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Autore: ValeDowney    14/03/2016    1 recensioni
"Storybrooke sembra una cittadina come tutte le altre, se non fosse per il fatto che non è sulle carte, nessuno sa della sua esistenza e i cittadini sembrano nascondere qualcosa. Rose, una bambina dolce ma curiosa e sempre in cerca di guai, scoprirà, insieme al suo amico Henry, che qualcosa di magico si aggira per quella città"
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The Rose of true Love


 
 
  Capitolo XVII: Affari di famiglia -  Seconda Parte


Foresta Incantata del passato
 
Jefferson se ne stava nella sua casetta nella foresta. Teneva in mano quel cappello magico che, per tutto quel tempo, lo aveva trasportato in altri mondi. Alzò lo sguardo osservando la figlia Grace giocare fuori. Era la sola famiglia che gli era rimasta, dopo che la madre era tragicamente scomparsa tempo prima.
“Simpatica bambina, non trovi?” disse a un certo punto una voce. Jefferson si voltò e, in una nube viola, comparve Tremotino.
“Ormai dovresti conoscerla abbastanza bene per risponderti anche da solo” disse Jefferson.
“Mi sono sempre piaciute le tue risposte. Competono con le mie” disse Tremotino, facendo una risatina.
“Perché sei qua? Quale altro oggetto vuoi, in quale altro mondo ti devo portare questa volta?” chiese Jefferson, mentre Tremotino camminava per la stanza.
“Sarai sorpreso di sentire che questa volta non mi occorre nessun oggetto” rispose Tremotino, fermandosi accanto al caminetto e prendendo in mano un piccolo drago in terracotta, preso in “prestito” da Jefferson – su commissione di Tremotino – nelle antiche terre cinesi. Il Signore Oscuro, infatti, permetteva al suo fidato aiutante di poter tenere alcuni oggetti considerati da lui non esigenti per ciò che stava architettando. Una piccola ricompensa per il lavoro ben svolto, così almeno gli aveva detto.
“Allora, cosa ti serve? Come vedi sono occupato” domandò Jefferson.
“Tranquillo, sarà una cosa veloce e poi ti lascerò continuare a guardare la tua preziosa figlia. Il motivo per cui sono qui è un patto che ti voglio proporre” rispose Tremotino dopo aver rimesso l’oggetto sulla mensola del caminetto.
“Conosco i tuoi patti e, facendone uno, finisce sempre a tuo favore” disse Jefferson.
“Ma questa volta è un patto totalmente diverso. Chiedo solo una protezione per un’altra protezione” disse Tremotino.
“Che tipo di protezione?” chiese Jefferson. Tremotino sorrise. Ora aveva la sua completa attenzione. Quindi spiegò: “Come ben sai sono diventato da poco padre e la mia piccola Rose mi riempie d’affetto ogni giorno che passa. Ma sei anche al corrente di ciò che ho in mente e, tra molte decisioni, ho scelto chi scaglierà la maledizione.”
“Fammici pensare: avrai sicuramente scelto una persona che ha il cuore a pezzi a causa di un’altra persona che le ha portato via il suo lieto fine. Si tratta della nostra cara Regina?” domandò Jefferson.
“Sono contento che il mio fidato collaboratore abbia un cervello che funziona. Sai, avevo qualche dubbio dopo ciò che ti è successo. È facile perdere la testa per qualunque cosa” disse Tremotino, facendo un piccolo sorriso.
“Ti prego di non ritornare su quella storia. Ne ho avuto abbastanza di quel posto” disse Jefferson.
“Comunque, sono sicuro che accetterai il mio accordo” disse Tremotino, camminando per la stanza, fino a fermarsi davanti alla finestra.
“E cosa ti fa credere che io accetti così tanto facilmente?” chiese Jefferson guardandolo.
“Perché, nel mondo dove andremo, tutti noi perderemo la memoria. Be', proprio tutti no, visto che la nostra cara Regina ne rimarrà illesa. Avremo ricordi e personalità diverse” spiegò Tremotino, mentre osservava Grace giocare fuori.
“Questo non è giusto!” replicò Jefferson.
“Mio caro, nulla è giusto al mondo” disse Tremotino. Ci fu silenzio. Poi il Signore Oscuro propose: “Ma, forse, posso aiutarti.”
“Non voglio il tuo aiuto!” replicò Jefferson.
“Fai come ti pare ma, così facendo non ti ricorderai più della tua amata figlia” disse Tremotino e, guardandolo, sorrise.
“Non voglio dimenticarmi di Grace. È tutto ciò che mi è rimasto al mondo” disse Jefferson.
“Allora lascia che ti aiuti. Dopotutto mi trovo nella tua stessa situazione. Non proprio uguale, ma ci andiamo vicino” disse Tremotino.
“E chi mi dice che non mi stai ingannando? Conoscendoti, avrai già inventato qualcosa per far mantenere i ricordi a Belle e a tua figlia” disse Jefferson.
“Dammi un solo motivo del perché dovrei ingannarti” disse Tremotino.
“Sei un piccolo folletto impertinente” disse Jefferson. Tremotino fece una risatina per poi dire: “Sì, lo ammetto, ma il tuo è il complimento migliore che ho ricevuto. Quindi ti aiuterò” e fece comparire nella mano sinistra una boccetta con dentro del liquido viola. Jefferson allungò una mano. Ma Tremotino ritrasse la boccetta. Per poi dire: “Non così in fretta, mio caro cappellaio. Prima abbiamo ancora un accordo da stipulare” e nella mano destra fece comparire una pergamena e una piuma. Jefferson lo guardò perplesso. Ma poi domandò: “Qual è il prezzo?”
“Protezione. Proteggi Belle e Rose prima della maledizione” rispose Tremotino.
“Come mai prima? Credevo durante” chiese Jefferson.
“Sono affari miei! Proteggi le due persone che ho di più caro e io, in cambio, quando saremo nel mondo senza magia, ti prometto che mi prenderò cura di tua figlia” rispose Tremotino. Jefferson lo stette a guardare. Poi Tremotino aggiunse: “Allora, ho la tua parola? Io manterrò la mia. Non vengo mai a meno nei miei accordi.” Jefferson prese la piuma e firmò in fondo al contratto. Tremotino sorrise soddisfatto e fece scomparire piuma e contratto. Poi disse: “Bevi questa pozione e manterrai i tuoi ricordi” e gli consegnò la boccetta.
“E come farò con Grace?” domandò Jefferson.
“Non credo che questo sia un problema mio” rispose Tremotino e, ridendo, scomparve.
“Lo odio ancora di più quando si comporta così” disse Jefferson. Poi guardò fuori dalla finestra. Sua figlia era così felice. Guardò la boccetta in mano. Come avrebbe fatto a far mantenere i ricordi a Grace?
Dopo cena, Jefferson era davanti al caminetto. Guardava la boccetta. Per tutto il resto della giornata non aveva fatto altro che pensare a un modo per proteggere la sua bambina dal perdere i suoi preziosi ricordi. Tremotino gli aveva semplicemente detto che, per far sì che la pozione funzionasse, doveva berla. Forse…
L’uomo si avvicinò al lettino dove la figlia si era addormentata da un po’. Era così beata. Le accarezzò la fronte. Il suo sguardo si posò sul ciondolo e il dente di lupo che portava al collo. La bambina gli aveva raccontato che era stato un regalo del Signore Oscuro. Probabile che quel ciondolo già contenesse magia. Ma era sufficiente a resistere alla maledizione? Aprì la boccetta e versò poche gocce sul ciondolo. Questi si illuminò, ma durò poco. Che avesse funzionato? Solo il tempo glielo avrebbe detto.

 
Storybrooke del presente
 
Gold e Paige arrivarono, con la Cadillac, davanti a un’enorme villa quasi vicino alla foresta. Rose era voluta rimanere a casa con Dove ed Excalibur, non sentendosi di voler dire addio all’amica – anche se il padre le aveva già detto che non si sarebbe trattato di un vero addio e che, in serata, l’amica sarebbe ritornata a casa.
Entrambi scesero dalla macchina e, mentre camminavano per il vialetto di casa, Gold disse: “So che c’è qualcosa che vorresti dirmi. Sei taciturna da stamattina. Di cosa si tratta?”
“Perché vuole disfarsi di me?” chiese Paige.
“Cosa ti fa credere che voglia disfarmi di te?” domandò Gold.
“Be', mi sta portando da un uomo che nemmeno conosco” rispose Paige. Gold si fermò, così come la bambina e, dopo averle messo una mano sulla guancia, le spiegò: “Ascoltami, Paige: io ti ho sempre considerato come una figlia. Ti voglio bene e non mi permetterei mai di mandarti da un uomo cattivo. Voglio solo che trascorri del tempo con lui e, quando sarai pronta, potrete vivere insieme” Paige sorrise e fece una cosa inaspettata: lo abbracciò. Gold rimase spiazzato. Poi si schiarì la voce e, scostando la bambina da sé, disse: “Faremo meglio ad andare. Siamo già in ritardo” e riprese a camminare, affiancato da Paige, la quale chiese: “Ma prima, in macchina, non aveva detto che eravamo in anticipo?”
“Mi sono sbagliato” rispose velocemente Gold, volendo tagliare corto quel discorso.
“Lei dice sempre che non si sbaglia mai” disse Paige.
“Mi sono sbagliato nell’essermi sbagliato. Chiaro?!” replicò Gold. Paige lo guardò stranamente non avendoci capito gran che in quel giro di parole. Arrivarono davanti alla porta e Gold suonò. Dopo pochi secondi un uomo aprì loro la porta.
“Come promesso, ti ho portato la tua ospite. Vedi di trattarla bene e non andare fuori di testa” disse Gold. Paige lo guardò poco convinta. Ma guardò l’altro uomo, quando quest’ultimo disse: “Lo sai che con me sarà in buone mani. Dopotutto, non sono molte le persone delle quali ti fidi e, se non ti fidassi di me, non me l’avresti portata.”
“Già. Comunque cerca solo di rispettare il nostro accordo. Sai che succederà se non lo farai” disse Gold.
“No. Non lo so. Vorresti illuminarmi?” domandò l’altro uomo.
“C’è una bambina qua con noi: meglio che non entri troppo nei particolari” rispose Gold, sorridendo a Paige.
“Te la ridarò intera. Promesso” disse l’uomo.
