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Autore: mirtyla    15/02/2016    5 recensioni
Francia, 2015. Con un divorzio alle spalle, la dottoressa Françoise de Jarjayes ritorna alla casa di famiglia di Arras per occuparsi del testamento del padre, pensando inoltre di prendere le redini del piccolo centro medico precedentemente gestito dal genitore. Ma una visita inaspettata cambierà le sue prospettive.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Oscar François de Jarjayes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Françoise girava e rigirava il cucchiaino nella sua tazza di tè, fissando il liquido bollente con aria assorta senza vederlo veramente. In realtà cercava solo di procrastinare il momento in cui avrebbe dovuto sollevare gli occhi e rivolgersi a André.
Lui sedeva con la tazza tra le mani e di tanto in tanto si guardava intorno con aria fintamente disinvolta, cercando forse di trasmettere l’impressione di essere a suo agio.
Di certo non poteva essere favorevolmente colpito da quello che vedeva, pensò Françoise: la grande cucina era arredata con mobili di legno verniciati di bianco che le conferivano un’aria calda e accogliente, ma nell’intera stanza regnava la trascuratezza: i quattro mesi di malattia del padre con il suo progressivo aggravarsi non le avevano certo consentito di occuparsi della casa, considerando che nel frattempo aveva anche dovuto gestire il centro medico; e la signora Mallet, assunta dal padre come domestica dopo la morte di Marie, era oramai a sua volta troppo anziana per potersi dedicare alle occupazioni più pesanti, e il suo aiuto in casa si limitava soltanto ad alcuni lavori saltuari.
Ecco qua, si disse tra sé, il dottor Grandier torna ad Arras dopo venti anni come felice possessore di un centro medico, e ad accoglierlo trova la sua miserrima ex compagna di giochi, divorziata, sola, oberata di responsabilità e confinata in una casa che si trascina stancamente almeno quanto lei.
Sorrise tristemente tra sé e sé a quel pensiero, poi tornò di colpo presente a sé stessa e sollevò la testa: era il momento di parlare, non poteva più aspettare oltre.
- Mi spiace veramente -, cominciò, – Io non avevo idea...
Le mancò la voce e per un attimo fissò André con espressione desolata.
- Se tu... se tu mi avessi avvisato del tuo arrivo -, proseguì poi, - non sarei saltata subito alla conclusione che tu fossi un ladro quando ti ho visto in cima alla scala con quel fazzoletto sul viso. Ho avuto una tale quantità di furti che ho pensato che tu fossi solo un altro che...
Lui annuì, consapevole.
- Il fazzoletto serviva solo a proteggere i polmoni dalla polvere -, spiegò, - Ma penso che tu abbia ragione. Avrei dovuto avvisare di quello che avevo intenzione di fare, contattarti in qualche modo...
André fece una pausa, durante la quale prese un lungo sorso di tè che sembrava il pretesto ideale per prendere tempo e scegliere le parole. Non vista, lei si soffermò sull’ombra leggera che la lampada sospesa sul tavolo disegnava sullo zigomo di lui.



C’era un posto speciale, la casetta di legno in fondo al giardino.
Ci andavano insieme, reggendosi l’una al braccio dell’altro per non scivolare dopo la pioggia.
Camminavano piano, parlando, e Françoise non ricordava di cosa: ma era sicura che lo avessero fatto, perché attraverso il tempo sentiva ancora la voce di André, leggermente affannata per il movimento.
Di solito lui portava una specie di scialle di pesante lana scozzese, forse preso a sua madre: lo avrebbe usato per avvolgere entrambi, dopo. Lei teneva in mano un libro, lo vedeva come se in quell’istante ce lo avesse ancora davanti agli occhi.
Si sedevano vicini sul pavimento, con le ginocchia raccolte contro il petto, e quelle di lei lievemente inclinate per appoggiarsi alla coscia di lui.




