Anime & Manga > Pokemon
Segui la storia  |       
Autore: Persej Combe    20/02/2016    1 recensioni
Un giorno, tanto tempo fa, ho incontrato un bambino. Non lo dimenticherò mai. È stato il giorno più emozionante di tutta la mia vita. Nessuno potrà mai avere la stessa esperienza che ho avuto con lui. Ciò che abbiamo visto, è precluso soltanto a noi.
...In realtà, non ricordo neanche il suo nome. Non ricordo nemmeno se ci siamo presentati, a dire il vero. Però non smetterò mai di cercarlo. Un giorno so che le nostre mani si uniranno di nuovo, come quella volta. Perché noi siamo destinati a risplendere insieme per l’eternità.

[Perfectworldshipping]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Elisio, Professor Platan, Serena
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Eterna ricerca'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


..

20 . Sorge il destino sulla Torre Maestra


 

   Le poderose zampe di Garchomp si piantarono saldamente sul terreno sabbioso, dopo che il Pokémon con un agile salto ebbe schivato il vigoroso attacco dell’avversario. Alzò il lungo collo fissando i piccoli occhi nell’oscurità della notte, cercando quelli rossi e abbaglianti del nemico.
   Le onde si increspavano attorno a loro, ricadevano nell’acqua in tonfi leggeri. Il vento soffiava.
   Il Pokémon squalo sbuffò, si mise in posizione pronto a ricevere l’ordine dal suo Allenatore. Era il loro turno.
   Platan fece un passo in avanti, rivolse al Pokémon uno sguardo orgoglioso e decisamente soddisfatto per il modo in cui era riuscito ad eludere l’ultima mossa dell’avversario. Poi alzò il viso e vide l’uomo avvolto nell’ombra che attendeva pazientemente le sue prossime manovre. Alexia, poco lontana dal campo di battaglia, osservava la scena con il fiato sospeso.
   «Dragartigli!».
   Le lame di Garchomp, ancora più affilate e scintillanti in seguito alla Megaevoluzione, cominciarono a vibrare e ad emanare calore, mentre il Pokémon era già scattato in avanti verso il bersaglio alzando in aria grandi quantità di sabbia.
   «Intendi di nuovo usare la stessa mossa, giovanotto? A lungo andare cominci ad essere prevedibile. Lucario!».
   Le mura della Torre Maestra vennero rischiarate da un bagliore improvviso mentre i due Pokémon si scontravano per l’ennesima volta. Riscoppiava la tempesta, la spiaggia risuonava ancora di colpi e versi acuti.
   Dopo un certo periodo in cui la situazione era risultata abbastanza stabile, MegaLucario riuscì a bloccare a terra MegaGarchomp senza dargli via di scampo. Lo picchiò violentemente con i pugni e lo morse aprendogli ampi tagli su tutto il corpo. Il Pokémon si lamentava per il dolore causato dalle percosse e ansava, riusciva a malapena a coprirsi con le braccia per impedire all’avversario di centrarlo nei punti più danneggiati e vulnerabili. Gridava e urlava cercando di attirare l’attenzione del suo Allenatore affinché venisse in suo soccorso, che gli ordinasse di fare qualcosa, qualsiasi cosa, pur di mettere fine a quel tormento. E fino ad allora resisteva, resisteva.
   Platan guardava in silenzio, paralizzato. Avrebbe dovuto salvarlo, tentare di smuovere la situazione, ma in che modo? Lucario sembrava forte e invincibile, che possibilità avevano di batterlo?
   «Andiamo, ragazzo! Dove hai messo la tua grinta? Mi eri sembrato un buon contendente all’inizio, ma se questo è il massimo che riesci a fare, temo di essermi fatto delle erronee aspettative», disse ad un tratto l’uomo, vedendo che quello ancora non reagiva «Peccato. Il vostro legame non è abbastanza saldo».
   Il giovane fremette di rabbia, lo stesso fece Garchomp nel medesimo istante.
   «Iper Raggio!» gridò Platan a pieni polmoni.
   Come si era permesso di insinuare una cosa del genere? Come aveva potuto?
   Strinse i denti e provò profondo piacere nel vedere Lucario venire scagliato via dall’energico colpo e affondare nelle scure acque del mare. Tuttavia sentiva un peso sul cuore.
   Garchomp si tirò in piedi, le sue zampe tremavano. Il respiro gli si era fatto ancora più affannoso. Si guardava attorno tentando di prevedere quando e dove l’altro Pokémon sarebbe riemerso in modo da trovare un sistema per riprendere le energie spese con quell’attacco senza subire altri danni. Platan stava in allerta: sapeva di aver rischiato grosso con quella mossa e si dava dell’incosciente, ma l’emozione aveva preso il sopravvento sulla logica e non era stato capace di controllarsi. Nonostante ciò, sperava che la distanza che avrebbe dovuto percorrere ora Lucario per tornare sul campo di battaglia avrebbe fatto guadagnare loro qualche minuto in più per ristabilirsi.
   Ad un tratto l’uomo nell’ombra fece un gesto repentino con la mano. Alexia se ne accorse, tentò di capire quali fossero le sue intenzioni. Improvvisamente sentì qualcosa di umido sul viso, che premeva sulle sue labbra: avrebbe voluto gridare e avvertire il Professore, ma non poté farlo. Lucario, riemerso dal mare, le impediva di compiere qualsiasi azione che avrebbe potuto rivelare e mandare all’aria la sua tattica.  Alzò la zampa libera verso l’alto cominciando a caricare di energia la Forzasfera posata sul suo palmo.
   Platan si accorse del bagliore azzurro che proveniva dietro di loro, con il cuore in gola avvisò Garchomp, ma non fu abbastanza veloce: il Pokémon venne colpito direttamente sulla schiena e rovinò a terra.
   «Garchomp!» lo chiamò allarmato.
   Garchomp si rialzò, sbuffando e ringhiando. Indietreggiò di qualche metro per riavvicinarsi al proprio Allenatore. Lucario lasciò andare la ragazza e fece lo stesso.
   Platan osservò per qualche istante le condizioni del suo compagno: aveva subito dei danni considerevoli, le sue spalle, il petto e le braccia erano ricoperti di lividi e graffi. Una delle corna ai lati della testa era leggermente scalfita.
   Come aveva potuto permettere che si riducesse in quello stato? Si morse le labbra, preso dal senso di colpa.
