Era inciampata in un sonno privo di sogni che quando si alzò non riuscì a sentirsi riposata, tutt'altro. Si rialzò con la testa tambureggiante e l'umore di traverso, il fisico era ancora più infiacchito di quando aveva posato la nuca sul cuscino. Scese giù per lubrificare la bocca secca con un bicchiere d'acqua e lo sguardo andò alla finestra, constatò che il crepuscolo invernale era già giunto. Il sole era tramontato dietro le case e il cielo era dipinto da una miscela di colori tendenti all'arancione. Perché i tramonti invernali erano sempre così fantastici? Non potè perdersi in pensieri romantici dato l'occhio cadde sul frigo metallico, sopra all'anta risaltava un quadratino giallo.
“ Nell'armadio c'è
uno scatolone, all'interno vi sono giocattoli. Portateli il
più
presto possibile all'asilo di Trost “little Titans". Sono per
la
donazione natalizia “ vi era
scritto questo sul post-it fluorescente e una smorfia
nacque
sul suo viso, riconobbe la
calligrafia di suo padre, se così si poteva chiamare un
individuo
che si faceva vedere qualche ora alla domenica per poi ripresentarsi
sotto forma di post-it o richieste telefoniche.
Non era mai stata una
figura molto presente nella sua vita ma da quando sua madre era morta
non faceva altro che viaggiare per lavoro e così Mikasa ed
Erna,
crescerono praticamente da sole.
Non portava un grande
rancore nei confronti di suo padre, nel momento in cui era venuto a
mancare il collante di quella famiglia lui se le era data a gambe ma
nonostante ciò le manteneva economicamente, non lo
rispettava ma
perlomeno non le aveva abbandonate completamente a loro stesse.
Prese il foglietto tra le
mani rileggendo la frase, si soffermò sulle parole “donazione
natalizia”, Grisha stava scaricando addosso alle
figlie
una sua dimenticanza, Erna non avrebbe fatto una bella figura
consegnando di persona quel regalo dato che il mese Natalizio era
passato da un pezzo.
Guardò la pattumiera
stracolma di rifiuti di ogni sorta e la tentazione di gettare la
richiesta su quella montagnola fu molto invitante, anzi era quasi
irresistibile, però rifletté: Mikasa presto
sarebbe tornata a casa
per “parlare” ma lei sarebbe potuta uscire e quella
le sembrava
un occasione per fuggire via.
Mise il pezzo di carta
nella tasca pronta per uscire.
. *** .
Levi Ackerman
era sempre stato definito come un individuo distaccato e poco
socievole, Tale deficit era compensato
da un'intelligenza arguta e da un senso del dovere che avrebbe fatto
invidia qualsiasi militare. Questa era l'impressione che
lasciava impressa ai conoscenti e a coloro che avevano avuto la
possibilità d'incontrarlo. Questa personalità
riservata
accompagnata da due occhi tempestosi resi ancora più
profondi da
quelle sfumature scure poste sotto gli occhi, aveva strappato il
cuore a un considerevole numero di ragazze. Quello che le faceva
impazzire era quel riflesso tenebroso impresso nei suoi occhi, era
talmente affascinante che la bassezza passava in secondo piano.
Per tutti
questi insieme di motivi al capezzale della sua casa si presentavano
parecchie donne, ma veramente poche ebbero privilegio di entrarvi. Se
fosse stato dieci centimetri in più probabilmente avrebbe
derubato i
cuori dell'intera città.
Questo diniego
verso le avance femminili portarono parecchie male lingue a insinuare
il fatto che fosse omosessuale, ma il pettegolezzo non venne mai
confermato dato che Levi non fu mai visto approcciarsi in modo
provocatorio assieme a un altro uomo. Mai. L'orientamento sessuale
del giovane rimase un mistero per le povere ragazze con il cuore
infranto, ma la verità era molto semplice: Levi non era
minimamente
interessato a intrattenersi in una relazione sentimentale,
né con un
uomo né con una donna. Certo, era un essere umano dotato di
ormoni
perciò aveva avuto qualche scappatella ma il numero era
talmente
esiguo che le si potevano contare sulle dita d'una mano. In quella
apatica indifferenza che poteva essere scalfita solamente da amici
stretti, trascorse gli anni del liceo e anche quelli universitari.