“Molto bene” disse Gold. Poi guardò Paige e aggiunse: “Siamo d’accordo che, per qualunque problema, mi chiami. Ci vediamo stasera” e, voltandosi, ritornò alla Cadillac, per poi avviarla e partire. Paige lo guardò andarsene. Voltò lo sguardo verso l’altro uomo, quando quest’ultimo le chiese: “Allora, cosa ti piacerebbe fare?”
Nel frattempo Rose, stufa di starsene in casa a non fare nulla, si era fatta portare da Dove da Granny’s. Appena entrò nel locale – Dove la stava aspettando in macchina – i presenti la guardarono. Tra questi riconobbe Leroy al bancone e sembrava che l’uomo fosse al terzo o quarto bicchiere – considerando i bicchieri accanto a lui tutti vuoti – e Henry seduto al tavolo con… il nuovo arrivato ed Emma. I tre stavano, ovviamente, parlando animatamente. Li tenne d’occhio mentre si avvicinava al bancone per poi sedersi accanto a Leroy, che buttò giù un altro sorso. Per poi replicare, rivolto a Granny, che stava dietro al bancone: “Ehi sorella, portamene un altro!” e batté con forza il bicchiere sulla superficie del bancone.
“Non ti sembra di averne avuto abbastanza per oggi? È già il quarto che butti giù” domandò Granny, andandogli di fronte.
“Finché pago tu mi servi, chiaro, sorella?!” replicò Leroy. Granny lo guardò senza rispondere e prendendo semplicemente il bicchiere. Poi guardò Rose e chiese: “Signorina Gold, suo padre l’ha mandata in perlustrazione?”
“Mio padre è in giro con Paige. Mentre io sono qua da sola, anche se la mia guardia del corpo è fuori in macchina. Gradirei qualcosa da bere, posso?” rispose Rose.
“Finché non è qua per conto di suo padre, allora può prendere tutto quello che vuole” rispose Granny.
“Grazie. Allora vorrei un tè alle fragole, se non le dispiace” disse Rose.
“Tè alle fragole per lei e un altro brandy per lui” disse Granny guardando malamente Leroy, per poi andare a preparare le bevande richieste. Ci fu silenzio. Poi Leroy replicò: “Tè alle fragole. Che schifezza!”
“Scusami tanto, ma a me piace e poi il mio papà me lo prepara sempre fin da quando ero molto piccola. Ognuno ha i suoi gusti. Come tu hai i tuoi” disse Rose guardandolo.
“Sai una cosa? Non me ne frega nulla se il tuo caro paparino ti preparava il tè alle fragole anche quando eri molto piccola. In teoria non me ne frega nulla di quello che dice o pensa tuo padre. Più mi sta alla larga e meglio è” replicò Leroy e, dopo che Granny gli ebbe portato un altro bicchiere colmo di brandy, lo prese in mano. Si sentì tintinnare la campanella. Tutti voltarono lo sguardo per vedere Mary Margaret. Quindi aggiunse: “E non me ne frega nulla nemmeno di lei” e bevve un sorso.
“Ci mancava solo lei” replicò Granny mettendo il tè alle fragole davanti a Rose. Quest’ultima, continuando a guardare Mary Margaret, disse: “Secondo me non ha fatto nulla di male.”
“Vallo a dire alla moglie del Signor Nolan” sbuffò Granny e, prendendo uno strofinaccio, andò a pulire alcuni bicchieri. A Rose non importava molto l’opinione di Granny. In realtà non le importavano nemmeno le opinioni degli altri. Lei credeva solo nella sua e sarebbe andata fino in fondo per aiutare la sua maestra.
Mary Margaret si schiarì la voce un paio di volte, cercando di avere l’attenzione dei presenti anche se alcuni, dopo averla osservata per poco, ritornarono alle loro ordinazioni. La ragazza, allora, si fece coraggio e spiegò, mentre guardava la cartellina che teneva in mano: “Mi scuso per l’interruzione, ma sono qui per ricordare a tutti voi che ci sarà un evento molto speciale. Si tratta della Festa del Minatore e, come ogni anno, le suore di Storybrooke vi chiedono un contributo per la vendita delle loro splendide candele artigianali. Abbiamo bisogno di volontari con braccia forti. Allora, chi vuole partecipare?” Calò il silenzio. Nessuno si mosse. Poi ripresero a mangiare, a bere. Gli unici che continuarono a guardarla furono Rose, Emma, Henry e il nuovo arrivato. Poi Leroy si alzò e si fermò di fronte a Mary Margaret. Quest’ultima gli domandò: “Ti offri come volontario?”
“Voglio andare via, sorella, ma sei davanti alla porta” replicò Leroy. Rose li guardava, sorseggiando di tanto in tanto il tè alle fragole.
“Hai ragione” disse Mary Margaret e si fece da parte. Ma poi aggiunse: “Se volessi dare una mano, sarebbe un ottimo…” Ma Leroy la bloccò, replicando: “Certo, come no. Saremo una coppia formidabile. La sgualdrina e l’ubriacone di questa città. L’unica persona che Storybrooke detesta più di me sei tu.”
Rose non ne poteva più di sentire che tutti davano contro alla sua maestra. Quindi si alzò in piedi e replicò: “Smettila di aggredirla! C’è gente che ha fatto cose ben più peggiori delle sue. Eppure nessuno dice nulla! Continuate ad affidarvi a delle dicerie, invece dovreste solo fidarvi di voi stessi!” Tutti la osservarono. Poi Leroy la guardò e replicò: “Tu sta' zitta, piccola Gold! Devi ritenerti fortunata che nessuno se la sia ancora presa con te, grazie alla protezione di tuo padre. Vedi di non prendere troppo le difese di questa sorella o se no finirà molto male per te” e, riguardando Mary Margaret aggiunse: “E le cose peggioreranno anche per te, se mi starai accanto” e uscì. Mary Margaret guardò Rose che scosse negativamente la testa. Poi la ragazza si voltò, e anche lei uscì. Gli altri non la degnarono nemmeno di uno sguardo. Tranne Emma che, fermandosi accanto a Rose, disse: “Sei stata molto coraggiosa e sei una delle poche che ha preso le sue difese. Ma ti consiglierei di non dire nulla a tuo padre di ciò che hai appena fatto. Non so lui da che parte stia.”
“Io… io… non so cosa mi sia preso. Non mi ero mai comportata prima così” disse Rose.
“Capitano gli sbalzi di umore, soprattutto con un padre che ti ha riempito di regole. Ma non ti preoccupare: ci vado io a parlare con lei” disse Emma e uscì. Rose stette a osservare la porta. Non si accorse nemmeno di Henry che, dopo essersi alzato, le si era fermato dietro per poi dirle: “Ehi, ciao, Rose.” La bambina si voltò e lo salutò: “Ciao, Henry.” Passò un po’ di silenzio. Ma poi Henry, titubante, chiese: “Senti… volevo sapere come stava andando con Paige? Ho sentito che tuo padre l’ha portata da uno che vive quasi al confine con la foresta.”
“E tu come faresti a sapere questo?” domandò Rose.
“Be', Storybrooke è una piccola cittadina e le notizie girano molto velocemente” rispose Henry. Rose non disse nulla. Fu Henry a continuare: “So che negli ultimi giorni vi ho evitate. Scusatemi, ma è che non volevo tirarvi in ballo nei miei pasticci.”
“Siamo le tue migliori amiche. Lo sai che puoi confidarti con noi. Invece ci hai ignorate” disse Rose.
“Ti ho appena detto che mi dispiace. Ma non vorrei che iniziassimo a litigare su questo. Credo che ci sia altro a cui pensare” disse Henry.
“Mio padre non vuole che mi impicci delle faccende amorose della Signorina Blanchard. Secondo lui, se mi dovessi intromettere, farei molto fatica a uscirne” spiegò Rose.
“Forse potrei darti una mano. Almeno così non penso al mio libro” propose Henry.
“Non lo hai ancora trovato?” chiese Rose. Henry scosse negativamente la testa. Per poi rispondere: “Ma so – e spero – che prima o poi salti fuori. Devo solo avere pazienza. Non posso trascurare le mie migliori amiche per un libro.”
“Henry, non è un semplice libro. È il tuo libro. Ti ha aiutato come ha aiutato anche me. Mi ha fatto scoprire, anche solo in parte, un passato che mio padre non ha voluto raccontarmi. Magari verrà fuori anche da solo o forse no. E se così non fosse, io e Paige ti aiuteremo a ritrovarlo. Dopotutto gli amici servono anche a questo, no?” spiegò Rose. Henry sorrise e l’abbracciò. Poi disse: “Sono contento di avere un’amica come te. E ovviamente anche come Paige”
“Scommetto che non hai detto così quando eri arrabbiato con me” disse Rose, dopo l’abbraccio.
“Be', quando uno è arrabbiato pensa a tante cose brutte. Ma ora è storia passata e dobbiamo dedicarci all’Operazione Cobra” disse Henry.
“Ehm… vuoi veramente includere l’aiutare Mary Margaret nell’Operazione Cobra? Pensavo che si riferisse solamente nel far credere a Emma che sia la salvatrice” domandò Rose.
“Uhm… forse hai ragione: meglio non mettere troppe cose nell’Operazione Cobra. Ma ora è meglio che vada: mia madre mi voleva a casa circa dieci minuti fa. A più tardi” rispose Henry e, prima che Rose potesse aggiungere altro, uscì di corsa.
“Mi sa che qua dovrò cavarmela da sola” disse Rose.
“Be', più si è meglio è” disse una voce. Rose si voltò per vedere che era stato il nuovo arrivato ad aver parlato.
“Preferisco meglio soli che mal accompagnati” disse Rose. Il nuovo arrivato sorrise per poi dire: “Sei uguale a tuo padre: hai la sua stessa disapprovazione nei confronti degli altri, ma non in te stessa” Rose si sedette di fronte a lui, per poi digli: “Strano, perché negli ultimi mesi ho avuto molta disapprovazione in me stessa.”
“Sembra che tu non abbia fiducia in te stessa” disse il nuovo arrivato.
“Sì. Sembra proprio così. È che tanta gente mi dice cosa devo fare. Come devo comportarmi. Solo che a me non piace tutto ciò. Vorrei poter gestire la mia vita da sola” spiegò Rose.
“Allora siamo in due: anche io non ho mai amato sottostare alle richieste degli altri. Soprattutto a quelle di mio padre” disse il nuovo arrivato.
