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Autore: Kat Logan    09/02/2016    5 recensioni
Paradiso e Inferno; è ciò che si ritroveranno ad affrontare i protagonisti di Stockholm Syndrome in questa nuova avventura.
Hanno amato, realizzato i propri sogni, hanno accarezzato il paradiso nella pacifica Osaka ed ora devono ristabilire l'equilibrio; troppa gioia tutta in una volta è da pagare.
Per uno Yakuza la cosa più importante è l'onore, così, Akira e Haruka seguiranno le proprie tradizioni.
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"Ovunque andrò, sarai con me. E avrei voluto dirlo in modo diverso, in un’occasione differente…magari al lume di candela, su un tetto, sotto alla luna, al nostro terzo matrimonio. Ma sai, un momento giusto non c’è mai. Quello giusto è quando lo senti, ovunque tu sia..quindi…lo dico adesso, forte come non l’ho mai sentito prima d’ora. Ti amo e questo non cambierà, non è cambiato nemmeno nel momento in cui non mi sono più riconosciuta".
[Sequel di Stockholm Syndrome].
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mondo Yakuza'
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Nelle puntate precedenti: Breve riassunto per riprendere le fila dei primi tre piccoli capitoli di Kissing The Dragon, il sequel di Stockholm Syndrome, per chi non ha voglia ( e direi…giustamente!!!  visti i tempi epici) di rileggere i primi capitoli postati qui in passato. Ma prima…facciamo un passo ancora più indietro, cosa è successo alla fine di Stockholm Syndrome? Semplice e conciso. I buoni hanno trionfato sui cattivi! Haruka e Akira hanno ucciso l’Oyabun e il perfido Daisuke, unico in corsa con la biondina, per il posto in lizza come nuovo capo clan. E in questi tre capitoli? Akira, Haruka e Minako si sono rifugiati ad Osaka. Setsuna e Rei sono andate a convivere ma pare che qualche minaccia (forse un tradimento da parte di Setsuna?) incomba sulla loro relazione. Nel cuore della notte le due agenti vengono chiamate sulla scena di un crimine. Pare si tratti di un suicidio e che il fattaccio coinvolga uno yakuza. Haruka e Michiru si ritrovano a Tokyo e dopo una notte di passione passata assieme, una chiamata interrompe l’idilio d’amore delle due. Nel frattempo, Akira è stato licenziato dal ristorante in cui lavorava e Minako prosegue nel suo percorso d’infermiera. I due s’imbattono in un losco yakuza del clan di Osaka che si presenta come il fratello di Daisuke. Flashback di qua e di là, per ulteriori dettagli…i capitoli sono qui!
Non basta dirvi grazie. Continuano ad apparirmi sempre nuove persone, con i loro like, alla mia pagina fb e io non posso rimanere indifferente verso il vostro affetto e la curiosità che avete verso i miei “lavori”. Quindi, ancora una volta, questo è per voi.
Kat.

 
 
 

Kissing The Dragon
Capitolo 3
Paradise Lost – Part II

 
 

Inferno, nono cerchio. Haruka di lì a poco si sarebbe sentita come se stesse pattinando sulla lastra ghiacciata del lago Cocito[1] sul fondo dell’inferno. Lo scrosciare pacifico e incessante delle onde di Osaka aveva abbandonato il suo udito da qualche ora per poi catapultarla nella frenesia e il caos di Tokyo.
Aveva lasciato fuori dal motel, con solo un bacio frettoloso, la sua venere poiché all’altro capo del telefono la voce di un’altra donna aveva avuto il suono di una minaccia.
Respirò profondamente, ma quel che il ragno nipponico offriva era solo veleno. L’aria pesante intrisa di smog non avrebbe fatto differenza col fumo di una sigaretta. Di qualche morte si deve pur morire, ma Haruka era certa che prima dei polmoni neri di catrame ci sarebbe stato qualcos’altro a portarla dritta dritta nella tomba.
 
