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Autore: martaparrilla    02/02/2016    6 recensioni
Henry ha 8 anni e non parla più da diciotto mesi. Sua madre, Regina, è convinta che quella sia la giusta condanna per non essere riuscita a proteggerlo dal dolore per la perdita del padre. Un giorno, le loro vite incrociano quelle di Emma che, cauta e silenziosa, riuscirà a conquistare la fiducia del piccolo Henry.
E forse, anche quella di sua madre.
Basterà questo a farlo parlare di nuovo? Henry odia davvero sua madre come essa afferma?
Anche stavolta ho dovuto alternare il punto di vista dell'una e dell'altra, è una cosa che non riesco a evitare per riuscire a spiegare al meglio le decisioni prese da entrambe e come queste influenzino positivamente la crescita del rapporto dei tre protagonisti.
La storia è puramente frutto della mia fantasia, nonostante si tocchino argomenti che troppo spesso le donne sono costrette ad affrontare da sole e in silenzio.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Amo il sabato e la domenica. Non ho guinzagli o cani come diretta continuazione delle mie braccia e Dio solo sa quanto ho bisogno di riposarmi almeno una volta alla settimana. Solitamente vado a trovare la mia famiglia. Mamma Mary, Papà David e il mio fratellino Neal. I miei genitori sono la coppia più sdolcinata e felice di questa terra, tanto felice che ogni volta che vado da loro arriva la consapevolezza che mai troverò una donna che mi ami e che io ricambi come succede a loro.

Non è stato difficile raccontare loro della mia omosessualità, credo che la fase innamoramento che loro dopo trent'anni non avevano ancora passato, abbia attutito la botta. O forse erano gli ormoni per la gravidanza di mamma che aspettava Neal. Erano rimasti a bocca aperta a guardare me e la prima ragazza che gli avevo fatto conoscere, quando avevo diciotto anni, come se fossero davanti a un'apparizione divina. Non mi avevano chiesto perché, come, quando...mi avevano abbracciata e detto di essere felice. Come nei migliori film che io non avevo mai visto, tra l'altro.

Non mi avevano fatto storie nemmeno quando me n'ero andata di casa per vivere da sola e avevo, per questo, abbandonato gli studi. Mi avevano anzi affidato una casa di cui non conoscevo l'esistenza, per poterci vivere da sola, e da lì non mi ero mai fermata col lavoro.

“Troverai la tua strada a tempo debito” dicevano. Secondo me avevano solo la mente molto annebbiata dall'amore che provavano l'una per l'altro.

Questa domenica però ho bisogno di un po' di solitudine.

Non so come mai, ma credo che Henry abbia avuto un ruolo importante per questo mio stato d'animo. E' venuto tutti i giorni per le due settimane successive dal nostro primo incontro e, piano piano, ha aumentato il numero di parole pronunciate. Cercavo di non forzarlo e alla fine mi aveva chiesto anche il nome, a modo suo certo, ma l'aveva fatto. Niente contatto fisico o visivo, solo vocale, e Shila sempre accanto, come fido protettore. La madre, di cui ancora ignoro il nome, lo accompagna e la maggior parte delle volte sta nella sua macchina a osservarci da lontano. Soffre nel vedere suo figlio parlare con qualcuno che non sia lei, spero di aiutarli anche in questo, visto che non so come, io sono l'unico essere umano con cui Henry a quanto pare parla. E questo mi fa sentire importante e utile come mai prima, è una sensazione che mi piace e mi stimola a fare di più. Ma soprattutto voglio avere delle risposte.

Perché non parla con nessuno?

Perché non ama il contatto fisico con altri esseri umani?

Perché si strofina le mani con salviette umide in continuazione?

Ma soprattutto perché non guarda mai in faccia la madre?

Ho provato a fare supposizioni ma non voglio crearmi un'idea che poi si sarebbe sgretolata nel momento in cui avessi saputo la verità, perché prima o poi l'avrei saputa. Quel bambino sembra stare bene con me, e la madre si sarebbe chiesta il perché almeno quanto me lo sto chiedendo io.

I miei pensieri sono uggiosi e confusi quanto la giornata. Una sottile coltre di nubi sovrasta la mia testa, il sole non c'è ma l'ambiente è comunque estremamente luminoso quel pomeriggio di marzo. Occhiali da sole indispensabili, anche perché l'acqua del ruscello fa da specchio e quella luce mi avrebbe letteralmente accecata. Sono completamente sola e non posso desiderare davvero nulla di meglio per la mia domenica.

