Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Mistiy_Ronny    13/03/2016    2 recensioni
Chi è eren?
Bella domanda al quale proprio non poteva rispondere o per meglio dire, non riusciva a fornire una risposta logica.
Eren non l'aveva mai visto, non sapeva neppure che aspetto avesse, in teoria si trattava di un nome maschile perciò doveva trattarsi di un uomo. Non sapeva assolutamente nulla a riguardo però nei sui sogni quelli in cui volava, vi era sempre quella voce rude ma capace d'accarezzare la pelle. Non era mai riuscita a vedere il proprietario di quel suono, ogni volta si risvegliava la visione onirica svaniva assieme al movimento della palpebra.
Genere: Drammatico, Fluff, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: De-Aging, Lime, What if? | Avvertimenti: Gender Bender, Tematiche delicate
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Era inciampata in un sonno privo di sogni che quando si alzò non riuscì a sentirsi riposata, tutt'altro. Si rialzò con la testa tambureggiante e l'umore di traverso, il fisico era ancora più infiacchito di quando aveva posato la nuca sul cuscino. Scese giù per lubrificare la bocca secca con un bicchiere d'acqua e lo sguardo andò alla finestra, constatò che il crepuscolo invernale era già giunto. Il sole era tramontato dietro le case e il cielo era dipinto da una miscela di colori tendenti all'arancione. Perché i tramonti invernali erano sempre così fantastici? Non potè perdersi in pensieri romantici dato l'occhio cadde sul frigo metallico, sopra all'anta risaltava un quadratino giallo.

Nell'armadio c'è uno scatolone, all'interno vi sono giocattoli. Portateli il più presto possibile all'asilo di Trost “little Titans". Sono per la donazione natalizia “ vi era scritto questo sul post-it fluorescente e una smorfia nacque sul suo viso, riconobbe la calligrafia di suo padre, se così si poteva chiamare un individuo che si faceva vedere qualche ora alla domenica per poi ripresentarsi sotto forma di post-it o richieste telefoniche.
Non era mai stata una figura molto presente nella sua vita ma da quando sua madre era morta non faceva altro che viaggiare per lavoro e così Mikasa ed Erna, crescerono praticamente da sole.
Non portava un grande rancore nei confronti di suo padre, nel momento in cui era venuto a mancare il collante di quella famiglia lui se le era data a gambe ma nonostante ciò le manteneva economicamente, non lo rispettava ma perlomeno non le aveva abbandonate completamente a loro stesse.
Prese il foglietto tra le mani rileggendo la frase, si soffermò sulle parole “donazione natalizia”, Grisha stava scaricando addosso alle figlie una sua dimenticanza, Erna non avrebbe fatto una bella figura consegnando di persona quel regalo dato che il mese Natalizio era passato da un pezzo.
Guardò la pattumiera stracolma di rifiuti di ogni sorta e la tentazione di gettare la richiesta su quella montagnola fu molto invitante, anzi era quasi irresistibile, però rifletté: Mikasa presto sarebbe tornata a casa per “parlare” ma lei sarebbe potuta uscire e quella le sembrava un occasione per fuggire via.
Mise il pezzo di carta nella tasca pronta per uscire.

. *** .