   Il suo avversario taceva e continuava a scrutarlo, in piedi accanto al suo Pokémon. Lucario, nonostante apparisse anche lui affaticato dalla lotta, aveva un aspetto molto migliore rispetto a Garchomp e certamente sarebbe stato in grado di tenere testa ancora per molto.
   Platan guardò i due fermi sulla sponda opposta della spiaggia. Silenziosi e decisi, sembravano essere in perfetta sincronia. Il Pokémon dalle forme canine avrebbe potuto contare sul saldo appoggio di quell’uomo per giungere a una vittoria certa.
   Poi posò lo sguardo su Garchomp.
   «Non hai ancora rinunciato?» disse l’uomo «Guarda, il tuo Garchomp è praticamente esausto. Credi forse di riuscire a farlo combattere ancora? Resisterà?».
   Il Pokémon sibilò innervosito, scoprendo i denti affilati, non sopportando un altro commento del genere. Mostrò le lame con fare minaccioso, più che deciso ad andare avanti, sicuro che insieme ce l’avrebbero fatta, se soltanto avessero avuto il coraggio di tenere duro ancora per un po’.
   Platan lo osservò senza dire una parola, dubbioso.
   Continuare non era possibile. Garchomp era ormai allo stremo delle forze, faceva persino fatica a tenersi in piedi, le sue zampe robuste tremavano e vacillavano. Se avesse ricevuto anche solo un altro colpo, sarebbe andato dritto al tappeto. No, lo sforzo che avrebbero dovuto compiere per cavarsela andava ben oltre i loro limiti.
   Dunque era così? Avrebbero fallito perché il loro legame non era abbastanza forte?
   No, no. Impossibile.
   Forse... Forse era soltanto colpa sua, il non essere mai riuscito a sfruttarne appieno le potenzialità nel modo migliore. Era sempre stato una frana nelle lotte Pokémon. E comunque, si disse, forse era giusto così: dopotutto era un Professore, non un Allenatore.
   Eppure non poteva fare a meno di sentirsi irrequieto, teso. Ripensò ai vecchi tempi passati con Gible, a quando la sua compagnia gli era stata di così grande conforto nei momenti di solitudine, a quando si erano addentrati nella foresta e avevano incontrato Bulbasaur, a quando erano tornati a Luminopoli dopo anni e avevano ritrovato Elisio, cercato in giro per il mondo tanto a lungo. Avevano vissuto insieme le avventure più meravigliose e incredibili, di cui avrebbe sempre conservato il ricordo con gelosia. Come poteva essere il loro legame una cosa di poco valore?
   Diede un ordine a caso, senza ormai più badare alle sorti della battaglia. Non riusciva a concentrarsi, i pensieri si erano tutti ammassati tra loro nella sua mente senza dargli tregua e vagava senza sosta in mezzo ad essi.
   Gli ultimi istanti della lotta cominciarono a scorrere veloci, lo scroscio delle onde ne scandiva i secondi e i minuti.
   Lucario era stanco, ma pronto a ricevere l’ultimo comando. Si mise in posizione ad attendere, puntando precisamente l’altro Pokémon. Non gli sarebbe sfuggito.
   «Usa Forzasfera!».
   Lucario obbedì immediatamente, scattando in avanti e ululando, pregustandosi la vittoria ormai vicina. Il mare era in tempesta e il vento si era alzato, fischiando sonoramente. La sfera tra le zampe del Pokémon cresceva sempre di più, brillando di luce intensa.
   Era fatta.
   Con un ultimo sforzo si diede un forte slancio contro Garchomp, abbandonò la presa sul suo attacco per spedirglielo addosso.
   Improvvisamente, però, si sentì cadere. Per la stanchezza e l’impeto non aveva fatto attenzione al terreno ed era inciampato in un punto instabile, scivolando. La sfera gli sfuggì dalle zampe, partì seguendo una traiettoria del tutto diversa da quella programmata.
   Alexia si lasciò scappare un grido spaventato: «Professore, stia attento! Si sposti!».
   Ma il ragazzo non fece in tempo a rendersi conto del pericolo, perso com’era nei ricordi, e venne colpito con forza. Fu scagliato lontano di qualche metro e nella mente rivide di nuovo il fiore e l’albero, Gible e Bulbasaur, Elisio e le sue labbra che desiderava tanto, le stelle e il cervo. E intanto si chiedeva quale fosse quel ricordo che aveva ormai dimenticato.
   Il suo corpo rotolò sulla sabbia, poi si fermò. Aveva gli occhi chiusi e aveva perso conoscenza.
   «Professore!» Alexia corse subito verso di lui, inginocchiandosi al suo fianco per porgergli il proprio aiuto. L’uomo nell’ombra si sporse alla luce, allarmato, il suo viso era coperto di rughe ed esse erano tese, nel timore che al ragazzo fosse accaduto qualcosa. Platan non si muoveva e la giornalista non riusciva a risvegliarlo. A quel punto l’uomo fece cenno a Lucario di rimanere fermo, si accostò al giovane per controllare le sue condizioni. Garchomp osservava tutto immobile, aspettando di rivedere da un momento all’altro il suo sorriso, di risentire la sua voce. Ecco, pensava, adesso si ridesta e si rialza. Adesso tornerà tutto dolorante sul campo di battaglia, ma ridacchiando come al solito per la sua goffaggine e chiedendo scusa. Adesso porgerà la sua carezza e dirà che è tutto a posto. Adesso. Adesso.
   Però i suoi occhi non si aprivano, la bocca rimaneva socchiusa, senza forza, i capelli intrisi di sabba, mossi dal vento, si agitavano sul suo viso coprendone le sembianze e le dita non li ricacciavano indietro.
   Cominciavano a bruciargli la gola e le narici, mentre il muso si faceva umido sulle guance. Ringhiò. Si asciugò gli occhi bagnati mentre il petto si gonfiava di rabbia. Che cosa gli avevano fatto? Perché non si risvegliava?
   «Pensa che dovremmo chiamare un medico?» chiese Alexia.
   «No, non si preoccupi, sta bene», la rassicurò il vecchio «Ha preso un brutto colpo, ma non si è fatto nulla. Tuttavia, non credo che rinverrà tanto presto. Per il momento sarà meglio lasciarlo riposare. Venga, mi aiuti a portarlo dentro la Torre, perlomeno non...».