«Buongiorno».

Una voce quasi sconosciuta mi sveglia dal torpore in cui sono entrata. Apro leggermente gli occhi, guardando fissa di fronte a me, dalla mia posizione supina, sopra la mia coperta.

Ho pensato per un attimo di essere morta e che quella visione fosse il mio angelo, quello che mi avrebbe portato in paradiso. O all'inferno, dipende dai punti di vista.

Alzo il busto.

«Buongiorno a lei» cerco di scorgere Henry là intorno ma è totalmente sola.

Lo siamo.

Ha dei tacchi vertiginosi anche quel giorno, come ha fatto a camminare in mezzo all'erba con quei cosi, solo lei lo sa. Mi alzo per salutarla meglio, avendo cura di togliermi gli occhiali da sole, mi piace non avere filtri quando guardo qualcuno negli occhi.

«Come ha fatto a trovarmi?».

«L'ho seguita» risponde senza esitazione.

«La cosa mi mette paura...come mai mi ha seguita? E' successo qualcosa a Henry? Che ci fa qui?».

«No, non è successo nulla a Henry, volevo parlarle di lui e della sua situazione».

Irrigidisce le labbra appena pronuncio il nome di Henry. Tiene la borsa con entrambe le mani di fronte a lei, come una scolaretta con la cartella il primo giorno di scuola. Non riesco a decifrare la sua espressione, è un misto tra “odio il fatto che parli con mio figlio” e “ti prego dimmi come fai”.

«Non poteva farlo in queste settimane quando accompagnava Henry al parco?».

Mi sbilancio e sposto il piede destro posteriormente, allontanandomi un po' da lei.

«Non volevo che Henry ci vedesse, è come geloso di lei e se ci vedesse insieme crederebbe che voglia allontanarla da lui ed è l'ultima cosa che voglio».

«Bè, non ho sedie su cui farla accomodare o qualcosa da offrirle, se si accontenta di una coperta sull'erba» voglio metterla a suo agio ma non so se riuscirò nell'intento. E', anzi, sembra una donna troppo sofisticata. Fortuna ha un pantalone e non la gonna oggi. O sfortuna. Si accomoda su un lato e poggia un braccio sulla coperta per sostenersi. Io la imito e mi posiziono accanto a lei.

«Innanzitutto vorrei presentarmi, mi chiamo Regina Mills».

Regina. Regale come una regina. Il nome le sta a pennello.

«Oh io sono Emma, Emma Swan» allungo la mano per presentarmi e lei la stringe, vigorosa. Con la stessa mano poi, si sistema i capelli dietro l'orecchio. Solo allora sento il suo profumo. Chiudo gli occhi per godermelo al meglio. Quando li riapro il suo viso è un enigma.

«Ha un profumo molto buono» mi sento avvampare ma lei non ci fa caso. Con una mano sposto i miei capelli da un lato, facendoli ricadere sul petto.

«La ascolto» incrocio le gambe e con un sorriso incoraggiante aspetto che lei inizi a raccontare.

«Non è facile parlare a una completa sconosciuta di mio figlio».

«Non credo di capirla, non ho figli, ma se mi ha stalkerizzato evidentemente la paura di parlare con me non è grande quanto quella di non riuscire a far nulla per Henry. E poi ora sa il mio nome, se vuole posso darle altre informazioni su di me, a tempo debito insomma».

Io sono disponibile ad ascoltarla ma non voglio forzarla. Non insisterò se non vuole parlare. Ho ragione, ha lo stesso sguardo spaesato di Henry alle prese con uno sconosciuto. Giocherella con una foglia che il vento ha fatto arrivare fino alla coperta.

Passano i minuti. Minuti in cui io attendo in religioso silenzio. Sulla coperta arrivano due cavallette, qualche formica, dieci sospiri di Regina e due colpi di tosse miei.

«Henry non parla da quando ho brutalmente buttato fuori di casa suo padre che mi aveva tradito con la prima troietta sulla sua strada e ha avuto la splendida idea di morire quella stessa notte in un incidente stradale».

Questa sì che è una rivelazione. Il suo sguardo continua a rimanere basso, quasi come se si vergognasse. Le mani si stringono sulle ginocchia.

«Non volevo che assistesse alla scena, ma è successo. E Henry ha pregato il padre di rimanere ma lui si è voltato senza nemmeno dargli una spiegazione. E quando gli ho dovuto dire dell'incidente mi ha urlato contro che mi odiava. Quelle sono state le ultime parole che ho sentito da lui».