- Ecco, è successo tutto così in fretta.... -, riprese poi lui, lentamente, - Non sapevo nemmeno che tuo padre fosse morto, sai? Erano anni che non ne avevo notizie....Sono stato contattato dall’avvocato Normand solo pochi giorni fa. Ieri mattina ho preso un volo da Marsiglia fino a Parigi e sono arrivato ad Arras solo in tarda serata. La notte scorsa ho dormito in un bed and breakfast in periferia, ma stanotte vorrei dormire qui vicino se c’è la possibilità di trovare una stanza...
Françoise lo fissò dritto negli occhi, obbligandolo a interrompersi. Uno scatto improvviso le serrava la mascella mentre le sue dita si stringevano in due pugni nervosi.
Qualcosa non tornava, no.
Qualcosa non era chiaro, non era ben delineato.
André arrivava da un passato più che remoto, dopo anni in cui avevano perso reciprocamente le tracce, e adesso pretendeva di fare come se fosse a casa sua: e tutto questo in base a un testamento del quale lei ignorava del tutto l’esistenza.
Aumentò la stretta dei pugni, avvertendo il dolore sottile delle unghie nella pelle.
Eccolo lì, l’ultimo scherzo del vecchio de Jarjayes.
Aveva agito come se lei neanche esistesse, l’aveva deliberatamente ignorata.
Del resto cosa poteva aspettarsi da uno come lui? Di certo non era stato un campione di presenza e comprensione come padre. Aveva recitato la parte dell’anziano genitore pentito solo perché gli aveva fatto comodo essere assistito, e poi, et voilà, l’aveva fregata.
- Come ha potuto farmi questo? -, sbottò, in un fiotto di rabbia, -Senza neanche avvisarmi, senza.....
André non fiatò, immobile.
- Sono venuta qui, ho congelato il mio incarico al Saint Antoine per assisterlo...-, proseguì lei, fissando il vuoto.
La sua voce era quasi incrinata da lacrime rabbiose.
- Avevo il diritto di sapere, André, di essere informata. Non...
- Aspetta, calmati! -, la interruppe lui, sollevando una mano in segno di tregua, - Non ho ancora deciso niente. Non si tratta di una decisione facile da prendere, sai? Dovrei lasciare il mio lavoro a Marsiglia, e...
- Forse non hai capito, André -, lo gelò Françoise. Adesso la sua voce era tagliente e sembrava non tradire più nessuna emozione.
- Non mi importa un accidente di dirigere quel maledetto centro medico, chiaro? Puoi prendertelo da oggi stesso.
Lui la fissava in silenzio. Françoise si era alzata in piedi e percorreva nervosamente la cucina, con passi lenti ma pesanti.
- Anch’io ho il mio lavoro, a Parigi -, continuò, - E questo posto è solo un buco che mio padre ha aperto con gli ultimi soldi che gli sono rimasti dopo aver dilapidato gli averi di famiglia con la sua passione per il gioco d’azzardo. Non è un caso che mia madre abbia deciso di mandarlo al diav...
André si alzò a sua volta e le si pose rapidamente di fronte.
- Aspetta, Françoise -, la bloccò, tenendole saldamente un braccio con la mano, - Dall’avvocato c’era dell’altro.
Lei gli rivolse uno sguardo interrogativo.
- Un’altra lettera, per te –, proseguì lui.
- Per me? -, gli fece eco lei.
André annuì.
- Dammi solo il tempo di andare a prenderla nel mio bagaglio -, confermò, - Nella confusione ho lasciato tutto ai piedi della scala...
Si voltò e uscì rapidamente prima ancora che Françoise trovasse le parole per rispondergli.
Lei si avvicinò alla finestra e prese a sfiorare il vetro con le dita, senza realmente essere consapevole di quello che stava facendo.
I suoi pensieri erano confusi, contrastanti.
Provava una grande amarezza nel constatare che niente nel dialogo con suo padre si era alla fine ricostruito. Aveva pensato che quella richiesta di aiuto da parte di lui, dopo tanti anni di silenzio tra loro a seguito del divorzio dalla madre, fosse stato un segnale della sua volontà di ricucire i rapporti tra loro; e aveva pensato che rispondendo a quella richiesta anche lei avrebbe dimostrato di non volersi separare per sempre senza una mano tesa verso quella dell’altro. E invece...
- Ecco qua.
Non aveva sentito rientrare André, assorta com’era nelle sue riflessioni.
Adesso lui le era accanto e le allungava la lettera davanti agli occhi affinché lei potesse leggerla. Aveva un tremito leggero nella mano, notò Françoise, e sembrava quasi trattenere il fiato.
Lei prese la pagina con un movimento lentissimo, quasi volesse rimandarsi il momento della lettura; infine si decise a concentrarsi sulle righe scritte a mano.



Mia adorata Françoise,



“Mia adorata Françoise”? Voleva forse indorarle la pillola? Che ipocrisia.



So che tutto questo ti stupirà, e so anche che molto probabilmente sarai risentita con me. So anche quanto hai lavorato, e quanto lo hai fatto bene, per portare avanti il centro medico durante la mia malattia.