   Un grido tremendo echeggiò lungo la spiaggia. Garchomp aveva tentato di colpire Lucario, ma quello era riuscito a parare l’attacco grazie ai suoi riflessi. Lo aveva respinto e scagliato lontano, allora Garchomp aveva urlato di nuovo ed era tornato alla carica gettandosi su di lui con un Dragofuria. Prese a picchiarlo ripetutamente, accecato dalla rabbia, con la vista appannata. Lucario tentò di sottrarsi allo scontro, in quel momento era ormai assurdo continuare la lotta, ma i suoi sforzi furono inutili, e così fu costretto a riprendere la battaglia. Il Pokémon squalo non mostrava pietà, colpiva qualunque punto riusciva a raggiungere. L’altro gli tenne testa attaccandolo a sua volta e cercando di indebolirlo. Ma la collera di Garchomp era troppo grande. Il Pokémon sembrava ora animato da nuova forza e contrastarlo era diventato più difficile. Lucario sentiva la fatica pesargli addosso, ma non poteva permettere che l’altro lo battesse: caricava un Crescipugno dopo l’altro, tentando di innalzare la sua potenza d’attacco, ma ricevendo danni per quanto riguardava la difesa, ormai quasi distrutta dall’offensiva di Garchomp.
   La luna brillava pallida nel cielo.
   Lucario era al suolo, stremato, mentre Garchomp, chino su di lui, si rialzava lentamente, allontanando le lame affilate con cui gli aveva inferto il colpo fatale. Se ne andò, con passi pesanti si mosse verso il punto in cui giaceva il corpo del compagno. Aveva il muso duro e severo, colmo di stanchezza. Nel momento in cui il Pokémon si avvicinò, Alexia lo osservò con stupore e altrettanto fece l’uomo che aveva sfidato la coppia e ora risultava perdente: contro ogni aspettativa Garchomp aveva sacrificato anima e corpo pur di vendicare l’affronto subito dal suo Allenatore, aveva spinto le proprie forze oltre ogni limite possibile. Il Pokémon scansò quasi con riluttanza i due umani, si fece avanti in silenzio. Allungò le proprie braccia verso Platan e lo strinse a sé delicatamente, lo portò via da quel luogo.
   Il loro legame era vero.
 
 
   «Hai quindi deciso di ritirarti?».
   La brezza mattutina soffiava piano sulla Torre Maestra. Alcuni Wingull volavano nel cielo azzurro terso. Il sole brillava intensamente.
   Il misterioso uomo della sera prima si era infine rivelato essere Cetrillo, il Sapiente della Megaevoluzione. Prima di far accedere il ragazzo alla Torre aveva voluto sfidarlo in una lotta per capire se sarebbe stato idoneo o meno ad affrontare l’allenamento. I risultati erano stati più che positivi, eppure ora il giovane gli si era presentato davanti dicendo che sarebbe tornato a Luminopoli quella stessa mattina.
   «Le chiedo scusa per tutto il disturbo che le sto arrecando, signore. Mi rendo conto che la mia partenza improvvisa possa essere un problema. Ma ci ho pensato molto questa notte e alla fine sono giunto alla conclusione che si tratta della decisione migliore per me e per Garchomp».
   Bulbasaur, accucciato sulla sua spalla, gli diede una carezza sui capelli per rincuorarlo.
   «Sa,» continuò Platan «ero venuto con la speranza di poter diventare il nuovo Sapiente della Megaevoluzione, tuttavia mi sono accorto che è un limite fin troppo oltre le mie capacità».
   L’uomo rise affettuosamente: «Mio giovane amico, sfortunatamente temo che tu fossi partito con qualche aspettativa di troppo! Ebbene, divenire Sapienti spetta solo ai discendenti della stirpe di colui che per primo scoprì la Megaevoluzione. Dietro questo vi è una storia complessa: ogni Sapiente deve assolvere a una precisa funzione che viene tramandata da generazioni, per il bene dell’intera regione di Kalos».
   «Mi piacerebbe molto ascoltarla, se lei me la potesse raccontare».
   «Lo farei volentieri, ragazzo, ma io e il mio Lucario sentiamo che il tuo spirito vibra all’idea della partenza e non vogliamo allungare oltre la tua attesa. Se vorrai tornare, un giorno, sarò ben lieto di narrarti la nostra storia».
   Si fermarono per qualche minuto sulla balconata ad osservare il paesaggio di Yantaropoli di fronte a loro. I tetti delle case, rischiarate dalla luce del sole, sembravano riaccendersi di nuova vita. Era uno spettacolo lieve e mite. Garchomp si accostò a Platan e gli posò un braccio sulle spalle come a volerlo incoraggiare: vedeva che il ragazzo puntava lo sguardo in un punto preciso dell’orizzonte e già sapeva a che cosa stava pensando. Sarebbero tornati presto, gli disse con un verso.
   «Tuttavia,» disse ad un tratto Cetrillo «anche se non saresti mai potuto essere un Sapiente, avresti avuto delle buone capacità per padroneggiare la Megaevoluzione al pari di un eccellente Allenatore. Perché hai deciso di andartene?».
   «Perché non ne sono all’altezza, Cetrillo. Potrei anche avere delle buone basi di partenza, ma so che comunque a un certo punto mi bloccherei senza più trovare una via d’uscita. Mi conosco ormai da tanto tempo e so che non cambierò. E tuttavia, sento che ciò di cui ho davvero bisogno, al momento, è laggiù, al di là di quei tetti, al di là di quelle montagne...».
 
 
   Le porte del treno si aprirono. Platan si era già affrettato verso l’uscita da almeno un quarto d’ora e aveva aspettato impazientemente di vedere dai finestrini i palazzi di Luminopoli e il tetto della stazione, trascorrendo gli ultimi minuti del viaggio in piedi. Quando si sporse di fuori, vide che Elisio era lì sulla banchina, esattamente davanti a lui, come se il destino stesso avesse voluto porli l’uno di fronte all’altro. Sorrise. La gente si era intanto accalcata dietro di lui e chiedeva scalpitando che si muovesse e scendesse. Platan saltò giù e andò incontro a Elisio, senza curarsi degli altri passeggeri che mettendo finalmente piede sulla banchina gli riservavano occhiate irritate.
   «Ben tornato a casa, Professore», lo salutò il rosso con un sorriso. Oh, com’erano belle le sue labbra distese così sul suo viso!
