Fanfic su attori > Cast Supernatural
Segui la storia  |       
Autore: Feathers    25/02/2016    6 recensioni
/Cockles Au in Russia!/
Dopo che la sua vita cambia per sempre a causa di una matrioska, Jensen Ackles è costretto a vivere nella Russia del 1955, un'epoca difficile per un americano moderno. Per fortuna, un affascinante e misterioso scrittore di nome Misha Krushnic decide di ospitarlo nel suo appartamento al centro di Mosca. Cosa succederebbe se la loro iniziale diffidenza si trasformasse in una passione incontenibile?
Questa è la storia di un amore clandestino, di quelli tanto intensi da sembrare irreali, ma continuamente messo in grave pericolo dall'omofobia della Russia Sovietica. Riusciranno i due ad uscire dalla terribile situazione in cui si trovano ed a stare insieme senza rischiare la vita?
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Jensen Ackles, Misha Collins
Note: AU, Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

                                                      Red Russia

 

 

Stelle... vedevo solo stelle lucenti nel cielo. Alcune lo solcavano, altre volavano come comete in quel tappeto blu come... quegli occhi.

 Una voce sconosciuta mi apostrofò con un accento tutt'altro che russo, strappandomi al mio sogno.
 Eppure la frase era in russo, di quello ne ero più che sicuro.

 "No, no... Mark, sa dire solo spasiba, parlagli in inglese per piacere!" disse un'altra voce, ridacchiando in maniera talmente ironica che capii immediatamente a chi apparteneva.

 "I-in realtà so anche dire Da svidanya... " gracchiai stizzito, tentando di mettere a fuoco i loro visi che mi osservavano dall'alto.
 Alla destra di Misha, un uomo scuro e barbuto mi osservava, dubbioso.

 "Sono svenuto?" chiesi; le tempie mi pulsavano.

 "Da ore. Sono le otto. Cosa senti in questo momento?" mi chiese Misha, un po' più seriamente, posando una mano fra il materasso e il cuscino.

 "Fame. E dolore alle tempie... " risposi, riappoggiando la testa.

 "Ti credo. Non mangi da stamattina. Sai? Ti ho preparato qualcosa con le mie mani." disse Misha, sicuro di sé.

 Strinsi gli occhi. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo ad immaginarmelo trafficare ai fornelli.

 Notai che ero stato steso su un letto comodissimo e caldo.
 Che fosse quello di Misha?!
 Faceva lo stesso meraviglioso profumo della sua pelliccia - una di quelle acque di colonia iper costose per uomini. Alla cannella.

 Il signore bruno mi posò una mano ampia sulla fronte sudata. Aveva i capelli strambi e arruffati, e la barba nera sfatta.

 "Capperi! Scotta come una fornace! Deve aver preso un bel po' di freddo. Non si esce fuori con questo tempo, signore!" sentenziò con una punta di scherzo nel tono, indicando la finestra serrata.

 "E ci credo che ha la febbre! Quando l'ho incontrato indossava solo pantaloni di cotone e giacca... Se non si è preso un bell'accidente lui...!" esclamò Misha. "A proposito, Jensen... Ti presento il dottor Mark Sheppard, viene dall'Inghilterra e... indovina? Abita nel mio stesso appartamento."

 "Vedi come ti vizio, Misha? Dottore a domicilio" disse scherzosamente.

 Lui ammiccò e mi guardò.
 "Vuoi farti dare una breve occhiata da lui, Jensen?"

 Annuii appena, pur fissando entrambi, stranito.

 Mark mi controllò il polso, e constatò ad occhio che la mia temperatura corporea era abbastanza lontana dalla norma.

 "Mmm. Ha decisamente la febbre! Ma non è solo questo il problema, purtroppo. Prenditi cura di lui... è davvero messo male." disse a Misha, che scuoteva la testa e si mordeva le labbra, pensoso.

 "Che intendi dire con 'è davvero messo male '?" gli chiese, senza staccare quelle pozze celesti dai miei occhi.

 L'altro gli fece segno di allontanarsi per un secondo e sussurrò alcune frasi in russo, credendo che fossi ancora talmente stordito che non avrei potuto sentirlo.
 Mi innervosii.
 Ma che diavolo mi stavano nascondendo quei due?

 "Che succede?" domandai, rivolto a Misha.

 Misha si voltò immediatamente, appena sentì il suono della mia voce.

 "Non preoccuparti. Mark crede che tu abbia avuto qualche trauma nelle ultime ore e per questo credi di vivere in America... e tutto il resto." mi rispose, un sopracciglio sollevato.

 Si avvicinò nuovamente a me.
 Non pareva affatto convinto della scusa che mi aveva appena rifilato.

 "Ah... dunque mi stai dicendo che sono completamente impazzito?" domandai. Cercai di non far trapelare l'irritazione dal tono.

 "No, assolutamente no." si affrettò a rassicurarmi Misha, sfiorandomi la spalla nuda col palmo tiepido.

 Mi avevano tolto la maglietta. Ebbi un meraviglioso fremito che non seppi spiegarmi a quel contatto improvviso.

 "Dico solo che hai bisogno di assistenza per un po'." disse, con un tono suadente, fissandomi con uno sguardo che non riuscii a reggere.

 Chiusi gli occhi per un momento e sospirai.

 "Per quanto tempo ho dormito? E una volta per tutte... in che anno siamo?" domandai, atono.

 "Ancora nel 1955, non preoccuparti." rispose lui, con un sorriso che mise in mostra i suoi denti perfetti.

 "È proprio questo che mi preoccupa... " mormorai amaro fra me e me.

 Si creò un silenzio imbarazzante nella stanza. Mark si schiarì la gola, osservando sia me che Misha in modo strano.

 Non ero mai stato bravo a nascondere le mie emozioni.

 "Beh... sarebbe ora che io rientri adesso. La cena non si mangia da sola. Buonanotte." disse frettolosamente, facendo l'occhiolino a Misha e salutando me con la mano.

 "Da svidanya... " gli rispose Misha con disinvoltura.

 Io provai ad imitare il suo accento, ma non mi riuscì molto, e lo feci ridere.

 "Devi pronunciare la 'a' finale in modo differente... " mi spiegò dolcemente, come se fossi stato un bambino.

 "Hai intenzione di insegnarmi il russo?" domandai, intimidito.

 Lui alzò gli occhi al cielo, con un sorrisetto che gli sollevava l'angolo della bocca. "Direi che sarebbe utile. Gli americani non sono visti di buon occhio qui. Ah, già - il tuo accento è palese."

