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Autore: Youth_    13/03/2016    3 recensioni
[What if?]
Cosa sarebbe successo se la Regina "Cattiva" non avesse mai lanciato il sortilegio? E se Emma fosse cresciuta con i suoi genitori, lodata e ammirata in quanto futura erede al trono, sarebbe stata diversa? Avrebbe incontrato Killian Jones, e se sì, come?
Ma soprattutto, come sarebbe andata la storia?
Un gioco di scacchi dalle mosse imprevedibili, uno spettacolo di marionette in cui i pupazzi e i burattinai si confondono tra loro; il re cadrà, e la corona verrà spezzata, rivelandone le debolezze.
Un prigioniero temibile, un mozzo, una regina esiliata e una traditrice: Once Upon A Time, come non l'avete mai visto.
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Non è il giuramento che ci fa credere all’uomo, ma l’uomo al giuramento.
- Eschilo”




- Première... No, Emma, quella è la sesta posizione, non la prima...-
Emma si lasciò scappare un urletto soffocato. Osservò la sua immagine nello specchio della sala da ballo: indossava un tutù stretto in vita e con una gonna molto ampia che le pizzicava le caviglie.
Sortiva un certo effetto quando cominciava a girare come una trottola, ma la sua professoressa di danza classica non sembrava gradire, e da più o meno due ore stavano provando a fare le posizioni base, con scarsissimo successo.
Emma si passò una mano tra i capelli, che aveva rinunciato a legare. La frustrazione dipinta sul suo viso le impediva persino di rallegrarsi per il pomeriggio libero. Peccato che quelle agognate ore sembrassero non arrivare mai...
- Allora, vogliamo ricominciare?-
- Penso sia ora di andare- pigolò timidamente Emma, dando un’occhiata all’orologio a pendolo posizionato in un angolo della sala. Quelle lancette le mettevano ansia, come se ogni secondo scandito da esse fosse un momento perso, un passo falso, un errore irrecuperabile.
Desiderava andarsene, e basta.
L’insegnante di danza sospirò, massaggiandosi le tempie con le dita:- Va bene. Tanto, non combineremmo niente, se restassimo un’ora di più qui-
Emma cercò di non sorridere troppo largamente; al contrario, sbatté le lunghe ciglia e, simulando un profondo dispiacere, mormorò:- Mi dispiace, madame. Sono un disastro...-
- Oh, no Emma, non lo sei...- esclamò la donna, facendole una carezza:- Sono sicura che diventerai una ballerina eccezionale. Dobbiamo solo lavorare un po’-

 La principessina si lasciò scappare un sorrisino.
Nonostante per lei il tempo non passasse mai, erano già trascorsi quattro anni dalla sua era di giochi e divertimenti: aveva compiuto da poco tredici anni e, in vista della cerimonia per presentarla alla società ―o, come la chiamava Killian, “l’esposizione di merce preziosa a prezzi più bassi”, guadagnandosi puntualmente un pugno affettuoso sulla spalla―, la madre stava facendo di tutto per risvegliare il piccolo genio della giovane.
Ad Emma, da parte sua, non dispiaceva dover seguire lezioni diverse, a patto che potesse avere il pomeriggio della domenica interamente per sé; l’unica sua preoccupazione erano le aspettative della madre.
D’altra parte, i suoi genitori erano degli eroi; delle leggende, nella Foresta Incantata.
Si supponeva che la figlia del vero amore fosse un prodigio, una stella dall’incredibile versatilità, con una bellezza stupefacente ed innumerevoli talenti. Emma, dal canto suo, non faceva fatica ad avvalersi della seconda qualità, vanitosa com’era; ma per il resto, era solo una bambina.
Non sapeva suonare il piano, e non aveva una particolare inclinazione personale per il violino; in storia, poi, era davvero terribile. Per non parlare della geografia.
Insomma, un fiasco totale, una buona a nulla.
Ma ciò che la teneva ben lontana da quella scarsa considerazione di sé era la sua capacità innata di stregare chiunque le fosse vicino.
Sembrava una dote naturale, tant’è che Emma pensò di cimentarsi nella stregoneria, se sua madre non glielo avesse proibito malamente: non solo per la sua autorità, sembrava abituata ad essere servita e riverita; e siccome la massa odia essere conformista, nel suo intimo, completava il circolo, viziandola e ricoprendola di complimenti.
Era la ragazza più desiderata del regno, e ciononostante non riusciva a sentirsi felice.
Che poi, cosa sia la felicità, non lo sa nessuno.
Chi potrebbe? Chi ne ha assaggiato il sapore, ne è stato maledetto, ed è stato un morso talmente fugace da non riuscirne ad acchiappare il segreto. Chi non l’ha provata la desidera, la cerca senza nemmeno sapere come averla, come trovarla. Per quanto ne sapeva Emma, poteva essere già felice e non sapere di esserlo.
E allora, se fosse stato così, a cosa avrebbe dovuto attribuire quel buco nello stomaco che la tormentava la notte, risvegliando i mostri assopiti, gli incubi taciuti?