Terminata
l'università tutti i suoi compagni s'aspettavano che si
sarebbe
unito a chissà quale compagnia importante, che un uomo
così
diligente e impeccabile fosse destinato a diventare un pezzo grosso
della società. Quando Levi aprì un asilo
spiazzò tutti quanti
lasciandoli con le mandibole spalancante e le braccia cadenti. Un
uomo dall'animo glaciale aveva deciso di trascorrere la sua vita
assieme a dei marmocchi urlanti, persino il suo migliore amico Erwin,
la persona che vantava il fatto di conoscere meglio di chiunque altro
Levi, era rimasto basito da tale scelta. Quest'ultimo osservava il
moretto movimentarsi qua e là armato di grembiule e scopa:
quando
anche l'ultimo bambino era stato raccattato su dalla mamma, Levi e i
restanti collaboratori si mettevano sempre all'opera per far
risplendere quel posto ed eliminare ogni sorta di sporcizia prodotta
da quei “piccoli titani straccia
palle”(così li definiva Levi).
Il gigante
biondo vestito in giacca e cravatta, posò il sedere su un
basso
tavolino e aprì bocca
<< Senti
Levi, tu non mi hai ancora spigato il motivo per cui fai l'insegnante
>>
<< Perché
sono cazzi miei >> disse in tutta calma senza mostrare la
minima rabbia.
<< Beh,
lo sai con i voti che avevi potevi fare qualsiasi mestiere, ogni
esame l'hai superato con la lode >>
Il corvino
disattivò l'attenzione dal pavimento impolverato per porla
all'amico.
<< Tipo
il dirigente di banca? >> disse sarcastico squadrando da
capo a
piede.
<< Non
sdegnare così il mio mestiere, guadagno bene, posso
viaggiare e se
tu fossi il mio vice … >>
<< No,
non m'interessa, perciò smettila di corteggiarmi con
stipendi
assurdi e viaggi gratuiti come se fossi la fighetta più
ambita del
paese >> disse secco ed Erwin non poté fare
altro che
sorridere
<< Beh,
tu sei la fighetta del regno, hai ricevuto più proposte
lavorative
tu di tutti i laureandi del nostro corso >> sorrise
ripensando
alle montagne di lettere e telefonate ove i dirigenti di compagnie
internazionali domandavano la sua presenza, tali volte venivano
persino a supplicarlo.
<< Io sto
bene dove sono >>
<< Questo
non lo metto in dubbio, però non hai risposto alla domanda.
>>
Lo stava per
mandare al diavolo ma vendendo lo sguardo di Erwin illuminato da una
genuina curiosità, decise che fra tutti era l'unico che
meritava una
risposta.
<< Non
vado molto d'accordo con le persone, lo sai no? >> Erwin
annuì, il suo fare impregnato di sarcasmo tendeva ad
allontanare la
gente.
<< Non
amo neppure i bambini, sono stupidi però la loro
stupidità è in
qualche modo è giustificata dal fatto che non hanno vissuto
abbastanza per poter prendere decisioni intelligenti, inoltre ho la
sensazione che in una vita passata avevo a che fare con dei mocciosi
>>
Erwin sbatté
le palpebre alquanto confuso pensando che l'amico aveva aspirato
troppo l'odore del pongo e della colla. Levi notò
immediatamente la
nota confusa dipinta-si nel suo volto
<< Erwin
lascia stare, non sforzare quel cervello matematico >>
Erwin rise di
gusto, poteva averlo anche sorpreso con quella professione ma in
fondo a Levi s'addiceva quel lavoro: era un uomo dotato d'un carisma
innato che lo rendeva un ottimo leader, di conseguenza un bravo
maestro rispettato. Riusciva a infondere fiducia nelle persone.
<<
Piantala di ridere come un cretino, non dovresti tornare a casa da
tua moglie? >>
<< Sì
dovrei >>
<< Allora
sposta quel culone dalla sedia e vai >>
<< Va
bene Levi, ci vediamo >>
. *** .
<< Che
diamine c'è qua dentro? Giocatoli o mitragliatrici?
>> sibilò
a denti stretti trattenendo lo scatolone fra le mani. Era
dannatamente pesante, se ne era accorta mentre lo caricava
sull'autobus ma prese coscienza della sua effettiva pesantezza dopo
aver percorso sei isolati. Doveva percorrerne altri cinque.
