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Autore: Shin4    31/01/2016    4 recensioni
La vita a Beika continua a scorrere ininterrotta. Shinichi si ritroverà a dover fare molte scelte difficili per preservare la sicurezza di chi ama mentre l'ombra dell'organizzazione si allungherà sempre più su di lui. Riuscirà il nostro eroe a mantenere il suo sangue freddo, il suo carisma, mentre il mondo sembrerà crollargli addosso?
La mia storia riprende il manga direttamente a partire dal capitolo 940. insomma fresca fresca di novità cercherò di riempire le vostre giornate con nuovi casi, nuove rivelazioni e forti sentimenti che si dipaneranno attraverso questo racconto che prevede essere una lunga fanfiction all'insegna del crimine
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama, Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Il buio che oscura ogni speranza
 
L’aveva fatto.
Aveva detto quelle parole che mai avrebbe voluto sentire.
“Hai ragione, non è giusto che io ti faccia soffrire così. Vai avanti con la tua vita e dimenticati di me. Non aspettarmi più Ran”
L’aveva abbandonata.
Perse la presa sul telefono, che cadde insieme a lei sul marciapiede.
Le aveva dato ragione.
Aveva finalmente riconosciuto di averla fatta soffrire in tutto quel tempo che aveva passato lontano da lei, a risolvere casi sconosciuti.
Aveva capito che il cuore di una persona, per quanto forte e pieno del più sincero desiderio, non poteva continuare a battere all’infinito, mostrandosi sicuro senza avere altro che un’esigua speranza a cui aggrapparsi.
Le aveva chiesto di dimenticarsi di lui.
Avrebbe dovuto scordarsi il suo volto che le regalava timidi sorrisi, riservati a nessun altro tranne che a lei.
Avrebbe dovuto cancellare dai ricordi quei lineamenti perfetti, incorniciati dai ribelli capelli corvini, che mai sarebbero dovuti appartenere ad un essere mortale.
Avrebbe dovuto estirpare dalla sua mente quei profondi occhi blu oceano che la scrutavano fin negli abissi dell’anima, come se nulla potesse opporsi a quella dirompente fiamma che era il suo sguardo.
Le aveva detto di smettere di aspettarlo.
Come avrebbe potuto credere anche per un solo istante che sarebbe andata avanti con la sua vita se ogni sua minima certezza, ogni sua minima speranza, era appena crollata in risposta a quelle parole?
Il suo futuro si era sgretolato fra le sue mani, fuggendo al vento come un pugno di sabbia.
Un nero baratro l’aveva accolta offuscando i suoi sensi.
I suoi occhi non vedevano più la gente passarle accanto.
Le sue orecchie non sentivano più i rumori della città, lo strombazzare dei taxi e il vociare delle persone.
Il suo corpo non percepiva più il freddo dell’asfalto sotto le sue ginocchia e il peso dei vestiti che si erano appiccicati addosso per la pioggia battente.
Era rimasta sconvolta quando l’aveva visto apparire sulle scale, bellissimo in quel completo nero.
Una rabbia travolgente aveva preso poi il posto del più semplice stupore, spingendola a rincorrerlo per potergli finalmente parlare faccia a faccia e cercare di leggere tutte le spiegazioni nei suoi occhi.
Ma era stato del tutto inutile costringere le sue gambe a seguirlo, fino ad avere il fiato corto per la corsa e la gola in fiamme per aver gridato il suo nome: l’aveva perso fra la folla.
Era rimasta ferma, in piedi sul marciapiede, non sapendo dove andare. La borsa l’aveva lasciata cadere al 48esimo piano, ma in mano stringeva ancora il cellulare, estratto poco prima per leggere il messaggio di Conan. Invece che prendere una direzione a caso, aveva tentato come ultima speranza di chiamarlo per capire dove fosse e raggiungerlo.
Quando Shinichi aveva risposto, malgrado fosse ancora schiumante di rabbia, il suo cuore aveva reagito prima della mente, mandandole un brivido in tutto il corpo.