   «Il viaggio è stato tanto lungo, mon ami! Finalmente sono da te!» esclamò felice, mentre Litleo, lì con loro, si accoccolava contro la sua gamba con affetto. Platan lo prese in braccio e gli diede una carezza. Poi alzò lo sguardo su Elisio e vedendolo si sentì rincuorato di essere tornato. Insieme si avviarono verso l’esterno.
 
 
   Era passato tanto tempo da allora, pensava il Professore seduto alla sua solita scrivania. Si rigirava l’anello con la Pietrachiave tra le dita e rifletteva. Era stato tanto felice di ritornare a Luminopoli quel giorno, convinto che ogni problema fosse stato ormai risolto. Invece poi con il passare delle settimane aveva cominciato a sentirsi in colpa per quella faccenda, temendo di non essere all’altezza del valore del suo Pokémon. Spesse volte quindi era successo che si fosse ritrovato al telefono con Elisio o alla porta di casa sua nel mezzo della notte con le lacrime agli occhi per ricevere un po’ di conforto e sfogarsi – Elisio gli era sempre stato vicino, in qualsiasi circostanza, ed era un pensiero dolce.
   Alzò lo sguardo sul divanetto in fondo alla stanza e vide Garchomp e Bulbasaur che riposavano accucciati l’uno contro l’altro.
   Fortunatamente le cose si erano infine risolte per il meglio, senza troppe discussioni. Platan si sentiva davvero contento di ricevere l’affetto di un Pokémon così forte e valoroso come Garchomp.
   Posò di nuovo lo sguardo sull’anello. Sospirò: nonostante fosse stato deciso ormai da tempo che non avrebbe più studiato la Megaevoluzione facendo lottare il proprio Pokémon, ancora non aveva chiarito cosa farsene di quell’oggetto.
   Ad un tratto sulla schermata del suo computer apparve l’avviso di una videochiamata in arrivo. Mise a posto l’anello nella sua scatola e ripose quest’ultima nel cassetto.
   «Qui è il Professor Platan, come posso esservi d’aiuto?» esclamò poi con un sorriso mentre si accingeva a rispondere.
   «Ehi, Platan!».
   Era il Professor Birch.
   «Oh! Mon cher ami, come va?» disse entusiasta.
   «Non male, non male! Finalmente sono riuscito a contattarti, era da settimane che speravo di poterti sentire! Non hai risposto alle mail che ti ho mandato e ho visto anche che ultimamente sei sempre mancato alle riunioni con gli altri Professori. Mi chiedevo se ti fosse accaduto qualcosa, ma mi pare di vedere che tu stia abbastanza bene».
   Mail? Quali mail? Ormai era così preso dai propri problemi che neanche badava più a quello che trovava nella sua cassetta di posta, salvo qualche bollettino importante circa le ultime teorie formulate nel campo della Megaevoluzione o notizie e speculazioni sul Team Flare. Le riunioni, invece, le aveva evitate di proposito, non sentendosi in grado di fronteggiare i colleghi trovandosi in una situazione così compromessa. Incurvò le labbra in un sorriso incerto.
   «Mi dispiace molto di averti fatto preoccupare, cher, ma al momento sono davvero carico di lavoro. Non posso distrarmi neanche un attimo, e le riunioni sono costretto a saltarle, per ora», disse.
   «Me ne sono accorto! Ogni volta che provavo a chiamare in Laboratorio qualche tuo assistente mi rispondeva dicendo che non volevi essere disturbato. Non ho voluto infierire, ma stavolta dovevo davvero vederci chiaro, perciò ho chiamato te direttamente».
   «Che si dice alle riunioni? Per caso il Professor Rowan si è presentato?».
   «Non ci crederai mai, ma sì, Rowan è venuto diverse volte! Mi ha chiesto di salutarti».
   Platan rimase in silenzio. Per un attimo provò del rimorso.
   «Grazie» disse «Rendigli il mio saluto, nel caso in cui dovessi incontrarlo di nuovo».
   Birch lo osservava, un po’ turbato dal tono insicuro con il quale parlava. Avvicinò il viso alla telecamera e fissò l’amico dritto negli occhi.
   «Platan, c’è qualcosa che non va?» gli chiese «Perché stai cercando di allontanarti da noi?».
   «Allontanarmi da voi?» sussultò «Oh, Birch, come puoi pensare una cosa del genere!» si portò una mano ai capelli e prese ad arrotolarsi qualche ciuffo tra le dita «No, no... Capisci che nella situazione in cui sono adesso mi è impossibile starvi vicino. Ma non è affatto per mia intenzione, di questo puoi esserne certo».
   «D’accordo», sorrise pieno di sollievo «Però, se dovessi avere bisogno di aiuto, sai come trovarmi. Ascolta, mi è venuta un’idea! Perché non ti fermi qualche settimana qui a Hoenn? Potrei darti una mano io con il lavoro, e intanto cambieresti un po’ aria. Non ti fa bene stare sempre rinchiuso in Laboratorio, lo sai! E poi potresti approfittarne per fare qualche giro qui intorno, so che ci sono dei posti di Hoenn che ancora non hai visitato e che...»
   «Ti ringrazio per il pensiero, Birch,» lo interruppe, cercando di avere il massimo tatto e di non suonare scortese «ma davvero non sono in vena».
   Per quanto gli sarebbe piaciuto tornare ad Hoenn e rimettersi in viaggio per vedere quei luoghi che ancora non aveva avuto occasione di esplorare, allontanarsi da Kalos in quel momento era fuori discussione. Il Team Flare avrebbe presto messo fine al proprio progetto ed era suo compito rimanere per mantenere la pace fino a quando sarebbe stato possibile. Era passata appena una settimana da quella sera in cui lui ed Elisio si erano ricongiunti a Reggia Aurea, tuttavia, la situazione tra loro, nonostante entrambi desiderassero ardentemente ricucire il proprio rapporto, era rimasta per certi versi incerta e Platan non poteva fare a meno di nutrire ancora qualche riserva nei confronti dell’altro.
   Ogni mattina si salutavano con il sorriso sulle labbra, si scambiavano belle parole, trascorrevano il tempo assieme come se in realtà nulla stesse accadendo attorno a loro, ma era impossibile ricacciare quel timore e quel dolore e quella rabbiosa rassegnazione che sempre presenti e assopiti dimoravano nei loro animi.