Levi Ackerman era sempre stato definito come un individuo distaccato e poco socievole, Tale deficit era compensato da un'intelligenza arguta e da un senso del dovere che avrebbe fatto invidia qualsiasi militare. Questa era l'impressione che lasciava impressa ai conoscenti e a coloro che avevano avuto la possibilità d'incontrarlo. Questa personalità riservata accompagnata da due occhi tempestosi resi ancora più profondi da quelle sfumature scure poste sotto gli occhi, aveva strappato il cuore a un considerevole numero di ragazze. Quello che le faceva impazzire era quel riflesso tenebroso impresso nei suoi occhi, era talmente affascinante che la bassezza passava in secondo piano.
Per tutti questi insieme di motivi al capezzale della sua casa si presentavano parecchie donne, ma veramente poche ebbero privilegio di entrarvi. Se fosse stato dieci centimetri in più probabilmente avrebbe derubato i cuori dell'intera città.
Questo diniego verso le avance femminili portarono parecchie male lingue a insinuare il fatto che fosse omosessuale, ma il pettegolezzo non venne mai confermato dato che Levi non fu mai visto approcciarsi in modo provocatorio assieme a un altro uomo. Mai. L'orientamento sessuale del giovane rimase un mistero per le povere ragazze con il cuore infranto, ma la verità era molto semplice: Levi non era minimamente interessato a intrattenersi in una relazione sentimentale, né con un uomo né con una donna. Certo, era un essere umano dotato di ormoni perciò aveva avuto qualche scappatella ma il numero era talmente esiguo che le si potevano contare sulle dita d'una mano. In quella apatica indifferenza che poteva essere scalfita solamente da amici stretti, trascorse gli anni del liceo e anche quelli universitari.
Terminata l'università tutti i suoi compagni s'aspettavano che si sarebbe unito a chissà quale compagnia importante, che un uomo così diligente e impeccabile fosse destinato a diventare un pezzo grosso della società. Quando Levi aprì un asilo spiazzò tutti quanti lasciandoli con le mandibole spalancante e le braccia cadenti. Un uomo dall'animo glaciale aveva deciso di trascorrere la sua vita assieme a dei marmocchi urlanti, persino il suo migliore amico Erwin, la persona che vantava il fatto di conoscere meglio di chiunque altro Levi, era rimasto basito da tale scelta. Quest'ultimo osservava il moretto movimentarsi qua e là armato di grembiule e scopa: quando anche l'ultimo bambino era stato raccattato su dalla mamma, Levi e i restanti collaboratori si mettevano sempre all'opera per far risplendere quel posto ed eliminare ogni sorta di sporcizia prodotta da quei “piccoli titani straccia palle”(così li definiva Levi).
Il gigante biondo vestito in giacca e cravatta, posò il sedere su un basso tavolino e aprì bocca
<< Senti Levi, tu non mi hai ancora spigato il motivo per cui fai l'insegnante >>
<< Perché sono cazzi miei >> disse in tutta calma senza mostrare la minima rabbia.
<< Beh, lo sai con i voti che avevi potevi fare qualsiasi mestiere, ogni esame l'hai superato con la lode >>
Il corvino disattivò l'attenzione dal pavimento impolverato per porla all'amico.
<< Tipo il dirigente di banca? >> disse sarcastico squadrando da capo a piede.
<< Non sdegnare così il mio mestiere, guadagno bene, posso viaggiare e se tu fossi il mio vice … >>
<< No, non m'interessa, perciò smettila di corteggiarmi con stipendi assurdi e viaggi gratuiti come se fossi la fighetta più ambita del paese >> disse secco ed Erwin non poté fare altro che sorridere
<< Beh, tu sei la fighetta del regno, hai ricevuto più proposte lavorative tu di tutti i laureandi del nostro corso >> sorrise ripensando alle montagne di lettere e telefonate ove i dirigenti di compagnie internazionali domandavano la sua presenza, tali volte venivano persino a supplicarlo.
<< Io sto bene dove sono >>
<< Questo non lo metto in dubbio, però non hai risposto alla domanda. >>
Lo stava per mandare al diavolo ma vendendo lo sguardo di Erwin illuminato da una genuina curiosità, decise che fra tutti era l'unico che meritava una risposta.
<< Non vado molto d'accordo con le persone, lo sai no? >> Erwin annuì, il suo fare impregnato di sarcasmo tendeva ad allontanare la gente.
<< Non amo neppure i bambini, sono stupidi però la loro stupidità è in qualche modo è giustificata dal fatto che non hanno vissuto abbastanza per poter prendere decisioni intelligenti, inoltre ho la sensazione che in una vita passata avevo a che fare con dei mocciosi >>
Erwin sbatté le palpebre alquanto confuso pensando che l'amico aveva aspirato troppo l'odore del pongo e della colla. Levi notò immediatamente la nota confusa dipinta-si nel suo volto
<< Erwin lascia stare, non sforzare quel cervello matematico >>
Erwin rise di gusto, poteva averlo anche sorpreso con quella professione ma in fondo a Levi s'addiceva quel lavoro: era un uomo dotato d'un carisma innato che lo rendeva un ottimo leader, di conseguenza un bravo maestro rispettato. Riusciva a infondere fiducia nelle persone.
<< Piantala di ridere come un cretino, non dovresti tornare a casa da tua moglie? >>
<< Sì dovrei >>
<< Allora sposta quel culone dalla sedia e vai >>
<< Va bene Levi, ci vediamo >>



. *** .


