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Autore: uchihagirl    26/03/2009    11 recensioni
Mio malgrado, anche io sono stata trascinata in questo delirio collettivo, e ne subisco le conseguenze.
Partecipante alla Alphabet!Challenge, pairing Karl/Genzo.
Dedicata a Pucchyko_girl
Che succede quando un portiere giapponese presuntuoso e un pallone gonfiato di tedesco si incontrano, manovrati da una pazza NeoSlasher?
Scoppia l'aMMMore, che domande ù.ù
Con la partecipazione di Margas, Schuster e Kaltz.xD
Genere: Generale, Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hermann Kaltz, Karl Heinz Schneider
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Alphabet – Eebiishii

Die Liebe von A bis Z – L’amore dalla A alla Z





Arrogante.” Fu la prima cosa che pensarono l’uno dell’altro, quando Kaltz li presentò.
Nonostante entrambi avessero sentito parlare della persona che avevano di fronte – il Kaiser era una leggenda e il portiere nipponico si portava dal Giappone la fama di essere imbattibile – si scoccarono appena un’occhiata fugace, che però bastò.
Genzo vide l’austerità di Schneider nel suo sguardo glaciale e sorrise.
Karl notò subito l’espressione di sfida del portiere – non era per niente intimidito- e ammiccò.
Dai loro visi trasparivano la stessa sicurezza nelle proprie capacità e un’infinita determinazione.
Si strinsero la mano, guardandosi negli occhi: sarebbero andati perfettamente d’accordo.

Berretto, l’onnipresente accessorio di Genzo che aveva dato origine a una serie di leggende metropolitane: cosa c’era sotto di esso?
Hermann una volta aveva esclamato che serviva a nascondere una calvizie incipiente, ma si era guadagnato un manrovescio e neanche mezza conferma.
Nonostante le congetture e gli agguati, nessuno aveva mai scoperto cosa si celasse sotto quel feticcio – persino negli spogliatoi Genzo riusciva a sfuggire alle occhiate indiscrete.
Nessuno, tranne Schneider, che, la prima volta che lo spogliò, commentò, ghignando bastardo: “Bei ricci, Raperonzolo!”
Il segno del morso di Genzo fu visibile sul collo niveo del Kaiser per diversi giorni.

Caustico e pungente, Genzo non era una persona con la quale era facile relazionarsi. Metà dei compagni di squadra dell’Hamburg lo teneva alla larga e, quando arrivarono i suoi connazionali dal Giappone per l’amichevole, litigò con gran parte di essi.
Era acido e permaloso, con la risposta pronta e il cazzotto facile, ma Karl lo amava anche per questo: con lui era impossibile annoiarsi.
Ma quando, il giorno del loro anniversario, bussò alla sua porta con in mano il contratto di acquisto di una casa tutta e solo per loro due, Schneider rimase senza parole: non finiva mai di sorprenderlo.

Donzella spaurita, altro che Kaiser!” lo sfotteva Genzo quando erano stesi sul prato e Karl si dimenava in modo davvero poco dignitoso per scacciare un insetto che gli si era avvicinato troppo.
Schneider aveva una sacrosanta paura degli insetti dall’età di cinque anni: in campeggio in Provenza, un suo cugino più grande gli aveva messo accanto al cuscino una locusta stecchita.
Non si era mai più ripreso dallo shock.
Genzo all’inizio sghignazzava senza remore, ma poi lo prendeva per la vita e sussurrava: “Tranquillo, ti proteggo io.”
I prati erano luoghi molto più ospitali tra le forti braccia del portiere.

Esibizionismo, una cosa che non sopportava del suo fidanzato.
Non solo in campo dava spettacolo inventandosi parate spettacolari da sostituire a semplici prese vecchio stile, ma lo aveva addirittura costretto a fare outing improvvisamente, durante la conferenza stampa dell’Hamburg.
Senza pensarci troppo, alla domanda: “Schneider, come mai uno bello come lei non ha ancora la ragazza?” il portiere lo aveva baciato con passione, incurante – ma compiaciuto – dei click delle macchine fotografiche attorno a loro. Karl, dapprima contrariato, gli aveva poi preso il viso tra le mani e lo aveva sovrastato.
Era pur sempre il Kaiser, doveva mantenere una parvenza d’autorità.