“Da quanto tempo…”.
Setsuna accennò ad uno stiramento di labbra che ricordava vagamente un sorriso nel dire quelle parole.
“Non posso dire sia un piacere” recise la bionda, trattenendo la tensione nelle tasche dei pantaloni dentro le quali affondò le dita.
“Brutta sveglia?”.
“Ricordami perché stiamo conversando e non sono a spassarmela con la mia donna, ti prego”.
“Perché il patto era questo. Collaborazione o finir dentro a vita e ti giuro…che nessun maledetto mafioso infiltrato avrebbe potuto tirarti fuori da una gabbia chiusa dalla sottoscritta”.
Uno scintillio tagliente si scagliò dagli occhi chiari di Haruka in direzione di quelli scuri della donna più grande.
Haruka non aveva mai avuto paura dei piedi piatti, poiché, in fin dei conti, aveva vissuto con mostri ben peggior sin da bambina. La yakuza non era certo una palestra da poco.
“Buh!”. Fu un suono secco e inaspettato quello che esclamò senza alcun preavviso per poi bypassare l’agente e sgattaiolare al di sotto del nastro giallo come se non si fosse appena comportata in modo irriverente e bambinesco.
“Non ti addice tutta quest’aria da dura. Ma ti rispetto, più o meno, quindi veniamo al dunque” sentenziò poi Haruka.
Setsuna contò fino a cinque e si trattenne dall’abbassarsi al livello di quella che per lei corrispondeva a niente poco di meno che feccia umana visto la categoria alla quale apparteneva. Le fece strada sino all’interno venti dove un paio di colleghi della scientifica facevano il loro dovere e Rei avanzava silenziosa qualche ipotesi che confidava soltanto al suo taccuino.
Haruka sentì lo sguardo della mora poggiarglisi addosso, bruciava come fuoco vivo ma la cosa non la intimidì. Dovette mandar giù più di una battutina sarcastica per proseguire in silenzio e a passo sicuro fino a ritrovarsi nella stanza dove era avvenuto quello che era stato catalogato come un suicidio.
Due uomini si erano premurati di togliere il cadavere dalla posizione in cui era stato trovato adagiandolo prono. Lo sgabello era ancora lì, come la corda al collo dal nodo ben saldo e tutto il resto.
Gli occhi celesti della bionda si piantarono gelidi sulla carne pallida e fredda della vittima per poi seguire con un guizzo di pupille un enorme tatuaggio raffigurante un dragone che stringeva tra le fauci una rosa color cremisi.
“Horimono[2]”. Fu solo un sibilo quello che le rotolò fuori dalle labbra ma Setsuna, da brava detective, lo intercettò nonostante il tono quasi inconsistente.
“E’ uno yakuza, non è vero? Lo conosci?”.
Un assenso del capo anticipò il resto della frase della bionda che si avvicinò di più al defunto.
“Ne sono certa…” si chinò senza staccare gli occhi dal corpo, stringendo appena le palpebre come a mettere a fuoco qualcosa di impercettibile.
“Gli horimono non sono solo un simbolo di appartenenza” sentenziò. “Sono anche sintomo di coraggio e resistenza al dolore…la tecnica è differente da quella del tatuaggio moderno. Gli horimono vengono fatti alla vecchia maniera, si usano una serie di aghi fini, fissati all’estremità di un pezzo di bamboo che ti vengono conficcati nella pelle grazie alla maestria manuale dei pochi tatuatori che ancora oggi eseguono questa antica tecnica”.
“Ne hai uno?” una genuina curiosità macchiò la voce di Setsuna che subito si pentì di essersi lasciata andare a quella confidenza che aveva riservato all’altra giovane donna.
“No, ma conosco bene chi ne ha”.
“Non mi hai ancora detto se lo conosci”.
Haruka tentennò. Cantare alla polizia non era poi qualcosa di malvisto dalla ikka[3], ma questo solo se venivi sbattuto in galera per guadagnarti il rispetto dei propri fratelli. Lei stava facendo “l’uccellino” ma proprio per incriminare qualcun altro e starsene in libertà. Stava giocando al contrario un gioco molto pericoloso cercando di cambiarne le regole.
“So a che gang appartiene se è questo che vuoi sapere. Nome e cognome li trovi sul campanello no?!”.
Ora la tensione aveva preso corpo nel tono di Haruka anche se cercava di non darlo a vedere. La sensazione che l’inferno stesse ruggendo sotto ai suoi piedi si fece più forte, forse complice l’odore di putrefazione che si stava insinuato prepotentemente nelle sue narici, facendosi strada sino al suo stomaco.
“Porca puttana…”.
Setsuna non si meravigliò di quel linguaggio, anzi era fin troppo poco colorito per appartenere ad una poco di buono del genere.
“Qual’è l’organizzazione in questione?” incalzò incurante del malessere che stava pervadendo sempre più velocemente l’altra.
“La mia”.
Con la sua ultima risposta Haruka si dileguò, prima di essere arrestata per aver vomitato sulle scarpe di un pubblico ufficiale.
 