<< Che diamine c'è qua dentro? Giocatoli o mitragliatrici? >> sibilò a denti stretti trattenendo lo scatolone fra le mani. Era dannatamente pesante, se ne era accorta mentre lo caricava sull'autobus ma prese coscienza della sua effettiva pesantezza dopo aver percorso sei isolati. Doveva percorrerne altri cinque.
Non era solamente pesante, ma lo scatolone era talmente ingombrante che le intralciava la visuale frontale, perciò onde evitare di finire con il sedere a terra, doveva controllore a dovere i propri passi.
Lo sguardo andò verso la laterale strada sgombra per poi capitare al marciapiede opposto, intravide sotto la luce dei lampioni una figura, anch'essa pareva avere qualcosa d'ingombrante fra le braccia. Provò una certa empatia nei confronti di quella persona.
Gli occhi altalenarono un poco( per quanto la situazione glielo concedesse), attorno a sé e si rese conto che non vi era nessuno, passava accanto a negozi dalle saracinesche abbassate, non vi erano passanti, il silenzio era colmato dai rumori di auto vaganti in altre strade e dai suoi stessi passi. Non era così tardi, il buio era calato eppure non poteva aver passato così tanto tempo sul veicolo che l'aveva portata in quella zona. Fatto sta che le uniche anime vaganti in zona era lei e il tipo situato al di là del marciapiede. La coda dell'occhio si riposizionò dall'altro capo e la figura scura c'era ancora, continuava a camminare, gli parve che la stesse scrutando furtivamente.

Ecco, ora sto diventando paranoica come Mikasa, quella appena vede uno con la faccia losca si mette sulla difensiva” pensò fra sé.

Nonostante la rassicurazione mentale l'occhio le sfuggiva e andava sempre a finire là, ove l'uomo continuava a camminare, forse andava per la propria strada e non s'era curato neppure della sua presenza, eppure la sgradevole sensazione d'essere osservata non se ne voleva andare via.
Per smentire quei dubbi paranoici piantò i piedi per terra, girò il collo e lo vide, anche lui s'era arrestato. Lo osservò cercando di studiare l'immagine ma la notte limitava la vista e la distanza era troppo lunga per un occhio nudo. L'unica cosa che poté recepire era che vestiva scuro e tra le mani reggeva qualcosa di grande dalla forma cubica. Attendeva che si muovesse, che compisse una qualsiasi mossa invece rimaneva lì fermo con il capo volto verso la sua direzione, questo fatto la innervosì a tal punto che decise d'agire.

Ora vado a sentire che cacchio vuole questo qui “ pensò fra sé e sé mentre posava il pacco a terra.

Marciò decisa, percorse la strada, l'individuo la imitò.
Passo dopo passo la figura poco chiara cominciò a prendere forma, il viso era ancora nascosto dall'oscurità, però poté notare che era dotato d'una corporatura sottile perciò si trattava senza dubbio d'una ragazza, tra le mani stringeva il pugno, forse deteneva un arma così Erna la imitò, non possedeva un oggetto affilato, ma era un asso nel combattimento corpo a corpo. Era pronta a intrattenersi in un combattimento frontale così accelerò il passo per poter sferrare il primo colpo ma quando calpestò il marciapiede si bloccò. Alzò il pugno piano verso l'alto e la ragazza portò all'insù il braccio sinistro. Erna compì un passetto all'indietro e la sconosciuta fece lo stesso. Il fiato le morì in gola quando constatò che quello si trattava di un edifico con i vetri a specchio, il nemico non era altro che il suo riflesso, non si era riconosciuta. Tutta la pesantezza della consapevolezza le piombò addosso schiacciandola contro l'asfalto. La testa prese a girare come una trottola e le orecchie furono tappate da un fastidioso ronzio. Non era la prima volta che le capitava, era già successo parecchie volte in passato perciò sapeva come risolvere la situazione, come smaltire quella schiacciante oppressione. Veloce scoprì la l'avambraccio portando la manica fino al gomito e senza alcuna esitazione, affondò i denti. La bocca si riempì d'un gusto metallico dalla nota amara così distaccò i denti, guardò le goccioline scure calare giù dalla piccola ferita e il bruciore pulsante la fece tornare alla realtà: sentiva già i piedi leggeri, la vista non girava più e l'udito stava tornando. Con un fazzoletto di carta preso fuori dalla tasca, tamponò la ferita, non era profonda e il sanguinamento s'era già arrestato. Gettò uno sguardo veloce al riflesso di fronte a sé e due labbra macchiate da gocce cremisi brillavano. Con un altro fazzoletto le scacciò via dal volto per poi ritornare sui propri passi accompagnata da quel piccolo dolore .


