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Autore: SabrinaSala    21/02/2016    7 recensioni
"...Sdraiato supino sul letto, un braccio dietro la nuca e l’altro appoggiato sul ventre piatto, pantaloni e calzari ancora indosso, Johannes accolse così, sfacciatamente seducente, le prime, impertinenti luci dell’alba. «Proteggere una donna, salvaguardare la sua persona, è il compito più difficile e più importante al quale un uomo possa essere chiamato. Ne sarai all’altezza?»"
***
Sacro Romano Impero Germanico. Città di Rosenburg. Anno Domini 1365
Quando Johannes, altero e affascinante capitano delle guardie cittadine, riceve l’incarico di proteggere Madonna Lena, pupilla del Vescovo di Rosenburg, solo Justus, l’amico di sempre, può trovare le parole per chetare il suo animo inquieto.
Pedine inconsapevoli di un gioco iniziato quando ancora erano in tenera età, Justus, Johannes e Lena si troveranno loro malgrado coinvolti in un ordito di peccati e di colpe… Sarà sufficiente lo stretto legame con il Vescovo-conte, reggente della città, loro padrino e benefattore, a salvare le loro anime?
***
"Miserere mei Deus secundum magnam misericordiam tuam" ("Pietà di me, o Dio, secondo la tua grande misericordia") – dal Salmo 51
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo, Inquisizione
Capitoli:
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Capitolo 18 - Esecuzione 


Erasmus arretrò di un passo, senza tuttavia distogliere lo sguardo dall’imponente figura del vescovo rivolta, come di consueto, alla finestra.
L’uomo non parlava, limitandosi a respirare profondamente. E nonostante le braccia fossero abbandonate lungo i fianchi, i pugni stretti lasciavano intendere uno stato d’animo lontano dall’essere sereno.
«Eccellenza…»
Konstantin Winkel accolse il suono di quella voce con una smorfia disgustata. Una rabbia sorda partiva dallo stomaco e gli montava in petto. A stento riusciva a reprimerla. La mascella serrata, la fronte che pulsava dolorosamente, il vescovo sollevò un braccio in un gesto secco.
Erasmus sussultò.
«Fai in modo che Edelbert abbia questo biglietto».
Esitante, il segretario si avvicinò e recuperò il messaggio che il vescovo tratteneva nella mano sollevata, facendo bene attenzione a non emettere fiato. Mai aveva visto l’uomo tanto turbato ma era certo che non fosse la delusione a scavarne il volto, in quel momento, bensì la collera e l’indignazione. Un’ira profonda dovuta alla certezza di essere stato tradito. Non dispiacere, dunque. Ma arroganza.
Sogghignò. Che gli sciocchi imparassero a stare al proprio posto!
Lui, la lezione, l’aveva imparata da molto, molto tempo…
Ma non tutti potevano vantare la sua stessa malizia.