“Il mio mi ha imposto un sacco di regole che, ovviamente, non rispetterò mai tutte. E poi mi tiene come prigioniera o nella villa o nel negozio. Lo so che lo fa per proteggermi, soprattutto dopo che la mia mamma è morta” spiegò Rose.
“Mi dispiace tanto” disse il nuovo arrivato.
“Oh, non importa. Intanto non mi ricordo quasi nulla di lei. Vorrei averla potuta conoscere meglio. Però c’è una cosa che mi è rimasta impressa quando ero una neonata: il suo sorriso. Ricordo che mi sorrideva sempre. Mi prendeva in braccio. Mi cullava e mi sussurrava dolci parole. Potrà sembrarti strana come cosa, visto che ero solo una neonata. Ma è così” spiegò Rose.
“Io non la trovo una cosa strana, anche se dovrebbe essere tuo padre a parlarti di tua madre” disse il nuovo arrivato.
“Lui preferisce non andare mai sull’argomento. Lo rende ancora più triste e io non voglio chiedergli del suo passato. Credo che lo faccia stare ancora più male” disse Rose.
“Forse non diventa triste solo per tua madre. Ma anche per ciò che ha commesso” disse il nuovo arrivato.
“Perché, che cosa ha commesso?” chiese Rose.
“Qualcosa che credo lo abbia fatto pentire per molto tempo. Forse, la sua iperprotezione nei tuoi confronti ha proprio a che fare con ciò che ha commesso nel passato e non solo per la perdita di tua madre. Non ti ha raccontato nulla, vero?” rispose il nuovo arrivato.
“Papà non mi racconta mai nulla della sua o della mia vita passata. Ho scoperto più cose dalle altre persone. Anche da te, a quanto pare” disse Rose. Ci fu silenzio. Poi la bambina aggiunse: “Allora, ho sentito dire in giro che fai lo scrittore. E cosa scrivi di bello?”
“Un po’ di tutto. Prendo ispirazione da ciò che vedo” disse il nuovo arrivato.
“Ma visto che sei un semplice scrittore, come fai a sapere così tante cose su mio padre e sul suo passato?” domandò Rose. Il nuovo arrivato si alzò in piedi per poi dirle: “Vieni con me” e, dopo aver lasciato i soldi sul tavolo, uscì. Rose lo seguì chiedendogli: “Venire con te dove?”
“Vorrei visitare la città. Scoprire di più i luoghi da trarre ispirazione per ciò che scriverò. Il tuo amico mi ha detto che sei una bambina molto dolce e che cerchi sempre di aiutare il prossimo proprio come faceva tua madre” rispose il nuovo arrivato, fermandosi.
“Ci provo, anche se mio padre non vuole. Dice che, se continuo così, gli abitanti si dimenticheranno di chi sono figlia dalla parte paterna. Mio padre è molto temuto da tutti. Ma per me è una persona buona e gentile. Non mi ha mai fatto mancare nulla e mi dispiace farlo sempre preoccupare. So che non è facile tirare su una figlia da sola. Penso solo che gli altri dovrebbero sforzarsi a conoscerlo meglio come lo conosco io” spiegò Rose, fermandosi di fronte a lui.
“Sai, verrebbe fuori una bella storia su di te” disse il nuovo arrivato.
“Sì, come no. Già vedo il titolo: la figlia del malefico proprietario del banco dei pegni. La storia di un padre che non lascia uscire la figlia per paura che qualcuno le faccia del male o la porti via da lui. Sì, credo che avrà successo” disse sarcasticamente Rose.
“Per me ogni storia ha un suo fascino e anche la tua, e quella dei tuoi genitori, ne ha” disse il nuovo arrivato. Rose lo guardò stranamente non dicendo nulla. Poi il nuovo arrivato si avvicinò alla sua moto e propose: “Allora, vuoi ancora venire con me o hai paura che qualcuno, vedendoti in mia compagnia, incominci già a pensare male?”
“Non me ne frega nulla del parere degli altri. Dovrebbero incominciare a farsi i loro affari” disse Rose.
“Ora sì che vedo in te tuo padre. Su, sali” disse il nuovo arrivato e salì sulla moto. Anche Rose stava per salirci, quando Dove – che li aveva osservati per tutto il tempo standosene nella macchina – si avvicinò a loro per poi chiedere: “Signorina Gold, dove sta andando?” I due lo guardarono.
“Con lui. Volevo mostrargli la città” rispose Rose.
“Mi dispiace, signorina Gold, ma non posso lasciarla andare con uno sconosciuto” disse Dove.
“Ma ormai io per la piccola non sono più uno sconosciuto. Abbiamo parlato e fatto amicizia. Vero piccola?” disse il nuovo arrivato.
“Be'… sì. Credo di sì” disse titubante Rose.
“E poi non si deve preoccupare, buon uomo: la riporterò dal caro papà in poco tempo e tutta intera” disse il nuovo arrivato.
“Non vorrei che suo padre si arrabbiasse. Mi dispiace, ma devo rispettare gli ordini del Signor Gold” disse Dove.
“Ti prego, Dove, prometto che ritorneremo presto. Prima di cena. Ma ti scongiuro, almeno per questa volta, non rispettare un ordine di papà. È che vorrei così tanto uscire e non stare sempre tra le mura o di casa o del negozio. Ti prometto che sarà solo per questa volta. E poi il nuovo arrivato è una brava persona. Lo sai che io è come se capissi quando qualcuno è cattivo oppure no. E lui non rientra tra quest’ultimi” spiegò Rose. Dove sembrò pensarci un po’ su. Poi disse: “Va bene. Può andare con lui. Ma solo per questa volta.” Rose sorrise entusiasta e, abbracciandolo – seppur con molta fatica – disse: “Grazie. Grazie Dove. E mi prenderò io la colpa, qualora papà si accorgesse prima della mia scomparsa” e, dopo che il nuovo arrivato le ebbe dato il casco e fu salita sulla moto dietro di lui – tenendosi alla vita – partirono. Ma, dall’altra parte della strada, qualcuno li aveva osservati per tutto quel tempo. Si trattava di Lucy e dal suo sorriso beffardo non ci si poteva aspettare nulla di buono.
I due viaggiavano su quella moto per le strade di Storybrooke e Rose gli spiegava ogni singolo posto.
“E questo?” domandò il nuovo arrivato, dopo essersi fermato con la moto.
“Questo non è un bel posto” rispose Rose. I due si erano fermati davanti a un negozio. Ma non era un negozio qualunque.
“Game of Thorns. Il nome non mi sembra tanto spregevole” disse il nuovo arrivato, leggendo il nome sull’insegna.
“Non è il nome a essere spregevole: ma la persona che lo gestisce. Si chiama Moe French e non molto tempo fa ha rubato qualcosa di molto importante a mio padre. E…“ sospirò ”… mi ha fatto anche del male” spiegò con voce quasi roca Rose. Ripensare a quel giorno le faceva male. Il nuovo arrivato la guardò per poi chiederle: “Come è andata a finire? Spero sia stato punito, anche se la violenza non è la soluzione migliore.”
“Mio padre l’ha picchiato. Be', prima lo ha rapito. Portato in una casetta nel bosco e poi picchiato. Poi lo sceriffo Swan lo ha portato in prigione, mentre il signor French è stato ricoverato in ospedale” spiegò Rose. Il nuovo arrivato le diede un buffetto veloce sulla guancia, dicendole: “Ehi, su col morale, piccola: il tuo papà è fuori di prigione, tu stai bene e scommetto che quel Moe French non si avvicinerà più tanto facilmente a te. Le cose andranno meglio.” Rose sorrise e poi il nuovo arrivato ripartì.
Nel frattempo, Gold era in negozio e stava tenendo in mano un oggetto, guardandolo con una lenta d’ingrandimento che teneva con l’altra mano. Excalibur era nella sua cesta – a dormire- accanto a lui. Ma si svegliò, drizzando anche le orecchie, quando tintinnò la campanella e, dalla porta d’ingresso, entrò Lucy. Anche Gold alzò lo sguardo e, facendo un piccolo sorriso – poco contento dal cliente appena entrato – domandò: “Signorina Hunter, qual buon vento la porta nel mio umile negozio?”
“Ero solo venuta a curiosare. Non sapevo avesse così tanta robaccia” rispose Lucy, guardandosi intorno, toccando con una mano un oggetto.
“Se per lei è robaccia, allora le consiglio di non toccarla: potrebbe infettarsi le sue mani di fata” disse Gold. Lucy ritrasse subito la mano e guardò Gold, che fece un piccolo sorriso. Poi l’uomo, depositando l’oggetto e la lente d’ingrandimento sul bancone, aggiunse: “ Allora, Signorina Hunter, che cosa le interessa? Come può vedere, non ho oggetti preziosi che si addicono alla sua regale persona.”
“Come le ho detto, sono venuta a curiosare. Ma anche a parlarle” disse Lucy, avvicinandosi al bancone.
“Non credo di essere la persona più adatta per scambiare due parole con lei. Perché non prova con il Dottor Hopper? O, ancora meglio, con il sindaco? Dovreste andare d’amore e d’accordo” propose Gold.
“No, credo che lei vada bene. Visto ciò che ho da dirle” disse Lucy facendo un piccolo sorriso.
“Allora le consiglio di sbrigarsi, perché ho un sacco di cose da fare” disse Gold, cercando di cacciare la bambina. Quest’ultima abbassò lo sguardo verso la volpe, che le ringhiò contro. Quindi disse: “E’ cresciuta dall’ultima volta che l’ho vista.” Excalibur le ringhiò nuovamente.
“Signorina Hunter, se è venuta qua per parlarmi di quanto sia estasiata di rivedere la mia volpe, le voglio ricordare che il negozio di animali o il veterinario si trovano da un’altra parte” disse Gold.
“Lei fa tanto il cattivo solo perché chiede gli affitti a noi altri. Ma so che, in realtà, è un codardo e le consiglio di tenere più d’occhio la sua amata figlia” disse Lucy.
“Che cosa c’entra ora la mia Rose?” chiese Gold. Lucy sorrise. Poi rispose: “Ha presente il nuovo arrivato in città? Be', si dà il caso passassi per caso da Granny’s mentre sua figlia e, appunto, il nuovo arrivato, uscivano da lì e parlavano animatamente. Per poi salire sulla moto e partire senza che la vostra guardia del corpo li fermasse. Le consiglio di tenere sua figlia alla larga da quell’uomo: è meglio non fidarsi troppo degli stranieri.”