 Che bellezza, pensai.
 Ero finito nella Russia dei primi anni cinquanta - almeno questo era ciò che Misha mi aveva spiegato - in piena guerra fredda e per di più con meno dieci gradi centigradi al sole. Se c'era il sole.

 "Vuoi dirmi qualcosa per caso?" chiese Misha all'improvviso, interrompendo i miei pensieri.

 Mi girai di scatto verso la sua espressione vagamente intenerita.
 Dovevo proprio avere un aspetto di merda.

 "A dir la verità sì... tanto ormai mi reputi un matto da legare... " borbottai.

 Lui si sistemò su una poltroncina che non avevo notato prima, e ripiegò appena la testa da un lato.

 "Non credo che terrei un matto da legare a casa mia... giusto?" fece, con un sorriso insopportabilmente dolce.

 Sospirai e mi sentii le guance accaldate. "Mmm... ho visto un cielo blu... pieno di stelle... mentre ero svenuto."

 "Continua." mi disse lui, calmo. Pareva perfino interessato.

 Cercai di interpretare il suo tono.
 Non riuscii a capire se quel 'continua' fosse una battuta sarcastica o meno. Ne faceva fin troppe per sapere quando scherzava.

 "Non sapevo esattamente dove mi trovassi nel sogno, magari era un posto alto - come un tetto, per esempio. Alcune di quelle stelle cadevano... altre restavano dov'erano e formavano strane... costellazioni... " mormorai, non capendo perché avessi tanta voglia di raccontarglielo.

 Ad un certo punto, i suoi occhi si illuminarono appena, ed un ricordo mi balenò in mente come un lampo inaspettato: avevo visto perfino Misha nel sogno. Mi aveva sorriso, indicandomi la stella polare, come se avessimo avuto molta più confidenza. E mi aveva anche detto qualcosa.

 "Che ti prende? Ti sei imbambolato?" mi domandò nella realtà, schernendomi.

 "N-no." gli risposi, rimuginando sulla frase apparentemente insensata che mi aveva rivolto in sogno: 'Per favore... Jens, aiutami a tornare.'

 A tornare dove?!

 ----------------

 Verso sera, la mia temperatura doveva essere salita parecchio, dato che a stento riuscivo a tenere gli occhi aperti. Ascoltavo la voce ovattata - e stupenda - di Misha che mi raccontava qualcosa ogni tanto, e mormorava frasi confuse sul fatto che quella febbre innaturale mi sarebbe passata entro poco tempo. Peccato che fosse convincente quanto un bambino goloso che sosteneva di non aver finito la cioccolata.

 Io, intanto, ero terribilmente confuso ed avevo una gran voglia di piangere.
 Perché mi trovavo lì?
 Perché ero sparito dalla mia città e soprattutto dalla mia epoca?
 Pensai a Jared che doveva essere terribilmente preoccupato per il sottoscritto.

 Solo dopo un po' mi ero ricordato del fatto che mi aveva lasciato un messaggio vocale quella mattina stessa e che stava invitando mezza New York per una pizza a casa sua.
 Cosa doveva aver pensato quando non mi aveva visto arrivare?
 Lo immaginai impugnare il cellulare e telefonarmi più volte, l'ansia che gli cresceva dentro man mano che i suoi tentativi di rintracciarmi fallivano miseramente.
 Poi, doveva avermi cercato ovunque, chiedendo a tutti i miei vicini di casa dove mi avessero visto l'ultima volta, e chiaramente sarebbe stato tutto inutile.
 A quel pensiero mi si strinse il cuore.

 Misha era perfino arrivato a domandarmi se mi ricordavo il nome dei miei familiari. Chissà dove credeva che avessi sbattuto la testa.

 Io, nonostante sapessi che mi sarei guadagnato uno dei suoi stupidi sorrisini di assenso, gli spiegai che la mia famiglia non poteva essere più lontana da Mosca.
 Anzi, la mia famiglia non esisteva ancora, ma naturalmente ebbi l'intelligenza di non dirgli pure questo.
 Ero stato completamente tagliato fuori dalla mia realtà, dalla mia vita.
 Ero finito nel posto più diverso di casa mia che mi potesse capitare ed ero disperato.

 Come se non bastasse ero preoccupato per quello che avevo.
 Mi faceva tanto male la testa che avevo l'impressione che stesse per esplodermi da un momento all'altro.

 "M-Misha... " mormorai ad un certo punto, tentando di cambiare posizione sul materasso.

 Lui entrò nel mio raggio visivo, l'aria vagamente preoccupata. Aveva un maglione di lana blu che lo copriva fino al collo e lo rendeva straordinariamente tenero.

 "Che succede? Hai male da qualche parte?" chiese, premuroso.

 "No... " biascicai, una goccia di sudore che mi colava sulla fronte.

 Lui prese un fazzoletto dal comodino intagliato in legno e me l'asciugò in un baleno, facendo rumorini di disapprovazione con la bocca.

 "Che cosa ho veramente?" gli domandai.

 Misha si riscosse appena a quella domanda.

 "Mmm... "

 Nel suo bel viso comparve quella presunta espressione innocente che gli avevo visto assumere un milione di volte solo nel giro di dieci ore.

 "Hai la febbre. Ecco cos'hai. E adesso dormi che è tardi. Sono le undici e mezza." mi disse lentamente, con un tono agrodolce da padre apprensivo.

 Come se non avesse avuto meno di cinque anni più di me.

 "No. Questa non è febbre." protestai, secco.

 Misha si mise le mani sui fianchi, fissandomi con aria cinica.

 "Vorresti dire che Mark non è un buon medico, forse?" scherzò. "E poi perché non dovrebbe essere febbre? Sentiamo." mi sfidò.

 "Non lo è perché io non sono nato ieri. Tu sai qualcos'altro su questa storia dei viaggi nel tempo, non è vero? Non mi sembri abbastanza stupito dal fatto che sono arrivato qui." dissi, con una sfacciataggine che non conoscevo.

 Misha mi osservò attentamente, il volto concentrato. Poi scoppiò in una risata sguaiata che mi fece saltare i nervi. Mi sentii le guance calde come il fuoco.

 Ci fu una pausa di silenzio mentre io lo fulminavo con lo sguardo e mi mordevo le labbra.

 "Non sono stupito perché tu non hai viaggiato nel tempo, tesoro mio. E ora dormi." disse con fare autoritario, sorridendo.

 Che antipatico, pensai.

 "Non ho sonno... " mugugnai, facendomi scappare un maledetto sbadiglio.

 Lui sorrise soddisfatto.

 "Ne hai. E anche tanto, dunque riposati." ordinò.

