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Autore: stellabrilla    16/02/2016    0 recensioni
Ciò che segue è una rielaborazione di un mio precedente lavoro, "Chìmaira" era già stato pubblicato qui su EFP, alcuni anni fa, ma non ero mai riuscita a portarla avanti. Quindi ho deciso di cancellarla e ricominciare da capo.
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"Scrivo queste parole perché so che siamo vicini alla fine e temo che tutte le vicende di cui sono stato testimone possano cadere nell'oblio. Non deve succedere. I mondi devono sapere, devono potersi preparare a ciò che si abbatterà su di loro.
Io non ho potuto fare nulla per salvare il mio popolo, la mia terra, ma forse qualcun altro potrà riuscire dove io ho miseramente fallito.
La nostra era una vita tranquilla, di pace e prosperità prima che una orribile calamità si abbattesse su di noi, una mostruosità vomitata dalle viscere della terra che è venuta al mondo per distruggere, ingoiare, corrompere qualsiasi forma di vita innocente con cui venga a contatto. In molti hanno creduto fosse una creatura innocua, quando venne da noi inerme, nuda, e bisognosa del nostro aiuto. Perfino io lo credetti, per qualche tempo. Alla fine, però, essa svelò la sua vera natura.
E tutto fu il caos. "
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Scrivo queste parole perché so che siamo vicini alla fine e temo che tutte le vicende di cui sono stato testimone possano cadere nell'oblio. Non deve succedere. I mondi devono sapere, devono potersi preparare a ciò che si abbatterà su di loro.
Io non ho potuto fare nulla per salvare il mio popolo, la mia terra, ma forse qualcun altro potrà riuscire dove io ho miseramente fallito.
La nostra era una vita tranquilla, di pace e prosperità prima che una orribile calamità si abbattesse di noi, una mostruosità vomitata dalle viscere della terra che è venuta al mondo per distruggere, ingoiare, corrompere qualsiasi forma di vita innocente con cui venga a contatto. In molti hanno creduto fosse una creatura innocua, quando venne da noi inerme, nuda, e bisognosa del nostro aiuto. Perfino io lo credetti, per qualche tempo. Alla fine, però, essa svelò la sua vera natura.
E tutto fu il caos.
Ancora oggi mi pento amaramente di non averla distrutta quando ne ho avuto l'opportunità. Ci sarebbero stati risparmiati molti dolori. Molte sofferenze. Ma è troppo tardi, tutto va in rovina. Tutto crolla.
A breve la nostra intera umanità sarà distrutta e coloro che sopravvivranno vagheranno come esuli e randagi alla ricerca di una nuova dimora. Prego per loro. Prego che la luce del nostro sole morente possa illuminarli fino a quel momento, non posso fare altro. Non posso sperare altro. Le pagine che seguiranno spiegano tutto, raccontano la storia sin dal principio, o almeno raccontano la storia che sono riuscito a ricostruire nel tempo, indagando a fondo le origini del male. Che coloro che leggeranno possano fare buon uso di queste informazioni. Che il sole illumini le vostre strade."
Dagli archivi storici della stanza del Fòs. 
Reperto datato 14° giorno post Iliostàsio
Anno del Cataclisma


 
 

1

Nell'Abisso

 
Si stiracchiò più che poté all’interno del cubicolo, fece forza sulle gambe irrigidite e le sentì scricchiolare come ghiaia calpestata, si sollevò sull'avambraccio destro e schiacciò la schiena contro il soffitto, quando le ossa della spina dorsale aderirono perfettamente al freddo acciaio, rilassò i muscoli e si distese sul fondo, con la pancia verso l’alto.
Faceva questi movimenti in continuazione, quando era rinchiusa nella cassa, aveva imparato che restare ferma troppo a lungo nella stessa posizione poteva causarle piaghe dolorose sulla pelle. Le era successo molte volte, in precedenza, le ferite si aprivano nei punti in cui il suo corpo poggiava sul fondo ruvido, si infettavano, puzzavano e ci mettevano molto tempo a guarire, più di tutti gli altri tipi di ferite.
Quando ebbe trovato una posizione sufficientemente comoda, si mise ad ascoltare i suoni provenienti dall’esterno. Respirava piano, l’aria all'interno della sua claustrofobica prigione era scarsa, pesante come la terra e il petto faticava a gonfiarsi. Non sentiva alcun rumore familiare, solo voci lontane, la confusione del Nido e una profonda vibrazione nel terreno, che stava aumentando rapidamente.
Con la lingua umida e liscia prese a leccare piano il braccio sinistro, era una cosa che la rilassava. Continuò fin quando sentì il suono che aspettava: il clangore del lucchetto aperto, lo scricchiolio dei cardini. Si accovacciò sul fondo della cassa e attese che il coperchio si aprisse. Un rivolo di aria fresca le accarezzò la faccia, le gonfiò i polmoni. Il bastone picchiettò tre volte sul bordo.
Si sollevò con cautela, era rimasta chiusa a lungo, le gambe erano intorpidite e rispondevano con lentezza, quando fu in posizione eretta, schioccò la lingua più volte, orientando la testa tutt’intorno, dal modo in cui i suoni ritornarono indietro capì in che parte del Nido si trovavano, erano vicini alle zone di cova degli Àpteros, dove le loro uova venivano custodite e protette dai predatori, in attesa che si schiudessero.
Davanti a lei c’era Desmo, che picchiò il bastone per terra, «Muoviti», le sibilò, «c’è del lavoro per noi».
Lei sollevò una gamba, poi l'altra e uscì dalla cassa, ma rimase ferma, attendendo che Desmo le stringesse la corda attorno alla gola. Era grossa, ruvida e pesante ma la pelle del collo le si era fatta spessa e resistente e non si lacerava più. La corda si tese e Lei si mosse assecondando la trazione.
Lei avrebbe seguito Desmo anche senza bisogno della corda, Lei avrebbe fatto qualsiasi cosa Desmo le avesse detto di fare. Desmo le diceva dove andare, quando mangiare, quando dormire e… quando uccidere. Desmo sapeva tutto, Desmo era tutto. Lei doveva solo obbedire.
 