   E poi cos’era quella promessa, quel ruolo che era stato imposto loro dal destino? Ancora non era riuscito a spiegarselo e spesso, quando si trovava in mezzo allo sconforto, non poteva fare a meno di pensare che Elisio lo stesse continuando a prendere in giro; poi puntualmente si ricredeva: di tanto in tanto, infatti, assorto nell’odorare un profumo o nell’osservare un paesaggio, gli pareva di essere in grado di intravedere quelle trame tessute dal fato, i suoi intrecci e la sua vera essenza. Allora era convinto che Elisio avesse ragione, che quell’incontro non fosse stata una coincidenza. Ma si trattava solamente di congetture, che presto si disperdevano nel vento come petali sfuggiti alla corolla.
   A quelle parole Birch gli rivolse un’occhiata stupefatta da dietro lo schermo, poi con la testa fece cenno d’aver inteso.
   «Sei un uomo davvero instancabile, Platan. Ti ammiro», disse.
   Se soltanto avesse saputo veramente: non c’era davvero nulla che valesse la pena di ammirare in lui.
   Ad un tratto Birch si voltò di lato. Ridacchiò qualche secondo e sorridendo si chinò in basso, allontanandosi dalla visuale della telecamera. Quando si risollevò teneva in braccio, seduto su una gamba, un bambino dai capelli bruni e morbidi, che non appena vide il viso di Platan sullo schermo cominciò ad additarlo al padre con insistenza.
   «Hai visto? C’è lo zio Platan! Fai ciao con la manina!» disse alzando la mano e muovendola per incitare il piccolo a imitarlo.
   Platan sorrise: «Ciao, Brendon! Come stai?» esclamò.
   Il bambino rise per la contentezza e Birch dovette piegarsi di scatto ad afferrare il ciuccio che era caduto dalle sue labbra prima che toccasse il pavimento. Glielo porse e lo aiutò a rimetterlo in bocca dandogli una carezza affettuosa sulla testa. Platan si emozionò nel notare che era tanto piccola al punto che la mano di Birch riusciva a contenerla tutta nel palmo.
   «Ormai è diventato un ometto».
   «Lo vedo bene. Quanti anni ha adesso?».
   «Due».
   Birch rivolse uno sguardo all’amico e gli sorrise.
   «Due anni sembrano così pochi, eppure per me sono così tanto. L’ho visto crescere giorno dopo giorno mentre scopriva il mondo attorno a sé. Non è straordinario come in un corpo così piccolo possa vibrare qualcosa di così grande come la vita? È in ogni suo gesto, in ogni suo sguardo, ed è immensa e innocente. Diverse volte mi sono stupito stando assieme ai Pokémon e osservandoli. Ma con Brendon è completamente diverso. Ed è incredibile pensare che qualcosa del genere derivi da me. Non ho mai provato un’emozione simile».
   Quale scempio pensare che qualcosa di talmente bello e meraviglioso dovesse essere sterminato appena venuto alla luce!, si ritrovò a riflettere Platan, le dita strette tra loro sotto al tavolo come a voler gridare una sorta di muta preghiera al destino, già sapendo che non sarebbe mai stata ascoltata.
   Improvvisamente il telefono squillò. Il Professore fu costretto a lasciare Birch per rispondere.
   «Come stai, mio giovane amico?».
   Nel sentire quella voce, Platan si alzò, sorpreso. Lentamente si avvicinò alla porta e la chiuse con cautela.
   «Cetrillo, vecchio mio. Stavo pensando a te giusto qualche minuto fa. Hai notizie da darmi?» disse accostandosi alla finestra e poggiandosi con la schiena al muro.
   «I ragazzi si sono presentati così come mi avevi annunciato».
   «Davvero? Tuttavia sono arrivati prima del previsto. Hai già deciso a chi affiderai il Megacerchio?».
   «Sono stati loro stessi a stabilirlo. Calem e Serena hanno ingaggiato una lotta per vedere chi fosse il più meritevole. Gli altri tre invece si sono tirati indietro, non sentendosi all’altezza».
   Le tende coprivano la luce del sole proveniente da fuori, la stanza era immersa in una leggera penombra.
   «Ho assistito personalmente allo scontro», continuò l’anziano «Non mi era mai accaduto prima, ma nel suo corso ho avuto come l’impressione di aver già avvertito delle sensazioni simili a quelle che stavo provando in quel momento. Poi me ne sono reso conto: era la forza impressa negli occhi di quella ragazza. L’avevo già vista in passato, molti anni prima, ed era la stessa che avevo scorto nello sguardo di un giovane Professore alle prime armi, nonostante in quello di lui fosse più celata e trattenuta. Lei ti assomiglia, Platan. Ed ho ragione di credere che fra voi sia nascosto un legame, sebbene non sappia spiegare quale sia il motivo».
   Per un attimo a Platan tornarono alla mente le parole che Elisio gli aveva rivolto mentre si erano nascosti nella sala del quadro all’interno della Reggia Aurea. Che anche Serena fosse collegata a quel gioco di trame che lui diceva d’aver intravisto? Era davvero lei la prescelta che avrebbe potuto contrastare l’apocalisse, come gli aveva confidato Astra?
   «Ha vinto?» domandò.
   «Sì».
   «Credi che sia pronta ad affrontarti?».
   «Lei è qui, ora, perciò non può essere altrimenti, se è questo ciò che ha deciso. Ma non sarà con me che dovrà confrontarsi. Mia nipote ha chiesto espressamente che sia lei a ricoprire il ruolo di Sapiente, questa volta, come mia succeditrice».
   Cetrillo parlava ed intanto osservava la giovane Ornella, sola in mezzo alla balconata della Torre Maestra. La ragazza stava ferma con lo sguardo rivolto verso il mare che circondava l’isola e si accarezzava pensierosa il guanto sopra cui era cucita la sua Pietrachiave. Ad un tratto le tremarono le spalle. Fra le tiepide acque, su una piccola barca che procedeva in mezzo alle onde, aveva incontrato lo sguardo agguerrito della sua sfidante - nonostante lei in realtà ancora non lo sapesse.
   Le due si studiarono, silenziose, mentre il vento scompigliava loro i capelli.
   Erano tese. Entrambe sentivano che presto una tempesta sarebbe scoppiata nei loro cuori.