 Si avvicinò, mi rimboccò le lenzuola fino al collo e mi sistemò i due cuscini dietro la testa con fare paterno.

 Provai a giocare la mia ultima carta.

 "Ma, ma questo è il tuo letto... dove dormi tu adesso?" gli chiesi, la fronte corrugata.

 Lui rise di nuovo.

 "Sul divano del salotto. Tranquillo. Sei tu il malato e sei tu l'ospite, di conseguenza il mio letto tocca a te, capito?" disse, con un tono che non ammetteva repliche.

 "Ma appunto perché sono io l'ospite dovrei occupare io il div... "

 Lui marciò verso la porta della stanza senza darmi un minimo di conto. Si girò con un sopracciglio alzato, facendomi un chiaro cenno per zittirmi.

 "Sshh. Niente ma. Buonanotte Jensen, e sogni d'oro." disse scuotendo la testa.

 Io sospirai, irritato. "Buonanotte... Misha." dissi a denti stretti, guadagnandomi un altro dei suoi sorrisetti beffardi.

 Mi rannicchiai di lato, come facevo praticamente da sempre. Un brivido di freddo mi attraversò la schiena. Sapevo che sarebbe stata una nottata lunghissima. Troppi pensieri, e sconvolgimenti emotivi.
 Ero certo di essere stato vittima del classico 'colpo di fulmine' quando avevo guardato Misha negli occhi.
 Era stato come un'ondata che mi aveva travolto, lasciandomi senza fiato.

 Eppure, allo stesso tempo non riuscivo a soffrire quell'uomo.

 "Hey... vuoi che ti lasci la luce accesa per caso?" scherzò Misha, affacciandosi per un momento.

 Mi scappò una risata mal trattenuta.

 "Scemo." mormorai a voce bassissima, convinto che non mi avrebbe sentito.

 E invece, prima di spegnere definitivamente la luce sibilò:
 "Scemo sarai tu. Buonanotte, Jensen. E... chiama se hai bisogno."

 Mi avvolsi nelle coperte profumate fino al collo, chiedendomi in quale girone dell'Inferno fossi finito e cercando di dormire.

 La mattina dopo mi svegliai di colpo, scattando a sedere sul letto così velocemente che la vista mi si appannò per un po'. Avevo fatto qualche incubo probabilmente, ma me ne ero dimenticato subito.
 Mi portai una mano alla testa gocciolante di sudore, fantasticando per due secondi che tutto il casino che era successo nelle ultime ventiquattr'ore fosse stato solo un incubo. Ovviamente non lo era e la stanza di Misha lo testimoniava: i mobili antichi intagliati, lo sfarzo delle lampade gialle ai lati dello specchio, i cuscini rossi sparsi sul divanetto e la piccola televisione sul comò nero.
 Erano secoli che non ne vedevo una così vecchia.
 Dovevo essere stato veramente male la notte precedente per non aver notato quanto fosse bella l'atmosfera lì dentro.

 Stentavo ancora a credere di trovarmi in Russia.

 Scesi dal letto, rischiando quasi di stramazzare a terra a causa delle vertigini. Posai lo sguardo sulla poltroncina di fronte a me, e vidi un foglio con una scritta in corsivo adagiato su una vestaglia celeste.
 Lo presi.

 "Indossala, se hai freddo. E non fare complimenti! Misha."

 Sorrisi spontaneamente per la prima da volta da quando ero lì.
 Ma poi mi venne in mente che quell'uomo era fin troppo cortese nei miei confronti, dunque non capivo se fosse proprio tipico della sua personalità o se ci fosse qualcosa sotto.

 Decisi che per il momento non era un problema e mi annodai tranquillamente la vestaglia alla vita, lasciandomi inebriare da una dolce ondata di cannella e melone. Avrei voluto tenerla addosso per sempre.

 Camminai verso la porta bianca e dorata della camera da letto in punta di piedi. La feci scricchiolare nel tentativo di non fare troppo rumore.

 La stanza dove avevo dormito stava al primo piano.
 Ne dedussi che qualcuno doveva avermi portato in braccio fino a lì.
 Perché Misha non mi aveva semplicemente sistemato nel divano?

 Delle scale assurdamente decorate dividevano la camera di Misha dal resto della casa. La ringhiera e il parapetto creavano milioni di spirali beige e dorate, e al posto del corrimano del lato sinistro c'erano addirittura delle mensole con vari soprammobili, orologi a forma di teiera e altre stramberie simili.

 Mi guardai attorno spaesato, ammirando la bellezza di quelle decorazioni, la moquette, i quadri astratti pieni di sprazzi di colori caldi al muro. Era tutto un miscuglio di stili totalmente differenti fra loro, ma ogni cosa era stata sistemata tanto sapientemente da creare un'atmosfera quasi fiabesca.
 Credevo che il posto fosse stravagante almeno quanto il proprietario.

 Scesi lentamente la scala, e attraversai l'enorme arco rossiccio che la separava dal salone di prima, aspettandomi di trovare Misha. Ma era deserto, e il divano era perfettamente in ordine. Restai deluso: avrei voluto vederlo mentre dormiva.

 "M-Misha?" chiamai timidamente.
 Il suo nome fece eco in quell'ampio spazio semivuoto.

 Nessuna risposta.

 Percorsi il salone e arrivai sul tappeto color rubino circondato dalle poltroncine, chiedendomi dove fosse finito quel tipo.

 I miei piedi mi trasportarono verso la cucina, vuota anch'essa. Diedi una scorsa veloce alle casse di frutta, le file di bottiglie di vodka - vuote - sulle mensole e le decorazioni a tema primaverile nella credenza.

 Decisi che quella casa mi intrigava da morire e che ci avrei dato una 'brevissima' occhiata durante l'assenza di Misha, anche se sapevo che era da maleducati farlo.
 Volevo solo sapere di più sull'uomo che mi aveva ospitato. Avevo come l'impressione di trovarmi in un hotel a cinque stelle ispirato all'antica Russia sovietica.

 Cambiai stanza di fretta, e mi ritrovai in un altro soggiorno che doveva decisamente essere il regno di Misha. La scrivania traboccava di oggetti svariati di ogni tipo e colore: dalle Matrioske alle piccole riproduzioni dei monumenti di Mosca. Al centro della stanza c'era perfino un tavolino sul quale i modellini erano stati disposti in modo tale da riprodurre la Piazza Rossa e il Cremlino in versione mini.

 "Che genio... " mormorai fra me e me, sorridendo.