Non era
solamente pesante, ma lo scatolone era talmente ingombrante che le
intralciava la visuale frontale, perciò onde evitare di
finire con
il sedere a terra, doveva controllore a dovere i propri passi.
Lo sguardo andò
verso la laterale strada sgombra per poi capitare al marciapiede
opposto, intravide sotto la luce dei lampioni una figura, anch'essa
pareva avere qualcosa d'ingombrante fra le braccia. Provò
una certa
empatia nei confronti di quella persona.
Gli occhi
altalenarono un poco( per quanto la situazione glielo concedesse),
attorno a sé e si rese conto che non vi era nessuno, passava
accanto
a negozi dalle saracinesche abbassate, non vi erano passanti, il
silenzio era colmato dai rumori di auto vaganti in altre strade e dai
suoi stessi passi. Non era così tardi, il buio era calato
eppure non
poteva aver passato così tanto tempo sul veicolo che l'aveva
portata
in quella zona. Fatto
sta che le
uniche anime vaganti in zona era lei e il tipo situato al di
là del
marciapiede. La coda
dell'occhio
si riposizionò dall'altro capo e la figura scura c'era
ancora,
continuava a camminare, gli parve che la stesse scrutando
furtivamente.
“ Ecco, ora sto diventando paranoica come Mikasa, quella appena vede uno con la faccia losca si mette sulla difensiva” pensò fra sé.
Nonostante la rassicurazione mentale
l'occhio le
sfuggiva e andava sempre a finire là, ove l'uomo continuava
a
camminare, forse andava per la propria strada e non s'era curato
neppure della sua presenza, eppure la sgradevole sensazione d'essere
osservata non se ne voleva andare via.
Per smentire quei dubbi paranoici piantò i piedi per
terra, girò il collo e lo vide, anche lui s'era arrestato.
Lo
osservò cercando di studiare l'immagine ma la notte limitava
la
vista e la distanza era troppo lunga per un occhio nudo. L'unica cosa
che poté recepire era che vestiva scuro e tra le mani
reggeva
qualcosa di grande dalla forma cubica. Attendeva che si muovesse, che
compisse una qualsiasi mossa invece rimaneva lì fermo con il
capo
volto verso la sua direzione, questo fatto la innervosì a
tal punto
che decise d'agire.
“ Ora vado a sentire che cacchio vuole questo qui “ pensò fra sé e sé mentre posava il pacco a terra.
Marciò decisa, percorse la
strada, l'individuo la
imitò.
Passo dopo passo la figura poco chiara cominciò a
prendere forma, il viso era ancora nascosto dall'oscurità,
però
poté notare che era dotato d'una corporatura sottile
perciò si
trattava senza dubbio d'una ragazza, tra le mani stringeva il pugno,
forse deteneva un arma così Erna la imitò, non
possedeva un oggetto
affilato, ma era un asso nel combattimento corpo a corpo. Era pronta
a intrattenersi in un combattimento frontale così
accelerò il passo
per poter sferrare il primo colpo ma quando calpestò il
marciapiede
si bloccò. Alzò il pugno piano verso l'alto e la
ragazza portò
all'insù il braccio sinistro. Erna compì un
passetto all'indietro e
la sconosciuta fece lo stesso. Il fiato le morì in gola
quando
constatò che quello si trattava di un edifico con i vetri a
specchio, il nemico non era altro che il suo riflesso, non si era
riconosciuta. Tutta la pesantezza della consapevolezza le
piombò
addosso schiacciandola contro l'asfalto. La testa prese a girare come
una trottola e le orecchie furono tappate da un fastidioso ronzio.
Non era la prima volta che le capitava, era già successo
parecchie
volte in passato perciò sapeva come risolvere la situazione,
come
smaltire quella schiacciante oppressione. Veloce scoprì la
l'avambraccio portando la manica fino al gomito e senza alcuna
esitazione, affondò i denti. La bocca si riempì
d'un gusto
metallico dalla nota amara così distaccò i denti,
guardò le
goccioline scure calare giù dalla piccola ferita e il
bruciore
pulsante la fece tornare alla realtà: sentiva già
i piedi leggeri,
la vista non girava più e l'udito stava tornando. Con un
fazzoletto
di carta preso fuori dalla tasca, tamponò la ferita, non era
profonda e il sanguinamento s'era già arrestato.
Gettò uno sguardo
veloce al riflesso di fronte a sé e due labbra macchiate da
gocce
cremisi brillavano. Con un altro fazzoletto le scacciò via
dal volto
per poi ritornare sui propri passi accompagnata da quel piccolo
dolore .