***

 
“Dobbiamo dirlo ad Haruka”. Minako non intendeva perdere la calma, ma l’incontro con il parente di quello che ora era un morto cementificato non le aveva reso il compito di mantenere la calma facile.
“No, me la sbrigo io” disse Akira risoluto nell’aprire un borsone grigio e infilarci alla rinfusa più vestiti possibili dall’armadio.
“Che vorresti dire?”.
Minako non riuscì più a rimanere seduta immobile sulla sedia. Se Akira non aveva il coraggio di guardarla negli occhi o stava mentendo o non voleva farle vedere quanta paura covava sotto quelle lande desolate che si portava nelle iridi.
“Che risolverò tutto, Mina”. Rispose rapido e conciso, altrimenti con troppe parole avrebbe rischiato di cadere in fallo e dirle chiaro e tondo che stava pensando alla sua amica, ormai a riposo da un po’, che comunicava solo con acciaio freddo e pallottole.
In fin dei conti era solo un uomo e non era detto sarebbe stato in grado di scoprire cosa fosse accaduto al fratello, ammesso non fosse riuscito a trovare il cantiere giusto e poi a sciogliere il cemento sotto il quale riposavano l’Oyabun e Daisuke. E se anche fosse stato perché i sospetti sarebbero dovuti cadere proprio su di loro e non su qualche altro disgraziato immerso sino al collo nella mala vita?
Non dovevano farsi prendere dal panico, ecco la soluzione. Era stato un solo sfortunato incontro il loro, nient’altro.
“Mina dovresti andare…”
“Da nessuna parte!” interruppe secca lei sbattendolo fuori dal proprio groviglio di congetture che l’aveva tenuto legato fino a quel momento.
La ragazza poggiò le mani su quelle del fidanzato per fermare quella frenetica e disordinata corsa al bagaglio.
“Akira…” la voce era un sussurro, non era spezzata da incertezze ma solo bassa come a confidargli un segreto che in realtà l’altro avrebbe dovuto conoscere sin troppo bene.
“Non vado da nessuna parte senza di te”.
Minako quel giuramento lo aveva fatto a sé stessa sin da quel giorno di pioggia in cui lo incontrò per la prima volta. Benché al tempo non avesse la benché minima idea di chi fosse lei era sempre stata certa di una cosa: le anime sono fatte per incontrarsi e la sua, senza far alcun rumore, si era incastrata sin da subito alla perfezione con quella di Akira fino a diventare indivisibili. Non avrebbe mai abbandonato un pezzo della sua anima, nemmeno se fosse stato l’ultimo giorno sulla terra.
 
“Sei una testarda”.
“Però mi ami” sorrise lei.
“Però ti amo”.
 

***

 
 
Ancora nessuna chiamata né tanto meno nessun sms.
Il numero di cellulare di Michiru sembrava esser stato dimenticato dal pianeta terra un po’ come lei era stata lasciata a sé stessa.
Abituata ai colpi di testa di Haruka e al suo temperamento poco flessibile condito di assenza di spiegazioni esaurienti, Michiru non aveva indagato. D’altro canto nei mesi trascorsi la vita aveva seguito il normale corso senza singolari soprese degne di un film poliziesco, anche se questa volta un piccolo noioso tarlo sembrava volerla metterla in guardia.
La sua era solo una sensazione, niente di fondato, ma l’ammutolirsi di Haruka alla cornetta e il suo allontanarsi quanto bastava per riprendersi i vestiti e non farle udire la conversazione al cellulare le aveva insinuato il seme del dubbio dentro.
Niente paranoie Michiru. Haruka è fuori dai guai ormai…
Michiru varcò l’ingresso dell’Aiiku Hospital dirigendosi alla sala d’attesa principale dove prese posto su una delle sedie scomode che erano libere.
Accavallò elegantemente le gambe, poggiando la pochette poco più sopra del ginocchio destro e con lo sguardo scivolò oltre la reception e il banco informazioni verso le porte del reparto come in attesa di qualcuno.
“Signorina Kaiō!" una voce gioviale ed un largo sorriso attirarono la sua attenzione.
Michiru sorrise di ricambio e si alzò per porgere un piccolo inchino al medico.
“Dottor Chiba è un piacere vederla!”
“Sicuramente meglio in queste condizioni che in quelle passate!”. L’uomo azzardò un occhiolino soffocando una risata con un gesto educato della mano davanti alle labbra.
Mi fido di Haruka. Mi sono fidata di lei persino quando non era esattamente la persona di cui fidarsi.
Le parole del giovane le fecero tornare alla mente stralci di ricordi che prontamente Michiru cercò di scrollarsi di dosso fino a farli cadere sotto ai tacchi delle scarpe.
Quando era per strada e l’ombrello faticava ad aprirsi o un furgone scuro le passava di fianco andava ancora automaticamente in apnea*.
“Mi dica dottor Chiba, come se la cava mia sorella Ami?”.
“È un’ottima studentessa, non deve preoccuparsi! Se posso chiederglielo come mai è qui? Ha bisogno per una visita a qualcuno o…”.
“No, no” Michiru stroncò la preoccupazione del medico sul nascere con un gesto delle mani. “Ero solo passata per la pausa pranzo di Ami”.
“Allora la lascio a sua sorella, tra qualche minuto sarà sicuramente qui”.
Michiru s’inchinò ancora una volta con le onde acquamarina sul volto e per la prima volta in tutta la giornata il suo cellulare vibrò quasi con fare insistente.
Lo estrasse dalla borsetta e con un tocco della punta del dito sul display visualizzò un unico messaggio da parte di Minako.
 
