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Autore: xX__Eli_Sev__Xx    27/02/2016    3 recensioni
È strano pensare che per una volta a salvare la situazione non sia stato Sherlock Holmes, ma la sua nemesi, James Moriarty. Ma quando il suo volto compare sugli schermi di tutto il paese, Sherlock sa bene che non può essere Jim, l'autore di quel messaggio. Qualcun altro sta tentando di trattenerlo a Londra. Qualcuno che sta tentando di ottenere qualcosa da lui. Qualcuno che conosce i suoi punti deboli e sa come sfruttarli a suo favore. Qualcuno che si spingerà così oltre da riuscire a stravolgere completamente il mondo di Sherlock Holmes, un mondo che il giovane consulente investigativo aveva sempre dato per scontato.
Questa volta, Sherlock non si ritroverà ad affrontare un semplice criminale, ma dovrà fare i conti anche con se stesso e con le proprie ombre e come sempre non sarà solo.
Il gioco è ricominciato.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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This is war
 

The wrath
 
 
 Mycroft aveva studiato molto attentamente i movimenti di Sherrinford da quando era arrivato a Londra. Sapeva che prima o poi sarebbe andato sa Sherlock per raccontargli la verità ed era consapevole del fatto che non avrebbe portato altro che guai.
 Non sapeva esattamente quali fossero le intenzioni del loro fratellastro, ma a giudicare dal suo strano comportamento – troppo tranquillo e placido – e dal suo interessamento a Sherlock, il politico sapeva che non potevano essere buone. Sherrinford non aveva mai perdonato il padre per averlo abbandonato e aver scelto Sherlock, il che lasciava intendere che il suo intento sarebbe stato quello di vendicarsi, ma nelle settimane in cui Mycroft l’aveva osservato, non si era comportato in modo strano o comunque non aveva lasciato trasparire nessuna cattiva intenzione.
 Per questo il maggiore degli Holmes sapeva che Sherrinford avrebbe agito presto e che se lui avesse atteso ulteriormente per agire e tentare di impedirglielo, sarebbe stato troppo tardi.
 
 Sherlock era seduto sulla sua poltrona e stava accarezzando il suo violino. Il legno era liscio a contatto con la sua pelle, in contrasto con la ruvidezza delle corde. Le fiamme che scoppiettavano nel camino, proiettavano strane ombre sullo strumento e all’interno della stanza, che era immersa nella semioscurità.
 L’uomo sospirò. Era da giorni che tentava di capire chi fosse l’autore del messaggio che l’aveva salvato da quella missione suicida, ma dopo aver analizzato il video – riguardandolo un centinaio di volte per cercare eventuali messaggi nascosti – e aver tentato di ritracciare il server dal quale era stato mandato, sintonizzandosi sulle frequenze di ogni canale televisivo, era arrivato alla conclusione che senza ulteriori indizi, non sarebbe arrivato lontano.
 John non si faceva vedere da giorni, da quando l’aveva cacciato dall’appartamento e nemmeno Mycroft era più tornato con le sue strampalate idee e scenate di gelosia. Per giorni il consulente investigativo era rimasto nella più completa solitudine e aveva vagato tra le stanze del suo palazzo mentale in cerca di rispose, ma con scarsi risultati.
 Il cellulare vibrò, rompendo la quiete del salotto. Sherlock lo prese tra le mani e aprì il messaggio.
 
 Vieni da me appena puoi.
                                     SH
 
 Non appena vide che il messaggio era di Sherrinford, Sherlock non poté trattenere un sorriso. Si mise in piedi, ripose il violino nella sua custodia e dopo aver preso il suo cappotto, uscì e salì su un taxi, diretto alla villa del fratello.
 
 Quando bussò alla porta della villa, Sherlock venne accolto da suo fratello, che gli sorrise e lo invitò ad entrare. Raggiunsero immediatamente lo studio di Sherrinford, che indicò la scrivania accanto alla finestra, dove c’erano un computer e alcune pile di fogli e documenti.
 «So che stai indagando sul messaggio di Moriarty.» esordì il maggiore.
 Sherlock aggrottò le sopracciglia. «Come lo sai?»
 Sherrinford rise e prese posto sulla poltrona girevole, di fronte al computer. «Andiamo, Sherlock… compare un messaggio su tutte le reti televisive nel quale compare la faccia di James Moriarty e tu non staresti indagando per scoprire quale hacker l’ha inviato?»
 Il consulente investigativo sollevò un sopracciglio e fece spallucce. «Perché mi hai fatto venire qui, comunque?» domandò. «Vuoi forse partecipare alle indagini? Perché siamo in un vicolo cieco.»
 Sherrinford sorrise e indicò la sedia accanto alla sua. «Siediti, fratellino.» lo invitò.
 Sherlock prese posto accanto a lui, osservando il fratellastro mentre accendeva il computer e selezionava alcuni documenti dal desktop. Si aprirono svariate pagine e quando ebbe concluso la ricerca, tornò a voltarsi verso Sherlock.
 «Dunque» esordì «Il giorno che in cui il messaggio è stato trasmesso ero qui e ho potuto vederlo di persona, perciò cominciato a fare delle ricerche. L’immagine è stata montata in modo da sembrare in movimento, ma in realtà erano più fotografie sovrapposte, montate su una traccia vocale modificata con un programma audio.»
 «Fin qui c’ero arrivato anche io.» fece notare Sherlock.
 «Lo so, anche un banale tecnico informatico ci sarebbe arrivato.» confermò Sherrinford, poi sorrise. «Ma la cosa che più mi ha colpito è stata la portata della cosa.»
 Il consulente investigativo aggrottò le sopracciglia. «Non capisco.»
 «Non ti sembra strano che un semplice hacker, per quanto abile possa essere, riesca a introdursi su ogni singolo canale televisivo e radiofonico, e trasmettere un messaggio del genere, senza che nessuno se ne accorga?»
 «Ci sono persone di grande talento a questo mondo.» replicò Sherlock, cinico.
 Sherrinford fece spallucce. «Certo» confermò «Il fatto è che quando ho tentato di risalire al server da cui il video era stato inviato, non ci sono riuscito.»
 «È un server protetto.» confermò Sherlock. «La polizia sta tentando di accedervi.»
 «E credi che ci riuscirà in tempi brevi?» domandò l’altro, ridacchiando.
 Sherlock non poté trattenere un sorriso. «Be’, considerando che è di Scotland Yard che parliamo, “tempi brevi” non è certamente un termine adatto a descriverlo.»
 «E se io ti dicessi che ho capito di cosa si tratta?»
 Il consulente investigativo sembrò sorpreso. «Sarei ammirato.»
 Sherrinford sorrise. «Guarda» disse indicando lo schermo con le dita. «Il video è stato inviato da un server privato, per così dire. Ma ad un controllo approfondito, uno dei miei dipendenti ha scoperto che quel server era solo un tramite e che il video è partito da un server principale. Probabilmente l’intento dell’hacker era quello di rimanere nell’ombra, perciò ha tentato di depistare le indagini in questo modo. Quindi, anche se la polizia dovesse avervi accesso, non arriverebbe a nulla e sarebbe a punto di partenza.»
 «Il server principale è protetto?»
 «Sì.» rispose Sherrinford. «Ovviamente non per i miei hacker.»
 Sherlock accennò un sorriso. «I tuoi hacker?»
 «Ho molte risorse a disposizione.» replicò l’altro, uno sguardo fiero dipinto sul volto. «Comunque, il server principale è niente meno che il server del governo.»
 Sherlock rimase a bocca aperta. «Come?»
 «Hai capito bene.»
 Il cervello di Sherlock prese a lavorare velocemente. L’uomo chiuse gli occhi, cercando di riordinare le idee. Qualcuno aveva voluto inviare un avvertimento, un avvertimento che era indubbiamente indirizzato a lui. E quel qualcuno voleva trattenerlo a Londra, sapendo che sarebbe partito per una missione in Europa. E adesso veniva fuori che il video era stato inviato dai server del governo, lo stesso governo che aveva deciso di mandarlo in missione per suo conto. Non aveva senso.
 A meno che…
 Forse, chiunque avesse ideato un piano del genere, non voleva trattenerlo a Londra per giocare con lui, ma per salvarlo da quella missione.
 Ma chi, all’interno del governo, avrebbe avuto interesse nel farlo? Chi avrebbe potuto e voluto mettere in atto una messa in scena del genere, solo per tirarlo fuori da quella situazione e salvargli la vita?
 Poi ricordò delle parole, parole apparentemente senza senso, ma che in quel momento si incastrarono perfettamente, andando a completare il puzzle nella sua mente. Prole pronunciate nella cella in cui era stato rinchiuso e poi sull’aereo. Parole che appartenevano all’unica persona che avrebbe avuto i mezzi per fare una cosa di portata tale.
 Perché l’hai fatto, Sherlock?
 Non potrò salvarti questa volta. Morirai e non potrò fare nulla.
 Come hai potuto fare una cosa del genere, sapendo che avrebbe avuto un prezzo così alto?
 È quasi una speranza che Moriarty sia tornato, se può salvarti da questo.
  Quando riaprì gli occhi, vide che Sherrinford lo stava osservando con le sopracciglia aggrottate. «Tutto bene, Sherlock?» chiese, perplesso.
 Sherlock deglutì a vuoto. «Sì» rispose. Poi si mise in piedi. «Devo andare.»
 L’altro tentò di protestare. «Ma dobbiamo tentare di capire-»
 «Scusa, John mi sta aspettando.» lo interruppe e senza aggiungere altro lasciò la casa del fratello.
 