Perché, nonostante anche lui avesse il respiro rotto per la corsa, la sua voce calda e roca aveva pronunciato il suo nome con delicatezza, come se la lingua ne accarezzasse gli spigoli e lo arrotondasse.
Come al solito però, non aveva trovato risposta alle sue domande e, quando si era accorta che lui non provava nemmeno più a propinarle qualche inutile scusa, una sensazione di gelo si era fatta largo dentro di lei.
Ogni gioia, tranquillità e sicurezza provata giusto qualche sera prima, aveva lasciato il posto al terrore che le sue paure più grandi fossero vere: che a lui non importasse di lei quanto i suoi casi, che la dichiarazione di Londra non fosse stata altro che una mera costrizione, un cumulo di parole vuote per farla stare buona, che lui non avesse fatto altro che prenderla in giro.
Quindi, quando ne aveva trovato conferma nella sua ultima frase d’addio, non sarebbe bastata nessuna diga per arginare il mare di lacrime che le aveva inondato il viso.
Nessuna parola, nessuna carezza, le avrebbe mai più dato pace in un mondo in cui lui era scomparso per sempre.
 
Anche soltanto l’immagine evocata dalla sua mente di quei grandi occhi azzurro-lillà, pieni di dolore e mille domande, era stata impossibile da sopportare.
Si era illuso anche troppo a lungo che quell’apparenza di vita potesse durare in eterno.
Aveva finalmente dovuto accettare l’inevitabile.
Ran era sempre stata una ragazza forte, solare, che cercava il buono nelle persone. Aveva un animo sensibile che la portava ad addossarsi il peso e le colpe di chi le stava attorno, incurante di ciò che comportava per lei.
Meritava molto di più di quanto lui ora potesse offrirle.
Non avrebbe potuto dirle altre bugie per giustificare la sua assenza, consapevole che queste non avrebbero portato nulla se non altra sofferenza.
E se, per non metterla in pericolo, non poteva raccontarle la verità sulla sua condizione, allora non poteva fare altro che allontanarla da sé.
Le aveva quindi disintegrato il cuore e calpestato l’anima per portarla ad odiarlo con tutta se stessa, perché sperava che, una volta superato il dolore, avrebbe trovato qualcun altro che potesse starle accanto e dimostrarle il suo amore ogni giorno, come lui non poteva fare.
Non importava come le conseguenze di quelle azioni si ripercuotessero su di lui.
Se questo lo avesse lacerato più di ogni altra cosa.
Se ogni singola parola detta lo avesse trafitto mille volte al cuore.
Se rinunciare a lei significava rinunciare a vivere.
Aveva preservato il suo unico sole, con tutta la sua luce e la sua purezza, che prima o poi si sarebbe levato di nuovo alto nel cielo, lasciando lui affondare sempre di più nelle tenebre.
Ora si sentiva vuoto e perso, ogni sua emozione era stata lavata via dalla pioggia.
Shinichi Kudo era morto: anche l’ultimo legame con la vita era stato tranciato di netto.
Non ci sarebbero state più visite, né telefonate, sarebbe rimasta soltanto l’ombra di ciò che era stato.
La maschera di Conan Edogawa era l’unica cosa che d’ora in avanti la gente avrebbe visto di lui.
Ma avrebbe sopportato qualsiasi dolore, qualsiasi tortura, qualsiasi ingiustizia che il destino crudele e impietoso gli offriva, sapendo che Ran sarebbe stata al sicuro.
Quella sera infatti, lasciandosi sfuggire lo scienziato e recuperando un solo dischetto, aveva lasciato che l’Organizzazione scoprisse che c’era qualcun altro, oltre all’FBI, sulle loro tracce. Avrebbero fatto di tutto per scovarlo ed ucciderlo.
In più, se per puro caso, quello nelle sue mani fosse stato il dischetto sbagliato, loro avrebbero capito anche che Shinichi Kudo non era morto quel fatidico giorno a Tropical Land, ma era tornato bambino, e gli avrebbero dato la caccia, eliminando sistematicamente ogni persona che gli era accanto, solamente per farlo venire allo scoperto.