. *** .


Era quasi giunta, aveva superato il cancello e si ritrovava in un giardino decorato con qualche scivolo e un paio di altalene. La meta oramai era stata raggiunta e francamente non vedeva l'ora di mollare quel coso per tornarsene a casa, anche se questo fatto comportava il dover affrontare Mikasa.
Sbuffò nel momento in cui notò dei gradini condurre verso la porta vetrata. La meta era così vicina eppure così lontana. “Un passetto alla volta” si ripeté.
Così fece e ci riuscì, il secondo problema stava nel pigiare il campanello, non poteva di certo imbrattare lo scatolone posandolo sul marmo. Con qualche strana acrobazia riuscì a spingere il piccolo bottoncino adoperando il gomito.
Nessuno si presentò al capezzale, ritentò.

Giuro che se nessuno si presenta, lascio qua tutto e me ne sbatto le palle!” ripeté mentalmente mentre il piede tambureggiava frenetico sul suolo sottostante.

Il rumore d'una porta, si sporse leggermente per dare un'occhiata a chi era dinnanzi a sé, ma prima della vista venne raggiunta da una voce
<< Eren >>
Le palpebre si immobilizzarono verso l'alto, il respirò si bloccò disperdendosi all'interno del torace. Il fiato sbatteva contro il petto e lottava contro la gola serrata. Erna era bloccata, paralizzata da un uragano d'emozioni. Il cuore scalpitava così forte che sentiva i battiti pulsare nelle tempie. Il cuore doleva, come se quella voce avesse assunto le dimensioni di una mano e quest'ultima si fosse insinuata nel suo petto stringendole forte il muscolo. Il corpo s'irrigidì assieme agli arti e fu inevitabile, lo scatolone cadde producendo un tonfo assordante.
Senza l'impaccio di quell'aggeggio si ritrovarono faccia a faccia. Nessuna parola venne pronunciata, eppure Erna si accartocciò su se stessa e scoppiò a piangere.


. *** .



Levi vedendo la ragazza piangere, fece l'unica cosa sensata che le venne in mente, afferrò il pacco caduto a terra e le ordinò di seguirla. Senza troppe cerimonie l'aveva condotta nella piccola cucina dell'asilo facendola accomodare al tavolo. Aveva messo in ebollizione l'acqua per il the e senza dire una parola, aspettò che la giovane smaltisse quel pianto isterico.
<< Scusa, io … non so cosa diamine mi sia preso. >> Erna imbarazzata sopra ogni limite, cacciò via con il pollice qualche residuo di lacrima.
<< Non importa, sono abituato ad avere a che fare con i mocciosi >> disse con calma ponendo una tazza fumante sotto al suo naso.
Le aveva appena dato della mocciosa? Rispondergli in rima sarebbe stato tipico di Erna, eppure si trattenne. Doveva ancora riprendersi dallo shock, ora si ritrovava faccia a faccia con quella voce, la voce che durante il sonno le scuoteva l'anima.
Levi appariva imperturbabile come se non fosse accaduto niente di che, eppure osservava la ragazza dinnanzi a sé e non sapeva come giustificare la parola uscita fuori dalle sue labbra. L'aveva chiamata Eren, quel nome era balzato fuori con una tale naturalezza che non sapeva neppure spiegarne il motivo. Non aveva neppure incontrato nessuno con quel nominativo, nemmeno il volto della ragazza gli pareva familiare. Era un uomo attento perciò rimembrava ogni volto che incontrava, l'opzione che l'avesse conosciuta e che si fosse scorata di lei non era da prendere in considerazione.
Probabilmente l'aveva vista da qualche parte in giro per caso, si trattava senza alcun dubbio di questo anche se la reazione della ragazza l'aveva lasciato alquanto perplesso.
Scacciò via quel pensiero alzandosi in piedi
<< Questo scatolone? >> domandò Levi chinandosi per staccare via lo scotch marrone che lo teneva ben chiuso
<< Ah, è una donazione da parte di Grisha Jaeger, mio padre >>
<< Il medico Jaeger? >>
<< Sì, lo conosci >>
<< Certo che no, però tuo padre è conosciuto a livello internazionale, non sai quanti articoli ho letto >> disse saccente scioccando la lingua sul palato.
Erna contorse la fronte pensando fra sé “che bel caratterino di merda”.
È già, il modo in cui guardava i giocattoli con quel fare quasi annoiato, come se non fosse affatto contento d'aver ricevuto quella donazione, la faceva alquanto irritare. Si era fatta tutta quella strada per non ricevere neppure un ringraziamento, anzi gli era costata una bella figuraccia. Piangere così dinnanzi a uno sconosciuto, non l'avrebbe raccontato a nessuno.