 Quando Mycroft aprì la porta di casa, Sherlock non attese di essere invitato ad entrare: varcò la soglia e richiuse la porta con uno spintone, fermandosi di fronte a suo fratello, che lo stava osservando perplesso.
 «Cosa ci fai qui, Sherlock?» domandò Mycroft, rompendo il silenzio e sospirando. «Credevo che non volessi più vedermi.»
 «Perché l’hai fatto?» chiese il consulente investigativo, ignorando le affermazioni del maggiore. «Come ti è saltato in mente di mettere in atto una messa in scena del genere?»
 Mycroft aggrottò le sopracciglia. «Di cosa stai parlando?»
 «Del video.»
 «Video?» chiese il politico. «Quale video?»
 «Quello di Moriarty.» replicò il minore. «Il video trasmesso in contemporanea su tutti canali radio e TV del paese.»
 «Continuo a non capire che correlazione ci sia tra il video e me.»
 «È stata un’idea tua. Tutta questa storia è stata una tua idea.» affermò Sherlock. «Sarei potuto rimanere in prigione dopo l’omicidio di Magnussen, ma tu hai deciso di mandarmi in quella missione in Europa dell’Est, perché sapevi che con quel video saresti riuscito a tirarmene fuori. Non è così, fratellino?»
 Gli occhi di Mycroft si spalancarono.
 «Credevi davvero che non sarei riuscito a risalire a te?» chiese ancora «Il server principale dal quale quel video è stato mandato è un server governativo e tu sei l’unico all’interno del governo che avrebbe avuto degli interessi nel trattenermi qui a Londra. E scommetto che se ripulissi la traccia audio troverei la tua voce.»
 «Non dire sciocchezze.» replicò. «Ti stai sbagliando.»
 «Davvero?»
 Mycroft scosse il capo. «Non sono stato io a mandare quel video.» disse. «Per quanto avrei voluto salvarti… per quanto avrei voluto proteggerti e impedirti di partire per quella missione suicida… e credimi, avrei davvero voluto salvarti… anche volendo non avrei potuto. Avevo le mani legate.»
 Sherlock scosse il capo, disgustato. «Bugiardo.»
 «Non sto mentendo.» replicò Mycroft, in tono duro. «E poi come diavolo sei risalito al server governativo? Nemmeno i miei migliori tecnici sono riusciti a decriptare quel messaggio e risalire al server principale.»
 «Ci sono persone che hanno più risorse di te.»
 Mycroft aggrottò le sopracciglia, poi i suoi occhi si spalancarono, man mano che la consapevolezza si faceva strada in lui. «Oh, per l’amor del cielo…» disse, chiudendo gli occhi e abbassando lo sguardo. «È stato Sherrinford, non è così? Lui ti ha messo in testa queste cose.»
 «Anche se fosse?»
 «Ti ha mentito.»
 «Perché avrebbe dovuto?»
 «Perché è quello che fa!» esclamò Mycroft, furioso. «Come fai ad essere così cieco, Sherlock? Non vedi che ti sta manipolando? I tecnici informatici di Scotland Yard e quelli governativi stanno lavorando da settimane al caso e non sono riusciti a cavare un ragno da un buco e poi arriva lui e di punto in bianco e risolve il caso? Non ti sembra quantomeno sospetto?» chiese. «Sa troppo per essere una persona estranea alla faccenda. Per quanto ne sappiamo potrebbe essere stato lui a mandare in onda quel video.»
 «Sai cosa mi sembra sospetto? Che tu mi avessi chiesto di rifiutare quella missione e poi, improvvisamente, Moriarty arrivi a salvare la situazione per impedirmi di andare incontro alla morte.» disse Sherlock, avanzando e rivolgendo a Mycroft uno sguardo penetrante. «E la cosa che più mi infastidisce è che hai agito in questo modo perché non fai altro che tentare di tirarmi fuori dai guai, quando io non voglio che tu lo faccia. La tua capacità di ficcare il naso negli affari altrui va oltre l’umana comprensione e prima o poi ti sarà fatale, Mycroft, ricordatelo bene.»
 «Sherlock, posso assicurarti che io non-»
 «Cosa? Cosa, Mycroft? In ogni caso, qualsiasi cosa tu mi dica sarebbe una menzogna.» ringhiò il minore. «Non so nemmeno perché sono venuto qui. Avrei semplicemente dovuto denunciarti alla polizia e tornare alla mia vita.»
 «Sherlock, ti prego, devi ascoltarmi…» lo implorò tenendolo per un braccio.
 «Lasciami andare, Mycroft.» ringhiò Sherlock, dimenandosi per liberarsi dalla presa del fratello. Indietreggiò, aprendo la porta e rivolgendogli un ultimo sguardo. «Io e te abbiamo chiuso. D’ora in poi per me sarà come se non esistessi.» concluse e poi uscì, lasciandosi suo fratello alle spalle.
 