Torniamo tutti a Tokyo.
 
Non sapeva il perché, ma la frase le suonò come qualcosa di nefasto.
Un tuono rimbombò nell’atrio comprendo la voce di Ami ancora a qualche passo da lei.
Gli occhi di uno sconosciuto la costrinsero ad alzare lo sguardo dallo schermo perché troppo insistenti.
L’uomo prese distrattamente contro ad Ami.
Un lampo illuminò la stanza prima di un altro boato e in quel fascio di luce improvvisa, nel frangente di un secondo, a Michiru in quel viso mai visto prima, sembrò di riconoscere i tratti del volto di Daisuke.
Schiuse le labbra, sentendo bruciare i polmoni.
Le gambe le si fecero improvvisamente molli.
Lampo, tuono e poi buio.
“Michiru!”.
La voce di Ami divenne solamente un lamento lontano.
 
 

***

 
Haruka pareva avere il vento dalla sua parte. Scese di corsa le scale come se alle calcagna avesse il suo peggior nemico per poi uscire dal palazzo e prendere un respiro profondo. Dovette prostrarsi in avanti, poggiando le mani alle ginocchia per poter far arrivare più a fondo l’aria che sembrava preferire stare alla larga dai suoi polmoni.
Il numero venti, il numero dell’interno nel quale del quale aveva appena varcato la soglia non l’era passato inosservato. Quello era solo un indizio più a confermare che quello morto stecchito era una suo collega.
“Cristo santo”.
“Davvero credi in qualcosa? Non ti facevo una tipa spirituale”.
Gli occhi cobalto si sgranarono per la sorpresa incrociando onice profondo e cupo.
Credo solo in me stessa. Se lo tenne per lei ma lo pensò fortemente nel riprendere la normale posizione eretta e rivolgersi verso la sua interlocutrice.
Rei spiccava in bellezza e sensualità, si domandò come una tipa del genere trovasse qualcosa in un bacchetto rigido come l’agente Setsuna.
Strano l’amore. E lei lo sapeva bene, visto che la sua donna non aveva potuto scegliere partito peggiore.
“Credevo fossi abituata a certe scene”. Rei parve quasi soddisfatta nello sputare sentenze, c’era una sorta di superiorità nella sua voce e lo sguardo fiero con cui la guardava riversò bile nello stomaco della bionda.
“Sono abituata a peggio. Scommetto che se fossi stata al mio posto non saresti durata un giorno…”.
“A me pare che tu abbia solo una gran voglia di vomitare e stia parlando a vanvera”.
Negli specchi cupi di Rei si specchio il riflesso di un fulmine in lontananza.
“Sta per piovere…” disse alzando lo sguardo sugli stralci di cielo cupo che facevano capolino tra le antenne e le parabole dei palazzi che arrivavano con i loro tetti a solleticare il cielo.
“Errato ancora una volta, sta già piovendo”.
Due grossi goccioloni bagnarono le gote di Haruka, altri due le macchiarono la stoffa degli abiti.
 