 Ad un certo punto, l'occhio mi cadde sull'unica cosa che pareva stonare in quella stanza: una scatola in un angolo.

 Avevo sempre avuto un'ossessione per le scatole sin da quando ero piccolo: stuzzicavano decisamente la mia curiosità. Ridussi gli occhi a due fessure, indeciso se farlo o meno, ma alla fine cedetti, e la aprii pian piano. Carta?!
 Rimasi basito, e anche un po' deluso dal contenuto finché non guardai meglio di cosa si trattava.
 Era un enorme ammasso di lettere.
 Avevano delle scritte perlopiù in russo sul retro, raramente in inglese. Ne presi una a caso.

 "Misha Dmitrij Tippens... Krushnic." mormorai, tenendo la lettera fra le mani tremanti.

 Socchiusi gli occhi, spremendomi le meningi e ripetendomi quelle quattro parole in testa finché non persero il loro senso. Dove le avevo sentite? Mi arresi, e cominciai a leggere in silenzio.

 "Carissimo Misha,
 so bene in che situazione ti trovi adesso e spero che non mi prenderai per matto appena leggerai quel che ho da dirti - in fondo, ne hai viste molte tu, di cose assurde. Devi sapere che ieri ho fatto un sogno molto particolare nel quale tu incontravi... "

 "Complicato il mio nome completo, eh Jensen?"

 Sobbalzai e sbiancai, lasciando cadere la lettera dentro la scatola.
 Oh, merda.

 Mi voltai con la stessa lentezza di un bradipo, e mi ritrovai sotto quel paio di occhi blu che mi scrutava con attenzione dalla porta.
 Ma che diavolo era? Un fantasma?

 Osservai quella figura affascinante appoggiata all'arco con una mano mentre con l'altra si lisciava la pelliccia beige, sentendomi morire.

 Non riuscivo a capire se la sua espressione fosse nervosa, cinica o incavolata.

 "Emh... i-io... scusami non volevo esser-"

 "È tua abitudine frugare nella roba altrui o è semplicemente una maniera per conoscermi?" sbottò acidamente, un sopracciglio alzato.

 Io mi sentii avvampare violentemente. Avrei voluto che il pavimento mi ingoiasse all'istante.
 Oh maledizione, pensai.

 "Emh... e-ero curioso, scusami... " mormorai stupidamente, senza riuscire a guardarlo negli occhi. Feci finta di concentrarmi sui suoi stivali neri a punta.

 Ci fu una pausa di silenzio interminabile.

 Un ghigno risuonò appena nella stanza e mi fece risollevare il capo.
 Il viso apparentemente autoritario di Misha diventò un sorrisetto tirato.

 "Quanto sei buffo. Ti perdono, razza di ficcanaso. Ma solo perché mi piaci. Cioè... mi... mi sei simpatico." si affrettò a specificare.

 Io gli rivolsi un mezzo sorriso imbarazzato. "Uhm... grazie. Beh... tanto non capisco nulla di russo." dissi, stringendomi timidamente nelle spalle per sdrammatizzare.

 Tanto non era russo, pensai.

 Lui sorrise a sua volta e si avvicinò di qualche passo, fermandosi ad un metro di distanza da me.
 Io respirai faticosamente.
 'Dio santo, non guardarmi in quel modo... ', mi ripetevo nella testa, senza riuscire a staccare gli occhi dai suoi. Ero pateticamente ipnotizzato.

 "Ti piace casa mia, vero Jensen?" mi domandò ad un certo punto, atono.

 Sbattei le palpebre in cerca di una risposta da dargli.

 "S-sì, certo... è molto... " balbettai, senza trovare le parole giuste.

 Ci fu un'altra pausa.

 "Molto... ?" mi incoraggiò.

 "Stravagante." tirai fuori.

 Lui ridusse gli occhi a due fessure, come se al primo impatto non avesse capito cosa intendessi.
 "Oh, sì sì - ho dei gusti molto singolari." disse alla fine.

 Ebbi la forte tentazione di dirgli scherzosamente 'Illuminami, allora', ma poi mi resi conto che nel 1955 ancora non era nemmeno nata l'autrice di Cinquanta Sfumature di Grigio, e che di conseguenza la battuta non avrebbe fatto alcun effetto. Inoltre, ero fin troppo timido per una frase del genere.

 Mi sentii un completo idiota. Potevo evitare di girellare per casa sua dopo che specialmente era stato così cordiale nei miei confronti. Mi ricordai di avere la sua vestaglia addosso e arrossii, guardandolo.

 "Beh... Sembra che tu abbia ripreso un po' di colore da ieri sera, o mi sbaglio?" mi domandò Misha, ironico.

 Deglutii. "Emh... sì, sto meglio... credo," mormorai, gli occhi bassi, fingendo di non capire la sua battuta. "Scusami ancora."

 "E smettila di scusarti." disse lui, facendomi segno di seguirlo in cucina.

 "Ma... eri arrabbiato prima... " dissi io con fare innocente.

 Lui rise.

 "Ti prendevo in giro, non hai capito che tipo sono? A proposito... credi che io sia un buon attore?" mi chiese, allegramente.

 Io mi strinsi nelle spalle. "Beh, sinceramente sì," mormorai.

 Misha sorrise spontaneamente. "Io non mi arrabbio mai davvero. Quasi. Su, bando alle ciance e andiamo a fare colazione." disse, facendo dietrofront.

 "Hai bisogno di aiuto?"

 "No. Cucino da solo da anni... " disse Misha, dandomi le spalle. Si tolse la pelliccia in un secondo e accese il fornello.

 "Ed io che volevo farmi perdonare preparando qualcosa," brontolai.

 "Non ce n'è bisogno, ho detto. E non ero arrabbiato,"

 Mi morsi le labbra.

 "E così... ti sei trasferito qui dieci anni fa?" chiesi, tentando di indovinare con finta noncuranza, osservando Misha che preparava qualcosa per due in un angolo della cucina.

 Lui fissò me, e poi la caffettiera.

 "Quattordici anni. L' uno Marzo, per la precisione." rispose.

 Io ebbi un fremito a quella data, e lui se ne accorse. L'uno Marzo era lo stesso giorno in cui io ero arrivato in Russia, il giorno del mio compleanno, e in più quello in cui avevo conosciuto lui. Troppe cose assieme.

 Misha versò il caffellatte in due tazze gialle e me ne passò una.

 "Grazie... " mormorai.

 Si sedette proprio di fronte a me, su quel tavolino elegante al centro della sala da pranzo, e si mise ad inzuppare un biscottino.

 Mi ripetei in testa quello che dovevo dirgli.