Non avrebbe mai potuto permettere che Ran andasse a fondo con lui, quindi la scelta era stata facile: non importava ciò che fosse meglio per lui, lasciarla andare era stato l’unico modo per poter preservare ancora una volta la sua sicurezza.
Cercò di riscuotersi dalla situazione in cui si trovava. Per quanto avrebbe voluto rimanere lì da solo, nascosto agli occhi del mondo, non poteva concedersi altro tempo.
Rannicchiandosi contro al muro per ripararsi un minimo dalla pioggia, iniziò a comporre il numero del dottor Agasa che rispose al terzo squillo
“Shinichi come mai mi chiami a quest’ora? Non dovevi essere al ristorante con Ran?”
“Professore ho bisogno che lei mi venga a prendere immediatamente. Mi trovo nelle vicinanze del grattacielo Ikuzo ma non posso muovermi di qui. Chieda ad Haibara di accompagnarla con il secondo paio di occhiali da inseguimento. Porti anche un cambio di vestiti. A fra poco.”
Chiuse bruscamente la conversazione. Aveva esaurito le forze e ora non poteva fare altro che aspettare.
Lasciò che il freddo e l’acqua lo invadessero completamente, trascinandolo a fondo nel vortice del suo dolore.
 
In un vicolo buio, poco lontano dal dramma dei due giovani, un uomo fumava nervosamente aspettando sotto una tettoia coperta, appoggiato ad un porche nera 356A.
“Ci stanno mettendo troppo”
“Tranquillo Gin, sono passati solo 5 minuti dall’orario previsto, arriveranno” cercò di rassicurarlo la donna, che aveva notato la tensione e la rabbia che già si stavano affacciando sul suo volto.
“Sai che non mi piace aspettare Kir” replicò infatti l’uomo bruscamente, trafiggendola con due verdi occhi freddi.
Una figura sfocata apparve improvvisamente davanti a loro, facendosi via via sempre più nitida. Si avvicinò correndo in modo scomposto, fino a fermarsi a qualche metro di distanza sotto la pioggia battente.
“Perché sei da solo? Dov’è Fernet?” chiese Gin gettando via la sigaretta.
Il giovane scienziato rispose tremante più per la paura che per il freddo “C’è stato…un imprevisto.”
“Che cosa diavolo intendi dire?”
“Qualcuno sapeva del nostro incontro e ci ha intercettato. Io sono riuscito a fuggire ma credo che Fernet si trovi ancora svenuto all’interno del palazzo.”
“Cosa? Com’è possibile?” domandò Kir agitata, pregando che l’FBI non avesse tentato qualche cosa di stupido ed avventato.
Gin lo fissava con occhi di ghiaccio “Prima i dischetti” disse solamente.
Lo scienziato si frugò nelle tasche e con lo sguardo pieno di terrore replicò “Ne ho uno solo, l‘altro devo averlo perso quando sono caduto.”
Gin era letteralmente furioso. Chi diavolo aveva osato mettersi in mezzo e rovinare i suoi piani?
Estrasse rapidamente la pistola e la puntò alla testa dell’uomo.
“Vi siete fatti beccare dalla polizia? Dall’FBI? Chi è che vi ha seguiti? Rispondi!”
“N-non lo so” balbettò a malapena questo “Sembrava solo un ragazzo ma non l’ho visto bene in volto, non saprei dire se fosse...”
Il colpo partì e prima ancora che l’uomo potesse finire di parlare, si ritrovò accasciato a terra morto con un foro sanguinante in mezzo alla fronte.
Kir fissava attonita il corpo e, cercando di recuperare il proprio autocontrollo e non mostrarsi scossa da quell’azione brutale, disse parlando fra i denti
“Non sei stato un po’ precipitoso? Forse avrebbe potuto darci qualche informazione in più su chi ha intercettato i nostri dati.”
“Sarebbe stato inutile, era chiaro che non sapesse niente. Per di più è probabile invece che quel tizio ficcanaso abbia visto bene il nostro uomo e non potevamo permettere che tramite lui risalisse anche a noi.”
