I
personaggi di Gregor Breda e di Henry Hevans
-
anche se quest’ultimo c’è e non
c’è xD -
appartengono
a Laylath (http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=170978)
e
appaiono nelle fiction AU
“Un
anno per crescere” (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2315759&i=1)
e “Walks of life” (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2783522&i=1).
Nightmare
before the end
Aveva
bevuto
così tante bottiglie di alcolici in vita sua da capire che
quel paio di dita di
rhum oscillante nel fondo della bottiglia non era che una sola, misera
sorsata.
Irritato,
Gregor si umettò pensosamente le labbra prima di decidere se
buttare giù o meno
quel sorso. Era già ubriaco fradicio, e sarebbe stato uno
spreco bere ancora
quando poteva conservare quelle ultime gocce per il giorno dopo. Ma
l’odore
pungente del liquore era troppo allettante per ignorarlo.
Controllò
per la terza volta le tasche nella vana ricerca di monete per
procurarsi altro
alcool, come se da un momento all’altro avesse trovato denaro
sufficiente per
un boccale di qualsiasi cosa, finché si fermò
all’improvviso, ridendo di se
stesso e di quell’assurda idea.
Forse
stava
diventando matto, di quei matti che tutti escludono e dimenticano, di
quei
matti che contraggono una qualche strana malattia che ingiallisce la
pelle, che
diventano vulnerabili come neonati e febbricitanti come femmine.
Perché di una
cosa era certo: era malato, molto probabilmente a causa del vizio di
alzare il
gomito anche dopo averlo fatto per ore intere.
Alzò
gli
occhi con le sclere così ingiallite da sembrare marce,
Però
non era
quella la sua preoccupazione principale. Il freddo della notte gli
intirizziva
le membra nonostante il calore del liquore, ed avrebbe dovuto muoversi
per
cercare un riparo dal gelo intenso, invece di stare a fissare stranito
la sua
pelle. Ma non c’erano case né edifici nelle
vicinanze: la nebbia mostrava
soltanto l’estremità di un ponte illuminato dalla
luce fioca di un lampione,
l’unica via percorribile nel raggio di visibilità
concessogli. Deciso ad andare
avanti, si aggrappò pesantemente
all’estremità del parapetto per cominciare ad
attraversare il ponte, e riuscì a trascinarsi con fatica
solo per pochi
istanti, perché dovette fermarsi di colpo.
Un
ripugnante senso di nausea lo colse proprio in quel momento,
finché non si
ritrovò a ritrarre un conato di vomito premendosi una manica
sulle labbra
screpolate. Ma dovette dar sfogo al bisogno di rigurgitare. Non si
curò del
fatto che qualcuno avrebbe potuto vederlo o sentirlo, tanto meno gli
interessava sapere se ci fosse qualcuno nelle vicinanze. Non aveva
senso
occuparsi dell’impressione altrui proprio ora dal momento che
in tutta la sua
vita se n’era sempre disinteressato. E poi era buio, doveva
essere notte fonda,
o perlomeno dovevano essere le undici passate, e nessuno a
quell’ora era ancora
in giro eccetto lui.
Ecco
che
però arrivava un uomo. Gregor non poteva distinguerne che il
profilo a causa
della nebbia che s’infittiva sempre di più, ma era
senza dubbio un uomo, e
doveva essere ben vestito, perché a giudicare dalla sagoma
gli abiti non gli
penzolavano molli dal corpo come i suoi stracci; poteva giurare che
indossasse
un cappello. Si avvicinava a passo spedito, senza tentennamenti; e
più si
avvicinava più Gregor sentiva che quell’uomo non
avrebbe dovuto essere lì, in
mezzo alla nebbia e nel cuore della notte - o della sera.
Prese
a
tremare convulsamente senza sapere per quale motivo, e per la testa gli
passò
l’idea di avere la febbre. Avrebbe dovuto allontanarsi
dall’ombra di
quell’uomo: ma non sapeva perché, non c’era
un perché.
Idiota,
pensò, che vai farneticando? Proprio tu hai paura di un uomo
che non conosci?
Che mai potrebbe farti?
Ma
la
sensazione che quell’uomo avrebbe potuto aver voglia di
ucciderlo non se ne
andava, benché poi non avesse trovato granché da
rubare. Al contrario, da un
signore così ben vestito un povero diavolo come Gregor ci
avrebbe ricavato una
piccola fortuna.