“E mi dovrei, invece, fidare di lei?” domandò facendo un piccolo sorriso Gold, prendendo il suo bastone e uscendo da dietro al bancone per poi fermarsi di fronte alla bambina. Quest’ultima rispose: “Be', io non sono una straniera, e poi conosco molto bene sua figlia e, di certo, non vorrei che Rose si cacciasse nei guai. Sa, poi non vorrei che gli altri abitanti pensassero male a quanto lei non sia un buon padre.”
Gold guardò Excalibur che abbassò tristemente le orecchie. Poi riguardò Lucy e, facendo un piccolo – ma finto – sorriso disse: “Grazie per questa importante informazione. Non so cosa avrei fatto se non lo avessi scoperto. Dico davvero. Se non ci fosse lei, be', io sarei a corto di utili informatori.”
“Voglio solo il bene per le mie ex compagne di scuola. E mi dispiace che Rose non sia più in classe con me” disse Lucy.
“Chissà come mai” disse Gold sorridendo. Poi aggiunse: “Ora, mi scusi veramente, Signorina Hunter, ma devo occuparmi di quella cosa importante. Grazie ancora per il suo immenso aiuto” e la spinse letteralmente verso la porta.
“Per qualsiasi cosa, sarò a sua disposizione” disse Lucy.
“Grazie ancora. Ma credo, con oggi, di aver finito di ascoltare i suoi pettegolezzi” disse Gold. Lucy lo guardò malamente ma, prima che potesse ribattere, si trovò la porta sbattuta in faccia. Gold si passò una mano tra i capelli. Poi si voltò, con la schiena contro la porta, e disse: “Lascio libera Rose per poco e lei cosa fa? Va a parlare con quello straniero. Dovrò veramente metterle il guinzaglio” e, allontanandosi dalla porta, ritornò al bancone. Excalibur, che nel frattempo era uscita dalla sua cesta, si affiancò a lui. Scodinzolò emettendo anche dei versetti, cercando di tirare su di morale il padrone. Ma Gold si limitò ad andare nel retro bottega non proferendo altra parola.
Passò più di un’ora quando Rose e il nuovo arrivato ritornarono dal loro giro. Fermarono la moto proprio davanti al negozio dei pegni. Il nuovo arrivato spense la moto e, mentre sia lui che Rose si toglievano i caschi, disse: “Ti ringrazio per avermi mostrato meglio questa cittadina. Seppur piccola, ha molto da raccontare” Rose scese dalla moto e gli disse: “In effetti non è brutto vivere qua e, se decidi di rimanere, sono sicura che piacerà anche a te.”
“Al momento sono solo di passaggio. Ma può anche darsi che cambi idea” disse il nuovo arrivato. Rose sorrise. Poi disse: “Allora, ci vediamo in giro.”
Anche il nuovo arrivato sorrise per poi dire: “Credo proprio di sì” e, dopo aver riavviato la moto, partì. Rose lo seguì con lo sguardo. Poi si voltò ed entrò nel negozio. Fece appena in tempo a chiudere la porta che Gold andò da lei, replicando: “Dove sei stata per tutto questo tempo?!”
“In giro” rispose semplicemente Rose, già terrorizzata dal padre.
“Con chi?! No, aspetta, non rispondermi. So io con chi: con quello straniero, vero?!” replicò Gold.
“Papà hai per caso bevuto? Hai l’alito che puzza di whisky”  chiese Rose, facendo qualche passo indietro.
“Ora non cambiare discorso! Sei in seri guai, signorinella! Ti sei già dimenticata di una delle regole che ti ho imposto?!” replicò Gold.
“Papà… è che ce ne sono tante e io…” disse titubante Rose. Ma Gold la bloccò replicando: “Adesso basta! Basta! Da oggi in poi non uscirai più da sola! Te ne starai qua o nella villa. Uscirai solamente o con me o con Dove. Anche se dovrai vedere i tuoi amici, ci sarà sempre qualcuno con te.”
“Non puoi decidere della mia vita!” replicò Rose.
“Invece sì che posso: sono tuo padre! E se mi disubbidirai ancora, non vedrai nemmeno più i tuoi amici” replicò Gold. Excalibur li osservava, spuntando con la testa dal retro bottega. Se ne stava bassa, segno che aveva molta paura.
“Non puoi impedirmi di vederli. Tolti loro, che cosa mi rimane? Diventerei una prigioniera nella nostra stessa casa. È così che vuoi farmi diventare? La mamma non avrebbe voluto tutto ciò” replicò Rose.
“Non tirare in ballo tua madre! Lei è morta e, purtroppo, non può fare nulla!” replicò Gold.
“Non ti rendi nemmeno conto di quello che stai dicendo. Sei ubriaco e mi fai paura. Se solo mi  ascol…” disse Rose. Ma non fece nemmeno in tempo a finire la frase che Gold la prese per le braccia e, scuotendola, gridò: “Smettila! Sta' zitta! Sei tu quella che mi deve ascoltare! E’ colpa tua se tua madre è morta! E’ colpa tua se sono rimasto solo! E’ colpa tua se mi sono dovuto occupare da solo di una neonata!”
“Papà, mi stai facendo male! Basta!” replicò Rose.
Gold sembrò tornare in sé e la lasciò andare. Ci fu silenzio, nel quale la bambina strinse le braccia a sé. Le facevano male. Suo padre l’aveva stretta davvero forte. Gold guardò la figlia che aveva le lacrime agli occhi. Si addolcì e disse: “Oh, bambina mia, mi dispiace. Non volevo” e allungò una mano. Ma Rose indietreggiò. Gold fece qualche passo avanti, ma la figlia continuò a indietreggiare.
“Rose, mio piccolo fiore. Non fare così. Io… non volevo, lo giuro. Mi dispiace. Vieni dal tuo papà” disse Gold, tenendo ancora il braccio allungato. Ma Rose, dopo aver scosso negativamente la testa, replicò: “Stammi lontano! In questo momento tu non sei mio padre! Sei solo un uomo ubriaco e troppo preso ad ascoltare quello che dicono gli altri e non sua figlia! Finché il mio “vero” papà non sarà ritornato, devi starmi lontano!” e, voltandosi corse fuori.
“Rose!” la richiamò il padre. Uscì dalla porta, richiamandola ancora: “Rose! Torna qua!” Ma la bambina corse più che poteva. Senza voltare lo sguardo e piangendo. Per poi svoltare l’angolo. Gold, non vedendo più la figlia, rientrò. Excalibur si avvicinò a lui, strusciandosi contro una gamba. L’uomo si abbassò e, dopo averle messo una mano sotto il mento – in modo che la volpe lo guardasse – disse: “ Che cosa ho combinato? Sono riuscito a scacciare l’unica persona che ancora mi voleva bene. Sono un mostro! Una bestia!” e Excalibur abbassò le orecchie.
Rose continuava a correre, con le lacrime che le rigavano il viso. Quando un po’ più in là, vide Paige che camminava accanto a un uomo. Accelerò di più il passo, raggiungendoli. I due, vedendola, si fermarono.
“Rose, che cosa è successo?” domandò preoccupata Paige, vedendo le lacrime dell’amica.
“Si tratta di mio padre. Non lo riconosco più. Non so cosa possa essergli successo. È cambiato” rispose Rose. Paige la strinse a sé e l’uomo disse: “Su, su non piangere piccola. Vedrai che tutto si sistemerà.”
“No. Credo che questa volta non si sistemerà nulla” disse Rose guardandolo.
“Il Signor Gold è sempre stato una persona buona. Be', almeno per me e con te. Gli altri lo hanno sempre visto spregevole” disse Paige.
“Ed è come l’ho visto anche io oggi” disse Rose.
“Che cosa ne dici se ora ti asciughi queste lacrime e poi ritorniamo da lui e ci parliamo?” propose l’uomo. Rose si asciugò le lacrime. Ma disse: “Non ci voglio ritornare da lui.” Poi aggiunse: “Come mai siete da queste parti?”
“Il Signor Gold sarebbe dovuto venire a prendere Paige prima di sera. Invece…” iniziò a spiegare l’uomo.
“… invece non è venuto e abbiamo pensato noi di andare da lui. Stavamo venendo al negozio quando ti abbiamo incontrata” finì Paige.
“Be', io al negozio non ci voglio ritornare. Non lo voglio rivedere” disse Rose abbassando lo sguardo. L’uomo sospirò. Si passò una mano tra i capelli. Poi gli venne in mente un’idea. Quindi propose: “Potresti sempre venire da me e passare il tempo con Paige. Domani mattina, quando le acque si saranno calmate, ti riporterò da tuo padre. Che cosa ne dici?” Rose rialzò lo sguardo e annuì semplicemente.
Poco dopo, mentre le bambine stavano guardando la televisione nel salotto della villa di Jefferson – questo il nome dell’uomo – proprio Jefferson stava camminando avanti e indietro fuori nel corridoio, mentre parlava al cellulare con un Gold alquanto disperato.
“E ti ripeto per la centesima volta che sta bene. Non ha un graffio. È sana. Vuole solo stare un po’ da sola” disse Jefferson. Ma si dovette togliere l’apparecchio dall’orecchio quando Gold – dall’altra parte – gridò: “Stare da sola?! Vuoi dire stare con te! Passamela: voglio parlarci!”
Jefferson si rimise il cellulare all’orecchio, dicendogli, mentre sbirciava in salotto: “Ehm… non credo che in questo momento voglia parlare con te. Sai, è un po’ occupata con Paige a guardare i cartoni animati. Le sto facendo guardare un certo film chiamato “Alice nel paese delle meraviglie” Quei birboni mi hanno disegnato proprio male” e rise. Ma si ritolse l’apparecchio dall’orecchio quando Gold gridò: “Le stai facendo guardare quella brutta roba?! Avrà gli incubi per tutta la notte! Togli subito quel coso.”
“Senti, neanche io amo il paese delle meraviglie e sai il perché. Ma le bambine si stanno divertendo e, al momento, è uno dei pochi cartoni animati che mi ritrovo in casa. O quello o, la prossima scelta per farle divertire, è Peter Pan” disse Jefferson continuando a guardare nel salotto. Tirò via, per la terza volta, il cellulare dall’orecchio quando Gold gridò: “No! Tutto, ma non quello! Quello è peggio di un film horror. Lascia che finiscano di guardare il paese dei matti e poi mandale a letto. È già oltre il loro consueto orario.”