La scia di acqua piovana.
Tornerà a galla tutto se continua a piovere.
 
L’inferno stava chiamando a raccolta i suoi ricordi blindati in un angolo buio della sua mente di cui aveva voluto gettare la chiave nel mare di Osaka.
“Idiota, sta piovendo a dirotto!”. Rei alzò la voce per farsi sentire e corse sotto la tettoia che copriva la porta d’ingresso del palazzo mentre l’altra si stava inzuppando.
La mente di Haruka cercò di aggrapparsi al presente e intercettò sull’asfalto ormai scuro di pioggia il taccuino di Rei. Si era ribaltato e su se stesso e il cartoncino scuro che faceva da copertina riportava un numero di telefono che Haruka riconobbe immediatamente.
“Mimì!”.
“Cosa? Cosa dici? Non ti sento! Fa un rumore del diavolo questo temporale!”. Rei, cercando di asciugarsi il più possibile notò il labiale dell’altra nel raccogliere il suo notes.
“Hey, quello è mio!” tornò sotto l’acqua per recuperare i suoi appunti e fece per strapparglielo di mano.
“Cosa ci fai col numero di Mimì?”
“Chi?”
Haruka le indicò il numero ormai sbiadito sulla copertina.
Il notes lo aveva preso da casa di Setsuna.
“La conosci?”
“Faccia d’angelo, piccola di statura ma con tutte le curve al posto giusto. Le ho sempre visto in testa dei colori piuttosto stravaganti ma il colore di capelli naturali è…”
“Moro…” intervenne l’altra ricordando Setsuna parlarci in uno squallido vicolo al riparo delle luci delle insegne di Kabukichō.
“Tu…” Rei venne interrotta dallo squillo del cellulare di Haruka.
La bionda incurante di tutta quell’acqua e un possibile malanno in arrivo rispose al cellulare.
All’altro capo la voce di Akira le disse quanto bastava.
 
“Ken Azuma temo ci stia braccando. Arriviamo a Tokyo”.
 
Tornerà tutto a galla.
Troppa umidità.
Cemento, Haruka. Sono morti devono stare sotto terra…
 
Haruka persa nuovamente nella sua mente interruppe la chiamata.
“Tornerà tutto a galla” si ritrovò a rantolare con le falangi a tirare la chioma ormai biondo scuro.
 
Il nono girone la stava aspettando.
L’inferno aveva liberato i suoi diavoli peggiori per trascinarla al suo posto.
Il loro paradiso era un sogno lontano, ormai era perduto. E forse anche Tokyo stava piangendo tanto disperata bagnando ogni vicolo, ricordo o segreto più nascosto.
 
 

 

Note dell'autrice:
Cercherò di non essere prolissa come mio solito nel mio angolino o viene qualcosa di più lungo del capitolo! Eccomi qui! Sono passate ere giurassiche, ma per San Valentino (nonostante di cuoricini qui non ce ne siano!) volevo farvi un piccolo regalo per ringraziarvi del vostro perseverare. Ormai manca un mese alla laurea e sono davvero stufa di dover scrivere come dice la relatrice, forse anche per questo sono riuscita in serata ieri a farvi un questo capitolo. Nonostante il tempo passato sono riuscita a riprendere le fila e ho deciso di non guardare i vecchi appunti così che venisse tutto più spontaneo. Credo di esserci riuscita e spero che piaccia a chi non si è dimenticato di questa storia e delle precedenti. Vado già a scrivere il prossimo e per le curiosità, le spiegazioni e tutto il resto c'è sempre la mia pagina. Grazie ancora ad ogni persona che non molla!
 
*La frase fa riferimento al capitolo “abduction” di Stockholm Syndrome dove Michiru viene rapita. Il tutto accade nel momento in cui ad Ami s’inceppa l’ombrello e Michiru viene caricata sul furgone nero da Haruka.

 
 
 
 
 
 
 

 


[1] Mi riferisco all’inferno di Dante. Cocito sarebbe il nome di uno dei fiumi infernali per la mitologia greca, ma Dante lo descrive come un lago ghiacciato, situato sul fondo dell’inferno (nono girone, quello dei traditori), nato dal battito di ali di Lucifero.

[2] Nome del tatuaggio yakuza

[3] Come già detto nel prologo la ikka è “la famiglia” yakuza. Famiglia non intesta con legami di sangue ma costituita da tutti i membri appartenenti ad uno stesso clan.

   
 
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