 Mycroft non poteva avere la certezza che Sherrinford sarebbe andato a colpire proprio John Watson, ma dopo giorni e giorni di riflessione e dopo ciò che Sherlock gli aveva detto, aveva capito che sarebbe stato meglio prevenire che curare. Sherrinford aveva spinto suo fratello a credere che il video fosse stato mandato da lui con l’intento di allontanarli e ovviamente ci era riuscito. Se davvero il suo scopo era allontanarli, allora la sua prossima mossa sarebbe stata colpirli separatamente per farla pagare a entrambi. E quale modo migliore se non colpire prima il migliore amico di Sherlock?
 Per questo Mycroft doveva andare da lui e avvertirlo. Non poteva permettere che gli accadesse qualcosa. Sherlock lo odiava già abbastanza per avergli mentito e se fosse accaduto qualcosa a John, ne sarebbe uscito distrutto.
 Il politico scese dall’auto e disse all’autista di attenderlo a qualche isolato di distanza per non dare nell’occhio nel caso in cui Sherrinford avesse deciso di pedinarlo e percorse un centinaio di metri a piedi. Quando si ritrovò di fronte alla villetta dei Watson, attraversò il piccolo giardino e suonò alla porta, attendendo con impazienza che la porta si aprisse.
 John comparve sulla soglia e non appena ebbe realizzato che in piedi di fronte a lui c’era nientemeno che Mycroft Holmes, spalancò gli occhi. Per un momento sembrarono essere attraversati dalla paura.
 «Sherlock sta bene?» chiese immediatamente.
 L’altro annuì. «Sì, ma devo parlarti con urgenza di una questione di massima importanza.» disse sbrigativo.
 John sembrò esitare un momento, poi annuì. «Ok. Entra.» disse scostandosi e rivolgendogli un cenno per invitarlo ad entrare. «Di cosa si tratta?» domandò una volta richiusa la porta. «Sicuro che non riguardi Sherlock?» domandò guidandolo in salotto e invitandolo ad accomodarsi.
 «Indirettamente riguarda anche lui.» rispose Mycroft.
 I due si sedettero sul divano del salotto, l’uno accanto all’altro. Il medico in attesa e il politico pronto a spiegare e a ricevere qualsiasi domanda.
 «Ricordi che ti avevo parlato di Sherrinford Holmes? Il terzo figlio di nostro padre, avuto con un’altra donna?» chiese Holmes, puntando lo sguardo in quello di Watson.
 John annuì. «Sì, me lo ricordo.» rispose, poi aggrottò le sopracciglia. «Perché?»
 «Ti avevo anche accennato quanto pericoloso fosse. Nonostante abbiamo entrambi tentato di dissuadere Sherlock dal frequentarlo, sembra che lui abbia scelto deliberatamente di ignorare i nostri consigli.»
 Il dottore sospirò. «Forse non è poi così pericoloso come credevi o Sherlock se ne sarebbe accorto, frequentandolo.»
 Mycroft scosse il capo. «Per quanto mio fratello sia intelligente, non può sfuggire alle grinfie di Sherrinford. Quell’uomo è astuto e pronto a tutto per raggiungere i suoi obiettivi. Sherlock è solamente la sua prossima vittima.» spiegò. «Perché credi che abbia aspettato vent’anni per rivelarsi, quando era a conoscenza della verità da quando ne aveva tredici?»
 «Vittima?» chiese John, allarmato. «Vuoi dire che Sherrinford vuole fargli del male?»
 «Ho ragione di credere che tenterà di colpire Sherlock.» confermò il politico, poi sollevò le sopracciglia. «Ma non credo che tenterà di colpirlo direttamente.»
 «Non capisco.»
 «Sherrinford ce l’ha con Sherlock perché è a causa sua se nostro padre ha scelto la nostra famiglia e non la sua e l’ha abbandonato a se stesso quand’era poco più di un bambino. Incolpa mio fratello per le scelte sbagliate che ha compiuto nostro padre. Per questo è tornato.» sospirò e abbassò lo sguardo. «Dopo aver covato rancore per quasi vent’anni è tornato a Londra per mettere in atto la sua vendetta.»
 «Sì, ma allora perché non colpire direttamente Sherlock?» domandò John aggrottando le sopracciglia. «Se lo incolpa per la sua sofferenza, avrebbe più senso tentare di colpire lui.»
 «Se colpisse Sherlock, chi la pagherebbe per ciò che nostro padre gli ha fatto passare?» chiese Mycroft di rimando. «Non avrebbe senso. Sherrinford vuole che Sherlock soffra tanto quanto ha sofferto lui e colpirà tutte le persone che gli stanno più a cuore. A cominciare da te.» concluse. «Per questo sono qui. Devi andartene prima che Sherrinford arrivi a te. Prendi tua moglie e allontanati il più possibile da Londra.» 
 «Cosa?!» esclamò Watson. «Con Sherlock esposto in prima linea? Non se ne parla neanche, io non lo abbandono.»
 «Non sarà solo.» assicurò Holmes. «Ci sarò io ad occuparmi di lui.»
 John scosse il capo. «Mycroft, lui è il mio migliore amico e io non lo abbandonerò quando ha più bisogno di me.»
 «È proprio per questo che voglio che tu te ne vada.» ribatté Mycroft con voce ferma e sguardo risoluto. «Entrambi sappiamo bene che tu sei la cosa a cui mio fratello tiene di più a questo mondo. E Sherrinford avrà già capito che ciò che Sherlock prova per te va oltre la semplice amicizia.» vedendo che stava per ribattere lo bloccò «Che questo sentimento sia ricambiato oppure no, non ha importanza. Io devo proteggerti, perché se accadesse qualcosa a te o a Mary, Sherlock non me lo perdonerebbe mai. Mi odia già abbastanza così, non voglio ferirlo ulteriormente permettendo a Sherrinford di farti del male.»
 John si mise in piedi. «Non me ne vado.» insistette. «È inutile che continui a provare a convincermi. Non ci riuscirai.»
 Mycroft si alzò a sua volta. «John, ti sto implorando.»
 «So quanto tieni a Sherlock. Anche io tengo a lui.» aggiunse il medico. «E voglio aiutarti a proteggerlo e a fermare Sherrinford.»
 Holmes sospirò e abbassò lo sguardo. «Per lo meno presta attenzione.» concluse. «Non voglio che ti accada nulla. Non voglio che Sherlock perda anche te.»
 «Non accadrà.» assicurò. «Andrà tutto bene. Ma lascia che ti aiuti.»
 Il politico abbassò lo sguardo per un momento, poi lo risollevò e annuì. «D’accordo.» concesse, poi si avviò verso l’atrio per andarsene. «Ti terrò informato riguardo all’evolversi della situazione.»
 John annuì e aprì la porta. «Grazie.»
 Mycroft annuì. «A presto.»
 Watson sorrise e chiuse la porta, avviandosi verso la cucina. Ma qualcosa lo bloccò.
 Si fermò e tese l’orecchio.
 Quello che aveva appena sentito era il rumore di uno sparo? Aggrottò le sopracciglia.
 No, aveva sicuramente sentito male. Probabilmente i suoi riflessi da soldato gli stavano giocando brutti scherzi.
 E poi lo sentì di nuovo, più chiaramente.
 «Ma cosa diavolo…?» gli sfuggì fra i denti. Si voltò, si avviò nuovamente verso la porta e la spalancò. Gli si gelò il sangue nelle vene quando vide Mycroft cadere a terra di fronte al cancello di casa sua.
 L’istinto prevalse sulla ragione.
 Il medico non si preoccupò di assicurarsi che chi aveva sparato se ne fosse andato. Corse verso Mycroft, che stava ansimando, sempre più pallido, e si inginocchiò al suo fianco.
 «Mycroft!» lo chiamò poggiandogli una mano sulla guancia per controllare che fosse ancora cosciente e dandogli del leggeri colpetti per tenerlo sveglio. Abbassò lo sguardo e studiò le ferite: i proiettili l’avevano colpito al petto, uno all’altezza del cuore e uno allo stomaco, e stavano sanguinando copiosamente.
 «Oh, mio Dio!» esclamò qualcuno dietro di lui, probabilmente un vicino di casa.
 John si voltò e senza nemmeno controllare chi fosse, parlò. «Chiami un’ambulanza!» vedendo che stava esitando, strillò «Subito!»
 E la vicina rientrò.
 «Mycroft, resta con me.» disse il dottore, tornando a voltarsi verso di lui e poggiandogli una mano sul petto per fermare l’emorragia. Con l’altra continuò a reggergli il capo. «Rimani sveglio.» lo implorò.
 Il politico ansimò, senza fiato. «Devi proteggere… Sherlock…» gemette «Devi farlo… per me…»
 John scosse il capo. «No.» disse con voce ferma. «No, lo farai tu stesso. Ce la farai, Mycroft, devi solo rimanere sveglio. L’ambulanza sta arrivando.»
 Mycroft gli prese la mano, allontanandola dal suo petto e stringendola tra le sue. «John, ti prego… devi dirgli…» ansimò cercando il suo sguardo. «Dì a Sherlock che lo amo… con tutto il mio… cuore…» un gemito gli rubò l’aria. «E che non… non avrei mai voluto farlo… soffrire…»
 «Mycroft, no…» una lacrima sfuggì al suo controllo, rigandogli la guancia.
 Holmes gli strinse la mano per attirare la sua attenzione. «Digli di… di essere forte…» le lacrime gli rigarono le guance. Sentì il capo farsi leggero e il dolore scemare sempre di più. «Prenditi cura di lui, John… amalo e proteggilo…» sussurrò «Promettimelo…»
 John annuì. «Te lo prometto.» disse con voce rotta. «Te lo prometto, Mycroft.»
 «Grazie…» mormorò e, dopo avergli rivolto un ultimo sorriso, spirò.
 Un sospirò tremante lasciò le labbra di Watson. «Mycroft…» lo chiamò scuotendolo leggermente. «Mycroft, no… no…» ma non ottenne risposta. Scosse il capo e adagiò il capo del politico a terra, accarezzandogli i capelli rossicci. «Mi dispiace…»
 Sollevò lo sguardo e maledisse l’ambulanza per il suo ritardo. Forse non sarebbero riusciti a salvarlo, ma avrebbero almeno potuto provarci. Avrebbero potuto tentare di aiutarlo prima che si dissanguasse senza poter nemmeno dire addio a suo fratello.
 Qualcuno entrò nel suo campo visivo. John sollevò lo sguardo, sbattendo più volte le palpebre per spazzare via il velo creato dalle lacrime.
 «Mary?» chiese, mettendosi in piedi.
 La moglie stava osservando Mycroft con occhi vuoti e spenti.
 «Tesoro, entra in casa.» disse John dolcemente, prendendogli la mano. E solo allora si accorse della pistola. Per un momento non riuscì a realizzare, poi quando si rese conto di ciò che stava succedendo, si allontanò di scatto, indietreggiando.
 «Mary» esordì con voce flebile, scuotendo il capo. «Non dirmi che hai… dimmi che non sei stata tu… ti prego…» ma aveva una pistola tra le mani ed era l’unica persona in strada a parte lui e Mycroft. Non poteva essere stato nessun altro, John se ne rese conto nel momento in cui ebbe pronunciato quelle parole.
 A quel punto la donna sollevò lo sguardo sul volto del marito e, con gli occhi colmi di lacrime, sussurrò soltanto un «Mi dispiace, John» carico di dolore.
 John riuscì a stento a mantenere il controllo. Abbassò lo sguardo sul corpo senza vita di Mycroft, stringendo i pugni, poi lo risollevò sul volto della moglie, appena in tempo per vedere con la coda dell’occhio, due poliziotti avvicinarsi insieme a Lestrade. Non si era nemmeno accorto delle sirene: in quel momento c’era solo sua moglie, la donna che aveva perdonato per aver sparato a Sherlock e avergli mentito, la donna che aveva appena ucciso Mycroft, senza ragione.
 Greg non era mai stato più pallido che in quel momento. «Oh, mio Dio…» disse vedendo il corpo di Mycroft a terra, coperto di sangue e ormai pallido e freddo. Sollevò immediatamente lo sguardo su John e vedendolo coperto di sangue si avvicinò, ignorando completamente Mary. «John, stai bene?» chiese poggiandogli una mano sulla spalla.
 Il dottore non distolse lo sguardo dal volto di sue moglie neanche per un secondo. «È stata lei.» disse soltanto, la voce ridotta a un ringhio furioso. A quel punto distolse lo sguardo, dando le spalle alla donna, per nascondere le lacrime che gli avevano rigato le guance. «Arrestala, Greg. Levamela dalla vista.» fu quasi una preghiera.
 Lestrade si volse verso i due ufficiali e rivolse loro un cenno. Uno dei due prese la pistola dalle mani della donna, mentre l’altro la ammanettò, cominciando ad elencarle i suoi diritti e trascinandola verso la macchina.
 «Gesù, John…» sussurrò Lestrade. «Cos’è successo?»
 «Mary ha sparato a Mycroft…» mormorò abbassando lo sguardo e scuotendo il capo. «Non so perché… non… oh, mio Dio… mi è morto fra le braccia… non ho potuto fare niente…» le lacrime gli rigarono le guance e non poté trattenere un singhiozzo.
 Greg sospirò e gli poggiò una mano sulla spalla, osservando i paramedici mentre caricavano il corpo di Mycroft su una barella e poi sull’ambulanza. «Non avresti potuto fare nulla.» disse «Le ferite erano troppo gravi.»
 «Sono un maledetto medico e non sono riuscito a salvare la vita del fratello del mio migliore amico…» scosse il capo, poi come se solo allora si fosse ricordato di Sherlock, risollevò lo sguardo. «Oh, no… Sherlock… devo dirlo a Sherlock… lui…»
 Lestrade scosse il capo. «Lo faccio io.»
 «No, devo farlo io… devo-»
 «Sei sconvolto.» lo interruppe l’Ispettore, poggiandogli le mani sulle spalle. «Lascia fare a me.» sillabò, poi lo osservò per un momento, pallido e sconvolto e riprese. «Vieni, andiamo in ospedale e aspettiamo Sherlock in obitorio.»
 John annuì e lasciò che Lestrade lo guidasse fino alla macchina.  
 