No, invece, suo padre non sapeva proprio niente.
Se avesse solamente tentato di sapere, si sarebbe accorto di cosa aveva rappresentato il centro per lei in quegli ultimi mesi. Non solo l’occasione di trovare una via comune con suo padre, ma anche di lasciarsi alle spalle Parigi e con lei tutto ciò che da due anni a quella parte non facevano che ricordarle il suo divorzio da Hans. Il suo lavoro in ospedale, le sue relazioni professionali che erano le stesse di lui, la sua casa...Era arrivata seriamente a pensare di mollare ogni cosa una volta per tutte e dedicarsi definitivamente al centro di Arras, dove si era sentita accolta e protetta e finalmente al sicuro. Dove aveva pensato di poter ricominciare sul serio.



So anche che sei una persona retta e onesta, Françoise, e so che per questo capirai. Sono legato a una promessa, una promessa fatta a Marie: e tu sai quanto lei sia stata a sua volta legata alla nostra famiglia, al punto di dedicarvisi con solerzia fino a quando Dio le ha dato la forza di poterlo fare.



- E’ pazzesco!! –, esclamò lei, gettando la lettera sul tavolo con fare sprezzante. Non si era accorta che André le si era seduto di fronte, e che aveva spiato con apprensione ogni singolo muscolo del suo volto durante la lettura.
- Cosa ci si aspetta che faccia adesso, eh? Dovrei mettermi a piangere di commozione per questa bella sorpresa?!
- Senti, Françoise...-, cominciò lui, di nuovo sollevando una mano in gesto conciliante.
- Senti, André -, sbottò lei, interrompendolo bruscamente, - Io non so chi sei, d’accordo? L’ultimo ricordo che ho di te risale a venti anni fa....
- Sono venuto per il funerale di mia nonna, sei anni fa -, replicò André, pacato, – Eri tu che non c’eri.
- Sei anni fa ero negli Stati Uniti, a seguito del mio ex marito che per due anni ha avuto un contratto al Massachusetts General Hospital -, lo fermò lei, - Ho appreso la notizia da mio padre ma non sono riuscita a tornare per il funerale.
Françoise aveva ripreso a camminare nervosamente per la stanza, misurandola con passi decisi.
- E comunque questo non cambia le cose, André. Arrivi dal nulla con una bella lettera di mio padre che ti nomina proprietario del centro medico e un altro scritto strappalacrime nel quale lui mi chiede di darti la mia benedizione... Tra me e lui non sono state rose e fiori per molti anni, ma sai una cosa? Pensavo che questi ultimi mesi avessero sanato un po’ di ferite, che qualcosa si fosse finalmente messo a posto tra noi...
Raggiunse la finestra e per qualche istante guardò fuori, seguendo Black che trotterellava sul prato; poi si voltò di scatto e fissò André in volto. L’azzurro dei suoi occhi sfumava in un grigio irato e cupo.
- Sai un’altra cosa?-, proseguì, - Ti ho detto una bugia, prima. Tengo molto a questo centro: è quel che rimane della mia famiglia, della passione di mio nonno che lo ha creato. Ho pensato che in qualche modo avrei potuto gestirlo anche da Parigi, o che tra qualche anno avrei potuto ritirarmi qui. Ho anche passato di lasciar perdere tutto per rimanere qui....
Sorrise tristemente, quasi a rimarcare quanto le sembrasse stupida adesso quell’idea.
- E in tutti questi ultimi mesi mio padre non mi ha fatto mai, mai pensare nemmeno per un istante che il centro non sarebbe stato mio. Ora lo capisci perché sono furibonda, eh?
Di nuovo lui annuì pesantemente. Era deciso a non interromperla, affinché il fiume di rancore che montava dentro di lei potesse avere libero sfogo; era una sensazione che anche lui conosceva bene e che aveva sperimentato molte volte: e sapeva quanto fosse inutile e dannoso tentare di arginarla.
Françoise si era fermata davanti a lui e lo scrutava con le braccia conserte e le spalle appoggiate alla finestra.
- E come ti ho detto, André -, continuò, - Io non so chi sei, e l’essere stati compagni di giochi non significa che noi due ci conosciamo ora.
Le sue parole sembravano fendere l’aria, e il tavolo che li separava aveva assunto adesso l’aspetto di una distanza incommensurabile.
- Hai vissuto nella casa accanto alla nostra fino a quando ho avuto sedici anni....eravamo inseparabili, ricordi? Poi tua madre ha improvvisamente deciso di trasferirsi e si sono perse le tue tracce senza tante spiegazioni. Sei sparito nel nulla da un giorno all’altro, e non sono più riuscita ad avere tue notizie.
Uno spasmo serrò la mascella di André, e d’improvviso lui si fece scuro in volto.
- Ho avuto le mie ragioni -, replicò, secco.
Lei si strinse nelle spalle.
- Indubbiamente -, ammise, con fare concessivo, - Ma diciamo anche che tutto questo non gioca molto a tuo favore. Come ti ho già detto, André, io non so chi sei né tantomeno che tipo di persona sei diventato. Dici di non aver avuto più notizie di mio padre da allora, ma chi mi garantisce che è davvero così?
Lui si irrigidì in una maschera di tensione.
- L’ho solo intravisto al funerale di mia nonna -, spiegò, con un accento nervoso nella voce, - ed erano venti anni che non tornavo qui. E...
- E chi mi dice invece che tu non abbia avuto qualche contatto con lui in tutti questi anni? -, incalzò lei, - E che in un modo o in un altro tu non ti sia accordato per....
André scattò in piedi, deciso a non concederle ulteriori spazi di parola.
- Ho detto che erano venti anni che non tornavo qui! -, sbottò, avvicinandosi a passi veloci alla soglia.
- E non voglio essere sottoposto a un interrogatorio, chiaro?! -, gridò, prima di sbattere violentemente la porta e uscire precipitosamente dalla casa.
Françoise rimase immobile per qualche istante, con i palmi appoggiati al piano del tavolo e il busto lievemente piegato in avanti. Sembrava sul punto di voler fare qualcosa, senza però sapere in quale direzione muoversi esatttamente; oppure, più semplicemente, sembrava si aspettasse di veder rientrare André da un momento all’altro.
Lentamente, poi, si sedette e allungò le dita verso la lettera, inspirando a fondo prima di proseguirne la lettura.
La calligrafia di suo padre, con le chiare lettere inclinate verso destra secondo quelle che erano le vecchie regole della bella scrittura, glielo riportava alla mente come lo aveva visto tante volte, seduto alla sua scrivania, con la testa piegata di lato e la mano sinistra che teneva ben fermo il foglio su cui appoggiava la penna.