 Pensava a questo, la giovane Emma, mentre percorreva il corridoio che l’avrebbe condotta verso le cucine.
Spinse la porta, e per poco un cameriere non le rovesciò il purè di patate addosso, data l’enfasi con cui stava imboccando l’uscita.
Egli si fermò di botto, tenendo il piatto in equilibrio col palmo della mano destra: con l’altra mano si sistemò i capelli corvini, come sperando che non fosse stato lui a spiaccicarsi a terra, al posto del purè.
- Hey, ma chi... Oh, principessa Emma, siete voi-
- Salve- salutò educatamente la ragazza, accorgendosi con relativo stupore che non si ricordava il nome del cameriere.
Lui, comunque, non sembrò accorgersene, e uscì ricominciando a marciare, come se avesse fretta di consegnare quel piatto. Emma lo osservò allontanarsi, finché a catturare il suo interesse non fu uno splendido profumo di cioccolato che le riempì le narici.
Senza badare troppo ai formalismi, entrò in cucina, stando in punta di piedi per guardare cosa stessero facendo i cuochi sui piani cottura. Uno di loro, uno chef convocato dal castello della principessa Belle ―una sua coetanea con cui aveva giocato un paio di volte prima di considerarla troppo noiosa per lei―, stava preparando la deliziosa torta che aveva tentato le sue narici.
Emma si leccò le labbra, avvicinandosi. Lo chef, notandola, si lasciò scappare una risata:- Cosa fate qui, mademoiselle, con un tutù?-
- Sono stata attratta dal vostro dolce, signore- spiegò lei, battendo ancora una volta le ciglia.
Lo chef, deliziato da un visino così dolce, le scoccò un’occhiata complice e prese un coltello; tagliò uno spicchio di torta e, strizzando l’occhio destro, glielo passò avvolto in un fazzoletto bianco.
Emma rimase lì a guardarlo, come incantata:- Grazie-
- Mais de rien-

Qualche minuto dopo, Emma sedeva sul muretto di pietra che cingeva la stalla, al momento vuota a causa di alcuni lavori che suo padre stava operando lì dentro, cose che non le interessavano.
Diede un altro morso alla torta, mormorando compiaciuta: la adorava.
Piuttosto triste per non essere in compagnia ma troppo furba per pensare che lo sarebbe stata ancora per molto, avvolse la torta rimanente nel fazzoletto e, a gambe penzoloni, guardò il cielo, come assorta.
Aspettava qualcuno in particolare, ma egli sembrava non avere nessuna fretta a farsi vivo, e così lei pure. Si distese sul muretto, le braccia lungo i fianchi e la mente chissà dove, lì dove solo i bambini possono andare.
Era entrata in uno stato di dormiveglia, come tra il sonno e il risveglio; a spingerla definitivamente verso la seconda sponda, fu un paio di occhi verdi.
Emma non distolse lo sguardo, e piuttosto infastidita disse:- Potresti evitare di venire di soppiatto ogni volta?-
- Non sono venuto di soppiatto- si scusò lui, tornando a sedere sul muretto:- Sono qui da un po’. Sei tu che dormi troppo. Pigrona-
- Quindi hai già mangiato il pezzo di torta?- chiese lei, sorvolando il commento.
- Quelle quattro briciole? Sì, buonissime-
- Ho faticato per prenderle- asserì lei spavalda:- L’ho dovuta rubare dalle cucine, era dei miei genitori-
- Emma, non sai dire le bugie-
- Non è vero-
- Beh, non a me- ribatté il ragazzo, poggiandole il fazzoletto bianco sugli occhi, dispettosamente:- Ora smettila di lamentarti e ascoltami-