***

Adducendo la scusa di un leggero malessere, Maddalena Aicardo si era liberata dell’incombenza del pasto. Aveva negato a Edelbert, preoccupato per la sua salute, l’accesso alle proprie stanze e, rimasta sola, si stava ora  crogiolando nel dubbio e nel tormento.  Non si dava pace, rimproverandosi di aver perso maldestramente quello che doveva essere un messaggio di Johannes, consolata dal pensiero che il caotico scalpiccio dei passanti avesse certamente disperso e invalidato quel biglietto e il suo misterioso, forse pericoloso, contenuto.
Come aveva potuto essere tanto sciocca? La sorpresa, forse, lo sgomento. Ma potevano essere una reale giustificazione?
In piedi, le spalle alla finestra che filtrava una luce spenta, quasi malata, incolore e incapace di infondere tepore a quella stanza umida, 
strinse le mani in grembo fino a farsi male. Serrò forte le palpebre. Avvertì il cuore accelerare il battito e gli occhi di Johannes squarciare il buio. Avvampò e sedette sul letto. Doveva fare in modo di sapere, decise. E Justus era la sua unica speranza.
Raccolse le gonne, mai così ingombranti, e raggiunta la finestra guardò verso il giardino interno del palazzo. Soldati di Rosenburg e armigeri del marchese stazionavano lungo tutto il perimetro del chiostro. Si accigliò, domandandosi se fossero sempre stati tanto numerosi. Le campane del monastero avevano appena annunciato la Nona e il giorno, nonostante l’estate non fosse ancora finita, stava lentamente spegnendosi.
Lena ispirò profondamente, a labbra serrate. Batté un paio di volte le palpebre. Cosa fare?
Attendere!
Attendere pazientemente il Vespro,  si disse. E con esso il sopraggiungere del chierico.
Se Johannes aveva deciso di essere prudente, chi era lei per muovere passi avventati?
Emise un sospiro, dunque acuì lo sguardo e si aggrappò nuovamente alla stoffa morbida delle gonne.
Rabbia! Era rabbia quella che le serrava la gola… Una rabbia incontrollata e sciocca, lo sapeva. Tuttavia, il pensiero che il capitano l’avesse raggiunta, vista e sfiorata e non l’avesse portata via con sé, strappandola al destino che altri avevano scritto per lei, l’accese di un rancore sordo. Rise. Incurante del fatto che qualcuno avrebbe potuto sentirla.
Si lasciò scivolare sui morbidi cuscini di uno scranno e appoggiò i gomiti sui braccioli rigidi e poco confortevoli. Poi si portò le mani al viso e passò le dita tra i capelli lunghi e sciolti sulle spalle. Lentamente. Avvertendone il passaggio sulla cute e immaginando le ciocche scuri scivolare tra di esse. Infine, raccolse le mani sulle labbra. Non aveva perdonato Johannes e non sapeva quando lo avrebbe fatto, indipendentemente dal fatto che lo desiderasse. E in quella luce malata e scialba, in completa solitudine, evocò dai ricordi la sua figura, la sua voce roca e inconfondibile, il suo odore, il suo calore. Lasciò cadere indietro la testa. Il collo esposto. Le palpebre socchiuse così come le labbra. E con le stesse labbra ritrovò e assaporò quelle turgide di Johannes…

***

Johannes evitò accuratamente le sentinelle di ronda, ben attendo a che lo schiocco del mantello sullo stivale di cuoio non attirasse l’attenzione dei soldati.
Rimase immobile. Le spalle addossate al muro di cinta del palazzo vescovile, il volto adombrato dal pesante cappuccio.
Le lunghe lingue rosse del tramonto si erano presto tramutate in sottili strali violacei ora divorati da un nero ammiccante di piccole stelle. E mentre dal monastero risuonava  il richiamo della Compieta, l’ombra di un sorriso stirò le labbra di quello che un tempo era stato il più orgoglioso capitano delle guardie.
Cosa ne rimaneva? Un amante stolto. Incapace di ragionare con la razionalità che gli era stata inculcata fin da bambino. Uno stolto e un miserabile.
Ma cosa importava, se l’uomo che lo aveva tolto dalla strada ora ve lo costringeva, riducendolo alla stregua di un ratto?
Raddrizzò le spalle, che pensieri di tradimento e vergogna gli avevano incurvato, sgombrò la mente e gettò uno sguardo all’interno del giardino. Il campo era libero. Nessuna guardia o sentinella.
Svelto, Johannes scivolò nel chiostro, mantenendosi a ridosso della cinta, e si confuse tra le fronde rigogliose di una giovane quercia e rami rampicanti dell’edera.
Rispettando la sua volontà, Justus aveva evitato il consueto appuntamento del Vespro e così di lasciarsi ulteriormente coinvolgere.
Ora, dunque, non restava che attendere…