Jefferson sorrise e, dopo essersi rimesso il cellulare all’orecchio, disse: “Gold, anche io ho cresciuto una figlia da solo anni fa. Non ti devi preoccupare di nulla. Domani mattina te la riporto. Tutta intera, ovviamente.” Sentì Gold sospirare. Per poi dire: “Jefferson, so che sei un brav’uomo e che ti è bastato perdere la testa solo una volta. Sei una delle poche persone che non mi sei contro e non lo sei stato nemmeno in passato. So che la mia bambina è in buone mani.”
“Be', la mia lo è stata con te” disse Jefferson.
“Vorrei solo poter parlare con lei. Ti prego” disse Gold. Jefferson aveva sentito bene? Gold aveva detto 'ti prego'? Batté incredulo un paio di volte gli occhi. Poi disse: “Va bene. Ma non ti assicuro nulla” Quindi se ne andò in salotto e, avvicinandosi al divano, aggiunse rivolto a Rose: “C’è tuo padre al telefono e vorrebbe parlare con te.”
“Digli che non ho ancora nessuna intenzione di parlare con lui. Prima dovrà smaltire tutto il whisky che si è bevuto” replicò Rose.
“Io penso che l’abbia già del tutto smaltito. O, se non del tutto, almeno gran parte. È molto lucido. Credimi” disse Jefferson. Rose sembrò pensarci un po’ su. Poi prese il cellulare e, dopo essere scesa dal divano, se ne andò in corridoio. Quindi si mise l’apparecchio all’orecchio e semplicemente disse: “Papà.”
Dall’altra parte, anche se Rose non lo poté vedere, Gold sorrise e disse: “Oh bambina mia. Come stai?”
“Io bene. E tu?” chiese la figlia.
“Ho un po’ di mal di testa. Ma con un buon tè caldo mi passerà. Almeno spero” rispose Gold, mentre se ne stava seduto sul divano del salotto di casa. Excalibur era nella sua cesta, con lo sguardo fermo sul suo padrone. Ci fu silenzio. Poi Gold aggiunse: “Mi dispiace per come mi sono comportato oggi. Non avevo mai alzato prima così la voce con te. Sappi che tutte le cose brutte che ho detto non sono vere. Io ti voglio un mondo di bene e non è colpa tua se la mamma è morta. Ti prego, bambina mia, ho bisogno di te. Torna a casa.”
“Papà, credo di non essere pronta per ritornare a casa. Prima aspettiamo che tu stia completamente bene” disse Rose.
“Io sto già bene!” replicò Gold. Ma dopo essersi accorto di aver alzato nuovamente la voce, si calmò e disse: “Mio piccolo fiore, oggi hai visto un lato di me che non avrei mai voluto che tu vedessi. È ciò che gli altri hanno sempre pensato di me. Una bestia.”
Rose si morse il labbro inferiore. Ora cosa gli avrebbe detto? Una parola sbagliata, o di troppo, e lo avrebbe ferito ancora di più. Doveva procedere con cautela. Quindi disse: “E’ che loro non sono mai riusciti ad andare oltre l’apparenza. Anche se una copertina può essere ruvida al contatto, il suo interno nasconde una storia affascinante. Piena di mistero e segreti ancora da svelare. Tu non sei una bestia. Bestia è chi ti giudica senza sapere veramente che persona sei. Tu sei il mio papà. Ma sei anche il mio eroe. Non dimenticartelo mai.”
A Gold divennero gli occhi lucidi. Si mise una mano sopra di essi, cercando di trattenere le lacrime che però, ormai, gli stavano bagnando il viso. Era da anni che non piangeva. L’ultima volta era stata quando una persona cattiva gli aveva detto che le due donne più importanti della sua vita erano morte, lasciando un enorme vuoto nel suo cuore.
“Papà, stai piangendo?” domandò Rose. Gold si asciugò le lacrime, per poi rispondere: “No. È che avevo un po’ di polvere negli occhi. Si vede che non ho pulito bene.”
“Papà, forse ora è meglio che ritorni da Paige. Che rimanga tra me e te: sto guardando Alice nel Paese delle Meraviglie solo perché piace anche a lei. Sai che io lo odio” disse Rose. Gold sorrise. Quella era proprio sua figlia. Poi disse: “Ci vedremo domani mattina. Fa' la brava e… buonanotte, mio piccolo fiore.”
“Buona notte, papà, e mi raccomando, non fare niente di stupido mentre non ci sono” disse Rose mentre ritornava in salotto.
“Tenterò solo per te” disse Gold. Rose ridiede il cellulare a Jefferson per poi risedersi accanto a Paige.
“Jefferson, mi raccomando, trattamela bene finché non sarà di nuovo tra le mie braccia” disse Gold.
“Perché diffidi ancora di me? Abbiamo un accordo da molto tempo e intendo portarlo a termine. Dopotutto, siamo vecchi collaboratori” disse Jefferson.
“Parla per te: io porto bene i miei anni” disse Gold.
“Vedo che non hai perso il tuo sarcasmo, piccolo folletto impertinente” disse Jefferson sorridendo.
“E tu non hai più perso la testa. Vedi di tenerla ben salda… stavolta” disse Gold anche lui sorridendo, per poi chiudere la conversazione.
“Sì, non è affatto cambiato” disse Jefferson e raggiunse le bambine.
Il giorno seguente, Jefferson e le bambine, dopo aver fatto colazione, stavano camminando verso il negozio ma, quando voltarono l’angolo, videro Gold andare via con la Cadillac.
“Ehi, ma dove se ne starà andando così di corsa? Avrebbe dovuto aspettarci” disse stupito Jefferson.
“Non so voi, ma secondo me ha in mente qualcosa e spero proprio che non faccia di testa sua” disse Rose.
“Purtroppo è sua abitudine fare di testa sua. Anche in passato si comportava così” disse Jefferson e ripresero a camminare.
“Spero solo che non gli succeda come l’ultima volta” disse Rose.
“Perché, che cosa è successo?” chiese Jefferson.
“E’ finito in prigione perché ha quasi picchiato a morte Moe French. Ma aveva ragione: quell’uomo aveva picchiato me e rubato qualcosa di molto importante” rispose Rose.
“Sì, tuo padre non ha mai potuto sopportare quell’uomo. Secondo lui è per colpa sua se tua madre è morta” disse Jefferson. Rose lo guardò stranamente. Quella era la terza versione diversa che le davano sulla presunta morte della madre. Arrivarono in centro dove c’era gran fermento. Tutti, infatti, stavano preparandosi per la Festa del Minatore che si sarebbe tenuta proprio quella sera.
“Stasera dovremmo venirci. Credi che tuo padre ti lascerà venire con noi?” domandò Paige.
“Glielo chiederò quando avrà finito con il suo lavoro da spia” rispose Rose.
“Spia?!” ripeté stupita Paige, guardandola.
“Dove credi andasse così di corsa con la sua Cadillac? A spiare qualcuno, ovviamente. Non è da lui chiudere il negozio di prima mattina. Non lo chiuderebbe neanche se venissero due metri di neve” spiegò Rose.
“E chi è che dovrebbe spiare?” chiese Paige.
“Prova un po’ a pensarci. Chi è che è appena arrivato in città? Chi è che parla con la sottoscritta che poi, appena arrivata a casa, litiga con il proprio padre ubriaco?” rispose Rose.
“Il motociclista scrittore? Credi che stesse seguendo proprio lui?” domandò stupita Paige.
“Non credo. Ne sono sicura. E, come ti ho detto, spero che non faccia nulla di stupito” rispose Rose. Si fermarono, per vedere Leroy parlare con una delle suore.
“Ehi, ma quello non è quello scorbutico di Leroy?” disse Paige.
“Se è scorbutico, allora perché sta sorridendo a quella suora?” chiese Rose.
“Non crederai veramente che…” iniziò a dire Paige. Rose annuì e disse: “Sì. Che si è preso una bella cotta per lei. Chi lo avrebbe mai detto?”
“Be', l’amore a volte gioca in modo strano” disse Jefferson.
“Molto strano riguardo Leroy. Insomma, chi mai andrebbe con uno scorbutico come lui?” disse Rose.
“Molte persone pensano la stessa cosa dei tuoi genitori: come avrà fatto tua madre ad andare con un uomo spregevole come tuo padre? Prova un po’ a pensarci” disse Jefferson e Rose non aggiunse altro.
Videro la suora sorridere e togliergli della roba bianca dalla testa e sul giubbotto. I due parlavano e la suora sembrava alquanto preoccupata, visto che a loro se ne aggiunse un’altra con un foglietto in mano. Videro la suora che aveva sorriso a Leroy mettersi una mano sulla fronte e scuotere negativamente la testa. Poi l’altra suora se ne andò. Leroy parlò nuovamente con la suora di prima. Rose si avvicinò un po’ e sentì la suora dire: “Il problema è che, purtroppo, sono una sciocca. Noi suore riceviamo una congrua per le spese e dovremmo amministrarla con attenzione ma, per uno stupido errore, l’ho spesa tutta, acquistando elio in bombole. E ora non abbiamo soldi per l’affitto.”
“Userete la prossima congrua per pagarlo” disse Leroy.
“Ma non arriverà che fra un mese. L’affitto scade tra una settimana. Ora possiamo affidarci solo alla vendita delle candele” spiegò la suora.
“Quante candele dovreste vendere?” domandò Leroy.
“Direi almeno mille” rispose la suora.
“Come è andata l’anno scorso?” chiese Leroy.
“Quarantadue” rispose la suora.
“Chiedete una proroga al padrone” propose Leroy.
“Il Signor Gold di solito non è molto disponibile” disse la suora.
“Il padrone è il Signor Gold?!” disse stupito Leroy. Rose inarcò un sopracciglio. Ma ovvio che lo era suo padre, in quanto padrone anche di tutta la città.
“Se salta un pagamento ci butterà fuori. Lo stabile andrà a qualcun altro e noi dovremo lasciare Storybrooke” spiegò la suora. Rose fece qualche passo avanti. Per quanto suo padre odiasse le suore a lei invece, stranamente, le stavano un po’ simpatiche. Si fermò però quando Leroy disse: “No, non succederà! L’anno scorso ne avete vendute quarantadue solo perché non avevate me. Ma quest’anno le venderemo tutte!”