Desmo si fermò, senza voltarsi sollevò la punta del bastone dietro di sé e la piantò nel petto della Bestia. «Aspetta qui», sibilò lasciando cadere la corda per terra.
Desmo stridette nella direzione in cui aveva sentito le voci e si diresse verso di loro, il terreno saliva leggermente a formare una collina, quando raggiunse il culmine incontrò tre soldati, armati di lunghe aste acuminate, che discutevano tra loro e che si zittirono quando lo sentirono arrivare.
«Sono davanti a voi, fratelli», si annunciò Desmo, prima di raggiungere una distanza poco cortese, i tre soldati stridettero e schioccarono le lingue nella sua direzione «ti sentiamo. fratello», risposero insieme. Il più grosso dei tre si fece avanti, «ti sei deciso a venire, finalmente, stavo per mandarti a cercare».
«Ho fatto più presto che potevo» rispose Desmo, «ma ero impegnato altrove. Allora, che cosa succede, fratello Cal?»
«C’è qualcosa nel tunnel vicino alle zone di cova», rispose il soldato, «è grosso e scava veloce, posso sentire la terra tremare anche a questa distanza, presto sfonderà la barriera del Nido».
«Di cosa si tratta?» chiese Desmo.
«Non lo sappiamo», rispose il soldato, «o almeno, io no. Il fratello Trì dice che è uno xsifosuride», indicò uno dei soldati alle sue spalle «ma se è vero, giuro che non credevo ne esistessero di così grossi».
Desmo si rigirò il bastone tra le mani «quanto grosso?»
«Se adesso noi ci mettessimo in piedi uno sull’altro, non arriveremmo a guardare sopra la sua testa», gli altri due soldati sibilarono di consenso, «pensi che la tua Bestia possa farcela, stavolta?».
Desmo stridette in tono affermativo, «la mia Bestia può farcela contro qualsiasi cosa. Uno xsifosuride gigante, eh? Mi piacciono le sfide», sentirono chiaramente la terra tremare sotto i loro piedi, «meglio sbrigarsi, prima che entri nel Nido e faccia danni».
Desmo diede le spalle ai soldati e stridette davanti a sé, la Bestia era nel punto esatto in cui l’aveva lasciata, non si era mossa di un passo, la raggiunse e raccolse la corda da terra.
«C’è un lavoro per te», le disse, «devi uccidere», sentì un fremito attraversare le fibre della corda, “il pensiero di la eccita”, pensò, “è l’unica cosa che riesca a provocare in lei qualche reazione. Forse, prima o poi, ucciderà anche me”, rabbrividì e strattonò la corda, la Bestia lo seguì.
Due dei soldati, Trì e Cal, camminavano davanti, Desmo veniva subito dietro e conduceva la Bestia, il terzo soldato, di cui Desmo non conosceva il nome, era dietro a chiudere la fila e continuava a stridere contro la Bestia, a sondarla e esaminarla in maniera insistente. Probabilmente ne aveva sentito parlare, ma non l’aveva mai incontrata, Desmo sibilò di compiacimento, la Bestia di Arsinòi era una leggenda, ormai, non v’era una sola creatura in tutto il Tòkhaos che le assomigliasse, o che potesse fare le stesse cose che faceva Lei, “ed io” si disse Desmo “solo l’unico padrone di una meraviglia”.
Raggiunsero la zona di cova in poche centinaia di passi, sotto di essa erano radunate alcune decine di soldati, schierati a falange, in posizione di difesa, con le aste acuminate puntate contro il muro di terra e pietra che costituiva il limite del Nido.
Le vibrazioni che provenivano dal sottosuolo erano ormai così forti da far tremare il pavimento e saltellare ogni pietra e sassolino nell'arco di molte centinaia di passi. Le femmine cui era affidato il compito di accudire le uova in quella zona sibilavano e stridevano come farebbe un migliaio di pentole cui viene raschiato il fondo con lame di metallo, il rumore era assordante.
Càl si avvicinò a Desmo, dopo aver scambiato alcune parole con il soldato a capo della difesa, «il Capitano ha confermato l'ipotesi di fratello Trì, si tratta di uno xsifosuride di dimensioni spaventose, adesso è abbastanza vicino da poterlo sentire chiaramente. Se riesce a entrare nella cerchia del Nido sarà un disastro, quelle creature sono estremamente voraci, la zona di cova corre un pericolo enorme. Dobbiamo fermarlo».
Desmo annuì, «Lei è pronta».

Continua...
 
   
 
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