“Ma Rum…”
“Rum non è qui ora”
La donna non osò replicare. Non era facile trattare con Gin già normalmente, ora stava pericolosamente camminando sul filo del rasoio.
Lo guardò accovacciarsi accanto al corpo, per frugare nelle tasche e verificare che davvero il secondo dischetto non ci fosse.
“Questo imprevisto non mi piace, assolutamente non mi piace”
“Non riesco a capire se si sia trattato di un puro caso oppure se qualcuno ci stia dando la caccia.” asserì la donna, pensando a come la sua contromissione fosse appena andata in fumo.
“Beh, in ogni caso lo scoveremo presto” ribatté l’altro, con un sorriso sadico che si era impossessato del suo volto “e ci riprenderemo quello che è nostro.”
“Bourbon?”
Un’implicita domanda che nascondeva molte cose. Sapeva bene quanto poco Gin sopportasse quell’uomo, ma ciò non gli impediva di usarlo quando era strettamente necessario.
Lui accennò a un rapido cenno del capo.
“Adesso andiamo, dobbiamo allontanarci in fretta da qui” e risali in macchina senza proferire ulteriore parola.
Quella faccenda non piaceva proprio nemmeno a lei. Era abbastanza certa che questa intromissione non fosse dovuta all’FBI. Evidentemente una terza parte era entrata in gioco sconvolgendo i piani. Ma di chi poteva trattarsi?
 
La telefonata l’aveva decisamente disturbata.
Non che avesse particolarmente sonno, era abituata a fare tardi lavorando nel suo piccolo laboratorio, ma era insolito riceverne a quell’ora.
Si avvicinò incuriosita al dottor Agasa, ancora intento a fissare preoccupato la cornetta. C’era una sola persona che poteva destare quel genere di reazioni.
“Cos’ha combinato stavolta quell’irresponsabile di Kudo?” lo precedette ancor prima che aprisse bocca.
“Non lo so Ai. Ha riattaccato subito”
“Cosa le ha detto?”
“Mi ha chiesto di andarlo a prendere, specificando che dovevi venire anche tu con gli occhiali da inseguimento e…” esitò un attimo prima di continuare “un cambio d’abiti.”
La ragazzina lo guardò perplessa, rivolgendo poi lo sguardo alla finestra. Aveva da poco iniziato a piovere forte.
“Ma non doveva essere ad una tranquilla cenetta stasera?”
Quella mattina aveva assistito allo spettacolino di lui che cercava a tutti i costi di convincere Sonoko a portarlo alla festa. Quando l’aveva raggiunta, tutto soddisfatto, aveva chiesto spiegazioni ricevendo in risposta un imbarazzato “Non è nulla”.
Notando il lieve rossore sulle guance e le battutine sagaci che l’ereditiera lanciava in continuazione alla ragazza dell’agenzia, riguardo alle incredibili conoscenze che avrebbe potuto fare quella sera, aveva sorriso divertita di rimando. Aveva creduto infatti, che il ragazzino innamorato avesse deciso di partecipare per tenere sotto controllo la sua bella.
Ma adesso, ripensando al suo ostinato silenzio, una nuova interpretazione dei fatti solleticava la sua mente. Le si era chiuso lo stomaco.
Vedendo la sua espressione farsi improvvisamente allarmata il professore aveva cercato di sdrammatizzare
“Probabilmente sarà rimasto bloccato sotto la pioggia”
L’unico risultato fu un’occhiata piuttosto eloquente da parte della piccola scienziata. Shinichi non era affatto il tipo da farsi fermare da un piccolo inconveniente come un rovesciamento atmosferico.
Non avendo ottenuto miglioramenti, il dottor Agasa si affrettò poi nella ricerca delle chiavi dell’auto “Ti aspetto qui fuori Ai”.
La ragazza fece un cenno d’assenso. Recuperati i vestiti puliti, scese in laboratorio per prendere anche gli occhiali speciali. Prima di uscire, non riuscì però a trattenersi dal guardare in direzione del cassetto della scrivania. Lo aprì e controllò con cura che nulla fosse stato toccato.