“Leroy, tu sei veramente il mio eroe!” disse entusiasta la suora e, dopo averlo baciato velocemente su una guancia, rientrò nell’edificio dietro di loro. Leroy rimase lì, senza parole, portandosi una mano sulla guancia dove aveva appena ricevuto il bacio. Poi si voltò e andò verso la bancarella dove vendevano le candele che, guarda caso, era gestita da Mary Margaret. A Rose venne in mente un’idea. Quindi, rivolta a Paige, domandò: “Pensi anche tu a quello che penso io?”
“In questo momento sto pensando a una bella cioccolata calda. Tu, invece?” chiese Paige. Rose alzò gli occhi al cielo. Poi rispose: “Ti ricordi il mio piano di voler aiutare Mary Margaret? Be', voglio metterlo in atto ora” e si incamminò verso la bancarella. Paige la seguì e stupita domandò: “Ora?! Cioè in questo preciso istante?”
“Sì, in questo preciso istante. Se hai seguito la loro conversazione, avrai capito – ma forse lo sapevi già- che mio padre è il padrone del convento e se non vendono la maggior parte delle candele non riusciranno a pagargli l’affitto, e sono sicura al cento per cento che mio padre sarà molto lieto di sbatterle fuori. Ma, se li aiuteremo anche noi, mio padre non potrà obiettare e, così facendo e di conseguenza, aiuterò anche Mary Margaret provando a tutti gli abitanti di Storybrooke che è una brava persona” spiegò Rose.
“Sei sicura di potercela fare? Insomma, non è la stessa cosa che cercare di far credere a una sola persona che la maledizione è vera. Qua è far credere a tutti gli abitanti che una donna non stia rovinando una relazione tra marito e moglie” disse Paige affiancandola.
“Ed è qui che ti sbagli, mia cara. Alcuni abitanti sono già dalla nostra parte” la corresse Rose.
“Per caso li hai avvisati, questi abitanti, dicendo loro: “Ehi, che bello, siete dalla nostra parte per difendere la Signorina Blanchard”. Faranno i salti di gioia vedrai” disse sarcasticamente Paige.
“Sì, sì prima o poi glielo riferirò. Ma ora fa' quello che faccio io” disse Rose e, dopo essere arrivate alla bancarella, aggiunse, facendo un enorme sorriso: “Salve, Signorina Blanchard. Non pensavo di trovarla qua.”
“Neanche noi di trovare tu qua. Credevo che tuo padre ti avesse insegnato a non bazzicare tra la plebe” replicò Leroy. Rose lo guardò e, continuando a sorridere, disse: “Nemmeno tu, se è per questo. Considerando che odi aiutare la gente. Ma, a quanto pare, c’è una certa suora che ti ha fatto cambiare idea.”
“Piccola insolente! Come…” iniziò a replicare Leroy. Ma Rose lo bloccò: “So che hai una reputazione da mantenere. Quindi facciamo così: io e Paige non andremo a raccontare in giro che ti sei rammollito e tu, in cambio, ci permetterai di aiutarvi nel vendere queste candele. Allora, accetti questo patto?” Leroy la guardò malamente. Guardò Mary Margaret quando quest'ultima disse: “E’ molto gentile da parte tua, Rose, aiutarci, ma non credo che tuo padre sia d’accordo.”
“Oh, lasci perdere mio padre. E poi, al momento non c’è. Quindi vi consiglio di accettare l’offerta finché lui non bazzica da queste parti e, detta da me, non me la farei scappare. Considerando anche che, vedendomi a lavorare con voi, difficilmente caccerà le suore dal convento” spiegò Rose.
“Be'… ecco… noi…” disse indecisa Mary Margaret.
“Accettiamo!” disse Leroy. Mary Margaret lo guardò stranamente. Rose sorrise per poi dire: “Perfetto. Allora, che cosa dobbiamo fare?”
“Accettiamo se ci aiuterà anche lui” aggiunse Leroy indicando Jefferson. Quest’ultimo, sentendosi nominato, si avvicinò a loro per poi chiedere: “Io cosa dovrei fare?”
“Aiutarci a vendere le candele. Tu sembri avere la faccia di uno che sa convincere le persone a comprare” rispose Leroy. Rose alzò gli occhi al cielo. Jefferson sorrise per poi dire: “Non credo di aver capito bene.”
“Sei sordo o stai facendo apposta?! Potrai aiutarci nel vendere le candele” replicò Leroy.
“E che cosa succede se non le vendete?” domandò Jefferson.
“Le suore del convento verranno sfrattate” rispose Mary Margaret.
“E il padrone ne gioirà” aggiunse Leroy. Jefferson stava per aprire bocca. Ma Rose guardandolo, lo bloccò: “Prima che tu lo chieda, il padrone è mio padre.” Riguardò Leroy e Mary Margaret e aggiunse: “E prima che voi partiate con l’interrogatorio di terzo grado, lui si chiama Jefferson e, a quanto pare, è un vecchio conoscente di mio padre. No, non è in combutta con lui. No, non lo siamo nemmeno io e Paige. No, non ha la faccia di uno che sa vendere. Al massimo potrà fabbricare un cappello.”
“E a proposito di cappelli, credo che bazzicherò intorno alla bancarella dei cappelli. Ne ho visti alcuni fatti bene. A dopo bambine e, mi raccomando, vendete tante candele” disse Jefferson e si allontanò.
“Quello è tutto matto” disse Leroy.
“Allora, che cosa dobbiamo fare?” chiese sorridendo Rose.
Nel frattempo, Gold aveva seguito il nuovo arrivato fino al convento. Lo aveva visto parlare con la suora superiora per poi andarsene nuovamente in moto. Quindi scese dalla Cadillac, riuscendo a raggiungere proprio la suora superiora. Le stava antipatica, questo era certo. Come lui stava antipatica a lei. Di fatti scambiarono poche chiacchiere ma, almeno, Gold riuscì a farle trapelare qualche informazione riguardate il nuovo arrivato. Scoprì di fatti che stava cercando il padre dopo una lunga separazione e che lo aveva ritrovato. Purtroppo, padre e figlio non si erano ancora ricongiunti, dicendo che si trattava di una storia dolorosa, con molte questioni lasciate in sospeso. La madre superiora si congedò, lasciando Gold con mille pensieri per la testa. Che il nuovo arrivato fosse la persona che stava cercando da tempo?
Stava per ritornarsene alla Cadillac quando un’altra suora gli passò accanto e, fermandosi disse: “Oh, Signor Gold, che piacere rivederla.”
Gold si fermò e, guardandola disse: “Sorella Grey, lei è l’unica che ha così piacere di rivedermi.”
“Be', con me lei non è mai stato crudele. Forse una volta o due, ma non così tanto da renderla antipatico” disse Grey. Gold fece un piccolo sorriso. Poi la suora aggiunse: “Come sta la piccola Rose? E’ da molto che non la vedo.”
“Sta bene. Anche se tende costantemente a cacciarsi nei guai” rispose Gold.
“Sono sicura però che abbia sempre il suo papà accanto che la protegge” disse sorridendo Grey.
“Faccio il possibile. Ma ogni giorno che passa è come se la mia bambina si stesse allontanando da me. Forse è anche per colpa mia, tendo a nasconderle delle cose” disse Gold.
“Ma se lo fa è per proteggerla, vero? Dopotutto ha solo lei, dopo la morte della madre” disse Grey. Gold non disse nulla. Fu Grey però ad aggiungere: “Signor Gold, posso farle una domanda?”
“Sì, certo” rispose lui.
“La troverà strana come cosa, ma è da un po’ di tempo che faccio dei sogni alquanto bizzarri. Sogno che mi trovo in un castello e insieme a me ci sono una donna bellissima dai capelli scuri e gli occhi azzurri come il cielo e un uomo dalla pelle verdastra e una risata sinistra. L’uomo continuava a chiamare la ragazza Belle mentre lei lo chiamava Tremotino. E io ero lì, vicino alla ragazza e…stavo facendo nascere suo figlio. Subito dopo mi ritrovo tra le braccia una neonata che poi, dopo averla lavata e curata, avvolgo in un asciugamano e depongo delicatamente tra le braccia della madre. Sto per uscire quando questo Tremotino mi chiama. Non Grey. Ma Grachen. Lui mi ringrazia e ritorna dalla ragazza e la figlia appena nata. Poi il sogno si interrompe. Lei che cosa pensa di tutto ciò?” spiegò Grey. Gold non disse nulla subito dopo che la suora aveva nominato il suo nome. Il suo vero nome nella vita passata e di ora. La sua mente era ritornata al giorno in cui Rose era nata. Si destò da quei ricordi, guardando la suora e rispondendole: “Io non escludo mai nulla. Per me i sogni possono anche essere reminiscenze del proprio passato. Ci rifletta su. Arrivederci, sorella Grey” e, voltandosi, ritornò alla Cadillac.
“Arrivederci, Signor Gold” disse Grey guardandolo. Gold rientrò in macchina e guardò la suora. In realtà lui sapeva benissimo che lei e Grachen erano la stessa persona ed era per questo motivo che quella era l’unica suora che gli stava simpatica. Se non fosse stato per lei, la sua dolce Rose non sarebbe mai nata. Avviò la macchina e partì.
Intanto, la gente aveva già cominciato a brulicare tra le bancarelle del centro. Ma nessuno aveva ancora comprato una candela.
“Comperate una candela per la festa del minatore. Fatte a mano dalle suore di Storybrooke. Accorrete. Forza, signori, è per una buona causa” li incitava Mary Margaret a comprarle. I passanti, però, la guardavano e proseguivano.
“Non sta funzionando” disse Paige.
“Hai ragione. Bisogna minacciarli” disse Rose. Paige la guardò stranamente. Rose quindi aggiunse: “Comprate queste bellissime candele fatte a mano. Se lo farete dirò a mio padre di abbassarvi l’affitto. Se non lo farete…” Ma Paige la bloccò, dicendole: “Ehm…non credo che minacciandoli attraverso tuo padre li faccia avvicinare.”
“Allora che cosa proponete? Non è che gli affari stiano andando bene”  domandò Rose.
“Mettiamo via tutto” disse Leroy.
“Ci stai mollando?” chiese Mary Margaret guardandolo.
“Ma sì, dai, lascialo andare. Intanto chi ha bisogno di lui?” replicò Rose. Leroy le guardò e spiegò: “I clienti non vengono da noi. Quindi andiamo noi da loro. Porta a porta.”
“Non ci vogliono. E pensi che ci vogliamo alla loro porta?” domandò Mary Margaret.
“E’ questo il punto: ci pagheranno soltanto per andare via” rispose sorridendo Leroy. E incominciò a mettere via le candele nelle scatole.