 "Perché sei venuto qui?" chiesi ad un certo punto, tutto d'un fiato, sperando di non irritarlo davvero con tutte quelle domande.

 Lui alzò lo sguardo dalla sua tazza, tacendo momentaneamente.
 Io deglutii.

 "Non mangi?" mi chiese, secco.

 Mi ammutolii, mordendomi il labbro. Magari era davvero arrabbiato con me perché avevo curiosato nella sua stupida scatola delle lettere - a differenza di quel che affermava - o semplicemente, il motivo per cui si trovava a Mosca non era la prima cosa di cui si parlava con una nuova conoscenza.

 Non ero certo del perché non volesse dirmelo, per cui preferii tapparmi la bocca con un biscotto al cioccolato dei suoi.

 "S-sono buonissimi... " mormorai a mo di complimento, chiedendomi se li avesse fatti lui.

 Lui si limitò ad alzare un sopracciglio. "Beh sì... Ruth è proprio una maga in cucina." disse stringendosi nelle spalle.

 Lo guardai, senza azzardarmi a chiedergli chi fosse Ruth. La sua espressione al momento suggeriva solo di non fargli altre domande.
 Teneva gli occhi chini sulla sua colazione e taceva. Eppure non mi era sembrato un uomo riservato al primo impatto. Anzi, tutto il contrario.

 Pensai che mia madre mi aveva sempre detto di non fidarmi di coloro che sembravano avere fin troppi segreti, ma poi mi resi anche conto di avere la bellezza di trentasette anni, e di doverla smettere di fare tutto quello che diceva alla lettera.

 "Ruth è... " esitò. "una mia... carissima amica. Da quando sono qui è sempre stata al mio fianco, in ogni caso." disse, calmo.

 Pensai alle condizioni in cui era il mondo a quei tempi, durante e dopo la seconda guerra mondiale.

 "Ti chiederai perché mai un americano si trasferirebbe in Russia proprio nel 1941... " mi sorprese lui, mescolando il suo caffellatte con cucchiaino.

 Era esattamente quello che volevo sapere. Quindi, oltre ai viaggi nel tempo anche la telepatia era vera.
 Bene.

 "Ma sai che c'è?" riprese a dire ad un certo punto. "Ho imparato che purtroppo molte cose non hanno spiegazioni. Non ho idea del perché sono qui quasi quanto te, credimi, Jensen Ross Ackles." mi disse, atono, guardandomi intensamente negli occhi.

 Il mio nome suonava decisamente più figo pronunciato da lui, nonostante la cadenza russa lo storpiasse appena. Riflettei sulle sue parole.
 In effetti aveva ragione. Ma cosa intendeva esattamente?

 "Aspetta un momento. Come fai a sapere il mio nome completo?" chiesi, corrugando la fronte.

 "La tua carta d'identità." disse lui, tranquillissimo, come se fosse una cosa ovvia.

 "Oh... e adesso chi è che fruga nelle cose altrui, eh?" ironizzai, tamburellando sul tavolo con le dita.

 Lui mi fissò con un sorrisetto falso.

 "È scivolata a terra ieri sera, mentre ti spogliavo." disse con tono acido.

 Poi, rimuginò sulle parole che aveva pronunciato e per la prima volta arrossì visibilmente, sotto i miei occhi soddisfatti.

 "B-beh... mentre ti toglievo la giacca." disse, mordendosi le labbra. Quelle splendide labbra.

 Decisi di avere pietà dei suoi ormoni e della sua dignità e di parlare d'altro.

 "Mmm. Perché non sai il motivo per cui ti trovi qui? Hai perso la memoria?" domandai. Sperai di non sembrare cinico.

 Lui sorrise appena, sollevato dal cambio d'argomento.

 "No. Io ricordo sempre tutto. Tranne qualche dettaglio della guerra, o quel che combino il Sabato sera dopo una bottiglia di vodka." disse, sorridendo amaramente.

 Ricambiai il sorriso. "Allora... forse sei una spia americana?" chiesi, facendo un ultimo tentativo.

 Lui scoppiò a ridere.
 'Ottima mossa, Jensen', mi dissi.

 "Caspita, in quarantuno anni non ho mai conosciuto un tipo più curioso di te!" esclamò Misha. "Comunque sia... non sono una spia, anche se da bambino era uno dei miei giochi preferiti." spiegò, appoggiando il viso al palmo e fissandomi con un sorriso.

 "Anche il mio... " mormorai timidamente, prendendo il cucchiaino e ripescando il mio biscotto. Si era sbriciolato quasi del tutto.

 Iniziammo una buffa chiaccherata sui giochi che facevamo da piccoli, e lui mi raccontò del fatto che avesse sempre adorato recitare e inventare storie da mettere in scena con gli amici.

 Ecco, stava succedendo di nuovo.
 Il sarcasmo acido che diventava chimica e armonia mentre conversavamo del più e del meno. Non sapevo cosa fosse, ma pareva qualcosa di magico che scattava dentro di me. E ci conoscevamo da un solo giorno.

 "Ti va di andare a prendere una boccata d'aria stasera?" mi chiese ad un certo punto, un sorriso malizioso in viso.

 Mi riscossi, e lo guardai, sbattendo le palpebre ripetutamente.
 Uscire? Con lui?

 "Dove?" chiesi, timido.

 "Non troppo lontano. Sei stato male." rispose.

 "Come se fosse stata febbre... "

 "Ancora con quella storia? Era una febbre da cavallo passeggera. Ti ricordo che sei passato dai cinque gradi sotto zero ai ventitré di casa mia."

 Ruotai gli occhi con aria stufa, decidendo di non sottolineare il fatto che una febbre a quaranta non passa in due giorni per evitare discussioni.

 "Comunque non lo so esattamente dove. In giro. C'è un po' di gente che vorrei che conoscessi." spiegò Misha, facendomi l'occhiolino con aria complice.

 Annuii, poco convinto dalle sue parole. "Il dottor Sheppard, intendi?" chiesi.

 "Beh... lui lo conosci già. Ci è voluto un po' per portarti su per le scale. Pesi un bel po', lo sai?" disse.

 "Ha-ha-ha che spiritoso" ribattei, alzandomi dal tavolo con poca grazia e urtando l'altra sedia. "Dov'è il bagno?"

 "In fondo al corridoio principale, terza porta a sinistra, my lord." rispose scherzosamente.

 Mi girai a fissarlo, dopo aver sentito quel nomignolo assurdo. Lui mi scoccò un sorrisino idiota, e poi mi seguì con lo sguardo mentre salivo le scale.

