EPILOGO
26 gennaio 1851,
periferie di San Paolo, Impero del Brasile
Era ormai mezzogiorno, e Teresa si stava dando da fare per
preparare il pasto per suo marito Giovanni e i loro cinque figli.
Colei che poco più di un decennio addietro era stata una
contessina, ormai si sentiva solo ed esclusivamente una contadina qualsiasi,
una lavoratrice abituata da anni ad ogni sforzo e ai dolori delle gravidanze.
Le sue mani erano forti e arrossate, e sempre pronte ad
impastare qualcosa di buono o a lavare con forza i panni nel ruscello che
scorreva poco distante dall’abitazione quasi totalmente in legno, che in
tredici anni era diventata una casa ancora più ampia. Giovanni aveva
provveduto, assieme a Roberto, a costruire nuovi ambienti in legno, tra cui
alcuni ripari per gli animali da cortile, ma anche due stanze laterali per i
figli, che stavano cominciando a crescere e che faticavano a condividere la
stessa stanzetta che era stata appositamente preparata per loro tempo addietro.
Dopo due mesi dal loro sbarco a Santos, e dal loro arrivo in
quel Paese pieno di foreste e di animali selvatici e strani, il signor Edmondo
era riuscito a far avere a lei e al suo amato tutti i documenti necessari per
poter contrarre matrimonio e per potersi finalmente sentire a casa,
regolarizzando di fatto e sotto ogni aspetto la loro permanenza nell’Impero.
Assieme ai loro documenti, ne erano stati redatti altri due
anche per Sara e Roberto, che però erano stati abilmente falsificati per via
del fatto che il banchiere, sbadato, non aveva richiesto i cognomi e le varie
generalità ai due giovani. Da quel momento, Roberto Dolmenici era diventato Roberto
Sanchez, un giovane italo-ispanico giunto nelle Americhe per mettere su
famiglia con la giovane Sara Iniguez, di lontane origini italiane anche lei.
Tutto ciò suscitava ancora l’ilarità di Roberto, ma in fondo gli
aveva permesso di poter prendere moglie, di sposarsi e di potersi accasare
assieme alla sua donna in quel Paese lontano, ma pieno di possibilità.
Teresa e Giovanni si erano sposati assieme ai due amici, in
una sola e rapida cerimonia di fronte ad un pimpante sacerdote d’origine
portoghese, lievemente sdegnato dal fatto di dover sposare ben due coppie di
stranieri, perlopiù italici e ispanici, ma non aveva replicato nulla a parte
storcere il naso ed aveva svolto la cerimonia senza batter ciglio.
Dopo il matrimonio, il destino delle due coppie coniugate non
si era separato, ed entrambe avevano continuato a condividere lo stesso tetto e
lo stesso cibo, e da allora non c’erano stati sostanziali cambiamenti. Teresa
era molto felice che Sara e Roberto avessero scelto di continuare a vivere con
loro e a condividere lo stesso tetto, anche perché ormai quei due erano gli
unici depositari di quello che pareva essere solo un lontano e remoto passato.
La contessina aveva imparato in fretta il portoghese, così
come il suo amato marito, che aveva continuato a lavorare per un falegname del
vicino villaggio, portando a casa una buona paga, che poteva garantire loro una
vita piuttosto tranquilla e comoda. Ed in quel momento si potevano ritenere
tutti quanti ben integrati in quel Paese sempre sull’orlo della guerra,
precario sotto ogni suo aspetto, un grande gigante d’argilla sempre pronto a
traballare.
La contessina, ormai donna adulta e più che trentenne, in
tutti quegli anni ormai si era abituata ad udire notizie tremende provenienti
dalle maggiori città dell’Impero e dal sud, dove di tanto in tanto scoppiavano
rivolte, represse nel sangue.
Molto spesso erano gli stessi schiavi neri a ribellarsi,
creando disordini incredibili, per poi essere brutalmente massacrati dai loro
stessi padroni. I neri, infatti, da secoli schiavi dei grandi piantatori,
avevano iniziato a ribellarsi al giogo degli schiavisti, cercando la libertà
tanto agognata.