Annuisco anche se so che lei non mi sta guardando.

«L'ho portato da diversi psicologi ma mai, mai qualcuno è riuscito a farlo parlare. A scuola è bravissimo negli scritti ma non parla alle interrogazioni. Dicono abbia una specie di disturbo post traumatico da stress» emette una risata triste «quella che non ho potuto avere io per badare a lui».

«Io vorrei...» la voce rotta dal pianto, finalmente alza lo sguardo per posare i suoi occhi lucidi sui miei.

«Vorrei solo che capisca che gli voglio bene, e che non volevo separarlo dal padre. Volevo solo che non stesse più nella nostra casa, che mi toccasse» pronuncia questa parola con enorme disprezzo «invece ho dovuto anche piangerlo al funerale, senza poter dire che razza di schifoso bastardo manipolatore fosse».

«Di tutto questo lei ha parlato con qualcuno?» le parole escono spontanee dalla mia bocca.

«Ma ha ascoltato quello che ho detto?» risponde un po' irritata.

«Con estrema attenzione, ma mi ha parlato solo di Henry e di quello che ha fatto per lui. Per lei ha fatto qualcosa? Ha mai detto a qualcuno del tradimento e via dicendo?».

La sua espressione cambia, di nuovo. Dalla rabbia allo stupore. Incerta sulla risposta si limita a dire “no” come se fosse la cosa più normale del mondo.

«Quindi lui è il santo e lei la stronza. A detta di Henry chiaramente».

«Esatto, ma è stata la sua morte improvvisa ad averlo ferito maggiormente».

«Immagino che qualcuno le abbia detto che quello sia normale. Ma credo sia meno normale che lei viva con questo enorme peso addosso. Il senso di colpa che la schiaccia non le permette nemmeno di avere un comportamento adatto a rapportarsi con Henry».

Sbuffa prima di tirarsi indietro i capelli con entrambe le mani.

«Non sono una psicologa, non ci capisco niente di bambini ma le assicuro che non essere in pace con se stessi porta a dei comportamenti e delle reazioni assolutamente improprie. Esperienza personale».

I suoi occhi sono lucidi, ma non scende nemmeno una lacrima. Non so perché si limiti tanto, perché si controlli. Il nulla ci circonda, e a parte me non avrebbe notato nessuno la sua debolezza. Sul dorso della sua mano noto, solo in quel momento, un enorme livido violaceo con dei piccoli segni rossi sulle nocche. Le mie dita, senza controllo, lo sfiorano delicatamente, poi la guardo. La risposta mi appare chiara nei suoi occhi, non è necessario sprecare nemmeno una parola.

«Henry è un bravo bambino e non credo che la odi» forse sapere questo la avrebbe aiutata a capire il suo dolore.

«Oh si che mi odia» aggiunge lei testardamente convinta.

«Un giorno mi ha chiaramente detto che voleva parlare con lei, ma non ci riusciva, e non sapeva come fare per tornare indietro» ripenso a quel giorno e nella mia mente appare chiaramente il suo visino e le mani che torturano il guinzaglio di Shila. Regina pende dalle mie labbra, aspetta che continui con quella storia e mi dispiace non poter aggiungere altro, perché Henry quel giorno non mi ha detto altro.

«Ho cercato di farmi dire altro, ma lui si è alzato e ha portato Shila a fare un giro, e quel giorno non ha più aperto bocca e io come al solito non l'ho forzato. Credo abbia qualcosa di estremamente pesante da dire, qualcosa che lo schiaccia e...».

«Lo so» mi interrompe bruscamente «è la stessa cosa che mi hanno detto gli altri psicologi, solo che nessuno ha capito cosa sia o se l'è fatto dire, e nessuno ancora riesce a leggere nel pensiero».

Non mi stupisce che sia così, a volte gli psicologi sanno essere tanto insistenti quanto fastidiosi.

«Be sono felice di essere arrivata alla loro stessa conclusione allora, ma non vedo come possa riuscire ad andare oltre una laurea, specializzazione e scuola di psicoterapia».

«Lei in due settimane è riuscita a fare molto più di quanto abbiano fatto loro in due anni di terapia, pagando fior di quattrini».

«Ho solo aspettato che avesse qualcosa da dirmi» dico con sincerità.

«Appunto. Quindi le chiedo per favore...potrebbe occuparsi di lui più o meno a tempo pieno? Con me ovviamente». Il suo viso si illumina di aspettative nei miei confronti e improvvisamente mi sento sopraffatta dalla situazione e piena di responsabilità. Una responsabilità che non posso e non voglio avere.