 Sherlock raggiunse il Bart’s in meno di venti minuti.
 Lestrade gli aveva accennato ciò che era successo per telefono, ma non era possibile che fosse la verità. Si erano sicuramente sbagliati: Mycroft non poteva essere morto. Era impossibile, nessuno avrebbe mai tentato di fargli del male, era troppo ben protetto.
 Quando si ritrovò davanti alla porta dell’obitorio la aprì con una spinta ed entrò nell’atrio, camminando con passo spedito, superando barelle e inservienti con carrelli per le pulizie. Arrivato al fondo del corridoio, vide che Greg e Molly stavano parlottando tra loro all’esterno della sala e che erano stretti l’uno all’altra. Lestrade le stava accarezzando i capelli e le stava sussurrando qualcosa all’orecchio, ma sentendo dei passi nel corridoio si voltarono e quando lo videro avanzare, smisero di parlare e lo bloccarono prima che varcasse la soglia della sala autopsie.
 «Aspetta, Sherlock.» disse Lestrade, prendendolo per un braccio e parlando dolcemente. «Forse non dovresti-»
 «Lasciami andare.» ringhiò Holmes tentando di liberarsi dalla sua presa.
 Greg lo prese per il braccio. «Ascoltami»
 «No!» ribatté duramente, il cuore che galoppava nel petto. «Ti ho detto che devi lasciarmi andare, Lestrade! Lasciami subito!»
 A quel punto intervenne Molly, interponendosi tra l’Ispettore e Sherlock. «Greg ha ragione. Forse non dovresti entrare, Sherlock.»
 «È mio fratello.» sibilò Holmes. «E nessuno di voi potrà fermarmi.» e detto questo si liberò definitivamente dalla presa di Lestrade, oltrepassò Molly e spinse le porte, spalancandole.
 L’obitorio era freddo e immerso nella semioscurità; non c’erano molto corpi sulle barelle di metallo e quelli presenti erano coperti da lenzuoli. Tutti tranne uno. Quello di suo fratello. Accanto ad esso, girato di spalle, in piedi e intento ad osservare il volto del politico, c’era John.
 Sherlock avanzò e si fermò dall’altro lato della barella, gli occhi spalancati, osservando il volto pallido del fratello, i suoi abiti e il suo corpo coperti di sangue. Il suo cervello si spense e il suo palazzo mentale tremò violentemente, togliendogli il fiato.
 «Mycroft…» sussurrò.
 John a quel punto sollevò lo sguardo sul volto dell’amico. «Mi dispiace, Sherlock.» disse, rompendo il silenzio della sala. «Ho provato a salvarlo, ma non… non ci sono riuscito.»
 Sherlock scosse il capo e chiuse gli occhi per un momento. «Lasciami solo.» disse soltanto.
 «Sherlock-»
 «Lasciami solo.» ripeté. «Per favore.»
 A quel punto Watson, senza insistere oltre, uscì. Il suo amico aveva davvero bisogno di stare solo e lui non poteva imporgli la sua presenza. Quando si fu richiuso le porte della sala alle spalle, avanzò verso Molly e Greg.
 Entrambi si voltarono verso di lui e la donna si avvicinò.
 «Che cos’ha detto?» domandò preoccupata.
 John scosse il capo. «Solo che voleva stare da solo.»
 I tre si osservarono, indecisi sul da farsi.
 E fu in quel momento che all’interno della sala esplose un grido di dolore.
 