   Serena non era una ragazza come le altre, si era ormai accorta da tempo Ornella: l’aveva avvertito nel suo animo diverse volte quando avevano avuto occasione di incontrarsi nei mesi passati.
   Ebbene, dopo averlo atteso tanto a lungo, finalmente era giunto il momento del loro scontro.
   La giovane sorrise, si sistemò il casco sulla testa, era pronta: «Ti sveglierò dal tuo sonno e ti renderò cosciente della tua vera natura».
 
 
   La Torre Maestra era immersa in un silenzio solenne.
   Improvvisamente, passi irrequieti risuonarono contro le pareti, rimbombando tutt’attorno come tuoni.
   «Sono venuta per diventare la nuova Sapiente della Megaevoluzione! Mostrati, saggio!».
   Serena aveva fatto il suo ingresso e, levati gli occhi sulla lunga scalinata, si fermò ad osservare fissamente i due parenti che discendevano da essa. Attorno a lei, gli altri quattro ragazzi che l’avevano accompagnata aspettavano che l’anziano rispondesse.
   Cetrillo non pronunciò parola, ma si limitò a sorridere. Giunse di fronte alla monumentale statua di MegaLucario e si arrestò. Posò una mano sulla spalla della nipote e con un gesto la invitò a farsi avanti.
   Ornella guardò intensamente Serena ed avanzò, liberandosi con forza dalla rassicurante carezza del nonno.
   «Sarò io la tua contendente», disse.
   Si avviò nuovamente verso la scalinata, facendo cenno all’altra ragazza che proseguisse accanto a lei in quella direzione. Shana, Trovato, Tierno e Calem si mossero, volendo assistere anche loro allo scontro, ma Ornella li fermò, dicendo che solamente coloro che erano stati riconosciuti idonei potevano percorrere quel cammino: tutti gli altri ne erano esclusi. Serena ne rimase per un attimo delusa, tuttavia si ricompose in fretta poiché ne aveva avuto sentore. Rivolse lo sguardo a Shana e vide che sorrideva. La sua fiducia bastò ad infonderle la sicurezza di cui sentiva bisogno. Infatti, nonostante nei suoi occhi brillasse ardentemente quella scintilla combattiva che mai vi mancava, quella mattina Serena si sentiva assai insicura ed incerta. Si era preparata molto nei mesi precedenti per raggiungere quell’obiettivo, ma ogni convinzione, adesso, si era sciupata e dissolta nell’aria e nel suo animo non rimaneva altro che un sottile timore.
   Guardò la compagna un’ultima volta, grata, poi si apprestò ad andare.
   «Credete che ce la farà?» chiese ad un tratto Trovato.
   «Abbiamo cominciato a viaggiare insieme poco più di un mese fa, da allora Serena ha fatto davvero progressi!» esclamò Shana «Però non so dire con certezza se vincerà. Ornella è un’eccellente Capopalestra ed essendo più esperta di lei sulla Megaevoluzione le carte giocano tutte a suo favore».
   «Dovrà impegnarsi molto, allora», commentò Tierno.
 Calem ascoltava gli amici in silenzio, senza in realtà dar loro troppa attenzione. Ancora non era riuscito ad accettare il fatto di essere stato sconfitto, per questo motivo era rimasto in disparte per tutto il tempo. Quella notte non aveva dormito affatto, costretto a ripensare ogni singolo istante al momento in cui Serena lo aveva sconfitto così facilmente sul campo di battaglia. Si sentiva ferito nell’orgoglio e abbattuto. Anche lui si era impegnato tanto, anche lui si era allenato giorno e notte fino allo sfinimento! Allora, perché? Perché aveva perso? Si sentiva tanto sciocco e inutile!
   Ma ecco che, alzando gli occhi e scorgendo lassù, in alto, la chioma bionda della ragazza, improvvisamente vide qualcosa di cui non si era mai accorto. C’era nella sua postura, nell’espressione del suo viso, qualcosa di delicato e profondo, ma ancora innocente e inconsapevole. A quel punto capì: lei era diversa. In nessun modo avrebbe potuto accostarsi al suo livello, poiché questo era impossibile. C’era qualche cosa nel suo animo che vibrava, che in un certo modo sembrava quasi estraneo e irreale, superiore.
   Alle volte era capitato che Elisio gli avesse mandato dei messaggi sull’Holovox. In realtà, i due non avevano instaurato un rapporto profondo, anzi, erano poco più che conoscenti, tuttavia di tanto in tanto egli si preoccupava di avere notizie sul suo viaggio, probabilmente su sollecitazione del Professor Platan. Spesso accadeva che si mettessero a parlare delle sue aspirazioni. Calem, più di tutto quanto, avrebbe desiderato diventare forte, e l’unico modo in cui era convinto che vi sarebbe riuscito era attraverso la padronanza della Megaevoluzione. Così il ragazzo finiva per confidarsi, ed Elisio lo ascoltava, paziente, incoraggiandolo di tanto in tanto, altre volte rimproverandolo. Quando poteva, si curava di metterlo al corrente circa le ultime scoperte del Professore e Calem gliene era sempre grato. Inoltre trovava anche piacevole ascoltare i suoi pensieri. Il più delle volte, a dire il vero, non riusciva a comprenderli del tutto oppure non gli dava tanto peso poiché gli sembravano idee da vecchi – in essi, infatti, era intriso un certo pessimismo che non poteva essere accolto da una mente giovane come la sua, incantata ancora dalle meraviglie del mondo e incapace di vedervi brutture, com’era giusto che fosse per un ragazzo di quell’età.
   Una sera avevano cominciato a scambiarsi opinioni sulle circostanze attraverso cui una Megaevoluzione si sarebbe potuta innescare, su quel potere nascosto che alcuni Pokémon erano in grado di mostrare. Allora Elisio gli aveva domandato: «Credi che tutti i Pokémon possano raggiungere tale potere o che solo pochi prescelti possiedano tale potenziale? Dopotutto, non pensi sia così anche tra noi uomini? Cosa credi che significhi tutto ciò?».
   Sebbene non fosse riuscito a rispondere immediatamente, Calem aveva riflettuto a lungo su quelle parole. Adesso capiva: Serena non era come lui, né come Shana e gli altri. Doveva essere uno di quei pochi prescelti di cui Elisio gli aveva accennato, lo percepiva. Tuttavia, perché mai? Per quale motivo la sua anima brillava tanto intensamente sopra quella degli altri? Una ragione doveva pur esserci.