. *** .
Era quasi
giunta, aveva superato il cancello e si ritrovava in un giardino
decorato con qualche scivolo e un paio di altalene. La meta oramai
era stata raggiunta e francamente non vedeva l'ora di mollare quel
coso per tornarsene a casa, anche se questo fatto comportava il dover
affrontare Mikasa.
Sbuffò nel
momento in cui notò dei gradini condurre verso la porta
vetrata. La
meta era così vicina eppure così lontana. “Un
passetto alla
volta” si ripeté.
Così fece e ci
riuscì, il secondo problema stava nel pigiare il campanello,
non
poteva di certo imbrattare lo scatolone posandolo sul marmo. Con
qualche strana acrobazia riuscì a spingere il piccolo
bottoncino
adoperando il gomito.
Nessuno si
presentò al capezzale, ritentò.
“ Giuro che se nessuno si presenta, lascio qua tutto e me ne sbatto le palle!” ripeté mentalmente mentre il piede tambureggiava frenetico sul suolo sottostante.
Il rumore d'una
porta, si sporse leggermente per dare un'occhiata a chi era dinnanzi
a sé, ma prima della vista venne raggiunta da una voce
<< Eren
>>
Le palpebre si immobilizzarono verso l'alto, il respirò
si bloccò disperdendosi all'interno del torace. Il fiato
sbatteva
contro il petto e lottava contro la gola serrata. Erna era bloccata,
paralizzata da un uragano d'emozioni. Il cuore scalpitava
così forte
che sentiva i battiti pulsare nelle tempie. Il cuore doleva, come se
quella voce avesse assunto le dimensioni di una mano e quest'ultima
si fosse insinuata nel suo petto stringendole forte il muscolo. Il
corpo s'irrigidì assieme agli arti e fu inevitabile, lo
scatolone
cadde producendo un tonfo assordante.
Senza
l'impaccio di quell'aggeggio si ritrovarono faccia a faccia. Nessuna
parola venne pronunciata, eppure Erna si accartocciò su se
stessa e
scoppiò a piangere.
. *** .
Levi
vedendo la ragazza
piangere, fece l'unica cosa sensata che le venne in mente,
afferrò
il pacco caduto a terra e le ordinò di seguirla. Senza
troppe
cerimonie l'aveva condotta nella piccola cucina dell'asilo facendola
accomodare al tavolo. Aveva messo in ebollizione l'acqua per il the e
senza dire una parola, aspettò che la giovane smaltisse quel
pianto
isterico.
<< Scusa, io … non
so cosa diamine mi sia preso. >> Erna imbarazzata sopra
ogni
limite, cacciò via con il pollice qualche residuo di lacrima.
<< Non importa, sono
abituato ad avere a che fare con i mocciosi >> disse con
calma
ponendo una tazza fumante sotto al suo naso.
Le aveva appena dato della
mocciosa? Rispondergli in rima sarebbe stato tipico di Erna, eppure
si trattenne. Doveva ancora riprendersi dallo shock, ora si ritrovava
faccia a faccia con quella voce, la voce che durante il sonno le
scuoteva l'anima.
Levi appariva
imperturbabile come se non fosse accaduto niente di che, eppure
osservava la ragazza dinnanzi a sé e non sapeva come
giustificare la
parola uscita fuori dalle sue labbra. L'aveva chiamata Eren, quel
nome era balzato fuori con una tale naturalezza che
non sapeva
neppure spiegarne il motivo. Non
aveva neppure incontrato nessuno con quel nominativo, nemmeno il
volto della ragazza gli pareva familiare. Era un uomo attento
perciò
rimembrava ogni volto che incontrava, l'opzione che l'avesse
conosciuta e che si fosse scorata di lei non era da prendere in
considerazione.
Probabilmente
l'aveva vista da qualche parte in giro per caso, si trattava senza
alcun dubbio di questo anche se la reazione della ragazza l'aveva
lasciato alquanto perplesso.
Scacciò
via quel pensiero alzandosi in piedi
<< Questo scatolone?
>> domandò Levi chinandosi per staccare via lo
scotch marrone
che lo teneva ben chiuso
<< Ah, è una
donazione da parte di Grisha Jaeger, mio padre >>
<< Il medico Jaeger?