 Sherlock non riuscì a trattenersi e quando le lacrime gli rigarono le guance, un grido lacerante lasciò le sue labbra e rimbombò tra le pareti della sala, perdendosi nel vuoto e nell’oscurità. Che importava se John, Lestrade e Molly l’avessero sentito? Che importava se chiunque altro l’avesse sentito?
 Suo fratello era stato ucciso e nonostante Sherlock se lo fosse sempre figurato come invincibile e intoccabile, era morto e non sarebbe più stato con lui, da quel momento in poi. E la cosa che più faceva male era che la loro ultima conversazione fosse stata un litigio, in cui Sherlock l’aveva accusato di essere un pessimo fratello e di avergli mentito.
 Perché l’aveva fatto? Perché non l’aveva semplicemente cacciato senza dire una cosa del genere? Perché aveva dovuto essere così crudele con lui?
 «Mycroft…» gemette accarezzandogli il capo, sentendo le pareti del suo palazzo mentale sgretolarsi sotto il peso di tutto quel dolore. «Mi dispiace… mi dispiace…»
 Poggiò il capo sul suo petto e lo strinse in un goffo abbraccio, abbraccio che non gli aveva mai concesso quando era ancora vivo e avrebbe potuto farlo, abbraccio che Mycroft non avrebbe più potuto avere.
 «Perdonami… non volevo… non avrei mai voluto ferirti…» singhiozzò stringendo le dita intorno alla sua giacca, quasi servisse a tenerlo ancorato a sé o a riportarlo indietro… a riportarlo da lui. «Eri il fratello migliore che potessi desiderare.»
 Le lacrime continuavano a rigargli le guance, bollenti e dolorose, pesanti quanto macigni. E tutto quel dolore… quel dolore era soffocante, così bruciante e profondo da togliergli il fiato… terribile e insopportabile, più grande di qualsiasi altro avesse mai provato durante la sua vita.
 «Mi dispiace, Myc… mi dispiace tanto…» gemette. «Ti voglio bene… ti amo tantissimo… non te l’ho mai detto… mi dispiace, perdonami…» pianse, poggiando la fronte contro quella del fratello. «Devo dirtelo, Myc, devi sentirlo dalle mie labbra… torna da me…» lo implorò accarezzandogli le guance. «Torna da me… non essere morto… per favore, non puoi essere morto… non puoi lasciarmi solo…» gemette e le gambe non lo ressero più. Sherlock scivolò a terra, tenendosi la testa fra le mani. «Myc, ti prego… ti amo tanto… torna da me… torna, ti prego… ti prego…»
 Continuò a singhiozzare senza controllo, il corpo scosso da spasmi potenti, la mente sull’orlo di un’esplosione a causa del dolore e della disperazione che avevano ormai distrutto ogni parte di lui. Ogni singolo angolo del suo palazzo mentale sembrava essere stato distrutto, crollato sotto il peso di quella sofferenza. Gridò ancora e ancora, sperando di lenire quella terribile morsa che gli aveva compresso il cuore.
 Per questo quando le braccia di Greg si chiusero intorno alle sue spalle, Sherlock non si oppose, ma si lasciò stringere e cullare dolcemente. Non fece caso alle parole di conforto che l’Ispettore gli rivolse, né tantomeno a quelle di Molly, ma lasciò che per un momento, e almeno per una volta, fosse qualcun altro a occuparsi di lui.
 