   Decise che per il momento si sarebbe lasciato andare al dubbio. A quel punto sorrise.
   «Non dovete preoccuparvi!» disse, rompendo finalmente il suo silenzio «Sono sicuro che Serena ce la farà! Se la caverà, vedrete: al mondo non esiste Allenatrice più in gamba di lei».
 
 
   La scalinata pareva lunga e interminabile, i gradini infiniti. Ad ogni passo che faceva, Serena sentiva le gambe appesantirsi e tremare per la fatica. Spesso alzava lo sguardo per osservare l’uscita in cima alla Torre, ma ogni volta sembrava lontana e inarrivabile. Con la mente vagabondava tra vaghi pensieri, cercando di tranquillizzarsi. Sentiva che presto sarebbe accaduto uno di quegli avvenimenti per cui il suo destino avrebbe cominciato a rivelarsi, tuttavia non riusciva a prevedere se fosse di cattiva o buona entità. Il sorriso che le aveva rivolto Shana sbiadiva nei suoi ricordi, un gradino dopo l’altro, e allora lei ricominciava ad essere un poco ansiosa.
   «Dunque è proprio come mi avevi detto in Palestra qualche giorno fa. Oggi dovrò confrontarmi con te», disse ad un tratto ad Ornella.
   «Pensavi ti avessi detto una bugia?».
   «No, no. È che hai quasi la mia stessa età e credevo che Cetrillo avesse più esperienza di te. Perciò ero convinta che mi sarei scontrata con lui».
   «È vero, mio nonno ha molta più esperienza di me. Infatti è la prima volta che rivesto questa carica. Però ci tenevo davvero ad essere io la tua sfidante. Capisci, ho visto qualcosa in te di cui mio nonno non si è accorto. Serena, tu non sei qui per scoprire la Megaevoluzione, ma per molto altro. Presto te lo dimostrerò».
   L’altra ragazza rimase sorpresa da ciò che le aveva appena confidato. C’era qualcosa d’altro?
   «Tu hai detto di essere venuta per diventare la nuova Sapiente», continuò Ornella «Purtroppo ti devo dire che questo non è possibile. Nessuno può prendere il posto mio o di mio nonno. Noi siamo i discendenti di colui che per primo scoprì la Megaevoluzione e dobbiamo assolvere a un compito ben preciso che nessun altro può svolgere. Ma c’è un’eccezione. Ed è di questo che ti devo parlare».
   «Parlamene, allora».
   Ornella si fermò per guardarla ed accertarsi del fatto che fosse pronta ad ascoltarla. Annuì e riprese a camminare.
   «Quando ci siamo incontrate a Cromleburgo, io non ero lì per caso. Avevo sentito un fremito venire da quelle parti, perciò mi ci sono recata immediatamente. Sono rimasta qualche giorno per fare degli accertamenti. Sai, Serena, Cromleburgo non è un villaggio qualunque».
   «Che cosa intendi dire?».
   «Ho saputo che tu hai vissuto per molti anni in altre regioni, perciò immagino che tu non sappia di questa leggenda. Vedi, tremila anni fa qui a Kalos scoppiò una guerra. Un antico re, accecato dalla rabbia, aveva costruito una terribile arma dalla potenza ineguagliabile: l’Arma Suprema. Attraverso di essa era stato in grado di porre fine al conflitto, ma con il sacrificio di milioni e milioni di vite. Kalos era stata decimata. Pochi erano i sopravvissuti. E quel che era peggio, era che il potere sfruttato per sprigionare una simile potenza era stato quello dei Pokémon Leggendari, che dovrebbero essere nostre guide e protettori. Siccome ciò non era ammissibile, Xerneas e Yveltal avevano cercato di fare in modo che una simile tragedia non si ripetesse: parte della loro energia fu riversata in alcune pietre e queste assunsero una conformazione particolare. Divennero Megapietre. Il nostro antenato che per primo ne prese in mano una fu in grado di far scaturire una nuova potenza dal suo Lucario. Questo è lo scopo che spetta a noi Sapienti: proteggere Kalos da una nuova venuta dell’Arma Suprema attraverso la Megaevoluzione».
   Serena tremò. Non aveva mai immaginato che dietro quella storia si celasse un compito tanto gravoso. Si chiese se il Professor Platan sapesse. Doveva per forza sapere, si disse.
   «E coloro che riescono a padroneggiare la Megaevoluzione senza essere Sapienti? Che ne è di loro?» domandò.
   «Loro sono semplici aiutanti. Nonostante nella mia stirpe sia celata una simile forza, noi Sapienti non siamo invincibili», rispose Ornella.
   «E che cosa c’entra Cromleburgo in tutto questo?» chiese ancora.
   «È lì che è nascosta l’Arma Suprema. Tuttavia ti prego di mantenere il segreto. Questi non sono argomenti che gli uomini comuni devono sapere. Dobbiamo mantenere la serenità nella nostra regione».
   Certo, Serena capiva. Ma c’era un’ultima domanda a cui avrebbe tanto desiderato porre una risposta.
   Le due ragazze giunsero sulla soglia della balconata, finalmente uscirono alla luce del giorno.
   «Non credi anche tu che oggi sia una bella giornata? Era tanto tempo che il cielo non si rischiarava di azzurro, da queste parti», disse la giovane Sapiente osservando il paesaggio chiaro di Yantaropoli.
   A quel punto Serena si fece avanti: «Ornella, perché io? Perché mi hai raccontato tutto questo? Qual è il mio ruolo in tutto ciò?».
   Ornella si girò, la guardò intensamente.
   «Un anziano vagabondo, una volta, mi ha raccontato una storia», cominciò a dirle «So che questa è la verità, perché su di lui ne era chiaro il segno. Mi ha detto che un giorno, presto, la luce dell’Arma sarebbe riapparsa un’altra volta e che noi Sapienti non avremmo in alcun modo potuto contrastarla. Tuttavia,».
   Si avvicinò a Serena e le accarezzò una mano, le allacciò al polso il Megabracciale che le spettava.
   «Tuttavia, mi disse, una prescelta si sarebbe mostrata. Una ragazza forte ed impetuosa, con la luce nell’animo. Lei avrebbe potuto cambiare le sorti del destino. Ed io, Serena, ho ragione di credere che quella prescelta sia tu».