Era ancora tutto al suo posto, scatola delle medicine compresa.
Effettivamente, se lui avesse preso uno dei suoi antidoti, l’effetto sarebbe durato per 24 ore e non sarebbe sicuramente potuto entrare nel maglioncino blu per bambini che teneva, al momento, sotto al braccio.
Questa considerazione non bastò comunque a tranquillizzarla.
Risalì le scale e raggiunse rapidamente l’uomo baffuto.
Chiudendo la portiera dell’auto dietro di sé, affermò “Credo che sia più grave di quanto pensi. Ho un brutto presentimento professore, sbrighiamoci.”
 
Un cordone di luci lampeggianti rosso e blu circondava l’ingresso del grattacielo.
Due persone osservavano con aria afflitta la scena, nascoste fra le ombre dall’altro lato della strada.
“Hai chiamato tu la polizia?”
“No, non so nemmeno come abbia fatto ad arrivare qui prima di noi”
“Ma Jodie come è possibile che i nostri infiltrati non si siano accorti di nulla?” chiese sconcertato l’agente in capo all’FBI.
La donna emise un grosso sospiro. Non che il piano che avevano ideato fosse stato perfetto, tutt’altro, ma non si aspettava un risvolto così negativo.
“L’ordine era di tenersi a distanza e aspettare che lo scambio fosse concluso prima di controllare il 50-esimo piano e così hanno fatto”
“Ritrovandosi davanti un cadavere e un computer ormai inutilizzabile” concluse per lei James Black.
La tensione era palpabile. I loro sforzi per distruggere l’Organizzazione, che aveva ucciso suo padre e sua madre, costringendola ad una vita dura e piena di sacrifici, sembravano tutti vani. C’era sempre qualche dettaglio che sfuggiva alla loro comprensione e impediva loro di avere una vittoria schiacciante e definitiva.
Se andava bene avanzavano non più che di pochi passi, ma questa volta sembrava che fossero addirittura retrocessi.
“Abbiamo qualcosa in mano?”
“Neanche un indizio. Speriamo che Kir abbia avuto più fortuna”.
 
Il viaggio non durò molto, ma per tutto il tempo sul vecchio maggiolino giallo regnò il silenzio. I due rimasero immersi ognuno nei propri pensieri fino a che una minuscola figurina venne improvvisamente illuminata dai fari. Conan era rannicchiato in un angolo del vicolo completamente fradicio. Non appena la macchina si fermò, si alzò in piedi liberandosi dei pantaloni ormai troppo grandi per lui. Rimase solo con la camicia bianca che, appesantita dalla pioggia, gli scendeva oltre le ginocchia.
Salì in auto a testa bassa senza mostrare il minimo segno della sua solita baldanza. Evitò di proposito di incontrare gli occhi indagatori della ragazzina ramata che gli passava gli abiti puliti.
“Cos’è successo Shinichi?” chiese il dottore, lanciandogli un’occhiata piena d’ansia attraverso lo specchietto retrovisore mentre ripartiva.
Conan non rispose e iniziò a cambiarsi, nascondendo la testa nel maglione finalmente caldo e asciutto.
Ai, rivolgendo lo sguardo davanti a sé, per concedergli un minimo di privacy, ribadì
“Avanti Kudo ci devi delle spiegazioni.”
Dai sedili posteriori giunse solo il tonfo del cotone zuppo, lasciato cadere in malo modo.
“Perché indossi quei vestiti?”
Attese qualche secondo ma non ottenne alcuna risposta.
“Perché ti abbiamo ritrovato bagnato fradicio in un vicolo buio, con addosso una camicia che avresti potuto mettere solo con il tuo reale aspetto?”
Ma il bambino continuava a fissarsi le mani con insistenza, senza dire una parola.
“Adesso basta Ai, lascialo stare.” S’intromise Agasa per interrompere quella raffica di domande.
“No professore, non ci può chiedere di venire qui di corsa pretendendo anche che noi rispettiamo il suo improvviso mutismo!”