>>
<< Sì, lo conosci
>>
<< Certo che no,
però tuo padre è conosciuto a livello
internazionale, non sai
quanti articoli ho letto >> disse saccente scioccando la
lingua sul palato.
Erna contorse la fronte
pensando fra sé “che bel caratterino di
merda”.
È già, il modo in cui
guardava i giocattoli con quel fare quasi annoiato, come se non fosse
affatto contento d'aver ricevuto quella donazione, la faceva alquanto
irritare. Si era fatta tutta quella strada per non ricevere neppure
un ringraziamento, anzi gli era costata una bella figuraccia.
Piangere così dinnanzi a uno sconosciuto, non l'avrebbe
raccontato a
nessuno.
“ Forse è colpa degli ormoni “ si chiese ponendo la mano sul basso ventre dolorante. Era ora di tornare a casa e non vedeva l'ora di riposarsi, così afferrò la giacca
<<
Vai via? >>
domandò così tanto per fare, non serbava molto
interessato della
questione appena posta.
<< Sì, rischio di
perdere l'ultimo autobus >> disse frettolosamente, doveva
immediatamente andarsene da lì, magari i suoi occhi la
tradivano di
nuovo e quelli ricominciavano a gettare acqua.
<< E' tardi ti porto
io >>
Erna sbatacchiò le
palpebre, stare un quarto d'ora in macchina con l'uomo che le aveva
scatenato un pianto isterico? No, grazie
<< No, non è
necessario, non voglio disturbarti >>
<< Oi, se mi recasse
qualche disturbo non l'avrei proposto >>
Nemmeno il tempo di
controbattere che quello aveva già il cappotto addosso e le
chiavi
in mano.
<< Andiamo >>
disse secco ed Erna lo seguì.
. *** .
“ sono proprio una testa di cazzo”
Si ripeté mentre osservava dal finestrino il paesaggio metropolitano correre via assieme alla macchina. Era in una scatola di latta con uno sconosciuto, se Mikasa fosse venuta a conoscenza di una tale cosa l'avrebbe rimproverata, neppure Erna si sarebbe fatta trasportare così facilmente da qualcuno, eppure non le pareva un tipo aggressivo. Dalle poche battute scambiate, aveva afferrato il fatto che fosse un tipetto dal carattere difficile ma non gli pareva violento. Aveva la sensazione che poteva fidarsi di lui. Questa fiducia da dove derivava? La risposta era talmente scema che la scacciò via dalla testa. Ovviamente derivava sempre da quel sogno che quasi ogni notte si ripeteva.
“Erna sei proprio una scema” si ripeté per poi gettare lo sguardo all'indietro, giusto per distrarsi un poco da quella situazione paradossale nel quale si era immischiata.
Di
sottecchi guardò i
sedili posteriori, vi erano alcuni scatoloni dal quale fuoriuscivano
bambole di pezza e macchinine di plastica.
Bambole e macchine.
Quando era piccola sua
madre si ostinava a regalarle le prime, eppure non provava alcun
interesse nei confronti di quei giocattoli, anzi le odiava. Non
detestava solo le bambole ma anche i vestitini che sua madre la
costringeva a indossare, odiava portare i capelli lunghi e non si
trovava affatto a suo agio con le coetanee. Provava talmente tanto
astio nei confronti del mondo femminile che un giorno
dichiarò a sua
madre: “voglio essere un maschio”,
crescendo si rese conto che si trattava di un desiderio
infondato. Se non si trovava a suo agio con le bambine d'altro canto
non si trovava bene neppure con i maschi, infatti spesso finiva
invischiata in qualche rissa e tornava a casa con la pelle macchiata
da lividi. Aveva trascorso la maggior parte dell'infanzia nella
solitudine, poi nella famiglia arrivò Mikasa e le cose
cambiarono.
Aveva una sorella con il quale riusciva a trovarsi bene, poi nella
sua vita entrò anche il suo migliore amico Armin e non fu
più sola.
Il quadretto relazionale
instaurò un precario equilibrio che si spezzo quando giunse
l'adolescenza. Un punto fondamentale in cui cominciò la sua
disperata ricerca della sua identità, se non gli piaceva
essere
donna allora forse era gay. Su questa possibilità decise di
frequentare una ragazza di nome Christal, carina e gentile, eppure
non ebbe nemmeno per un attimo la tentazione di baciarla, anzi l'idea
di sfiorarla la inorridiva, così tentò un
approccio nei confronti
dell'altro sesso. All'età di sedici anni uscì con
Marco, le faceva
il filo da un pezzo e così quando le chiese d'uscire,
accettò senza
troppi problemi. Marco era una persona deliziosa con cui poter
trascorrere del tempo, godeva della sua compagnia eppure il risultato
fu il medesimo: neppure una volta le sfiorò l'idea di
toccarlo.