   La ragazza si ritrasse di scatto, sconvolta. Guardava la Capopalestra con sguardo perplesso e confuso, le dita delle mani e le gambe tremanti. Lei una prescelta? Lei la protettrice di Kalos? Lei la giovane che si sarebbe dovuta scontrare con l’oblio dell’Arma Suprema per debellarlo?
   Era spaesata, turbata e visibilmente scossa. Si voltò da una parte, nascondendosi il viso nelle mani. Sentiva voglia di piangere, il destino che aveva sempre desiderato ottenere era adesso diventato una condanna, ma non una lacrima scese dai suoi occhi.
   Ornella si accostò alla ragazza, le accarezzò con tenerezza una spalla. Le disse di non avere paura, che nessuno deve avere paura di sé stesso. Trasse una Pokéball dalla tasca e da essa fece uscire un Lucario.
   «Lascia che ti mostri».
   Ed ecco, la lotta incominciò.
   Il vento soffiava, e nell’aria risuonavano i colpi come grida tormentate, angosciate da ciò che si era appena scoperto. Ad ogni comando seguiva un tremito, un frammento di cuore che si staccava e diventava roccia nel petto. Serena guardava davanti a sé e si sentiva smarrita. Le mancava il respiro e spesso faticava a mantenere l’equilibrio sulle gambe. Addosso le premeva il peso di un futuro sconosciuto e inquietante, inconoscibile. E sempre si ripeteva: perché, perché, perché.
   Brividi le percorrevano la schiena, lampi le balenavano negli occhi.
   Il Lucario che le era stato affidato, che aveva deciso di unirsi a lei, le si rivolgeva, rassicurante. Era tanto strano, eppure, ogni volta che lo osservava nel suo sguardo, le sembrava di vedere sé stessa. Non erano altro che sconosciuti, tuttavia non aveva mai provato una simile sintonia con nessun altro. Neppure questo sapeva spiegarsi, e continuava a lottare e a scontrarsi con l’altra.
   Il sole calava ormai all’orizzonte, la battaglia si era protratta per ore ed ore, senza tregua. Nel cielo apparivano le prime stelle in mezzo al manto notturno.
   La gola bruciava e gli occhi pizzicavano. Il corpo era affaticato, ma non dava segno di voler cedere. Era ormai talmente assorta nella lotta che tutto il resto era svanito. Sulle braccia e sulle spalle sentiva il dolore delle percosse inferte al proprio Pokémon, fin dentro alle ossa, si era trasformata in un tutt’uno con lui. Si agitava e fremeva con lui. Ben presto, tuttavia, si accorse che la battaglia che stava combattendo non era più contro Ornella - era contro sé stessa. La sua realtà nascosta batteva contro le pareti dell’incoscienza per spezzarle e venirne fuori, per potersi finalmente mostrare chiaramente al mondo intero. Un sussurro si protrasse nel vento e poi crebbe, si fece voce e poi ringhio. Era agonia e sofferenza, tormento e commozione: che la nascita non è mai vita senza dolore.
   All’improvviso un lampo si accese tra le nubi. Forte e accecante, per un istante la sua luce illuminò tutta Kalos. Quando scomparve, al suo posto rimase un leggero albore violaceo, meraviglioso e allo stesso tempo spaventoso.
   Tutti quanti e in ogni dove in quel momento si ritrovarono col viso rivolto in alto ad osservare quello spettacolo straordinario. In ogni strada e in ogni Percorso era brusio, era meraviglia e stupore. Ognuno gridava e indicava il cielo. Anche Elisio, immerso tra la folla di Viale Autunno, a Luminopoli, non aveva potuto fare a meno di sollevare lo sguardo. Allora si era messo a correre, veloce, facendosi strada in mezzo alla gente, perché ricordava quelle luci, ricordava quei colori.
   Raggiunse la Piazza Centrale e sul lato opposto incontrò gli occhi grigi di Platan: anche lui lo stava cercando. Non si vennero vicino, non si scambiarono alcun cenno. Rimasero a guardarsi da lontano.
 
  Era l’alba del destino.




 


Se devo essere sincera, non riesco a credere di essere arrivata fino a qui dopo più di un anno che sto scrivendo questa storia. Finalmente ho potuto chiudere il cerchio della Torre Maestra! (Mi chiedo se qualcuno nel frattempo si fosse fatto delle aspettative sul misterioso figuro di Yantaropoli, che al tempo aveva destato un po' di interrogativi...)
Sono molto emozionata, questo è un traguardo che davvero non pensavo di raggiungere quando stavo scrivendo per la prima volta di quei due turisti seduti al Caffé Elisio che si domandavano se fosse meglio visitare la Torre Prisma di pomeriggio o al tramonto. Mi aspettavo di lasciarla incompiuta come molte altre storie di quel periodo, invece, riguardando indietro, sono contenta di vedere che non sia stato così.
Sono molto affezionata a questa storia. È la prima che ho pubblicato qua su Efp. In un certo senso potrei dire che mi sono iscritta apposta per pubblicarla, ma questa è un'altra faccenda. So che all'inizio sembra un po' stupidina, ma finalmente, un poco alla volta, sto riuscendo a darle quel taglio e quel senso che volevo quando mi sono messa alla tastiera la prima volta. Quindi mi sento davvero di dovervi ringraziare tutti quanti - lettori, recensori, seguaci, tutti - per essermi stata vicino, per avermi dato i vostri pareri, per avermi aiutata a migliorare andando avanti con i capitoli. Non mi aspettavo di riscontrare un simile interesse e devo dire che mi rende molto felice! Grazie di cuore a tutti quanti!!! ♥
L'unica cosa che mi sento di precisare stavolta è la storia dei Sapienti della Megaevoluzione/guardiani. Riflettendo sulla loro figura ho pensato che la loro funzione potesse essere quella di contrastare il potere dell'Arma Suprema, siccome il potere delle Megapietre deriva (almeno per ciò che si è capito) dal suo raggio. Quasi sicuramente nei giochi non sarà così, però ormai sapete come sono per queste cose c':
Non ho idea di quando riuscirò ad aggiornare, in futuro, perciò purtroppo temo che per qualche tempo dovrete rimanere sulle spine... Spero comunque che questo capitolo vi sia piaciuto e che fino ad allora vi possa bastare!
Un abbraccio a tutti,
la vostra Pers
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pokemon / Vai alla pagina dell'autore: Persej Combe