Gli
occhi di
Gregor d’un tratto brillarono di un’intensa luce
omicida. Si leccò le labbra
secche ancora una volta, lasciando che gli istinti primordiali di ogni
uomo
fluissero nelle sue vene e scorressero liberi con il suo sangue. La
bottiglia
che aveva in mano sarebbe stata sufficiente per tramortire un uomo, ma
raccolse
le forze residue per strangolarlo. Se fosse stato riconosciuto proprio
da quell’uomo,
non avrebbe potuto evitare la prigione, e non gli andava dato che
durante
quegli anni aveva sempre fatto attenzione a non avere problemi con la
legge.
L’ombra
era
ormai poco distante: ora se ne udivano i passi ticchettare appena sul
selciato
del ponte. Gregor provò ad alzarsi, ghignando:
quell’ometto avrebbe trovato una
sorpresa ad attenderlo.
Fece
per
nascondersi dietro il parapetto ma le gambe lo tradirono, faticando a
reggersi;
cadde in ginocchio, e credette davvero di essere sul punto di cedere,
di essere
sul punto di addormentarsi e di morire; e non poteva, non adesso che
poteva
dedicarsi ad un assalimento in piena regola, come le risse dei cari
vecchi
tempi. Ma il suo corpo stremato dall’affaticamento e dalla
malattia non era
dello stesso avviso della sua volontà. Gregor prese un
respiro, ma si tramutò
ben presto in un violento accesso di tosse. Una nuova ondata di nausea
accompagnata dal sapore acre della bile gli invase la bocca, ma tutto
ciò che
espulse fu una forte eruttazione.
Soddisfatto
di non aver vomitato un’altra volta, Gregor sentì
però l’imponente ed
opprimente presenza davanti a sé. A terra, ne vide
l’ombra che lo sovrastava
come un gigante avrebbe potuto fare con un bambino, ed ebbe lo strano
desiderio
di guardare la sua faccia: immaginava un signorotto di mezza
età con i baffi e
l’aria impettita ed allo stesso tempo bonaria che spesso
Gregor giudicava
perfino stupida.
Infine,
lo
vide. Vide i suoi occhi: gelidi, famelici, avidi della sua carne.
Poteva
distinguerne la vaga familiarità pur senza avere la completa
visuale del suo
volto, Gregor in cuor suo pregava affinché non si mostrasse
del tutto. Ma
contro ogni sua previsione, l’uomo sollevò il
cappello che portava sfoggiando
un sorriso velatamente malvagio, e solo allora Gregor si rese conto di
chi
fosse.
“Tu!”
Quella
visione non fece altro che sconvolgere la sua mente già
eccitata. Un vuoto si
aprì sotto di sé e rabbrividì, proprio
come se uno spettro - proprio lui, che
pensava ad uno spettro! Lui che non aveva mai dato credito alle
credenze
popolari - gli avesse perforato l’anima. Ma quel ragazzo
era proprio lì,
davanti a lui, e lo stava fissando con malsana bramosia, come un leone
fissa la
preda migliore che gli sia capitata in tutta la sua vita. Con il sangue
ghiacciato nelle vene, Gregor lanciò un urlo disumano che si
propagò per tutta
la zona circostante, mentre lasciata cadere la bottiglia questa
andò a
schiantarsi rumorosamente contro il selciato. Strabuzzò gli
occhi imprecando
contro se stesso per il troppo alcool ingerito, ma una volta rimesso a
fuoco
non vedeva altro che lui. Doveva essersi fermato a squadrarlo,
perché il suo
volto diventò ancora più freddo, i suoi occhi
ancora più vicini. Non sapeva
quale sentimento prevalesse in lui durante quel momento - era rabbia?
Paura?
Sicuramente qualcosa di indefinibilmente terribile -, senza dubbio non
poteva
definirsi in grado di fare ciò che si era prefisso. Le forze
mancavano, non ce
n’erano neanche per scostare lo sguardo da lui, come avrebbe
potuto aggredirlo?
E rimase a fissarlo, con la stessa intensità con cui
l’espressione di infido
trionfo del personaggio fissava lui.
Di
tutti i
volti che avevano affollato la sua vita fino a quel momento, uno solo
si
affacciava costantemente con prepotenza e con fredda risoluzione da
quando era
stato cacciato dal paese in cui si era sposato per finire con
quell’esistenza
vagabonda inflitta come castigo ma accolta come liberazione: quella di
colui
che lo aveva cercato per metterlo alla berlina, che aveva pensato solo
ed
unicamente a quella sgualdrina di sua sorella.
Henry
Hevans, il fautore della sua condizione attuale, il ragazzaccio che
aveva
condannato un uomo alla cattività di un matrimonio
indesiderato, ad una
responsabilità che Gregor non sentiva come propria. Henry
Hevans era l’essere più
idiotamente attaccato alla sorellina e nello stesso tempo
più subdolo che lui
avesse mai incontrato. Lo aveva trascinato nella prigione
più fredda e più
ipocrita che un uomo potesse sopportare, ed aveva scaricato tutta la
responsabilità di quel che era successo a lui,
trattando sua sorella
come una povera vittima delle circostanze.