Ai in realtà, sotto la solita freddezza e indifferenza, era tremendamente spaventata dal comportamento del suo amico. Non era da lui non reagire alle provocazioni.
Cercò di scuoterlo voltandosi di nuovo verso di lui e gridandogli contro
“Mi hai per caso sottratto di nascosto un antidoto per far felice quella stupida ragazzina dell’agenzia?”
Sobbalzò bruscamente quando venne trafitta da due occhi blu freddi e distanti. Le aveva riservato una volta sola quello sguardo carico d’odio, al loro primo incontro, e le era bastato.
“Ran non è una stupida ragazzina” replicò scandendo chiaramente ogni sillaba per poi rivolgere la sua attenzione fuori dal finestrino.
La ragazza studiò il suo profilo alla luce intermittente della città. Era rigido e impostato, una linea dura marcava i lati della bocca, sottolineando il cipiglio scuro dello sguardo. Era chiaro che qualcosa non andava.
In quel momento passarono davanti all’ingresso principale del grattacielo, dove si erano fermate quattro auto della polizia.
“Prima che si divulghi qualunque tipo di notizia è meglio che sistemi le cose” disse in modo atono il bambino tirando fuori dalla tasca il telefono e il papillon cambia voce.
“Pronto, ispettore Megure? Si sono io, Shinichi Kudo”
Nell’udire quelle parole Ai chiuse gli occhi per assorbire l’impatto dell’ondata di terrore che l’aveva travolta.
Indipendentemente dalla ragione per cui fosse temporaneamente ritornato adulto, non era Ran il fulcro della questione.
Erano di nuovo nei guai.
 
Non appena saputo ciò che era successo, si era precipitato sul posto con gli uomini più fidati.
Ultimamente era difficile che quel ragazzo rimanesse coinvolto in qualche caso, ma quando capitava era sempre per qualcosa di strano. Si ricordava bene quando, fino a qualche mese prima, se lo ritrovava invece un giorno sì e un no su qualche scena del crimine. Come il padre prima di lui, Shinichi Kudo lo aveva aiutato a districarsi fra i casi più difficili. Nonostante la giovane età, grazie alla sua curiosità smodata e il suo intuito geniale era già un ottimo detective.
Ed ecco perché lui, che era l’ispettore di polizia, aveva prestato anche la più piccola attenzione alla ricostruzione che il ragazzo gli aveva appena fatto telefonicamente.
“…e questo è quanto.”
“Capisco. Giusto per informarti sappi che al nostro arrivo il primo uomo stava rinvenendo, ma quando ci ha scorti, si è sparato.”
Un sospiro rassegnato si udì dall’altro lato del telefono “Deve averlo fatto per non dare informazioni alla polizia.”
“Già è quello che ho pensato anch’io” rispose Megure, annuendo col capo anche se il suo interlocutore non poteva vederlo.
“Mi dispiace ispettore, deve essersi suicidato con una seconda pistola. L’ho lasciato lì senza controllare troppo bene le tasche per inseguire l’altro uomo.” Il tono era più serio e distaccato del solito.
“Non rimproverarti, non è stata colpa tua. Ci hai fornito molti dettagli utili, se non ci fossi stato tu probabilmente nessuno si sarebbe accorto di niente. Manderò una pattuglia a controllare la zona alla ricerca del secondo uomo.” Disse facendo cenno a Takagi di avvicinarsi.
“Adesso devo andare, ma prima avrei un favore da chiederle. Sarebbe possibile non fare il mio nome nel rapporto?  Vorrei che il mio coinvolgimento non venisse rivelato nemmeno fra le alte sfere della polizia.”
L’ispettore rimase sorpreso da quella richiesta, già le ultime volte gli aveva chiesto di mantenere segreta la sua collaborazione, ma mai fino a questo punto. Era molto più di un favore: si trattava di omettere un’informazione chiave, falsificando in un certo senso il resoconto della polizia, e Shinichi ne era sicuramente consapevole. Dopo qualche esitazione, più per l’affetto che provava per quel ragazzo, che per altri validi motivi, accettò
“Già, forse è meglio che il testimone rimanga anonimo dato come si sono svolti i fatti.”