«Io non credo di essere in grado e di avere le competenze per...».

«Andiamo non dica sciocchezze» mi interrompe «lei non ha fatto niente eppure è riuscita a farlo parlare! Ovviamente la pagherei, sarebbe un lavoro, le darei almeno il doppio di quanto si fa pagare per portare a spasso i cani, che tra l'altro Henry adora e io nemmeno lo sapevo. La mattina ha scuola ma poi nel pomeriggio, a parte la piscina due volte alla settimana, non fa altro, non vede altri bambini, difficile rapportarsi con un bambino di otto anni che non parla. E' difficile per un adulto figuriamoci per altri bambini».

Ha parlato a una velocità impressionante e in modo talmente convincente che quasi sono capitolata. Ha usato un tono di voce basso, quasi rauco, che avrebbe convinto qualsiasi essere vivente su questa terra, e rimango incantata dal movimento delle sue labbra. Con quella bocca avrebbe potuto chiedere il mondo e il mondo si sarebbe offerto a lei, senza esitazione.

«Io ho 25 anni e faccio la dog sitter, come crede che possa fare un lavoro migliore di persone che hanno studiato per situazioni come quelle di Henry?» torno alla realtà in fretta perché se quella donna avesse continuato con quel tono e a usare quello sguardo, avrei rischiato di ritrovarmi a ballare nuda in mezzo alla strada se solo me l'avesse chiesto. Mi metto in piedi con un saltello e comincio a fare avanti e indietro sul bordo del ruscello. Mi rimetto gli occhiali da sole, aggrottare gli occhi per sopportare la luce mi sta facendo venire mal di testa.

Non sono portata per risolvere questioni psicologiche, non amo incasinarmi l'esistenza con esseri umani problematici, cerco di tenerli lontani perché quando inizio a preoccuparmi per loro poi diventa un'ossessione e se non riesco nel mio intento sto peggio di loro. Non posso stare di nuovo così dopo che mi sono disintossicata da lei e da tutti.

«Emma» di nuovo quella voce. Mi volto di scatto e la ritrovo a un passo da me. Occhi supplicanti e sguardo contratto dal dolore.

«Non mi guardi in quel modo, non sono brava a dire di no».

«E allora non lo faccia» un altro passo dimezza la distanza tra noi «la prego».

Da quella distanza posso notare alcune particolarità del suo viso. La cicatrice sul labbro superiore è più grande di quanto sembrasse a una prima occhiata rapida. Piccole, quasi impercettibili rughe segnano il suo contorno occhi, ma sembrano più rughe di stanchezza che dovute all'età. La pelle, assolutamente liscia e perfetta, è ricoperta da una velatura di trucco brillantinata, e questo rende il suo viso ancora più luminoso. E a incorniciare tutto questo, gli enormi occhi praticamente neri, con le pupille dilatate, mi sembrano un pozzo senza fondo in cui voglio buttarmi.

Ed è maledettamente bella. E magari vederla mi avrebbe aiutata nel percorso con Henry.

«Non mi sta aiutando per niente. Mi sono appena disintossicata da una ex fidanzata per cui mi preoccupavo ventiquattro ore al giorno, non voglio tornare a stare male per qualcosa che non posso controllare» la paura sta prendendo il sopravvento. Avere ancora responsabilità fa nascere in me uno scombussolamento tale da arrivare a una crisi di panico. Col tempo ho più o meno imparato a gestirle.

«Non volevo metterla in difficoltà, mi dispiace». E' veramente dispiaciuta ma non ha detto che si scusa e ritira la strana offerta.

Mi tolgo gli occhiali prima di inginocchiarmi accanto al ruscello, infilare le mani nella gelida acqua, bagnarmi viso e capelli e riflettere. Ho passato due settimane con lui e non mi ha disturbato. Non ho pensato a lui in modo ossessivo cercando forzatamente un modo per farlo parlare di più o per farlo comunicare con sua madre, è stato semplice stare in sua compagnia. Forse posso riuscirci senza perdere la salute e impazzire come forse stava impazzendo lui. E' un bravo bambino. L'acqua sotto di me scorre veloce e il riflesso del mio viso è lievemente distorto dalle increspature che la corrente le dà. Mi rimetto in piedi, avendo cura di pulirmi i jeans. Lei è ancora lì, in trepidante attesa.