 - Novità dalla Jolly Roger?- chiese lei, mettendosi a sedere per bene per poter guardare meglio Killian.
Aveva un’alga tra i capelli, il che gli capitava spesso, e aveva ancora l’orlo dei pantaloni e i polsini della camicia fradici. Se non fosse stato per quei tre particolari non indifferenti avrebbe persino pensato che si fosse tirato a lucido giusto per farle visita; ma non era per nulla nello stile di Killian.
- Manca una botte- brontolò lui, slacciando una fiaschetta dalla cintura:- Stiamo cercando di capire chi si è tracannato il vino-  
- Pensate che sia uno dei vostri?-
- Io non lo penso, ma il capitano vuole comunque fare i controlli. Ha ispezionato praticamente tutti, anche me e mio fratello, e i mozzi più giovani- rispose lui, stappando il curioso contenitore.
Lo mostrò ad Emma, con malcelato orgoglio:- Queste sono le fiaschette dei marinai, quelli seri-
- Cosa ci si tiene dentro?-
- Quello che vuoi- rispose lui, scrollando le spalle:- Loro ci mettono il rum, ma io non posso berlo e mi sembra il momento meno appropriato per cominciare, quindi ci metto acqua o succo di zucca-
- Bevi succo di zucca?-
- Me lo dà una delle tue badanti- confessò lui, strizzando l’occhio:- Quella rossa. Penso si sia innamorata di me. Come potrebbe non farlo, d’altra parte...-
- Sei troppo pieno di te per concedere agli altri di apprezzarti- commentò lei, alzando il mento:- E poi, sinceramente, non ti trovo per niente attraente. Sei un ragazzino con i piedi sporchi e i capelli arruffati-
- E tu sei una bambina viziata e capricciosa-
- Ti detesto!-
- Tu mi ami, Swan- asserì lui, guadagnandosi un’occhiata inorridita.
Lui, come se non fosse successo niente, continuò:- Non lo sai ancora, ma un giorno mi amerai, e allora io ti dirò di no-
- Tu non puoi dirmi di no. Nessuno può dirmi di no- rispose lei, come una litania, una filastrocca che era solita pronunciare.