“Grazie e un’ultima cosa. Si assicuri che le ragazze tornino a casa sane e salve.”
La voce si era incrinata un poco sulle ultime parole. Megure lanciò un’occhiata alla figlia di Kogoro, che era entrata in quel momento nella hall del palazzo, sembrava decisamente provata. Comunque questa volta non stava a lui fare domande.
“Va bene Kudo-kun, me ne occuperò io.”
 
Né prima né dopo il breve interrogatorio, le era stato permesso di conoscere alcun ulteriore dettaglio sugli avvenimenti della serata. Dopo la chiamata di Kudo, l’ispettore Megure le aveva congedate a forza e messe su un taxi, con la raccomandazione di tenere per loro l’accaduto.
Da allora Sera si era fatta cupa e lanciava in continuazione delle occhiate di sfuggita a Ran. Lei era sempre rimasta in silenzio da quando era tornata da loro con passo pesante, fradicia ed emotivamente distrutta. Sembrava quasi che non avvertisse lo scorrere del mondo attorno a lei. Solamente al nome di Shinichi aveva avuto qualche reazione, aveva sgranato e sbattuto le palpebre come se cercasse di trattenersi dal piangere, cosa che aveva chiaramente già ampiamente fatto, dato gli occhi rossi. Perfino Sonoko, nonostante le insistenti domande, non era riuscita a farsi dare spiegazioni.
“Ci vuoi dire come mai sei cosi sconvolta? Hai per caso assistito ad un altro crimine?” sbottò infine Masumi guadagnandosi un’occhiataccia da Sonoko. Ma lei non ne poteva più di quel silenzio assordante, non le piaceva non avere il controllo della situazione.
Ran sospirò vistosamente cercando un certo contegno “No no, niente di tutto ciò. Ho semplicemente avuto una conversazione spiacevole.”
“Centra quell’idiota di un detective, vero?” disse Sonoko, comprendendo al volo la causa dell’umore della sua amica.
Ran annuendo continuò, un sorriso tirato in volto “Si beh ecco…diciamo che non credo che lo rivedrò”
“Cosa significa questo?” chiese Masumi perplessa.
“Avevo evidentemente frainteso la situazione e lui ha messo le cose in chiaro. Mi ha detto di non aspettarlo più.”
Sonoko era sbalordita. Una vena iniziò a pulsarle sulla tempia “Se trovo quell’idiota mi sente”
“Lascia perdere, non ne vale la pena” concluse Ran chiudendosi nuovamente nel suo silenzio cupo e rivolgendo lo sguardo spento sulla città.
Sera era sempre più perplessa e preoccupata, anche la rabbia stava iniziando ad affacciarsi fra gli altri sentimenti. Ma cosa diavolo stava combinando Kudo? Era impazzito tutto d’un tratto?
 
“Sei consapevole del fatto che se questo è quello sbagliato…”
“Siamo in un mare di guai? Sì, lo so.”
Erano in piedi davanti al computer acceso. Ai teneva in mano il dischetto incriminato quasi come se si aspettasse da un momento all’altro di venire bruciata.
Alla fine Conan li aveva messi al corrente della situazione delicata in cui si trovavano. Arrivati a casa, il dottor Agasa aveva quindi lasciato soli i due ragazzi, percependo l’aria tetra e carica di tensione che aleggiava su di loro.
Dopo un ultimo attimo di esitazione, lei infilò con mani tremanti il dischetto nella porta del computer, avviando il programma di lettura.
“Fai attenzione per favore. Dopo tutto quello che ho passato non vorrei che i dati venissero cancellati come l’ultima volta” disse lui cupo.
“Ho preso tutte le precauzioni. Il programma di decriptazione è avviato. Ci vorrà qualche ora prima che decodifichi tutti i dati.”
