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Autore: AdeleBlochBauer    13/03/2016    3 recensioni
Se Valjean fosse stato presente quando Javert tentò il suicidio.
Un percorso morale e spirituale che, da qui, può scaturirvi.
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Una storia scritta qualche tempo fa, dedicata unicamente all'amore e alla gratitudine per Victor Hugo.
Non chiedo nulla e non ho nessuna pretesa: ma, forse, se hai amato I Miserabili quanto l'ho amato io, forse questo ti piacerà.
O, almeno, lo spero.
Grazie.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Javert, Jean Valjean
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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2. Utilità dei viali alberati

 

La bontà è una qualità estremamente complessa, forse la più complessa fra le qualità. Incredibilmente più ardua da riconoscere e da giudicare in un uomo di quanto non lo siano, per esempio, l’onestà o la rettitudine. E sia ben inteso: quando parliamo di qualità riconoscibili in un individuo, non prendiamo in considerazione il giudizio esterno. Delle considerazioni su tale fenomeno, soprattutto nella sua sfumatura di giudizio popolare, spesso falso ed ipocrita, ci spingerebbero solo ad esprimere astio e diffidenza. Ma sarebbe inutile soffermarci sul disgusto che ci provocano le calunnie e le insinuazioni, le ruffianerie e le lusinghe interessate, scaturite da una massa di lingue pigre e dipendenti l’una dall’altra, a catena, formando così un circolo chiuso, arrogante ed ignorante, dove verità e dignità semplicemente non hanno posto. No: su chi è tanto cieco e ottuso da difendere a spada tratta giudizi e opinioni basati, e motivati, unicamente sulla terribile epidemia del “sentito dire”, piaga che in continuazione rovina vite, anime e storie, non vogliamo spendere troppo del nostro tempo e del nostro risentimento. “Non ti curar di loro, ma guarda e passa”. Dante docet.

Il tipo di giudizio su cui vogliamo ora concentrarci, quindi, non è esterno, bensì interno. Ovvero: come un cuore giudica se stesso. È da questo punto di vista che affermiamo la natura poliedrica della bontà, rispetto alle altre caratteristiche dell’uomo. Un individuo, infatti, può facilmente dire di se stesso: “sono onesto” o “sono retto”. Non altrettanto facile è poter affermare, con la certezza di dire del vero, nel senso più assoluto: “sono buono”. 

Ma perché questa sorta di tabù interiore? Noi crediamo che la risposta a quasi ogni domanda stia nella comprensione, che deriva dalla conoscenza, che deriva dall’analisi. Analizziamo, quindi, la bontà: come definirla? Sicuramente qualcosa sta, per dirlo molto banalmente, nel compiere buone azioni.

Ed è proprio qui che sta il punto: qui sta la questione, il vero interrogativo, la possibile biforcazione nella linea retta. Tale argomento è uno dei temi principali non solo della storia che il lettore sta ora leggendo, ma (cosa ben più importante) dell’opera che ci ha così grandemente ispirato. Con che criterio un’azione può essere definita “buona”? E buona per chi? Terribile e impenetrabile questione. Questo, lo ricordiamo, fu il dilemma che ossessionò Jean Valjean durante il caso Champmathieu. L’ex galeotto, per tutti il sindaco Madeleine, si era ritrovato a scegliere con quale bontà avrebbe dovuto agire: quella in vantaggio di Fantine e delle centinaia di operai che dipendevano da lui, o quella in vantaggio del paesano Champmathieu e della propria stessa identità? Questa scelta, apparentemente irrisolvibile, lo aveva gettato come sappiamo in una grande crisi. Come poteva sapere dove stava il volere di Dio? Era il dovere di sindaco o quello di ex galeotto a cui doveva adempiere?
Ciò che comprese, infine, fu che la propria dignità davanti a Dio doveva essere cercata nella verità, mai nella menzogna. Quindi scagionò Champmathieu, denunciandosi.
Abbiamo voluto rievocare con poche parole tale vicenda di Valjean perché il lettore rammenti con viva memoria il tortuoso dilemma della bontà e, soprattutto, le situazioni quasi impenetrabili in cui seguire i principi della bontà non è certo cosa da poco. Lo esortiamo, inoltre, a non dimenticarsi di questa breve, ma necessaria, digressione, situata in un tale punto focale del racconto. La natura contorta di ciò che è buono è un tema sul quale ritorneremo.

Diciamo, comunque, un’ultima cosa: che le lunghe ore spese a risolvere il dilemma Champmantieu furono un’eccezione per la coscienza di Valjean. La sua, infatti, era una di quelle rare nature in cui la bontà non nasceva dalla ragione, bensì dall’istinto. Fu per questo che, quando assistette al tuffo di Javert, non vide il suo nemico più temuto che rinunciava finalmente a tormentarlo. Non si accorse del feroce ispettore di Polizia che, con quel gesto, gli rendeva finalmente la libertà assoluta, agognata da quasi tutta una vita. Quando Javert si buttò, Valjean seppe che doveva salvare un uomo che stava per morire.

Tutto questo fu il suo pensiero.

A Valjean vennero in mente gli alberi del viale che costeggiava il fiume. Volse le spalle alla Senna e  spezzò il ramo più grosso e robusto che riuscì a scorgere. In quel momento sentì alle sue spalle un tonfo sordo: il corpo di Javert aveva raggiunto l’acqua. Valjean pregò disperatamente che fosse sopravvissuto all’impatto. Gettò il grande pezzo di legno nel fiume e si tuffò di seguito.
Aggrappato al ramo, che lo aiutava contro le micidiali rapide del fiume in piena, riuscì ad afferrare il braccio inerte di Javert. 

E’ scientificamente dimostrato come le potenzialità massime del nostro corpo vengano sfruttate nella loro totalità solo in momenti assolutamente particolari, dettati dai sentimenti o dagli affetti uniti alla necessità. Il profondissimo legame che si interpone fra la mente e il corpo è uno di quei misteri della natura umana che non finiranno mai di stupirci. Assistendo al pericolo di morte di una vita cara, una forza prodigiosa e talvolta insospettabile può emergere negli animi delle persone appartenenti principalmente a tre categorie: quelli spinti da un sentimento famigliare, quelli spinti da un sentimento amoroso e quelli, dei quali spesso ci si dimentica, spinti da un semplice e universale sentimento d’umanità. Questi ultimi stimano troppo il valore di ogni singola vita umana per non considerarla indispensabile, tanto quanto si considera indispensabile la vita di un famigliare o della persona amata. Jean Valjean apparteneva a quest’ultima categoria di persone: la necessità di salvare Javert gli era imposta dal sentimento profondamente religioso e umano che l’aveva guidato per tutti quei diciassette anni.

Con questa potenza prodigiosa nelle braccia e nelle gambe scaturita, dunque, dalla necessità, sorretto dal grande pezzo di legno e trascinandosi dietro Javert, riuscì infine a raggiungere e risalire la riva da cui si era gettato. Mollò il ramo e trascinò in salvo anche il corpo inanimato di Javert. Fradicio, spossato e tremante, Valjean gli tastò il polso. Batteva debolmente.

Con un flebile “oh!, grazie”, Valjean si accasciò sul terreno erboso, scosso da violenti colpi di tosse, completamente privo di forze.
Dopo qualche minuto, quando finalmente riuscì a riprendere un poco il controllo del proprio corpo e gli spasmi erano diminuiti, si voltò verso l’altro.

Javert si era svegliato, e lo guardava.

“Voi!” sibilò Javert.
Il suo sguardo non era mai stato tanto feroce.

   
 
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