 "Non al piano di sopra, imbranato: vedi che la mia presenza ti fa male?" disse lui, con una punta di seduzione nella voce. O me l'ero immaginata? Me l'ero decisamente immaginata...

 "De-devo prendere la mia giacca di sopra. L'ho lasciata in camera tua." risposi, facendo uno sforzo sovrumano per non ridere.

 In effetti quella della giacca era solo una scusa per non fargli notare quanto fossi imbarazzato e confuso.

 ----------------

 Dovevo ancora abituarmi al fatto che la tecnologia fosse pressoché inesistente a quei tempi.

 Verso sera mi ero accorto di avere ancora il telefonino nella tasca della giacca, oltre ai miei documenti. Inutile dire che non c'era campo. Il cellulare era completamente scarico e non dava alcun segno di vita. La batteria aveva sempre funzionato male e si azzerava facilmente, tanto che in due giorni non riuscii più neppure ad accenderlo. Dovetti tenerlo nascosto - già immaginavo quale sarebbe stata la reazione di Misha se mi avesse visto con un Samsung Galaxy Fame fra le mani.
 Roba da alieni.

 "Dunque, dunque dunque... " mormorò Misha, esaminando attentamente il mio abbigliamento e facendomi sentire a disagio.
 Avevo i soliti vestiti spiegazzati di prima addosso.

 "Mmm. Temo che manchi qualcosa," disse, gli occhi ridotti a due fessure.

 "Qualcosa tipo... dieci sciarpe, undici maglioni e un paio di stivali da eschimese?" domandai ironicamente, le braccia conserte.

 "Ci sei andato vicino," disse Misha, senza scomporsi, un dito sulle labbra.

 Fece dietrofront, e spalancò il suo armadio, alla ricerca di qualcosa di adatto a me. Iniziò a buttare in aria la sua roba che svolazzava sul letto o sul tappeto rosso come l'ottanta per cento degli oggetti della casa.

 "Sei molto ordinato, vedo... " lo presi in giro.

 "Vuoi farmi da casalingo per caso? Ti assumo per venti rubli all'ora... " scherzò, la voce neutra.

 Ma possibile che quell'uomo avesse sempre almeno una cazzo di risposta pronta?

 "Non so nemmeno quanto valga in dollari un rublo... " protestai fra me e me.

 "Asino... oh! Eccola qui, finalmente!" esclamò Misha, girandosi verso il sottoscritto con una pelliccia marrone fra le mani e un'espressione soddisfatta in viso.

 "Farai un figurone, fidati di me. Metti questa." ordinò, lanciandomela fra le mani e riprendendo a rovistare nel suo guardaroba.

 La indossai lentamente, e mi sistemai il cappuccio ampio sulle spalle.
 'Anche questa profuma meravigliosamente', pensai.
 Quando Misha si girò sorrise, contemplandomi segretamente.

 "Sei proprio uno schianto, lo sai?" disse, sogghignando.

 Arrossii fino al collo.

 "Uhm... "

 "No, sul serio. Non ti prenderei mica in giro." disse, con un tono mieloso.

 Mi procurò un paio di guanti e una sciarpa che mi mise lui stesso, e solo dopo cercò altri indumenti per sé.

 "Ottimo. Su, andiamo." mi incitò, una volta pronto.

 A quanto pareva, ero l'unico ad essere imbarazzato; lui era il ritratto della sicurezza in ogni momento: da quando mi aveva imbacuccato a dovere a quando mi aveva aperto il portone e mi aveva fatto cenno di precederlo.

 In un batter d'occhio, uscimmo da quella reggia color porpora, ritrovandoci sul marciapiede deserto. Fui invaso da un brivido di freddo, nonostante la pesantezza del mio abbigliamento.

 I lampioni coloravano le strade semi buie di giallo, bianco e rosso e ogni strada sembrava più imponente dell'altra. La neve spessa ricopriva gli angoli delle vie, e luccicava appena, creando un'atmosfera affascinante.

 "È... così bello qui," mormorai innocentemente, sentendomi come se fosse ritornato il Natale.

 "Sì, lo so. Per questo esco spesso di sera. E d'inverno, soprattutto." disse lui, guardando la strada.

 Si voltò a fissarmi con una certa tenerezza negli occhi, come se avesse voluto dirmi qualcosa che poi aveva preferito tenere per sé.

 "Tutto bene?" chiesi, esitante, sistemandomi la sciarpa al collo. Mi pizzicava un po' la pelle, ma andava bene. Era la sua sciarpa.

 Distolse gli occhi e diede un calcio ad un sassolino con lo stivale.

 "Certo. Beh... meglio sbrigarsi." sbottò ad un certo punto, incamminandosi frettolosamente.

 "Dove andiamo, allora?"

 "Al Red Russia, tesoro." rispose, sogghignando.

 "E dov'è?"

 "Siamo quasi arrivati."

 Arrancai dietro Misha per un minuto o due; poi, in un batter d'occhio ci ritrovammo di fronte ad un locale dalla scritta vistosa - ovviamente rossa. Da lì dentro proveniva della musica folk, e la falce ed il martello sopra la parola 'Russia' dicevano molto.

 "Uno dei pochi locali aperti." sussurrò Misha, inespressivo, gli occhi fissi sull'insegna. Si leccò le labbra secche.

 Mi girai.

 "Cosa?"

 "Hai capito bene. Non c'è molto tempo per il divertimento, per ora. Sai com'è, è il dopoguerra. Il primo obiettivo che si pongono i russi è di rimettere in sesto la nazione... ma un po' di svago ogni tanto ci sta." spiegò, sbirciandomi con la coda dell'occhio.

 Mi morsi il labbro, consolandomi col fatto che sarei potuto finire in un'epoca peggiore - in quel caso la situazione sarebbe stata davvero critica. Ero stato fortunato e sfortunato allo stesso tempo.

 Mi immaginai il povero Misha vestito da militare, ricoperto di sangue fra le trincee sporche e fredde, e mi vennero i brividi.
 Pensai che doveva aver visto le peggiori atrocità durante la guerra, per cui cambiai argomento per delicatezza.

 "Emh... devo... portarti a casa io nel caso ti ubriacassi?" chiesi.

 Misha si limitò a spingermi dolcemente dentro il Red Russia.

 "E se ti ubriacassi anche tu?" mi chiese, alzando un sopracciglio.
 "Su... facciamo che chi si ubriaca per primo perde, ti va?" chiese, facendomi l'occhiolino per sembrare sereno ai miei occhi. Ma io percepivo ancora una punta di malinconia nel suo tono.