Il ragazzino sospirò e si sedette sul pavimento freddo in attesa “Vai pure a dormire se vuoi. Io aspetto qui”
Ai alzò un sopracciglio perplessa “Credi che ti lascerò qui da solo fra le mie cose? Mai”
In risposta non aveva ricevuto il minimo accenno ad un sorriso. Tutte le volte che si trovavano in una situazione critica e dovevano affrontare l’Organizzazione, lui era quello che le aveva sempre dato forza, mostrandosi sicuro di sé senza mai vacillare. Adesso invece la sua armatura si era incrinata: appariva stanco e vulnerabile ai suoi occhi. Addolcì un poco il tono
“Mi vuoi spiegare come hai fatto a tornare ad essere Shinichi Kudo per quasi un’ora? Se non hai preso l’antidoto, com’è successo?”
“Questo dovresti spiegarmelo tu” la rimbeccò lui secco “ho mangiato una fetta di torta al liquore e mi sono ritrovato così.”
“Mmm, è probabile che, nonostante il tuo corpo avesse ormai sviluppato gli anticorpi al Paikal, in qualche modo la composizione di liquori abbia aggirato momentaneamente il problema risultando lievemente diversa.” disse la bambina pensando a voce alta “non credo comunque che potremo mai saperlo con sicurezza non avendo un campione da analizzare.”
“Già lo pensavo anche io” annuì lui sbuffando
“Sarebbe stato meglio che non fosse mai successo.”
Ai lo fissò attonita. Era la prima volta che lui non fosse felice di aver riacquistato le proprie sembianze anche solo per qualche tempo. I suoi sospetti iniziarono a farsi più chiari.
“Cos’è successo veramente in quell’edificio?”
Conan la guardò senza capire.
“È accaduto qualcos’altro, magari con la signorina dell’agenzia che non mi hai detto?”
Lui si rabbuiò e abbassò lo sguardo. Rispose solo dopo qualche istante sospirando “Questa sera ho tagliato i ponti con lei come Shinichi Kudo una volta per tutte.”
Ne rimase sorpresa. Non credeva che, nonostante fosse così pericoloso mantenere i contatti, sarebbe mai davvero riuscito a staccarsi definitivamente da lei.
“Ma perché ora? Dopo tutto questo tempo?”
La bocca si era incurvata in un sorriso amaro “Ora come ora siamo sulla cima di uno strapiombo in attesa di sapere se una folata di vento ci farà cadere o meno. Non potevo lasciare che lei mi seguisse e cadesse con me.”
Non indagò oltre, intuendo che quello non era né il luogo, né il momento adatto per parlarne. Sapeva già con quanta fatica lui nascondesse e dissimulasse il vero se stesso dietro quegli occhiali, nonostante non ci fosse giorno in cui avrebbe voluto rivelarle la sua vera identità. Doveva essere stato uno sforzo immane decidere di lasciarla andare. Non sarebbe servito a nulla cercare di confortarlo e dirgli che aveva fatto la cosa giusta.
Rimasero così in silenzio, seduti vicini senza toccarsi.
All’improvviso venne scossa da una mano che le aveva afferrato la spalla. Si era appisolata con la testa sulle ginocchia, con il ronzio del computer in sottofondo.
Un segnale sonoro aveva avvertito che il programma di decriptazione era terminato.
Si alzarono in piedi avvicinandosi cauti.
Due paia di occhi si fissarono contemporaneamente sullo schermo.
I cuori smisero di battere per qualche secondo.
Le mani erano chiuse a pugno talmente strette da avere le nocche bianche.
Il momento della verità era arrivato.
 
 
 
Nota D’Autrice
Capitolo un po’ introspettivo all’inizio, lo ammetto.
Ma non potevo non sguazzare un po’ nel dolore della mia coppia preferita.
Non ho molti commenti da fare, a parte il fatto che l’ultima parte non mi convince molto. Forse potevo scriverla meglio.
Beh mi farete sapere!
Ringrazio chi si prende dieci minuti del suo tempo per leggere la mia storia, chi gentilmente recensisce, e chi l’ha messa fra le seguite o i preferiti.
Con Affetto
Shin4
   
 
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