“Non pensavo avessi un cervello che lavorasse. Mi piace come idea. È un ricatto, dopotutto” disse Rose.
“Non sono mai andata porta a porta. Credi che stia bene vestita così?” chiese Paige guardando Rose. Quest’ultima la guardò a sua volta, rispondendole: “Non baderanno ai vestiti. Fidati. Dovranno solamente sganciare.”
“Voi non verrete” disse Leroy, chiudendo la seconda scatola. Le bambine lo guardarono e Rose stupita domandò: “E come mai no?” 
“Perché qualcuno dovrà rimanere qua e continuare a vendere le altre candele” rispose Leroy.
“Non è giusto! Solo perché siamo piccole non è detto che non possiamo anche noi andare porta a porta” replicò Rose.
“Oh, scusami tanto, piccola Gold. Ma credo proprio che alle bambine non diano molta importanza, soprattutto se vedranno te, la figlia dell’uomo più spregevole di tutta Storybrooke” disse Leroy guardandola. Rose lo guardò malamente e poi replicò: “Te ne pentirai di ciò che hai appena detto. Te la farò pagare. Hai la mia parola.”
“Sto tremando di paura” disse sarcasticamente Leroy e, sorridendo maliziosamente, finì di riempire altre scatole. Poi guardò Mary Margaret e, prendendo alcune candele, semplicemente aggiunse: “Andiamo” e uscì dalla bancarella.
“Ehm… mi raccomando… fate le brave e non lasciate mai incustodita la bancarella” disse Mary Margaret con anche lei in mano alcune candele.
“Non si preoccupi, signorina Blanchard: rimarremo sempre qua” disse Paige guardandola.
“Muoviti, sorella! Intanto non incendieranno la bancarella” gridò Leroy e Mary Margaret lo seguì.
“Però potrebbe essere un’idea” disse Rose. Paige la guardò, dicendole: “Fattela andare via dalla testa” e Rose sbuffò.
Intanto, Gold era ritornato di fronte al negozio. Spense la macchina e scese ma, prima di chiudere la portiera, aspettò che scendesse anche Excalibur. Gold non si era fidato di lasciare la volpe in negozio: sebbene dormisse quanto un gatto, poteva risultare anche molto pericolosa. Soprattutto quando si trovava da sola in un ambiente pieno di oggetti delicati di ogni tipo. Il paese delle meraviglie per una volpe curiosa come Excalibur. E così, mentre lui se ne era stato a parlare con le suore, lei si era addormentata nella macchina.
La volpe scese e guardò, con occhi ancora mezzi addormentati, il padrone. Quest’ultimo la guardò e, dopo aver chiuso la portiera, disse: “Vieni con me. Hai bisogno di una bella passeggiata per risvegliarti” e si incamminò, con Excalibur al suo fianco. Di tanto in tanto sbadigliava. Gold quindi disse: “Non mi incanti. Non ti riporterò né a casa e né in negozio per farti oziare nella tua cesta. E poi una bella passeggiata è quella che ci vuole anche per farti dimagrire. Non capisco perché ti faccia mangiare poco, eppure continui a ingrassare.”
Excalibur lo guardò e poi guardò subito da un’altra parte. In realtà in giardino aveva nascosto in una buca un bel po’ di carne e altri alimenti che non si potevano di certo definire dietetici. Nessuno dei suoi due padroni era a conoscenza di questo nascondiglio e tale doveva rimanere.
Arrivarono in centro, passeggiando tra la tanta gente che si era accumulata in quelle ore, alla ricerca di qualche regalo tra le varie bancarelle. Excalibur si fermò non appena vide la bancarella dello zucchero filato. Si leccò i baffi, vedendo quella leccornia. Stava per andarci quando però si sentì tirare. Voltò lo sguardo per vedere Gold che le aveva bloccato la parte finale della coda con il bastone. Smise quindi di muovere le zampette e guardò il padrone. Quest’ultimo disse: “Troppo zucchero ti fa venire il mal di pancia. Cammina davanti a me” e tolse il bastone da sopra la coda. A orecchie abbassate, Excalibur gli passò accanto per poi camminare. Gold, facendo un piccolo sorriso, la seguì.
Intanto, alla bancarella delle candele, Paige incitava i passanti: “Comprate queste bellissime candele. Ce ne sono per tutti.”
“Per forza ce ne sono per tutti: non ne abbiamo ancora venduta una” disse Rose. Paige la guardò, dicendole: “Se non mi aiuti, non ce la faremo mai. Su con il morale.”
“Gliela farò pagare, a Leroy, per non averci fatto andare con loro porta a porta. E per avermi insultata” replicò Rose.
“Non è vero che ti ha insultata. E poi come credi di fargliela pagare?” chiese Paige. In quel momento Gold, che passava di lì, le vide e stupito domandò: “Rose. Paige. Che cosa ci fate qua?”
A Rose si illuminarono gli occhi nel sentire la voce del padre e, guardandolo, uscì dalla bancarella correndo da lui e abbracciandolo. Poi disse: “Oh, papino adorato come sono contenta che sei qua. Portami via da questo inferno” e Paige roteò gli occhi.
“Che cosa è successo? E perché state vendendo candele?” chiese Gold.
“Leroy e la Signorina Blanchard sono andati porta a porta a venderle, perché qua non le comprava nessuno” rispose Paige.
“Intanto non le stiamo vendendo ugualmente. Ma papà, il problema è un altro: Leroy è stato cattivo con me. Mi ha insultata” disse Rose. Paige scosse negativamente la testa.
“Che cosa?!” replicò già furente Gold.
“Ha detto che siamo troppo piccole per andare porta a porta e che le persone non mi avrebbero aperto vedendomi perché sono figlia di un uomo spregevole come te. Ha detto che non valgo nulla” spiegò Rose. Gold le accarezzò la testa per poi dire: “Tranquilla, piccola, ci penserà il tuo papà. Appena Leroy ritornerà, se la dovrà vedere con me.”
“Grazie, papà. So che tu sei il migliore” disse Rose e, guardando Paige, fece un piccolo sorriso beffardo. Paige scosse nuovamente negativamente la testa, ma guardò Gold quando questi le disse: “Spero per lei che non sia venuta qua da sola. Dov’è Jefferson?”
“Ha detto che avrebbe bazzicato da queste parti” rispose Paige. Gold si guardò intorno quando lo vide accanto a una bancarella che vendeva dei cappelli. Quindi disse: “Tenete d’occhio Excalibur. Non voglio che se ne vada in giro alla ricerca di dolci” e se ne andò da Jefferson. Quando lo raggiunse, gli diede una leggera bastonata dietro a una gamba. Jefferson lo guardò.
“E’ così che rispetti il nostro accordo? Guardando dei cappelli?” domandò Gold.
“Non so a cosa alludi, ma il nostro accordo l’ho rispettato a pieno. Sei tu, piuttosto, che non lo hai rispettato del tutto” rispose Jefferson.
“Ah, davvero? E in che cosa non lo avrei rispettato del tutto?” chiese Gold, facendo un piccolo sorriso.
“Be', mi dici di tenere Paige per la notte, ma poi dici di riportartela in mattinata. Stavamo venendo al tuo negozio quando tu te ne sei andato di corsa con la tua Cadillac. Questo non è rispettare del tutto un accordo” spiegò Jefferson.
“Il nostro accordo prevedeva protezione reciproca e mi pare che ciò sia avvenuta in entrambi i casi. Ma proporrei di portarlo avanti” disse Gold.
“Portarlo avanti?! E di quanto?!” domandò stupito Jefferson.
“Almeno finché la maledizione non sarà stata spezzata” rispose Gold. Jefferson lo guardò stranamente non obiettando. Quindi Gold aggiunse: “Credevo avessi trovato una soluzione per far mantenere i ricordi a tua figlia.”
“Lo credevo anche io. Pensavo che quella pozione che mi avevi dato avrebbe potuto funzionare anche per lei” disse Jefferson.
“Avevi la testa salda sulle spalle: un’idea ti deve essere saltata fuori” disse Gold.
“Grazie per il complimento e sì, ho trovato qualcosa: ho messo un paio di gocce della pozione sul suo ciondolo. Guarda caso, proprio quello che le avevi regalato quando era scappata da casa” disse Jefferson.
“Non era scappata: si era solo un po’ allontanata. Diceva che un lupo l’aveva inseguita e, così, sono apparso per aiutarla” disse Gold.
“E l’hai portata al tuo castello dove, con la tua volpe, si è poi avventurata nella foresta. Avresti dovuto tenerla d’occhio” disse Jefferson.
“Io?!” disse stupito Gold e, dopo aver riso, continuò: “Non ero mica il suo babysitter. E poi, grazie a lei, ho potuto prendere un oggetto molto prezioso appartenuto a una protettrice della foresta” e sorrise. Voltarono lo sguardo quando sentirono gridare Leroy. Quindi si riavvicinarono alla bancarella delle candele.
“Come sarebbe a dire che non ne avete venduta neanche una?!” replicò Leroy.
“E’ proprio così e, a quanto pare, neanche voi non ne avete venduta nemmeno una” disse Rose.
“Vi avevamo lasciate qua per uno scopo. Uno solo! Ma non lo avete rispettato!” replicò Leroy.
“Signor Leroy, spero che ci sia una dovuta spiegazione del perché stia gridando a mia figlia e alla sua amica” disse Gold fermandosi da loro, insieme a Jefferson.
“Signor Gold, proprio lei stavo cercando” disse Leroy guardandolo.
“Ma che strana coincidenza, perché anche io stavo cercando lei” disse Gold.
“Bene, perché avrei da mostrarle una cosa molto importante. Quindi, se vuole seguirmi” replicò Leroy e, voltandosi, stava per incamminarsi quando Gold lo bloccò: “Non mi pare che sia lei a dettare legge, qui.”
Leroy lo guardò dicendo: “Mi dispiace tanto non dettarla, perché le cose andrebbero meglio per tutti. Ma la cosa che vorrei mostrarle non ha né le ruote e nemmeno le gambe per venire qua” Gold alzò gli occhi al cielo. Poi riguardò Leroy e disse: “E va bene. Verrò con lei. Ma badi che deve essere una cosa interessante.”
“Oh, non si preoccupi, Signor Gold: le interesserà eccome” disse Leroy e si incamminò. Gold guardò la figlia, dicendole: “Rose, andiamo.”