Fame, quell’atavico bisogno che partiva dallo stomaco e che gorgogliava fino al cervello, impedendogli di pensare ad altro che al cibo. Anche l’amore che provava per Genzo passava in secondo piano quando Karl aveva appetito.
Le prime volte che Genzo aveva assistito ai pasti imperiali consumati dal suo – apparentemente -composto ragazzo, era rimasto basito: era impossibile che riuscisse a mangiare tutta quella roba con tale foga e rimanere comunque magro. Col tempo ci aveva fatto l’abitudine, fino a riuscire a pranzare con lui senza sentirsi incredibilmente anoressico.
Una cosa, però, rimaneva certa: non lo avrebbe mai portato fuori a cena.

Golia e Davide, i personaggi biblici, spuntavano frequentemente nei loro allucinati discorsi post sesso. Rimanevano ore svegli a parlare e molte volte finivano per discutere a proposito dei rispettivi paesi.
Era stato il Kaiser a soprannominarli la prima volta Davide e Golia, commentando la vittoria della nazionale nipponica sulla sua squadra con un: “D’altronde, anche Davide era sfavorito, piccolo e inesperto, eppure lo ha ammazzato, il gigante Golia.”
Il portiere non aveva afferrato subito il paragone, ma poi era scoppiato a ridere, pensando che lui non aveva avuto bisogno di una fionda per far capitolare Schneider: era bastato un sorriso.

Hamburg aveva diverse discoteche, una più bella dell’altra. La migliore era “Grosse Freiheit 36” (1): ci andavano spesso, con la squadra, a festeggiare qualche vittoria o semplicemente a fare casino, sebbene il capitano odiasse i nightclub. C’era troppo rumore e poi lui era del tutto negato a ballare, quindi rimaneva tutto il tempo incollato al tavolino.
Questo fino alla sera in cui Genzo lo aveva preso per mano e trascinato in pista, ignorando le sue proteste. Aveva fatto spallucce: “Non c’è gusto, senza di te.”
Suo malgrado, il Kaiser si era sentito costretto a tornarci ogni volta, in quel dannato posto.

Irritante e invadente, questi erano gli epiteti più gentili che a volte Karl si trovava ad associare a Hermann. Non era colpa sua se non riusciva a pensare ai suoi due amici come a una coppia che aveva bisogno di intimità, ma, semplicemente, era sempre in mezzo alle palle quando il Kaiser aveva voglia di fare qualcos’altro con il suo fidanzato, oltre che giocare alla Play.
Spesso era tentato di urlargli dietro, poi desisteva, notando lo sguardo di Genzo. Così faceva buon viso a cattivo gioco, pensando che, in fin dei conti, si sarebbero rifatti più tardi del tempo perduto.

Jeans, quegli stupendi Jeans Levi’s, i preferiti di Genzo. Erano molto belli: chiari, con dei piccoli strappi sulle ginocchia e aderenti, tremendamente aderenti. Gli fasciavano il culo in un modo così perfetto che era difficile per Karl staccarne gli occhi e, anche se si sforzava, il suo sguardo tornava sempre sui quei glutei sodi.
E alla domanda del portiere: “Che cosa stai guardando con tanta insistenza, Karl, me lo puoi spiegare?” dissimulava, con nonchalance degna di un attore professionista: “Nulla, figurati.”
Nessuno avrebbe mai dovuto sapere che lo stoico e insospettabile Schneider era in realtà un allupato di dimensioni cosmiche.

Kaiser era l’ormai fantomatico soprannome di Karl che da anni circolava nell’ambiente calcistico.
Genzo non sapeva chi fosse stato il primo a chiamarlo in quel modo, ma concordava del tutto con Hermann sul fatto che il nomignolo gli calzasse a pennello, non solo perché Schneider aveva un carisma e una classe degna di un imperatore, ma anche per via della sua alterigia e capricciosità, che lo facevano sembrare una principessa viziata.  
Si era trovato un po’ meno d’accordo con Kaltz sul fatto che, come suo consorte fisso, il suo soprannome non avrebbe dovuto essere Super Great Goal Keeper, bensì Kaiserin.
 