“Sì,
sono
io.”
Henry
Hevans
non aveva mosso un singolo muscolo del viso mentre queste parole
dettate dal
timbro della sua voce emergevano nella mente di Gregor. Come aveva
fatto a
parlare se aveva tenuto la bocca chiusa? E perché era
lì, davanti a lui, quando
avrebbe dovuto essere morto? Forse perché era
un’allucinazione. Le
allucinazioni non corrispondono alla realtà, e Gregor non
era disposto a
pensare che quella fosse una cosa reale, non quando l’uomo in
questione era
morto tempo prima. Se l’avesse toccato, era sicuro che non
sarebbe stato più
tangibile di un individuo vero e proprio. Ma lo vedeva chiaramente,
ancora
incredibilmente giovane, mentre erano passati anni dal loro ultimo
incontro.
“Tu
sei
morto!” urlò in preda all’angoscia
più nera.
“Sono
venuto
per te.”
Gregor
non
capiva. Cosa voleva da lui?
“Sono
venuto
a prenderti per portarti via.”
La
paura
della morte si appropriò della mente confusa di Gregor.
Henry non lo aveva
detto a chiare lettere, ma cosa poteva volere un uomo tornato dalla
morte da
lui?
Sentì
l’ira
montargli in corpo e, ritrovato un briciolo di coraggio, lo
impiegò sputando a
terra. “Non vengo con te!”
“Opponi
resistenza? Sappi che non ti è concesso farlo.” Henry
cominciò a ridere - una risata
profonda e malsana - della sua paura di morire. “Dovrai
rendere conto delle
vite che hai rovinato. Quella di mia sorella, tua moglie. E dei miei
nipoti.”
Gregor
si
ribellò mentalmente al pensiero sfocato di quella che un
tempo fu sua moglie.
Si ribellò al ricordo stesso di quel matrimonio prodotto
della voglia legittima
di scopare una donna. Una donna alla sua prima esperienza sessuale che
si era
data al primo venuto. Suo fratello non era lì con lei,
quella sera. Doveva
vederla quando gli si era avvicinata con lo stesso atteggiamento di una
prostituta, in cerca di sesso tanto quanto lui. Laura - era strano,
ora,
pensare al suo nome - non si era opposta affatto. Opposta.
La parola lo
fece ridere così forzatamente che tossì.
Schiacciò i vetri della bottiglia
sotto la suola consumata delle scarpe, sfogando così tutta
la rabbia della sua
condizione. Poi rivolse lo sguardo nuovamente al suo evanescente
interlocutore,
guardandolo con rabbia crescente.
“Che
ne sai
tu di quel che ho passato?” chiese l’uomo al
ragazzo.
Nessuno
gli
aveva mai chiesto come si sentisse lui, sposato ad una perfetta
estranea e
privato della sua libertà. Un leone in gabbia, che si dimena
come un ossesso
per uscire dalla prigione che era quel paesello troppo tranquillo
perfino per
un insetto.
Eppure,
quell’angolo fastidioso della sua mente non poteva fare a
meno di pensare che
avrebbe potuto essere padrone di se stesso fin dall’inizio.
Avrebbe potuto
allontanarsi da quella ragazzina rossa quando ne aveva
l’occasione invece di
sfruttarla a suo piacimento, e non avrebbe avuto neanche fra i piedi
quel suo
odioso fratello che lo aveva sempre guardato con imperiosità
e disprezzo, dando
la sua colpevolezza per scontata.
“Tua
sorella
non si meritava nient’altro che soffrire!”
gridò ancora Gregor, sorreggendosi
gattoni per la fatica. Ansimava così tanto che gli vennero
forti capogiri.
“Tu
cosa
meriti, invece? Sei solo un animale, che per soddisfarsi scopa la prima
donna
che gli capita a tiro, non curandosi se era effettivamente una puttana
o solo
una ragazza.”
Se
in altri
tempi non si sarebbe minimamente pentito al suono di accuse
così pesanti, ora
queste assumevano una cadenza sinistra, come se le parole sussurrate
nella
mente dalla sua stessa voce provenissero direttamente
dall’idiota davanti a
lui.
“No.
Idiota.
Non chiamarmi così. Guarda te stesso, prima.”
Un
altro
sussulto gli scosse il corpo, sconquassandogli l’anima. Per
un attimo ebbe
l’impressione di mancare a se stesso, ma subito
sembrò riprendersi. Il volto di
Henry si deformò in una dura smorfia derisoria, come se
sapesse che nonostante
la pellaccia dura, stava per arrendersi.