***

Justus affrettò il passo. Poi, accorgendosi di essere rimasto solo con Johannes, dall’altra parte della piccola piazza, si fermò cercando riparo nell’ombra.
Carico di tensione, il chierico attese che l’amico facesse la propria mossa. Gli era stato intimato di restare lontano dal palazzo vescovile, quella sera, ma non gli era stata elargita alcuna spiegazione. Sapeva dell’incontro di quella mattina al mercato, tra Johannes e Lena, e lo sapeva perché lui stesso era lì, mescolato alla folla colorata e festante. Ma non sapeva niente più di questo e l’ostinato riserbo dell’amico lo preoccupava.
Contravvenendo ancora una volta ai suoi ordini, camuffati da consigli, si era dunque appostato nei pressi del palazzo, lo aveva intercettato e infine seguito…

***

Dopo una cena frugale, Edelbert decise di rompere gli indugi.
Sorbì poco elegantemente un ultimo calice di vino, assicurò lo stropicciato pezzo di carta tra la maglia e il corsetto e raggiunse il giardino.
Fermandosi poco oltre la soglia del palazzo, rischiarata dalla fiamma rossastra delle torce, sollevò lo sguardo verso la finestra di sua moglie e attraverso la bifora cercò la sua sagoma snella e seducente.
Ne immaginò le chiome sciolte, la veste da notte, le guance accese… Ma solo quello poteva fare. Immaginare.
Serrò la mascella, indispettito. Stanco di aspettare.
Non le aveva concesso fin troppo tempo?
Corroborato dal vino che gli scorreva nelle vene e stuzzicato a dovere dai suoi stessi commensali, ignari di quell’ingrato digiuno,  decise che quella notte Maddalena Aicardo sarebbe stata sua.
Sua o di nessun altro.
Prima, però, aveva un’altra questione da risolvere. Una sorta di enigma.
Con un sorriso cattivo che stentava a riconoscersi, pregustò prima notte di nozze… Passò istintivamente la lingua sulle labbra. Avvertì il sapore speziato del vino e rise tra sé prendendosi gioco del povero e fin troppo serio Erasmus che mai avrebbe potuto assaporare le gioie del talamo nuziale.
Avanzò di un passo. Poi un altro.
E mentre il pavido Edelbert, acceso dall’acool, si lasciava alle spalle la luce amica delle torce, il cuore di Johannes perdeva un battito.
Cosa portava il marchese, evidentemente alterato, nel giardino a quell’ora?
Lanciò uno sguardo alla finestra dietro la quale sapeva trovarsi la stanza di Lena, completamente buia. Poi si appiattì contro la parete, imponendosi di rimanere immobile e in assoluto silenzio.
Forse, così facendo, Edelbert non si sarebbe accorto di lui ed espletate eventuali necessità fisiologiche sarebbe rientrato a palazzo lasciando via libera a Lena e al loro piano di fuga.
«C’è nessuno? » domandò il marchese. «Io sono qui» disse.
Johannes corrugò la fronte. Che lo stesse cercando?
Sollevò istintivamente la testa e il suono del suo respiro si fece chiaramente udibile. Che anche Lena lo avesse tradito?
Mentre la sua attenzione passava di nuovo dalla sgraziata figura di Edelbert alla finestra di Maddalena Aicardo, con la coda dell’occhio colse un’ombra travolgerlo. Quasi attraversarlo. Poi, il giovane marchese traballante, malfermo sulle gambe esili e torte, portare le mani al petto dove un fiore umido e scarlatto si apriva troppo velocemente.
Il capitano gli fu istintivamente addosso e lo accompagnò a terra, mentre con una mano, Edelbert si afferrava al cappuccio strappandolo via.
«Voi! » esclamò sorpreso, piegando la testa sulla spalla destra di Johannes, come a cercare un rifugio sicuro. «Voi…» mormorò in un debole sorriso, le labbra esangui sulla guancia tesa dell’armigero. «Non siete stanco di soccorrermi?». Tossì.
Johannes serrò le mascelle, ricacciando indietro le imprecazioni che gli salivano alle labbra.
Edelbert cercò le sue mani. Le trovò e le strinse, imbrattandole del proprio sangue caldo. Troppo caldo e troppo copioso.
In capitano ne poteva avvertire l’odore, acre e ferroso, consapevole della propria impotenza. E negli attimi concitati che seguirono, dimentico del pericolo al quale si era esposto, cercò la ferita per tamponarla e trovò l’elsa di un pugnale. Uno stiletto sottile che aveva attraversato il giovane cuore del marchese.  Edelbert sussultò, come rispondendo a una fitta dolorosa. Uno spasmo.
L’altro si irrigidì, respirando a fatica, mentre le ultime parole del marchese, flebili come un sospiro, venivano fagocitate dalle grida di allarme e dal passo pesante degli armati in arrivo.
Johannes, ancora in ginocchio, strinse tra le braccia il corpo esanime del giovane e sfortunato marchese. Volse un’occhiata attorno, tra i viottoli del giardino sui quali rapidamente si moltiplicavano le guardie. Colse tra le ombre l’immagine di Justus e con un cenno del capo gli intimò di restare fermo là dove si trovava. Sollevò lo sguardo verso i piani alti e finalmente la vide. Lei. Lena. Che richiamata dal frastuono si era sporta alla finestra, pallido fantasma della donna che era.  
«Johannes!» la voce perentoria di Heinrich, richiamò il giovane alla realtà dei fatti. Incrociò i suoi occhi, mentre l’altro, apparentemente senza sforzi, respingeva l’assalto degli uomini del marchese pronti a esigere altro sangue.   
«Capitano! » disse Erasmus, irrompendo sulla scena e richiamando l’attenzione di Heinrich Kraft, «Arrestatelo! »
Heinrich gli rivolse uno sguardo torvo, ma questi, reprimendo l’istinto di arretrare, insistette:
«Arrestatelo!»
Sulla soglia del palazzo vescovile, Kontantin Winkel, illuminato dalle torce poste ai due lati del portone,  si ergeva immobile. Statuario come un giudice supremo. A quella distanza, Johannes non poteva vederlo, ma si sarebbe detto certo di quel sorriso diabolico. Demone tra le fiamme dell’Inferno.