Liebe macht blind” (2) diceva spesso la madre di Karl, pensando al grandioso amore tra lei e Schneider Senior, prima che i problemi si accavallassero e creassero quella spaccatura così difficile da ricucire che faceva soffrire tanto i figli.
La donna aveva preso Genzo in simpatia e gli raccontava di come fosse stata cieca quando aveva sposato il grande calciatore, pensando che lo sport non avrebbe creato barriere tra loro due.
Genzo annuiva, anche se non condivideva per niente quel proverbio: lui vedeva ogni più piccolo, insignificante e sfumato difetto di Karl ma, probabilmente, proprio per quello lo amava così tanto.

Minare le certezze degli altri e sbattere in faccia le loro debolezze era sempre stata tra le pratiche preferite di Genzo: si divertiva come un matto a sfottere e punzecchiare.
La sua sincerità esagerata urtava molti in Giappone, e anche in Germania era stata notata dai suoi nuovi compagni di squadra, che ne avevano sperimentato un po’ sulla loro pelle. Ma quando aveva suggerito a Schneider di correre diversamente perché sembrava una papera, questi lo aveva rimbeccato: “Non fare lo stronzo con me, Wakabayashi, tanto sai che non attacca.”
Per la prima volta in vita sua, Genzo era stato zittito.

Nuotare, una delle poche cose che il portiere nipponico non sapeva fare.
Avevano provato a insegnargli, ma non c’era stato verso: finiva sempre e comunque mezzo affogato. A complicare le cose, c’era anche il fattore paura: non lo avrebbe mai ammesso ma era terrorizzato dall’acqua. Soprattutto, era terrorizzato dall’acqua fredda.
Motivo per cui, quando avevano proposto una scampagnata al mare con picnic sulla spiaggia e bagno corredato, si era sentito morire. Era stato trascinato controvoglia su quella spiaggia, ma, con Karl in costume accanto a lui, diafano e bellissimo, forse quella non era una giornata del tutto buttata nel cesso.

Oh cazzo.” Questi due flebili suoni, usciti dalla bocca di Karl con un tono a metà tra l’indispettito e il rassegnato, erano bastati a far svanire tutta la magia che aleggiava nella stanza in quel momento. Genzo aveva grugnito, contrariato perché l’altro aveva smesso di dedicare quelle piacevoli attenzioni linguistiche al suo ombelico, ma non aveva avuto bisogno di girarsi per capire cosa avesse distratto il capitano dalla sua importante occupazione.
Era stato sufficiente il commento piatto e disincantato di Schneider: “Kaltz, chiuditi la mascella e levati dalle palle, per favore. Non vedi che siamo occupati?”
Sbuffò: erano stati sgamati.

Passione e perfezionismo, due elementi che li accomunavano.
Erano entrambi esigenti con loro stessi e per questo si trovavano ogni pomeriggio al campetto, per allenarsi.
Schneider provava e riprovava il suo FireShot, rendendolo sempre più potente.
Genzo invece saltava, si buttava, cadeva, falliva e si rialzava, tentando di bloccare quel tiro micidiale.
Venne il giorno in cui lui riuscì a fermare la palla prima che superasse la linea bianca di porta.
Quel pomeriggio il Kaiser gli si avvicinò e disse, un attimo prima di baciarlo: “Ben fatto, Wakabayashi.”
Da allora i loro incontri si fecero molto più frequenti e appassionati.

Quanti giorni sono che non fate il bucato, ragazzi?” commentava schifato Hermann quando trovava cumoli di panni da lavare negli angoli più insospettabili.
Sia Schneider che Genzo erano spaventosamente disordinati: da bravi bambini viziati, non erano avvezzi ai lavori domestici ed sembravano due bradipi tanto erano pigri.
Quando se ne erano andati di casa, avevano detto che “se la sarebbero cavata da soli”. O con l’aiuto di un amico, comunque. Fatto stava che Kaltz, irrimediabilmente schiavizzato, doveva passare da loro almeno una volta alla settimana per fare una lavatrice, altrimenti l’Ufficio d’Igiene, allertato dalla puzza, avrebbe arrestato i due inquilini.
 
Russava, il suo fidanzato, e anche in modo piuttosto vigoroso.
Aveva il sonno più pesante di un macigno, si agitava, tirava calci e agitava le braccia come un forsennato.
Non che non fosse carino, eh: quando dormiva i suoi lineamenti si rilassavano e sembrava tranquillo, angelico, quasi, con quella pelle diafana e i capelli biondi.
Non era carino, era bellissimo, e lui non si stancava mai di ammirarlo, dal suo lato del letto.
Soltanto, alla quinta volta in una notte che si svegliava per i rumori molesti, Genzo si chiedeva chi gliel’avesse fatto fare, di andare a convivere con Karl.