Forse è colpa degli ormoni “ si chiese ponendo la mano sul basso ventre dolorante. Era ora di tornare a casa e non vedeva l'ora di riposarsi, così afferrò la giacca

<< Vai via? >> domandò così tanto per fare, non serbava molto interessato della questione appena posta.
<< Sì, rischio di perdere l'ultimo autobus >> disse frettolosamente, doveva immediatamente andarsene da lì, magari i suoi occhi la tradivano di nuovo e quelli ricominciavano a gettare acqua.
<< E' tardi ti porto io >>
Erna sbatacchiò le palpebre, stare un quarto d'ora in macchina con l'uomo che le aveva scatenato un pianto isterico? No, grazie
<< No, non è necessario, non voglio disturbarti >>
<< Oi, se mi recasse qualche disturbo non l'avrei proposto >>
Nemmeno il tempo di controbattere che quello aveva già il cappotto addosso e le chiavi in mano.
<< Andiamo >> disse secco ed Erna lo seguì.

. *** .

sono proprio una testa di cazzo”

Si ripeté mentre osservava dal finestrino il paesaggio metropolitano correre via assieme alla macchina. Era in una scatola di latta con uno sconosciuto, se Mikasa fosse venuta a conoscenza di una tale cosa l'avrebbe rimproverata, neppure Erna si sarebbe fatta trasportare così facilmente da qualcuno, eppure non le pareva un tipo aggressivo. Dalle poche battute scambiate, aveva afferrato il fatto che fosse un tipetto dal carattere difficile ma non gli pareva violento. Aveva la sensazione che poteva fidarsi di lui. Questa fiducia da dove derivava? La risposta era talmente scema che la scacciò via dalla testa. Ovviamente derivava sempre da quel sogno che quasi ogni notte si ripeteva.

Erna sei proprio una scema” si ripeté per poi gettare lo sguardo all'indietro, giusto per distrarsi un poco da quella situazione paradossale nel quale si era immischiata.