 Quando il consulente investigativo si calmò – dopo aver singhiozzato per quasi un’ora tra le braccia di Lestrade, sotto lo sguardo addolorato di Molly e John – ed ebbe ritrovato la forza di parlare, sollevò lo sguardo su John, per la prima volta da quando era arrivato e vide che anche lui aveva gli abiti e le mani coperte di sangue.
 «Com’è successo?» chiese flebilmente, sentendo il capo dolere per le troppe lacrime.
 «Gli hanno sparato al petto. Hanno colpito il polmone sinistro e lo stomaco.» spiegò Molly avendo capito che John non ce l’avrebbe fatta. «È morto velocemente.»
 Un sospirò tremante lasciò le labbra di Watson. «Ho provato a fermare l'emorragia, ma non ce l’ho fatta. Mi dispiace davvero, Sherlock.» disse. «Avrei voluto salvarlo, ma non-»
 Holmes lo interruppe. «Chi è stato?»
 Il medico esitò, poi abbassò lo sguardo. Non poteva continuare a nasconderglielo. Non poteva continuare a mentire. L’avrebbe scoperto in ogni caso, presto o tardi.
 «Mary.» rispose soltanto.
 E nonostante l’avesse soltanto sussurrato, sembrò che quel nome avesse rimbombato tra le pareti dell’obitorio deciso a penetrare a fondo nelle menti di tutti.
 Gli occhi di Sherlock, vuoti e pallidi, tornarono a fissare il pavimento, increduli di fronte a quella confessione.
 «Come?» chiese senza fiato, come se avesse ricevuto una stilettata al cuore.
 La stessa Mary che aveva sposato John solo qualche mese prima? La stessa che lui aveva accolto nella sua vita perché John potesse essere felice, nonostante il suo cuore stesse lentamente andando in frantumi?
 Quando il suo corpo venne scosso da un leggero tremore, sentì la mano di Lestrade chiudersi intorno alla sua per confortarlo. E Sherlock non si ritrasse. Anzi, ricambiò debolmente la stretta, sentendo le dita dell’amico accarezzare le proprie.
 «Mi dispiace.» si scusò John, scuotendo il capo. «Non so perché l’abbia fatto. Non ne ho idea.»
 Sherlock a quel punto si volse verso Lestrade. «Devo parlare con lei.»
 Greg tentò di opporsi. «Sherlock, io non credo-»
 «Portami da lei, Lestrade.» disse rivolgendogli uno sguardo implorante.
 L’Ispettore lo osservò per un momento, poi si alzò e lo aiutò a mettersi in piedi, prendendogli la mano e tenendolo per un braccio perché non cadesse a terra.
 John avanzò. «Vengo con te.» affermò, rivolto a Sherlock. «Voglio accompagnarti.»
 Holmes scosse fermamente il capo. «No.» ribatté, secco. «Vado da solo.»
 «Ma-»
 «Ho detto che vado da solo.» ripeté con voce ferma e detto questo seguì Lestrade fuori dall’obitorio, senza permettere a John di insistere ancora.
 
