontarsi con la realtà. «Scordatelo.»

«Ripetilo, Len.»

La mano della ragazza si serrò attorno al braccio dell'uomo, costringendolo a voltare lo sguardo in sua direzione. Le iridi della ragazza si erano trasformate in due pozze azzurre, tanto chiare da poter leggere in esse lo scorrere affusolato dei suoi pensieri. Len si accorse del tremolio che le scuoteva le spalle e finalmente, comprese che non lo stava prendendo in giro.

«Ero.. preoccupato.» Len intrecciò le dita a quelle di lei, appoggiandole contro la propria guancia.

«Quando ti ho visto, il solo desiderio che ho avuto è stato quello di correre qui sotto ed abbracciarti.» Gli argini che avevano imbrigliato i suoi più remoti istinti si sgretolarono, lasciando che i pensieri si riversassero sulla sua lingua, simili ad un fiume in piena.

I loro corpi s'avvicinarono, come i poli opposti di una calamita.

Len accarezzò la guancia della giovane per poi sfiorare i riccioli d'oro con la punta dei polpastrelli. Una fragrante ondata di profumo gli sfiorò il volto, sovrastando l'odore dell'acqua stantia generata da un paio di pozze rimaste a macerare sul fondo della vasca.

Rin chiuse gli occhi, sorridendo appena.

«Nessuno si era mai preoccupato per me.»

Il generale, vinto dalla tenerezza infantile di quelle parole, si chinò sino a sfiorarle la fronte con le labbra.

«Ora hai me.»

Rin aprì gli occhi ed una lacrima rotolò lungo la sua guancia, carica di tutto quel dolore che anni di solitudine le avevano procurato.

L'ufficiale, ormai giunto al limite massimo di sopportazione, annullò la distanza che separava i loro volti. Ancora una volta, la notte si fece custode del loro segreto mentre, le stelle, rendevano omaggio all'amore spinoso di quei due giovani.

Len strinse la giovane a sé, circondandole la vita con un braccio.

La ballerina, vinta dal bruciante sentimento che le scottava il cuore, gli cinse le spalle affondando le dita tra i suoi capelli.

Quel bacio al sapore di sale distrusse in un batter d'occhio tutta la cautela che avevano utilizzato durante le tante sere passate insieme.

Ormai, non c'era più spazio per i rimorsi. Non c'era più modo di tornare indietro.

La fiamma di quella passione lambiva ogni centimetro della loro pelle, scoperta o coperta che fosse.

Seppur fuori stagione, il germoglio del loro amore era definitivamente sbocciato.

«Tutto questo è folle.» sussurrando, la giovane lasciò che l'ufficiale carezzasse la curva del suo collo con le labbra. Con una risata sommessa l'uomo alzò il viso per ammirare quegli occhi che sentiva d'amare oltre i limiti del possibile.

Lei gli aveva rubato l'anima.

«Non c'è modo di sfuggire a questa follia, ormai. Lo sai, vero?»

«E chi ha detto di voler fuggire?» 

   
 
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