«Ok. Ma lei deve essere con me, a parte i momenti in cui sono con i miei cani».

«Sta dicendo che accetta?».

«Sì, sto dicendo che accetto» inclina un po' la testa da un lato prima di ringraziarmi.

«Sa già come procedere? Ha qualche idea?» chiedo tornando a sedermi sulla coperta.

«Sinceramente no» risponde cauta dietro di me. Dopo qualche secondo le posizioni tornano come quelle iniziali.

«Ma pensavo che potrebbe venire da noi, a casa nostra, magari Henry in un impeto di felicità le mostrerà la sua camera o le dirà altro».

«Se mi presentassi a casa sua credo che si spaventerebbe» aggiungo «forse è bene che il tutto capiti per caso, per esempio lei lo accompagna da me al parco e poi mi chiede di riaccompagnarlo per un impegno importante. Lei ovviamente sarà a casa ma lui non si insospettirà».

Non ho idea di quello che sto dicendo, ma Regina è talmente disperata che accetta tutto quello che dico come fosse oro.

«E magari potrei proporgli di passare del tempo insieme, a casa vostra e a casa mia, potrei fargli vedere il mio progetto di casa per animali che ho in mente e farlo collaborare con me».

Continua ad annuire. Cioè, io potrei essere un mostro assassino e lei mi affida la salute psicologica di suo figlio. Essere madre fa diventare completamente pazzi.

«Lo so cosa sta pensando» mi dice poco dopo.

«Io non sto pensando nulla».

«Avanti non menta, so bene che pensa che sia una madre snaturata che affida suo figlio a una sconosciuta» non posso fare a meno di sorridere.

«Il suo sorriso lo conferma ma farei davvero qualunque cosa per fare avere a Henry una vita normale, voglio che stia bene. Nei suoi occhi mi sembra di vedere esattamente cosa le passa per la testa, cristallini almeno quanto i miei».

Ok Emma, prova a respirare. So che puoi farcela. So che se la testa si trova in carenza di ossigeno i muscoli della gabbia toracica dovranno necessariamente muoversi e far entrare aria, ossigeno.

Inspiro, espiro.

Certe parole pronunciate da certe donne mi fanno sempre un brutto effetto.

Intorno a noi l'aria improvvisamente si fa più leggera. La tensione iniziale svanisce per lasciare il posto a una silenziosa complicità che da quel momento avrebbe fatto parte delle nostre vite.

Qualche minuto di silenzio.

«Si sta bene qui» dice lei con gli occhi chiusi e il volto rivolto al cielo. E' finalmente uscito un po' di sole, tiepido.

«Si lo so. Per questo vengo almeno una volta alla settimana, mi rilasso un pochino, rifletto, trovo soluzioni».

«Magari dovrei venirci anche io ogni tanto».

«Si, credo che le farebbe bene» rispondo. La osservo ancora. Il suo viso è preoccupato. Emette un sospiro prima di controllore l'orologio sul suo polso e alzarsi dalla coperta.

«Adesso devo andare, ho lasciato Henry a casa con la nonna per qualche ora. Se non fosse che sconvolgeremmo l'equilibrio di Henry, la inviterei».

Altro tonfo al cuore.

«Se non fosse che sconvolgeremmo l'equilibrio di Henry, accetterei, ma meglio di no» riprendo la mia posizione eretta per salutarla.

«Allora ci vediamo». Si volta e cammina verso la sua macchina, parcheggiata a un centinaio di metri da noi.

«Regina» la chiamo. Si volta di scatto facendo ondeggiare i suoi capelli corvini.

«Andrà tutto bene».

Un sorriso sincero appare sul suo volto prima di voltarsi e allontanarsi di nuovo.

Forse non ho sbagliato ad accettare. Forse per una volta sarei riuscita a tenere a bada il mio bisogno di sentirmi utile e avrei semplicemente fatto qualcosa senza pensare alle conseguenze, senza pensare che fallire non sarebbe stata totalmente colpa mia. A volte sono anche gli altri a dover fare qualcosa e Henry in questo caso ha un lavoro durissimo da affrontare. Io devo solo sostenerlo in questo.

 

 

Note dell'autrice: eccoci qui a questo terzo capitolo. Regina, che solitamente si chiude totalmente in se stessa, è decisa a sfidarsi e a sfidare Emma per riavere suo figlio.

Grazie come sempre a Susan e Nadia ( _ Gilestel _ su questo sito) per le correzioni.

A martedì prossimo :)

  
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