 Sherlock era seduto nella sala visite del carcere, in attesa dell’arrivo di Mary. Si era imposto di mantenere il controllo e il contegno necessari per dedurre più possibile riguardo al perché la signora Watson aveva deciso di uccidere Mycroft e aveva chiesto a Lestrade di aspettare fuori per permettergli di condurre l’interrogatorio a modo suo.
 Quando Mary varcò la soglia, i loro occhi si incontrarono per un momento.
 La guardia la spinse all’interno e le indicò il tavolo, ma lei sapeva già chi la stava attendendo. Perciò avanzò e si sedette sulla sedia posta vicino al tavolo, esattamente di fronte a Sherlock. Per un momento non disse nulla, poi si decise a rompere il silenzio.
 «Mi dispiace, Sherlock.» disse solamente.
 «Non osare.» ringhiò l’uomo e le lacrime tornarono ad appannargli la vista, ma si impose di trattenerle. «Non osare nominare mio fratello, non permetterti di scusarti o dire che sei dispiaciuta, perché potrei non rispondere delle mie azioni.» disse con voce straordinariamente ferma e distaccata. «Non sono qui perché voglio ascoltare le tue inutili e alquanto poco opportune scuse, voglio solo che tu mi dica perché hai deciso di uccidere mio fratello.» concluse, puntando gli occhi in quelli di lei.
 «Non avrei mai voluto farlo.» disse lei. «Ma…»
 «Ma cosa, Mary?» la incalzò.
 La donna deglutì a vuoto e abbassò lo sguardo. «Ma lui aveva ragione riguardo a Sherrinford.» concluse.
 Sherlock aggrottò le sopracciglia. «Cosa c’entra Sherrinford, adesso?» chiese, confuso.
 «Non ci arrivi?» chiese lei, risollevando lo sguardo e scuotendo il capo. «È lui l’artefice di tutto questo. È lui che ha mandato in onda quel video spacciandosi per Moriarty. E tutto perché voleva che tu restassi a Londra.»
 Il cervello di Sherlock prese a lavorare freneticamente.
 «Se fossi partito per l’Europa dell’Est, non avrebbe potuto mettere in atto il suo piano.» aggiunse Mary.
 «Quale piano?»
 «Vuole vendicarsi su di te.» affermò. «Ti ritiene la causa della scelta di vostro padre. Crede che lui abbia scelto la vostra famiglia e non la sua, perché teneva a te più che a lui. E vuole fartela pagare.»
 «E questo cosa ha a che fare con il perché hai ucciso Mycroft?» chiese poggiandosi allo schienale della sedia. «Sono qui per avere delle risposte, non per stupide storie inventate per giustificare un omicidio.»
 Il volto di Mary venne attraversato dalla rabbia. «Giusto, parliamoci chiaramente da assassino ad assassino.» lo stuzzicò, poi riprese, vedendo il suo sguardo perplesso. «Uccidere Mycroft o Magnussen non è poi molto diverso.»
 «Ho ucciso Magnussen per proteggerti.» precisò Holmes, poggiando i gomiti sul tavolo e sporgendosi per guardarla negli occhi. «Tu invece hai ucciso Mycroft per…» la voce si incrinò pericolosamente, tanto che Sherlock fu costretto a zittirsi.
 «Tu hai ucciso Magnussen per proteggere John.» lo corresse lei, sporgendosi in avanti. Vedendo che gli occhi del consulente investigativo si erano spalancati a quell’affermazione, proseguì. «Non prendiamoci in giro, Sherlock. Siamo due adulti, abbastanza intelligenti da decidere di non mentirci l’un l’altro. È chiaro che provi dei sentimenti per John. Mi è stato chiaro dalla prima volta in cui ti ho visto e ho notato come lo guardavi. E dopo aver saputo che avevi sparato a Magnussen ne ho avuto la conferma.»
 «Questa conversazione sta cominciando a stancarmi.» disse Sherlock, distogliendo lo sguardo. «Se vogliamo parlare dei miei sentimenti per John potremo farlo davanti a una tazza di tè. Adesso voglio sapere perché hai sparato a mio fratello.»
 «Per la stessa ragione per cui tu hai sparato a Magnussen.» replicò lei.
 Holmes aggrottò le sopracciglia e si zittì. Rifletté per qualche momento su quelle parole, poi riprese. «Hanno minacciato John?»
 Mary annuì.
 «Chi?»
 «Sherrinford, te l’ho detto.» ripeté lei. «Vuole fartela pagare.»
 Sherlock abbassò lo sguardo. «Ecco perché il video di Moriarty.» disse tra sé e sé. «Sta mettendo in atto lo stesso piano di Jim. Vuole colpire me tramite le persone che amo.» risollevò lo sguardo, realizzando ogni cosa. Era stato lui ad avere accesso ai server governativi, per questo sapeva. «Ti ha chiesto lui di uccidere Mycroft?»
 La donna annuì. «Ha detto che se non avessi ucciso Mycroft avrebbe ucciso John.» sospirò. «Ho provato a cercare un’altra soluzione, ma-»
 «Non c’è nessun ma. C’è sempre un’altra soluzione.» la interruppe lui, mettendosi in piedi. «Hai ucciso mio fratello quando saresti potuta venire da me e chiedermi aiuto.»
 Mary scosse il capo. «Non questa volta.»
 Sherlock poggiò le mani sul tavolo e si chinò su di lei. «Invece sì.» sibilò. «Sta’ pur certa che anche se così non fosse, non ti perdonerei. Non ti perdonerò mai per avermelo portato via. Non ti perdonerò mai per quello che hai fatto.» le disse in un sussurro. «E se dovessi uscire di qui, un giorno, presta attenzione, perché se le nostre strade dovessero incrociarsi non esiterò a ucciderti, proprio come tu hai fatto con Mycroft.» la avvertì, poi si allontanò da lei, pronto ad andarsene.
 «Sherlock, aspetta.» lo chiamò lei.
 L’uomo si fermò, continuando a darle le spalle.
 «Devi proteggerlo.» disse la donna.
 «Non c’è bisogno che tu me lo dica.» replicò, sapendo che si stava riferendo a John. «Lo proteggerei in ogni caso, come ho sempre fatto.»
 «Devi dirgli che mi dispiace.» concluse la donna. «Per favore, devi dirglielo.»
 Lui scosse il capo. «Ti sbagli di grosso, Mary Morstan.» replicò duramente. «Io non ti devo nulla. Perciò se vorrai chiedergli scusa lo farai quando verrà da te.» concluse abbottonandosi la giacca. «Addio.» e detto questo uscì.
 