“Sei
al
capolinea, Gregor” e
in
quell’istante Gregor gemette. Erano anni che nessuno lo
chiamava per nome. “E
non ti resta che morire. Non farai male a nessuno, una volta morto.
Neanche a
Laura e ai suoi figli.”
L’istinto
di
ritornare di nascosto al paese e farla pagare a tutti fece la propria
comparsa
proprio nel momento in cui sentì di essere preso per i
capelli da Henry.
“Sei
impotente e debole,” disse
Henry “non
potrai mai più esercitare l’orribile influenza che
avevi su Henry, tanto meno
l’indifferenza pregna d’odio ingiustificato per
Heymans.”
Heymans.
Aveva fatto di tutto per togliersi dalla testa quel ragazzino
impertinente, e
adesso quel coglione gli stava servendo il ricordo di quello che
neanche
reputava come figlio suo come se avesse concepito l’uomo
più bravo del mondo.
Rise. Non si sarebbe affatto stupito se la sua cara
mogliettina avesse
fatto sesso con qualcun altro nel frattempo. Era questa la frase che
ripeteva a
se stesso per espellere l’idea che quel rammollito sempre
aggrappato alle
sottane della madre fosse davvero figlio suo. Ma bastava guardarlo per
appurare
il legame di sangue che li univa, accompagnato dall’evidente
impronta degli
Hevans; e la volta in cui lo sfidò apertamente schierandosi
contro di lui,
Gregor aveva letto nei suoi occhi la stessa ira che molto probabilmente
si
poteva leggere in faccia a lui quando teneva in scacco quella che aveva
dovuto
accettare suo malgrado come famiglia.
Era
così,
era vero. Quel bastardo era davvero suo figlio, e non poteva
sopportarlo.
Per
un
attimo saettò nella mente il pensiero di averlo ancora
davanti a sé, pronto a
ricevere un colpo da parte del padre per fargliela pagare, ma ecco che
la presa
di Henry sui suoi capelli si rafforzò finché
Gregor sentì mancare le forze
ancora una volta. Henry voleva punirlo anche per quel silenzioso
proposito, e -
gli costava ammetterlo - era lui fra i due ad avere il pieno controllo.
“No,”
disse
Gregor con un ghigno, guardando dritto in faccia al suo interlocutore
“non mi
pento di niente, stupido ipocrita.”
Fu
un
attimo. Una feroce pugnalata all’altezza del fegato gli
mozzò il respiro. Alzò
gli occhi su Henry, e si rese conto che era stato lui a procurargliela,
ma
Henry non aveva nessun’arma con sé. Non capiva.
Dopo alcuni secondi di amara
sorpresa, dalla bocca di Gregor fuoriuscì un getto di
sangue, mentre percepiva
la vista farsi debole, come tutto il resto del corpo. I capelli furono
rilasciati con una delicatezza che non si aspettava, e
nell’istante di forte
meraviglia si accasciò al suolo, L’immagine di
Henry scomparve; Gregor però
poteva ancora distinguerne il suono della voce propagarsi per la nebbia
della
notte.
“Sei
morto,
Gregor. Ora non farai del male a nessun altro.”
NDA
Quante
idee
mi erano venute per questa corsa all’OC di Laylath, e quanti
personaggi avrei
voluto trattare! Ma la mia prima scelta è ricaduta proprio
su Gregor Breda, eh
sì, proprio perché Laylath è a
conoscenza dell’immenso amore che provo per
questo OC! *prende Gregor e lo pesta a sangue*
La
componente
mistery è uscita fuori da sola, non so come. Volevo soltanto
che Gregor morisse
fra le più atroci sofferenze, ma sarebbe stata molto sterile
come scena, almeno
secondo me. Così ho creato questa figura allucinatoria di
Henry -
l’ammooooorreeeehh mio! - che la testa di Gregor in preda ai
fumi dell’alcool
produce prima di morire.
Mi
era
sembrato giusto che Gregor si ponesse davanti ai suoi errori - senza
però
mancare di dargli delle possibilità di giustificarsi,
sebbene fosse inutile - e
di “confrontarsi” con quella coscienza pura e
semplice che aveva sempre messo
in un angolo e che ora ha dovuto tirare fuori per un momento, il
più duro e
difficile.
La
ff di
Laylath dice che Gregor muore per cirrosi epatica, perciò la
“pugnalata” è
soltanto frutto della mente di Gregor.
Grazie
mille
a Laylath che dopo mesi e mesi di assenza, mi ha fatta tornare in
questo fandom
in veste di autrice. :*