Schuster e Margas erano ormai delle presenze fisse nella loro vita.
Spesso, Karl prendeva e andava da Franz, per aiutarlo a risolvere l’ennesimo problema con Manfred; non aveva bisogno di dire dove stesse andando, bastava un’occhiata eloquente a Genzo, accompagnata dal nome Schuster, ed era tutto chiaro.
Quando Schneider era occupato a sbrigliare le seghe mentali del regista, Margas non doveva essere presente: così passava dal numero uno dell’Hamburg. Per non farlo sentire solo, si giustificava, ma Genzo sapeva perfettamente che anche lui aveva bisogno di sfogarsi.
Così si ritrovavano a sparlare dei propri fidanzati, con una birra in mano.

Tsubasa era la persona più stupida e ottusa che avesse mai incontrato. Kojiro Hyuga compreso.
Per carità, Genzo stimava Ozoora: era un giocatore fantastico, ma non brillava certo per intelligenza e presenza di spirito.
Eppure in quel frangente aveva sperato che il neurone solitario del capitano giapponese riuscisse a connettere e ad assimilare l’informazione.
Ma, ovvio, non era stato così.
Quando aveva appreso che Wakabayashi e Schneider stavano insieme, Tsubasa aveva sfoggiato l’espressione più ritardata del suo repertorio e aveva chiesto, candidamente: “Stanno insieme in che senso?”
Genzo dovette impedire fisicamente a Kaltz di fargli un disegnino esplicativo.

Uno, il numero del primato.
Il numero uno troneggiava sulla schiena di Wakabayashi e, raddoppiato, su quella del Kaiser.
Sia Karl che Genzo avevano sputato sangue per raggiungere il massimo e meritare l’appellativo di “numeri uno”: avevano fatto enormi sacrifici per raggiungere il loro obiettivo, ma, alla fine, ce l’avevano fatta.
Schneider aveva riabilitato il suo cognome nell’ambiente calcistico e Genzo si era affermato come grande portiere anche in Germania.
Ma, sulla vetta, avevano capito che l’eccellenza non serve, se non puoi condividere le tue gioie con qualcuno. E loro, due numeri uno, si erano incontrati, per formare una coppia.

Vincere la finale contro Karl era stato incredibile.
Sapeva sarebbe stato divertente – la rivalità tra di loro non si era mai assopita – ma non aveva idea che, dopo la vittoria, si sarebbe sentito in colpa.
L’adrenalina gli scorreva nelle vene e i tifosi lo esaltavano ancora di più, ma era quasi insopportabile la vista della testa bionda di Karl china verso il terreno.
Poi Schneider aveva urlato: “Smettila di fare quel muso e festeggia, idiota!”, tutte le remore erano andate a farsi fottere e aveva promesso che quella vittoria gliel’avrebbe rinfacciato a vita, a quel pallone gonfiato del suo ragazzo.

Wüster e crauti era stato il primo piatto tipico tedesco che aveva assaggiato.
Genzo da sempre amava la carne, ma in Giappone questo alimento veniva utilizzato poco, per cui aveva dovuto farne a meno.
Quando era approdato in Germania aveva trovato la terra dei suoi sogni: praticamente ogni pasto era a base di carne. E quando Kaltz gli aveva messo davanti i wüster per la prima volta, ne era rimasto estasiato, decidendo di eleggere quel piatto come suo favorito.
Inutile dire quale tipo di battute avesse sollevato questa passione, una volta venuta alla luce la sua storia con il Capitano.

X-mal.” (3) fu la risposta di Karl quando il suo fidanzato gli chiese, in un momento di intimità: “Lo rifaresti?”
“Rifare cosa?”
“Metteresti ancora in gioco la tua carriera, il legame con la tua famiglia, i rapporti con la squadra pur di stare con me?” Era serio, Genzo, per una volta.
Il biondo lo aveva guardato in tralice: “Che razza di domande fai?”
“Quindi la risposta è sì.” Genzo aveva ghignato soddisfatto e compiaciuto, riacquistando quella spacconeria che gli era caratteristica.
“Lo sapevo: non puoi fare a meno di me.”.
Schneider aveva sbuffato, piccato: “Sei un idiota. Lo rifarei mille volte.”