Ho promesso a Marie di riportare André a casa, o almeno di provarci. Si è allontanato dai suoi luoghi volontariamente, tagliando i ponti con tutto quello che lo legava alla sua famiglia di origine. Marie non ne ha mai saputo il motivo, o comunque non lo ha mai voluto dire. Mi ha chiesto di metterlo davanti alla possibilità di tornare sui suoi passi, se lo vorrà. Di ritrovare quella parte di sé stesso che ha deciso di lasciare indietro, come mi disse lei una sera.
So che capirai, Françoise adorata.
E so che potrai dirigere il centro con André se è tuo desiderio. Marie è rimasta in contatto con lui in questi anni, e ne ha sempre parlato come di un uomo generoso e aperto al prossimo.
Io...




Françoise sollevò la testa e appoggiò le spalle allo schienale della sedia, socchiudendo gli occhi. Il tavolo a cui era seduta, e con esso la vecchia credenza di fronte a lei e la stanza stessa in cui si trovava avevano cominciato a girare a un ritmo talmente vorticoso da scomparirle dalla vista, lasciando spazio soltanto alla matassa indistinta e nebulosa dei suoi pensieri.



Arras, 10 settembre 1997

Ehi, questa è l’ultima lettera che ti mando, okay? E poi più che di una lettera stavolta si tratterà di un biglietto... Marie mi ha dato il vostro indirizzo a Marsiglia e non può certo avere sbagliato, ma allora perché non rispondi? E non solo, André: non rispondi al telefono, non rispondi ai messaggi, insomma non c’è modo di contattarti...
Ho chiesto a Marie ma lei mi dice che è tutto okay, che forse sei incasinato nella nuova città e che presto ti farai di nuovo sentire, ma io non ci credo e sono preoccupata.
Sono io che ti ho fatto qualcosa di male, ce l’hai con me? Ti prego, se leggi, di farmelo sapere: non c’è niente che non si possa risolvere se ne parliamo. Tua nonna ce lo ha sempre detto, ricordi? Fatti vivo. Altrimenti dovrò proprio pensare che non sono stata proprio niente per te e che la nostra amicizia era solo una mia illusione.
Fatti vivo, ti prego. Mi manchi.



Françoise
   
 
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