 "Non è giusto però... voglio dire... tu sei abituato a bere!" protestai.

 Lui inclinò pacificamente la testa da un lato.

 "Ti ho lanciato una sfida, Ackles. E da vero uomo devi accettarla, e adesso entriamo." rispose Misha, alzando le sopracciglia.

 Appena misi piede là dentro, compresi che il colore rosso era il comune denominatore di quella città, senza contare le bandiere comuniste alle pareti che furono la prova schiacciante che eravamo nel passato. Il resto era composto da folla, alcolici, ballerine bionde stupende, divani in pelle e luci viola e blu elettrico.

 Misha sussurrò quello che doveva essere un buonasera alla ragazza del bancone, intenta a lucidare un bicchiere di cristallo. Lei rispose cordialmente, ma senza sorridere.
 Non era una leggenda, allora, quella dei russi sempre seri.

 Io sfiorai appena il braccio di Misha per attirare la sua attenzione.

 "Com'è che si dice?" domandai.

 "Che cosa?" chiese lui.

 "Buonasera in russo... non mi hai detto di volermelo insegnare?"

 Lui sorrise.
 "Ah... sì, sì... ma non credo che sarei granché a spiegarti le cose, ti avverto... e il russo è una lingua complessa quasi quanto te." disse, ironico.

 "Divertente,"

 "In ogni caso ci sto. Buonasera è 'Dobriy vyechyer'... "

 Spalancai gli occhi.
 "Dobr... che!?"

 Lui scoppiò a ridere.

 "Si pronuncia 'Dobriy vyechyer'... " ripeté più lentamente "Ma si scrive... "

 "Sì... conosco i caratteri cirillici... " lo interruppi.

 Lui piegò la testa da un lato in modo buffo, come prima.

 "Beh... è già un ottimo inizio. Comunque sia buona parte dei miei amici sa parlare un inglese perfetto, grazie a me, dunque non hai di che temere... "

 "Non dicevi di essere un pessimo insegnante?" domandai, accigliato.

 Il suo viso assunse un'espressione vagamente maliziosa. Misha si avvicinò, come se non volesse che gli altri sentissero quel che aveva da dirmi.

 "Per te sì. Tu... " fece una pausa, sospirando - io ero ipnotizzato dal blu intenso dei suoi occhi. "Tu mi togli tutta la concentrazione, Jensen... " mormorò, le labbra appena schiuse.

 "Emh... c-cosa intendi? Cioè... perché?" chiesi, balbettando.

 "Per lo stesso motivo per cui sei così nervoso adesso... " rispose lui, alzando le sopracciglia.

 Mi sentii tremare le ossa dopo quella frase. Stava flirtando.

 All'improvviso, i suoi occhi si illuminarono.

 "Oh! A proposito! Magari qualcuno dei miei amici ti conosce già, Jensen, e sa che fine ha fatto la tua famiglia." fece ad un certo punto.

 Sbuffai.
 "Dio santo... quante volte devo ripeterti... "

 "... che sei il nuovo Dottore e sei arrivato fin qui con il TARDIS che si è pure guastato, lo so. Stavo solo scherzando, come al solito." mi interruppe lui con un sorriso, stringendosi innocentemente nelle spalle.

 Io aggrottai la fronte. Ma quanto era lunatico? Mi confondeva le idee. Non riuscivo a capire se credesse alla storia dei viaggi nel tempo o se ci ironizzasse su tutto il tempo e basta.

 "Non mi pare una cosa su cui poter scherzare... " dissi, con lo stesso tono che aveva usato Misha quando avevo rovistato nella sua scatola. Sì, volevo prevalere su di lui.

 Ma Misha mi si avvicinò e mi mise una mano sulla spalla per un secondo, sorprendendomi.

 "Lo so molto bene." mi disse, gli occhi tristi.

 Io spalancai i miei.
 "In che senso? Non sarà che tu... " mormorai.

 Misha esitò.
 "Beh... in realtà... "

 "Buonasera Misha! Qual buon vento ti mena qui il Giovedì sera?" cinguettò qualcuno, prendendolo per le spalle, e facendogli fare due passi di valzer.

 Io sobbalzai in un primo momento.
 Poi, la misi a fuoco.

 Era una donna rossa dai tratti affascinanti e il portamento elegante.
 Indossava un abitino bianco ricamato e sorrideva a Misha come se avesse visto il sole.

 "Hey," le disse lui. Si mise a ridere e la prese per mano, facendole fare una rapida piroetta.

 "Sono qui perché oggi abbiamo un ospite speciale," le spiegò, alludendo a me.

 Io cercai di sorridere nel modo più naturale possibile.

 "Jensen, lei è Ruth, l'amica di cui ti parlavo. Sai, quella dei biscotti." spiegò.

 "Oh! Ed io per te sarei 'quella dei biscotti'?" disse lei, con civetteria, sbattendo ripetutamente le ciglia piene di mascara.

 Misha sorrise in maniera seducente nella sua direzione.

 "Certo che no, my lady." rispose.

 Lei rise, arrossendo. Non ci voleva un genio a capire che era cotta di lui.

 Li osservai, con fare timido.

 "Piacere di conoscerti, Jensen. Spero tu abbia apprezzato i miei cookies!" fece lei, rivolta verso di me.

 "Emh... s-salve... sì, erano ottimi, complimenti davvero." balbettai, facendo correre gli occhi su entrambi.

 "Sì... Ruth è la classica inglese che adora i biscotti col tè." disse Misha, spintonandola confidenzialmente.

 "Andiamo... finiscila con questi stereotipi, Misha... non vivo mica di tè! Cioè... non se intendi quello da bere... " disse, guardandolo languidamente dal basso.

 Mi venne quasi da vomitare dopo aver sentito quella battuta.

 Misha, dal canto suo, non pareva affatto imbarazzato. Sfoggiò il ghigno soddisfatto di una tigre che ha avvistato una possibile preda, e poi sbirciò la mia reazione. Probabilmente, prima mi stava solo prendendo in giro, pensai.

 "Hai visto Sebastian... o Julie, per caso?" domandò a Ruth.

 "Nell'altra stanza... la solita." mormorò lei.

 Misha mi fece cenno di seguirlo, e camminò verso una porta con una stella stampata sopra.

 Appena entrammo, la prima cosa che notai fu una ragazza dai capelli color fuoco evidentemente tinti che si rilassava su un divano.
 Un uomo dagli occhi di ghiaccio rideva al suo fianco, e reggeva un mazzetto di carte in una mano e un bicchiere pieno di una sostanza ambrata nell'altra.