You don’t have to be rich to be my boy! You don’t have to be cool to rule my world!” (4) gorgheggiava Genzo sotto la doccia, nonostante Karl lo supplicasse di risparmiargli lo show.
In risposta alle sue lamentele, il giapponese alzava il volume della voce, aggiungendo colore alla performance con mosse stile Michael Jackson, finché il Kaiser, esasperato, non spalancava la tendina della vasca e ringhiava:
“Wakabayashi, o la pianti o passo alle vie di fatto!”
Al che, il portiere, malizioso, lo trascinava sotto l’acqua e lo baciava.
“Non aspettavo altro.”
Karl ghignava: quel trucco riusciva sempre a farlo tacere.

Zucche, zucche e ancora zucche. Zucche dappertutto!
Era il primissimo Halloween che festeggiava, ma sapeva che sarebbe stato anche l’ultimo.
Non riusciva a capacitarsi di come si fosse lasciato convincere da Marie – microscopica ma sadica fotocopia del fratello – a giocare con lei e le sue amiche ai travestimenti.
Solo a tarda sera il Kaiser aveva recuperato il suo fidanzato, con una dose abbondante di ombretto sulle palpebre.
Dopo che ebbe salvato il portiere, Karl gli sussurrò all’orecchio: “In questo momento il soprannome Kaiserin ti si addice proprio, sai?”
Dopo questa infelice uscita, Schneider rimase in astinenza forzata per una settimana.


Ventisei sono le lettere dell’alfabeto e ventisei sono le lettere che compongono quella frase che aleggia tra Genzo e Karl, che racchiude tutto il loro amore.

„Ich liebe dich, mein lieb Gegner.“ (5)







Note:
(1). Locale esistente nella realtà ad Hamburg
(2). Proverbio equivalente al nostro “l’amore è cieco”
(3). Letteralmente “un numero imprecisato di volte”, qui assume il significato di “mille volte”
(4). Indovinate che canzone sta cantando Genzo?       Massì, proprio Kiss di Prince^^ Per esigenze di trama ho cambiato girl in boy.
(5). Ti amo, mio caro avversario. Questa frase è composta da 26 lettere, e la frase precedente da 26 parole! xD





*.*



E dopo questo, posso definitivamente affermare che i pochi neuroni che sopravvivevano a stento nel mio cervellino baKato di fangirl si sono sterminati tra loro, vittime di un meccanismo omicidio-suicidio che si è innescato non appena la sottoscritta, arrivata alla lettera G, ha cominciato ad avere crisi di isteria.
Lo so, ho iniziato a sclerare fin troppo presto, ma comprendetemi, questo è il mio approdo sul fandom di CT e non ho mai slashato nessuno prima d’ora ù.ù
Eppure, dopo numerose maledizioni lanciate al mio povero computer – che, per una volta, non c’entrava nulla – e diversi insulti in direzione di Pucchyko_girl (Pucchy non me ne abbia male), ci sono riuscita: ho finalmente concluso questo delirio.^^

Come avrete notato, non tutte le drabble sono ambientate durante la relazione tra i due piccioncini, ma ci sono diversi stralci del loro rapporto prima della lettera P.^^
Ho inserito diverse parole in tedesco, in primis il nome di Amburgo, Hamburg, perché credo sia giusto lasciare i nomi originali alle città. Il titolo è l’accostamento dei due termini che traducono, rispettivamente in tedesco e giapponese, la parola alfabeto.
Per altre traduzioni vi rimando alle note^^

Non sono pienamente soddisfatta del risultato, devo dire: non mi sembra di padroneggiare benissimo i due personaggi e di sicuro il mio lavoro è mooooolto inferiore agli altri ispirati a questa Challenge. Ci ho messo però il cuore, impegnandomi a fondo e non gettando la spugna. Da questo punto di vista sono abbastanza fiera di me stessa! xD
Questa fic è dedicata a Pucchyko_girl, che ha ideato questa fantastica tortura e che mi ha brillantemente iniziata al mondo dello slash in CT. La lettera S in particolare è stata scritta per lei.
Grazie, Pucchy.
E io neppure ti conosco… Vabbè.
E grazie anche a tutte le altre autrici (Melanto e Maki, le ideatrici di ELF, kitsune999, berlinere e altre) che mi hanno trasformata in slasher convinta ù.ù


Elena



Commenti bene accetti, anzi graditi *smile*
   
 
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