E così rimase nel mezzo,
tra la macchinina e la bambola di pezza, non provava attrazione
né
per l'una ne per l'altra.
Il veicolo s'arrestò
bruscamente, le scatole si scossero assieme al filo dei suoi
pensieri, Erna si voltò in uno scatto e vide la luce rossa
di un
semaforo. Fermata brusca ma almeno era riuscito a non oltrepassare la
linea. Approfittò di quel frangente tranquillo per osservare
di
sottecchi il guidatore: teneva la schiena ritta perfettamente
allineato con l'asse del collo, ritto e definito.
Si soffermò sui suoi
capelli talmente neri che si mimetizzavano nella notte, ciuffi
sottili ricadevano frastagliati sulla fronte diafana. Aveva un
taglio particolare, erano lunghi davanti e dietro la nuca invece
erano praticamente rasati.
Era un uomo bello, ma la
bellezza non derivava unicamente dai suoi lineamenti bensì
dalla
psiche: quelle labbra intrappolate in un mezzo broncio, quelle
occhiaia profonde mostravano che non era un uomo sereno. Nascondeva
qualcosa che si trattasse d'un segreto innocuo o losco …
questo non
lo sapeva.
Riconobbe casa sua e la
macchina si fermò al fianco del cancello. Era il momento di
congedarsi, eppure non sapeva neppure cosa dire, mentre slacciava la
cintura si rese conto d non conoscere il suo nome. E così
non si
fece troppi scrupoli a domandarglielo
<< Come ti chiami?
>>
Le pupille tempestoso si
movimentarono verso di lei, rimase muto come se fosse indeciso se
rivelare o meno la propria identità.
<< Levi >>
soffiò veloce.
Se la sua voce era in
grado di accarezzarla e stringerle il petto, quel nome non le
procurava alcuna sensazione.
Lui la fissava come se
fosse in attesa di qualcosa, e così le venne in mente il suo
nome,
quello stampato sul certificato di nascita.
<< Erna, il mio nome
è Erna >>
<< Erna >>
Levi ripeté piano, come se lo volesse imprimere bene a modo
nel
cervello e poi il silenzio ricalò. Alquanto disagiata da
quel vuoto
di parole, Erna decise che era momento di tagliare la corda
<< Beh, allora …
ciao! >> impacciata oltre ogni limite, scese dalla
macchina con
una tale fretta che sembrava avere le braci sotto ai piedi.
<< Erna >> la
sua voce le impedì di proseguire il cammino, si
voltò e il
finestrino era abbassato, lui si era esposto e la guardava dritta
negli occhi.
<< Ringrazia tuo
padre da parte mia per la donazione >>
<< Lo farò >>
schietta cercò di tranciare quel discorso, casa sua era
così
vicina, pochi passi e quella strana tortura sarebbe terminata.
<< Inoltre noi due
ci rivedremo >> la buttò lì
così con una tale non
noncuranza che Erna fece fatica a dire qualcosa.
“ mi sta chiedendo un appuntamento?”
Neppure il tempo di esternare il suo dubbio che la macchina sfrecciò via, era già arrivata all'incrocio e in un battito di ciglia svanì.
ANGOLO
PSICHIATRICO ;)
Ciao
bella gente :)
Come
prima cosa mi scuso per eventuali errori ortografici, ho riletto
il testo ma quelli scappano sempre alla vista >.<
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto, prego qualche divinità che
l'idea
di un Levi che lavora con un branco di mocciosi non vi disgusti( io
lo trovo troppo spassoso :D)
Spero
che l'entrata di Levi nella storia non abbia suscitato noia, non
è
stata così epica e neppure memorabile a parer mio,
però mi è
sembrato giusto così, siamo in un AU ambientato ai giorni
nostri e
dato che i giganti non esistono, non sapevo esattamente come farlo
entrare nella storiaXD
Comunque
sia lascio il giudizio a voi, spero di sentirvi <3
un abbraccio grande
Mistiy