 "Hey, Mrs Krushnic... " disse la ragazza con uno sguardo malizioso, rivolta verso Ruth che le sorrise raggiante.

 "Ma va... quando la smetterai di chiamarmi così, Julie?" le chiese, fingendo di vergognarsene, come se il soprannome non le provocasse un immenso piacere.

 "Beh... quando la smetterai di ronzare attorno a lui, cara!" rispose lei, alzandosi e guardando prima loro, poi facendo scorrere lo sguardo su di me.

 Io arrossii.

 "Sebastian... Julie... lui è Jensen, uno nuovo qui. Nemmeno lui è abituato a bere... quindi può fare compagnia a te, Julie." disse Misha, facendomi cenno di andare da lei.

 Poi si allontanò nella pista da ballo con Ruth. Lo seguii con lo sguardo, esterrefatto. No, ma sul serio?

 Mi sedetti lentamente sulla poltroncina accanto a quella di Julie, e notai subito quanto fosse attraente: i capelli luminosi le ricadevano in parte sul petto e la matita nera le risaltava gli occhi verdissimi.

 "Amico, non essere timido, su, prendi un po' di questo!" mi disse Sebastian, allegramente, passandomi la sua bottiglia.

 "Emh... grazie mille, ma non credo che sia il caso... " mormorai, incerto.

 Sebastian rise.
 "Oh santo cielo. La stessa risposta di Julie quando gliel'ho offerto la prima volta!" esclamò, dandole una gomitata leggera.

 "Beh, almeno lui non è un ubriacone, come te!" esclamò lei, facendogli una linguaccia a mio vantaggio e sorridendo a me.

 Io ricambiai, e mi sforzai di non guardare troppo la coppia che ballava alle spalle di Sebastian.
 Misha si girò, scoccandomi un sorrisetto abbagliante che congelò i miei pensieri per un nanosecondo.

 In realtà, il whisky era l'unica bevanda alcolica che bevevo regolarmente, e mi piaceva da matti, ma non volevo ubriacarmi nemmeno un po'.

 Misha, intanto, si stava distraendo alla perfezione ballando un lento con Ruth. Bella strategia. Decisi di inventarmene una anche io, e dato che non sapevo ballare chiesi a Sebastian di giocare a carte.
 Come immaginavo, accettò con gioia. Perfetto, pensai.

 "Anzi, rendiamo le cose più interessanti. Ad ogni round che perdiamo dobbiamo bere un bicchiere del mio whisky!" propose, rassettandosi il colletto della camicia.

 Mi riscossi.
 "No... " protestai.

 "Mezzo allora? Suvvia, non è mica detto che tu perda." disse, ammiccando.

 Sospirai, guardandolo negli occhi azzurri. Non ero mai stato bravo a convincere le persone.

 "Eh va bene... vada per mezzo bicchiere," dissi, sbirciando Misha che, in un secondo, aveva cambiato ballo a seconda della musica.

 Mi imposi di non pensarci e di iniziare la partita. Peccato che non fossi un genio a quel gioco, e che perdessi penosamente ad ogni giro.

 "Personalmente, io tifo per te." mi disse Julie con un sorrisetto, sbirciando la reazione di Sebastian.

 Lui, dal canto suo, ricambiò la linguaccia di prima come se avesse avuto appena sei anni.

 "E poi ti cercherai qualcun'altro che ti paghi il cocktail!" scherzò.

 Scoppiai a ridere sguaiatamente, ma forse fu solo colpa dell'alcool.
 Inoltre, Misha mi distraeva continuamente senza volerlo. Forse. Si era tolto quel cappotto scuro e lungo, e lui sì che faceva davvero un figurone con quello smoking elegante. Era semplicemente perfetto.
 Non riuscivo a staccare gli occhi dal suo corpo che si muoveva con grazia a ritmo di musica, e le sue mani che sfioravano quelle di lei e scivolavano sensualmente sui suoi fianchi, facendola tremare di piacere.
 Erano davvero una coppia meravigliosa, pensai, mordendomi il labbro.
 Non capivo perché mi sentissi in quel modo. Non mi era mai davvero accaduto di pensare così ad un uomo.

 Presi la bottiglia di whisky, con aria nervosa e trasognata, e me ne versai un goccio nel mio bicchiere.
 Ingurgitai il contenuto e poi me ne versai ancora, ignorando il fatto che mi fosse venuto il singhiozzo.
 Ormai non capivo più nulla.

 "Jensen, tutto bene?" mi domandò Julie, una mano candida sulla mia spalla. Chiusi gli occhi per un attimo.

 "Sì... certamente" dissi in un sibilo.
 Presi un altro po' di whisky.

 "Hey, credo tu stia esagerando, adesso... " mormorò Sebastian, ma la sua voce era tanto ingigantita che a stento capivo le sue parole.

 Cominciai a sentire le palpebre sempre più pesanti, fin quando non le chiusi definitivamente, accasciandomi sullo schienale della poltrona.

 Sentii la risata contagiosa di Misha risuonare nella stanza assieme alle note sulle quali si stava scatenando con Ruth. Lei lo abbracciò, passandogli le braccia attorno al collo.

 Io chiusi gli occhi, boccheggiando qualche frase senza senso su quanto mi sentissi strano in quel momento.
 Mi stavo addormentando.

 ----------------------

 Un raggio di luce mi svegliò lentamente, scendendo suoi miei occhi man mano che il sole si levava. Sollevai le palpebre, e misi a fuoco un largo pezzo di carta di fronte a me.

 Certo che quell'uomo ha la mania dei biglietti, pensai.
 Lo lessi, nonostante fossi ancora in dormiveglia.

 "Ovviamente, ho vinto io la scommessa, e ti ho trascinato dal locale al mio letto - a stento ti reggevi in piedi. E menomale che non volevi neanche bere!

 PS Come dicevo ieri mattina... pesi un bel po'. Misha "

 


 Note dell'autrice:
 Buonasera;) - o Buongiorno.. dipende da quando leggete :P - Perdonate la differenza di lunghezza fra i capitoli.
 Secondo i miei piani iniziali il primo e il secondo sarebbero dovuti essere un unico capitolo, ma c'è stato un errore di copia e incolla... fate finta di niente *si nasconde con un sacchetto del pane in testa* XD

PS per chi non sa nulla di russo: "spasiba" significa grazie mentre "Da svidanya" vuol dire "arrivederci" ;))) <3

 Comunque sia vi ringrazio ancora moltissimo per le recensioni e i follow, vi adoro tutti
 

 

   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Cast Supernatural / Vai alla pagina dell'autore: Feathers