“Ma devo proprio venire con te?” chiese Rose. Ma dopo aver visto lo sguardo non tanto benevole del padre, sbuffò e aggiunse: “E va bene” e gli passò accanto, seguendo Leroy. Gold si guardò intorno per poi domandare: “Dov’è Excalibur?” Sentirono un piccolo rutto. Tutti abbassarono lo sguardo per vedere la volpe sbucare da dietro la bancarella dello zucchero filato. Gold alzò gli occhi al cielo.
“Non pensavo che alle volpi piacesse lo zucchero filato” disse Jefferson.
“Neanche io. Ogni giorno che passa Excalibur mangia qualcosa di nuovo. Il che mi preoccupa” disse Gold.
Poco dopo Gold, Rose e Leroy si trovarono al porto e Leroy stava mostrando loro una barca. La sua barca, per la precisione. Mentre i due parlavano, Rose si allontanò leggermente da loro – incominciando a dare dei calci a un piccolo sasso – ma poté comunque sentire ciò che si stavano dicendo.
“Lo so, adesso non è messa molto bene. Ha di sicuro bisogno di una mano di vernice e una rinfrescata nella parte interna. Ma non può dirmi che cinquemila dollari non siano un prezzo ragionevole per questo gioiellino.”
“Tremila dollari, non di più” disse Gold.
“Me ne servono cinque!” replicò Leroy guardandolo.
“Gliene servono cinque?! E a cosa dobbiamo tanta precisione?” chiese Gold guardandolo a sua volta.
“Devo aiutare un’amica” rispose Leroy.
“Capisco” disse semplicemente Gold facendo un piccolo sorriso.
“Ascolti. Non c’è neanche bisogno che mi paghi. Conceda alle suore più tempo per l’affitto” disse Leroy.
“Alle suore?!” disse stupito Gold.
“Si prenda la barca. Loro alla fine pagheranno e lei otterrà entrambe le cose” spiegò Leroy.
“Crede che sia tutto così semplice?” domandò Gold.
“Lei è un uomo ricco: può concedere alle suore un po’ di tempo in più” rispose Leroy.
“Potrei farlo” disse Gold.
“Magnifico!” disse Leroy.
“Ma non lo farò. Il contratto stipulato è chiaro e preciso. Se salta un pagamento ho il diritto di sfrattarle” spiegò Gold.
“Oh, andiamo. Ma perché…” iniziò col dire Leroy. Ma venne bloccato da Gold: “E detto tra noi, sarebbe un gran sollievo liberarsi di inquiline così sgradevoli.”
“Non le piacciono le suore?! A tutti piacciono le suore!” disse stupito Leroy.
“Ho le mie ragioni. E sono private. Diciamo che dietro c’è una storia molto lunga e complicata. Le basti questo” spiegò Gold e, voltandosi si incamminò. Ma poi si fermò e, riguardando Leroy aggiunse: “Ah, e un altro motivo del perché non le compro la barca è il suo comportamento con mia figlia.”
“E sentiamo, come avrei dovuto comportarmi con la sua piccola principessa?” chiese Leroy.
“Le dico solamente che non l’ha trattata come avrebbe dovuto. Le ha detto che non vale nulla” rispose Gold.
“Davvero le avrei detto questo?” domandò Leroy.
“Non mi dica che era presente un sosia al posto suo?” disse sarcasticamente Gold.
“Non intendevo quello. È che io non ho mai detto alla sua preziosa figlia che non vale nulla. Quella peste si è inventata tutto solo per farmela pagare” spiegò Leroy.
“Sta per caso dando della bugiarda alla mia Rose?” chiese Gold.
“Non le crederà veramente?” domandò Leroy.
“E dovrei credere a lei, invece che al sangue del mio sangue? Rose non mi direbbe mai le bugie. E poi conosco il suo carattere, Signor Leroy: è scorbutico con tutti e non mi meraviglia il fatto che lo sia stato anche con mia figlia, visto che non le ha permesso, insieme a Paige, di venire con voi a vendere le candele porta a porta” spiegò Gold.
“Vendere candele porta a porta non è lavoro da bambine. Ma a quanto pare non è lavoro loro nemmeno stare dietro a una bancarella” disse Leroy.
Mentre i due discutevano, Rose continuava a dare dei calci a quel piccolo sasso. Quindi, dandogli un calcio leggermente più forte, lo fece rotolare più avanti. Il sasso andò a sbattere contro le scarpe di qualcuno. Questo qualcuno si abbassò per raccoglierlo. Rose alzò lo sguardo per vederlo in faccia  e sorrise non appena lo riconobbe.
“Lo sai che è pericoloso far rotolare dei sassi?” chiese il nuovo arrivato.
“Non ti avrebbe fatto del male. Non avrebbe neanche scheggiato il legno più duro” disse Rose.
“Già” disse semplicemente il nuovo arrivato guardando da una parte. Sembrava pensieroso. Poi riguardò Rose e le domandò: “Che cosa ci fai qua?”
“Mio padre ha voluto che lo accompagnassi. Penso che voglia sorvegliarmi ventiquattr’ore su ventiquattro. Lui e Leroy stanno discutendo per una barca e, a quanto pare, ora anche su di me. Tu, invece?” rispose Rose.
“Cerco delle ispirazioni per la mie storie” disse il nuovo arrivato. Ci fu silenzio. Ma poi Rose chiese: “ Allora come ti dovrei chiamare?”
“Come, scusa?” domandò il nuovo arrivato.
“Non far finta di non aver capito. Non ti posso sempre chiamare nuovo arrivato o scrittore motociclista” rispose Rose.
“Scrittore motociclista. Questo mi piace. Comunque mi chiamo August Booth” disse August.
“Ed è sempre stato il tuo nome di questo mondo?” chiese Rose.
“Il mio nome da queste parti” rispose sorridendo August e Rose inarcò un sopracciglio. Voltarono lo sguardo per vedere Gold voltare le spalle a Leroy e alzare una mano al cielo per poi camminare verso di loro. Fece un piccolo sorriso e disse: “Ah, il nuovo arrivato.” Poi guardò Rose e aggiunse: “Forse non ero stato abbastanza chiaro quando ti avevo detto di stare alla larga da lui.”
“Non si preoccupi, Signor Gold: non sono contagioso. E poi io e sua figlia ormai ci conosciamo molto bene” disse August. Gold lo guardò dicendogli: “Mia figlia sa che non deve mai parlare con gli sconosciuti.”
“Ma lui ormai non è più uno sconosciuto. Dice di chiamarsi August Booth. Almeno, il suo nome da queste parti” disse Rose guardando il padre. Gold la guardò a sua volta. Ma riguardò August quando questi gli disse: “Sua figlia ha ragione: ormai non sono più uno sconosciuto.”
“E cosa ci farebbe da queste parti, Signor Booth?” domandò Gold. Ma al posto di August rispose Rose: “Prende ispirazione per le sue storie.”
“Ma davvero. Be', allora le consiglio di prendere ispirazione cominciando co lo stare lontano da mia figlia” disse Gold e, dopo aver messo un braccio intorno a Rose, la strinse accanto a sé. Poi incominciò a camminare – con figlia accanto – ma si fermò. Guardò August e gli disse: “Vorrei parlare con lei. Se non le dispiace. E in privato.”
“Riguardo cosa?” chiese August.
“Faccende personali. Incontriamoci stasera di fianco al mio cottage nella foresta vicino al lago” rispose Gold e, riguardando avanti, lui e Rose ripresero a camminare.
Venne sera e quasi tutti gli abitanti erano in piazza per festeggiare la Festa del Minatore. Mary Margaret e Leroy erano dietro la bancarella ma, come per la mattina e il pomeriggio, non avevano ancora venduto nemmeno una candela. Per colpa di quella piccola peste di Rose, Leroy non era nemmeno riuscito a vendere la sua barca a Gold. L’uomo aveva preferito credere alle suppliche della figlia, piuttosto che cedere i suoi soldi a favore delle suore. Ma, dopotutto, le detestava.
Proprio Gold stava camminando per la foresta da solo. Aveva lasciato Rose a casa con Dove. Non voleva che andasse alla festa, né che lo accompagnasse nella foresta. Meno vedeva August e più stava tranquillo. Ma l’uomo non aveva fatto i conti con l’innata curiosità della figlia. Infatti, per poter seguire il padre, aveva messo un potente sonnifero nel tè di Dove. La guardia del corpo, abituato a berlo ogni sera, lo sorseggiò, cadendo così in un sonno profondo. E così ora la giovane Gold, con Excalibur appresso, si trovava a seguire il padre a debita distanza per non essere vista, per poi nascondersi dietro a un albero e osservare Gold che si avvicinava a August.
“Vedo che hai accettato il mio invito. Apprezzo che qualcuno almeno mi ascolti” disse Gold. Rose si nascose ancora di più dietro all’albero: che suo padre l’avesse scoperta? Vide però August porgere l’attenzione e Gold aggiunse: “ Io so chi sei e so cosa stai cercando.”
“Be', allora possiamo smettere di fingere, finalmente” disse August. Poi aggiunse quell’unica parola che Gold non sentiva da tanto tempo da parte di quella persona: “Papà” e Rose rimase a bocca aperta. Aveva un fratello? Allora come mai suo padre non le aveva mai parlato di lui? Troppe cose ancora non tornavano e voleva capire. Capire la verità.
 


Note dell'autrice: Buona sera Oncers ed eccomi qua con un altro capitolo terminato. Ormai sono alla fine della prima stagione. Credo altri due capitoli e poi passerò alla seconda stagione. Che dire è successo di tutto. Cmq volevo fare i complimenti al grande Ade: lo adoro. Va bè, mi sta già piacendo questa quinta stagione, ma voglio vedere più rumple (la 5x14 sarà rumple centri yeahhhhhhhhh) e più rumbelle....e baby ( a proposito congratulazioni a emilie che è diventata mamma della piccola Vera Audrey)
Ripassiamo al capitolo... come vi ho detto è successo di tutto. Ma cosa più importante Gold racconterà tutta la verità a Rose? Staremo a vedere
Volevo ringraziare tutti coloro che stanno seguendo la storia. che la stanno recensendo o semplicemente leggendo. E anche che l'hanno messa tra le preferite. Grazie. Inoltre un enorme grazie alla mia amica Lucia.
Con ciò (e sperando di non avervi troppo annoiato) vi aspetto al prossimo capitolo. Buona serata, dearies
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



 



  
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