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IL CONFESSIONALE (ovvero, l'angolo dell'autrice):

Apro questa conversazione scusandomi per la formattazione un po' strana di questo capitolo. In questo periodo sto "litigando" decisamente con software e programmi vari e non appena avrò risolto queste dispute mi adoperrerò per rimettere le cose a posto. Vista la prolungata assenza delle ultime settimane, ho preferito non attendere oltre!

E ora a noi! Sono passati tanti, tanti anni dal mio primo racconto e se penso al "fattaccio" protagonista di questo capitolo, quasi rabbrividisco. Allora, a quei tempi, non avrei mai permesso che Edelbert morisse. Edelbert o chiunque altro. Questa "perdita", invece, era decisa fin dal principio. Quasi un perno attorno al quale parte della storia avrebbe mosso i suoi passi. Rispondendo alle mie domande in calce al  capitolo precedente, qualcuno di voi ha inserito il marchese tra le possibili "nomination". Ora non resta che scoprire il perché di questo assassinio e dove ci porterà la vicenda.

Perdonate la chiacchierata "monotematica" su un personaggio poco gradito ai più... Un personaggio che in altra sede è stato ribattezzato SEMOLA  e sul quale abbiamo scherzato e ironizzato un po', inserendolo addirittura nel gioco del CASTING! Un personaggio "nato" per essere "sacrificato"...

Con un groppo in gola, vi ringrazio come sempre per la lettura e la pazienza. Ringrazio le affezionate, chi recensisce e le lettrici silenti invitandole, quando avranno voglia, a farsi sentire.

Un GRAZIE ENORME al Maestro UMBERTO ECO...

Sabrina
 

   
 
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