Di sottecchi guardò i sedili posteriori, vi erano alcuni scatoloni dal quale fuoriuscivano bambole di pezza e macchinine di plastica.
Bambole e macchine.
Quando era piccola sua madre si ostinava a regalarle le prime, eppure non provava alcun interesse nei confronti di quei giocattoli, anzi le odiava. Non detestava solo le bambole ma anche i vestitini che sua madre la costringeva a indossare, odiava portare i capelli lunghi e non si trovava affatto a suo agio con le coetanee. Provava talmente tanto astio nei confronti del mondo femminile che un giorno dichiarò a sua madre: “voglio essere un maschio”, crescendo si rese conto che si trattava di un desiderio infondato. Se non si trovava a suo agio con le bambine d'altro canto non si trovava bene neppure con i maschi, infatti spesso finiva invischiata in qualche rissa e tornava a casa con la pelle macchiata da lividi. Aveva trascorso la maggior parte dell'infanzia nella solitudine, poi nella famiglia arrivò Mikasa e le cose cambiarono. Aveva una sorella con il quale riusciva a trovarsi bene, poi nella sua vita entrò anche il suo migliore amico Armin e non fu più sola.
Il quadretto relazionale instaurò un precario equilibrio che si spezzo quando giunse l'adolescenza. Un punto fondamentale in cui cominciò la sua disperata ricerca della sua identità, se non gli piaceva essere donna allora forse era gay. Su questa possibilità decise di frequentare una ragazza di nome Christal, carina e gentile, eppure non ebbe nemmeno per un attimo la tentazione di baciarla, anzi l'idea di sfiorarla la inorridiva, così tentò un approccio nei confronti dell'altro sesso. All'età di sedici anni uscì con Marco, le faceva il filo da un pezzo e così quando le chiese d'uscire, accettò senza troppi problemi. Marco era una persona deliziosa con cui poter trascorrere del tempo, godeva della sua compagnia eppure il risultato fu il medesimo: neppure una volta le sfiorò l'idea di toccarlo.
E così rimase nel mezzo, tra la macchinina e la bambola di pezza, non provava attrazione né per l'una ne per l'altra.
Il veicolo s'arrestò bruscamente, le scatole si scossero assieme al filo dei suoi pensieri, Erna si voltò in uno scatto e vide la luce rossa di un semaforo. Fermata brusca ma almeno era riuscito a non oltrepassare la linea. Approfittò di quel frangente tranquillo per osservare di sottecchi il guidatore: teneva la schiena ritta perfettamente allineato con l'asse del collo, ritto e definito.
Si soffermò sui suoi capelli talmente neri che si mimetizzavano nella notte, ciuffi sottili ricadevano frastagliati sulla fronte diafana. Aveva un taglio particolare, erano lunghi davanti e dietro la nuca invece erano praticamente rasati.
Era un uomo bello, ma la bellezza non derivava unicamente dai suoi lineamenti bensì dalla psiche: quelle labbra intrappolate in un mezzo broncio, quelle occhiaia profonde mostravano che non era un uomo sereno. Nascondeva qualcosa che si trattasse d'un segreto innocuo o losco … questo non lo sapeva.
Riconobbe casa sua e la macchina si fermò al fianco del cancello. Era il momento di congedarsi, eppure non sapeva neppure cosa dire, mentre slacciava la cintura si rese conto d non conoscere il suo nome. E così non si fece troppi scrupoli a domandarglielo
<< Come ti chiami? >>
Le pupille tempestoso si movimentarono verso di lei, rimase muto come se fosse indeciso se rivelare o meno la propria identità.
<< Levi >> soffiò veloce.
Se la sua voce era in grado di accarezzarla e stringerle il petto, quel nome non le procurava alcuna sensazione.
Lui la fissava come se fosse in attesa di qualcosa, e così le venne in mente il suo nome, quello stampato sul certificato di nascita.
<< Erna, il mio nome è Erna >>
<< Erna >> Levi ripeté piano, come se lo volesse imprimere bene a modo nel cervello e poi il silenzio ricalò. Alquanto disagiata da quel vuoto di parole, Erna decise che era momento di tagliare la corda
<< Beh, allora … ciao! >> impacciata oltre ogni limite, scese dalla macchina con una tale fretta che sembrava avere le braci sotto ai piedi.
<< Erna >> la sua voce le impedì di proseguire il cammino, si voltò e il finestrino era abbassato, lui si era esposto e la guardava dritta negli occhi.
<< Ringrazia tuo padre da parte mia per la donazione >>
<< Lo farò >> schietta cercò di tranciare quel discorso, casa sua era così vicina, pochi passi e quella strana tortura sarebbe terminata.
<< Inoltre noi due ci rivedremo >> la buttò lì così con una tale non noncuranza che Erna fece fatica a dire qualcosa.

mi sta chiedendo un appuntamento?”

Neppure il tempo di esternare il suo dubbio che la macchina sfrecciò via, era già arrivata all'incrocio e in un battito di ciglia svanì.



ANGOLO PSICHIATRICO ;)

Ciao bella gente :)
Come prima cosa mi scuso per eventuali errori ortografici, ho riletto il testo ma quelli scappano sempre alla vista >.<
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, prego qualche divinità che l'idea di un Levi che lavora con un branco di mocciosi non vi disgusti( io lo trovo troppo spassoso :D)
Spero che l'entrata di Levi nella storia non abbia suscitato noia, non è stata così epica e neppure memorabile a parer mio, però mi è sembrato giusto così, siamo in un AU ambientato ai giorni nostri e dato che i giganti non esistono, non sapevo esattamente come farlo entrare nella storiaXD
Comunque sia lascio il giudizio a voi, spero di sentirvi <3

un abbraccio grande

Mistiy

   
 
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