 John raggiunse Baker Street tre giorni dopo l’arresto di sua moglie. Quando entrò, la signora Hudson lo accolse con un abbraccio e con svariati baci sulle guance, quasi pensasse che sarebbero bastati per portare via quel dolore e senso di colpa che lo attanagliavano da giorni.
 Lui la ringraziò per l’interessamento, poi si diresse al piano superiore.
 Si fermò sulla soglia del salotto quando vide che Sherlock gli stava dando le spalle, immobile di fronte alla finestra. Teneva il suo violino e l’archetto stretti fra le mani, senza però suonare lo strumento, quasi stesse cercando l’ispirazione per farlo.
 «Sherlock?» lo chiamò John, muovendo un passo nell’appartamento.
 Il consulente investigativo si volse verso di lui.
 Il cuore del dottore si fermò. Non aveva mai visto Sherlock più perso e sconvolto che in quel momento, con il volto pallido, segnato dalla stanchezza e dalla lacrime, e gli occhi lucidi e spenti. Tentò di trattenersi dal chiedere se si sentisse male, sapendo quale sarebbe stata la risposta, e avanzò ancora.
 «Ti disturbo?» chiese invece, togliendosi la giacca. «Stavi componendo?»
 Sherlock a quel punto abbassò lo sguardo, quasi non si fosse accorto di avere il violino stretto tra le mani. Lo osservò per un momento, poi, con le mani che tremavano, lo poggiò sul tavolo accanto a sé e tornò a voltarsi verso John.
 «No.» rispose e andò a sedersi sulla sua poltrona. «Non ci riesco.»
 Watson aggrottò le sopracciglia. «A fare cosa?»
 «Suonare.» replicò l’altro, attizzando il fuoco nel camino. «Non riesco più a suonare nulla. Come se non riuscissi a suonare una nota dietro l’altra. Come se ci fosse qualcosa di sbagliato nell’utilizzare quel violino.»
 John andò a sedersi sulla sua poltrona. «Era un regalo di Mycroft?»
 Holmes annuì e sorrise mestamente, ricordando il giorno in cui glielo aveva regalato. «Diceva che adorava sentirmi suonare.» raccontò e gli occhi gli si riempirono nuovamente di lacrime. «Che ero così bravo da riuscire a commuoverlo.»
 «Aveva ragione.» confermò il medico. «Sentirti suonare è meraviglioso.»
 «Ormai non ha più importanza.» replicò chiudendo gli occhi e giungendo le mani le portò sotto il mento. «Non ho più nessun motivo per farlo.»
 «Non è vero, Sherlock.» disse John sporgendosi e poggiandogli una mano sul ginocchio. «Mycroft non vorrebbe questo. E nemmeno io voglio che tu smetta. Puoi farlo per me, la signora Hudson, Lestrade e Molly. Noi amiamo sentirti suonare.»
 Sherlock si ritrasse immediatamente.
 John allontanò la mano dalla gamba dell’amico e poggiò la schiena alla poltrona, tentando di non far caso al fatto che Sherlock si fosse appena allontanato da lui, quasi il contatto l’avesse infastidito.
 «Sei stato da Mary?» chiese dopo un momento.
 «Sì.» rispose Holmes.
 Watson attese per qualche secondo, sperando che l’altro gli raccontasse ciò che si erano detti, ma il consulente investigativo rimase in silenzio. «E cosa ti ha detto?» chiese quindi.
 Sherlock riportò lo sguardo sul volto dell’amico. «Perché non vai da lei e non glielo chiedi?» domandò di rimando, bruscamente.
 «Perché non voglio vederla.» rispose John con ovvietà, ignorando il tono appena utilizzato dall’amico. «Non dopo ciò che ha fatto.»
 Il consulente investigativo sospirò. «Ha detto che l’ha fatto per proteggerti da Sherrinford.» spiegò sbrigativo. «Lui l’aveva minacciata dicendole che l’unico modo che aveva per salvare te, era uccidere mio fratello.»
 John aggrottò le sopracciglia, elaborando le informazioni. «E tu le credi?»
 Holmes fece spallucce. «Non dovrei?» chiese. «Sai forse qualcosa che non so?»
 «No.» rispose il medico. «Anzi, Mycroft mi aveva avvertito di ciò di cui Sherrinford era capace, ma mai avrei pensato che avrebbe potuto usare Mary per-»
 «Perché era venuto da te quel giorno?» lo interruppe il moro, come se nemmeno avesse fatto caso alle parole dell’amico.
 «Voleva mettermi in guardia.» spiegò. «Sapeva che Sherrinford avrebbe tentato di colpire uno di noi per far soffrire te e voleva che me ne andassi da Londra per essere al sicuro.»
 Quelle parole fecero scattare qualcosa nella mente del consulente investigativo. «E perché non l’hai fatto?» domandò, sentendo la rabbia montare inspiegabilmente dentro di lui.
 «Perché volevo essere utile qui.» rispose John. «Non potevo andarmene sapendo che tu eri in pericolo e lasciarti solo ad affrontare Sherrinford.»
 Sherlock scosse il capo.
 «Avresti preferito che me ne fossi andato?» chiese. «Che fossi scappato?»
 Holmes non rispose. Continuò a tenere lo sguardo fisso sul camino.
 «Sherlock, non ti avrei mai abbandonato. Non sapendo che mi avrebbero usato come arma contro di te.» spiegò John.
 «È proprio questo il problema.» sussurrò Sherlock, più a se stesso che al medico.
 Il medico aggrottò le sopracciglia. «Come?» chiese flebilmente. Forse aveva capito male, doveva aver capito male.
 «Il problema è che chiunque può utilizzarti come arma contro di me.» spiegò Holmes, incontrando i suoi occhi. «L’ha fatto Moriarty, l’ha fatto Magnussen e lo sta facendo Sherrinford. E tutto perché…» si interruppe.
 «Tutto perché?» lo incalzò John, sentendosi colpito nel vivo da quelle parole.
 Sherlock scosse il capo e si mise in piedi, deciso a lasciare la stanza.
 Watson scattò in piedi a sua volta e gli circondò un polso con la mano prima che potesse allontanarsi. «Tutto perché, cosa, Sherlock?» disse incontrando il suo sguardo.
 «Lasciami, John.» lo avvertì con voce tremante.
 «Finisci la frase, prima.» dichiarò con voce ferma. «Perché…?»
 «Lasciami andare.» ringhiò.
 «Sherlock, per l’amor del cielo, vuoi spiegarti almeno per una volta?!»
 «Tutto perché ti amo!» esplose il consulente investigativo. Poi si liberò dalla presa dell’altro con uno strattone. «Soddisfatto?»
 John rimase senza fiato. «Cosa?» mormorò flebilmente.
 «Tutto questo è successo a causa di quello che provo per te. I miei sentimenti hanno offuscato la mia capacità di giudizio a tal punto da rendermi cieco di fronte a ciò che Mary avrebbe fatto.» riprese Sherlock. «Mi sono innamorato di te e questo non ha fatto altro che distruggere me e tutto ciò che avevo di più caro.»
 «Sei innamorato di me?» domandò Watson, incredulo.
 «Sì.» rispose Sherlock, abbassando lo sguardo. 
 Il medico non poteva credere a ciò che aveva appena sentito. «Da quanto tempo?»
 «Da sempre. Ed è stato il più grande errore della mia vita.» replicò il moro. «Mycroft non faceva che ripetermi che i sentimenti non sono che uno svantaggio e io ci avevo sempre creduto, fino a che non ho conosciuto te. Hai sconvolto il mio mondo e ogni mia convinzione. Con quel tuo essere gentile e meravigliosamente brillante hai fatto sì che tutti i miei sforzi per rimanere distaccato da ciò che mi circondava fossero vani. E guarda dove siamo finiti.» concluse. «Per questo non commetterò più lo stesso errore.»
 «Errore?» chiese John, aggrottando le sopracciglia. «Ma di cosa parli?»
 Sherlock sospirò e si volse verso la finestra. «Da adesso in poi non permetterò più che qualcosa di così banale come i sentimenti possano fuorviarmi. Non mi lascerò guidare da nient’altro che non sia il mio cervello e la razionalità.» affermò. «Devo trovare Sherrinford e fermarlo prima che arrivi a fare del male a qualcun altro e non potrò permettermi errori. Per questo non ti permetterò di aiutarmi.»
 «Scusami?»
 «Rimarrai fuori da questa faccenda, John.» aggiunse Sherlock.
 «Hai bisogno del mio aiuto. Non puoi risolvere tutto questo da solo.»
 Sherlock si volse nuovamente verso di lui. «Vedi, John, è qui che ti sbagli. Io non ho bisogno dell’aiuto di nessuno, tantomeno del tuo. Me la sono sempre cavata da solo, anche prima del tuo arrivo. Quindi non vedo perché dovrei avere bisogno di te in questo momento.» replicò in tono tagliente. «Diciamo che in realtà è sempre stato il contrario. Eri tu ad avere bisogno di me e non viceversa, ma credo che possiamo concordare che questo sia un problema tuo.»
 Gli occhi di John si velarono di lacrime. «Perché mi stai dicendo questo?»
 «Perché è la verità. E se fa troppo male perché tu la possa accettare, allora puoi anche andartene.» concluse in tono duro e detto questo oltrepassò il dottore, percorse il corridoio e si chiuse nella sua stanza, sbattendo la porta, lasciando John solo.
 
  
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ok, so che ho detto che avrei pubblicato Martedì, ma una volta riletto e rivisto il capitolo, ho capito che non era poi così male come ricordavo e mi sono decisa a pubblicarlo, considerando che lungo la settimana il tempo a disposizione è davvero poco.
Innanzitutto, chiarisco immediatamente che Mary non è incinta: ho deciso di aggirare questo aspetto della serie per una questione di comodità, anche se mi dispiace aver accantonato la questione della bambina.
Mi è costata una grande fatica e una lunga riflessione decidere di uccidere Mycroft, considerando che è uno dei miei personaggi preferiti. E spero vivamente che i nostri cari produttori non scelgano di fargli fare la stessa fine, altrimenti il mostro che c’è in me potrebbe scatenarsi.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Non so ancora quando pubblicherò il prossimo. Probabilmente Lunedì o Martedì, considerando che con l’Università il tempo è poco. ;)
A presto, Eli♥       
 
 
   
 
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