 Era quanto mai vero: nessuno diceva no ai capricci della principessa, fare il contrario avrebbe sollevato polemiche e problematiche di ogni tipo, quindi era sempre meglio non rischiare e assecondare ogni desiderio della piccola.
I genitori le permettevano tutto, e quindi Emma era piuttosto abituata a ricevere solo assensi comuni.
L’idea di un “no” come risposta la infastidiva come poche altre cose, era una sensazione fastidiosa ed irritante.
Scacciò via il pensiero con un gesto della mano, e prima che Killian continuasse con il suo discorso, decretando così morte certa, domandò:- Piuttosto, non hai qualche novità interessante da raccontarmi? Qualche racconto da marinaio, qualche storia?-
- Ne ho giusto una, oggi- ridacchiò lui soddisfatto, richiudendo la fiaschetta:- Ieri abbiamo fatto un falò, e il secondo in comando ci ha parlato di un’isola da cui nessuno è mai tornato-
- E lui allora come fa a sapere che esiste?- domandò lei, scettica.
- Beh, lui dice di aver udito canti di sirene- rispose lui, con tono da mistero.
- E cosa cantavano?-
- Cantavano dell’Isola Che non C’è- cominciò lui, incrociando le gambe, emozionato:- Un’isola che si può raggiungere solo usando dei fagioli magici, o attraverso altri portali a noi sconosciuti-
- Perché si chiama “Isola Che non C’è”, se invece a quanto pare c’è?-
- Non è accessibile a tutti- continuò lui, pazientemente:- Sembra che lì ci vadano solo i bambini-
- Bambini? E per fare cosa?-
- Immagina il posto più bello che ti viene in mente- esclamò Killian, gesticolando:- Un posto dove non ci sono regole, né grandi che ti dicono cosa fare. Un posto dove puoi volare e fare tutto quello che vuoi, senza alcuna preoccupazione. Un posto dove il tempo si ferma, e rimani così come sei, senza crescere mai!-
- Così dicevano le sirene?- chiese Emma, rapita:- E tu ci credi?-
- Le sirene sono esseri ingannevoli- l’ammonì lui, sorridendole scaltro subito dopo:- Ma nelle loro storie, c’è sempre un fondo di verità-
Emma rimase in silenzio per qualche secondo, ammaliata da quel mondo irreale che Killian le aveva descritto. Un luogo dove nessuna preoccupazione l’avrebbe rincorsa chiedendole di indossare questo o quel corsetto, di essere perfetta, di essere la figlia del re e della regina. Un luogo dove poter essere lei, eternamente, meravigliosamente lei.
Doveva andarci.
- Partiamo insieme, allora!- esclamò subito, colta da una fiamma improvvisa:- Portami all’Isola Che non C’è. Non lo diremo a nessuno, saremo solo io e te!-
Killian rise, con un’ilarità che scoraggia i cuori intrepidi e dissipa la nebbia dell’immaginazione, che a volte confonde più di quanto aiuti:- Emma, tesoro, se fosse per me, ti avrei già portata via... Ma non possiamo-
- Perché?- s’indispettì lei:- Tu sei praticamente un marinaio esperto e io... Beh... Tu hai bisogno di me. Ce la caveremmo benissimo...-
- È solo un sogno, Emma- sospirò lui, con una saggezza che non aveva ma che doveva rubare per lei:- Noi non ci andremo mai, lì. Non so dove sia, non ho fagioli magici, e la Jolly Roger ha bisogno di me. I tuoi genitori hanno bisogno di te-
- Io non ho bisogno di nessuno- affermò lei con convinzione, incrociando le braccia al petto:- Potrei andarci da sola...-
- Ti prometto- s’inserì lui, con uno sguardo eloquente:- Che andrò sull’Isola Che non C’è, controllerò che sia sicura e ti ci porterò in un baleno, prima o poi-
- Promesso?-
- Promesso-

 I due si guardarono a lungo, studiandosi come per quantificare l’importanza del gesto che avevano appena fatto cercando di capire che effetto avesse avuto sull’altro. Poi Killian sorrise, tagliando l’ansia a fette:
- Comunque, mi pare di averti sentita chiamarmi “marinaio esperto”-
- Ero presa dalla circostanza- si scusò lei, frettolosamente:- Sono una splendida attrice, non una macchina della verità-
- Quindi, se servisse, mi diresti anche che sono affascinante?-
- Non ti servirebbe mai- stroncò lei subito, sistemandosi le pieghe della gonna:- Te lo dici almeno quaranta volte al giorno. Non hai bisogno di me, in questo caso-
- Io ho sempre bisogno di te, Swan- replicò lui lusinghiero, prendendole la mano come in un’esibizione teatrale, platealmente:- Sei tu che mi respingi-
Emma allontanò la mano, ridendo imbarazzata, e scese dal muretto:- Avanti, Romeo, ho il pomeriggio libero e non ho intenzione di sprecarlo con le tue moine-
Killian saltò, e atterrò agilmente ―molto più rispetto ad Emma, ma preferì non farglielo notare― sul terriccio morbido, scambiandosi un’occhiata complice con la compagna di giochi:
- Andiamo nella sala degli specchi a spaventare i passanti?-
Emma rise, estremamente divertita all’idea di vedersi tramutare in un mostro dal riflesso di uno specchio:- Andata!-
Avevano tredici anni e tutta la vita davanti.
Ne passarono altri tre, e furono troppo pochi per dirsi addio. 
   
 
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