Da tempo ormai non giungevano navi cariche di nuovi schiavi
in Brasile, mentre il Portogallo si stava ferocemente impegnando ad impedire
ogni possibile nuova tratta in Africa, mettendo in pratica i consigli e le
regole dettate dagli altri Stati della lontana Europa, forse solo per ripicca nei
confronti delle colonie del Sud America, che si erano rese indipendenti ormai
da decenni dalla corona portoghese.
Inoltre, di tanto in tanto dalle foreste vergini sbucavano
fuori indigeni seminudi, uomini scuri e bassi, armati di armi rudimentali e
sempre pronti a creare disagi visto che non parevano conoscere la società
moderna, mentre nel sud del vasto Impero numerose popolazioni cercavano
un’effettiva indipendenza.
Il Brasile era sempre nel caos, ma Teresa era felice di
vivere in una zona piuttosto tranquilla, dove la guerra e i disordini sociali
parevano lontanissimi, e molto spesso ciò che giungeva fin lì erano solo voci.
La vicina San Paolo fioriva e prosperava come non mai, mentre
ogni anno si espandeva ai danni delle foreste e migliaia di grandi appezzamenti
terrieri gestiti dai ricchi proprietari bianchi si stavano espandendo a
dismisura, deforestando nuovi spazi e piantando tantissime piante di caffè, la
cui produzione negli ultimi anni stava soppiantando quella dello zucchero e di
altri vegetali. L’Impero del Brasile era di certo una nazione nascente, piena
di problemi ma con moltissime potenzialità.
Teresa era fiera del fatto che i suoi figli avrebbero fatto
parte di quel grande progetto nazionale, essendo a tutti gli effetti dei
brasiliani e parlando perfettamente il portoghese. Era stata un’immensa sorpresa
per lei quando erano venuti al mondo i suoi primi due figli, due gemelli, che
assieme col suo amato Giovanni avevano deciso di chiamare Mario e Giuseppe, in
onore del migliore amico del brigante e dell’abile cocchiere che l’aveva
riportata in Romagna dopo una fuga ritenuta pressoché impossibile dal palazzo
laziale di Alfonso.
Effettivamente, la nascita di due gemelli era un evento
piuttosto raro, ma Teresa aveva capito fin da subito che quei due stupendi
bimbi erano stati di certo una ricompensa divina per tutto ciò che aveva dovuto
subire nell’ormai lontana penisola italiana.
In quel momento, Giuseppe e Mario avevano tredici anni ed
erano dei ragazzetti vispi e intelligenti, che lei stessa si era presa cura di
acculturare, insegnando loro a leggere e a scrivere, nonostante il fatto che
Giovanni fosse riuscito ad iscriverli in una piccola scuola del vicino paese,
dove stavano portando avanti un percorso di studi mediocre.
Avevano ottimi risultati ed erano sempre vivaci e in buona
salute, ed erano l’orgoglio dei due genitori, che sapevano come quelle due
creature avessero passato tutto ciò che era caduto loro addosso nello Stato
della Chiesa mentre erano ancora nel grembo materno, vulnerabili come non mai.
E Teresa a volte, quando li vedeva, sentiva che le lacrime le salivano agli
occhi, ricordando quanto si fosse trascurata durante la fuga dalla penisola e
capendo quanto avesse rischiato di perdere quei due splendidi figli così com’era
capitato al primo, il figlio di Alfonso, che purtroppo non era mai venuto al
mondo a causa delle sue scelleratezze.
Dopo ai primi due gemelli, accolti con tanto affetto anche
dal padre, erano nate anche Lina e Anna, due splendide bambine di undici e nove
anni, e, per ultimo, era nato Luigi, il piccolino di casa, di soli cinque anni.
Le due bambine erano vivaci e forti come i due fratellini
maggiori, ma Luigi purtroppo non era così. Era un bambino debole, malaticcio,
che a volte aveva crisi isteriche di pianto e che non era in gradi di
relazionarsi con gli altri suoi coetanei e con i fratelli e le sorelle,
restando sempre l’unica e principale preoccupazione di Teresa, che come madre
vigilava costantemente su di lui e sperava che con la crescita tutti quei
problemi potessero definitivamente svanire.
Il piccolo Luigi in quel momento riposava nel suo lettino,
preparato amorevolmente dal padre e su misura per lui, per far fronte alla sua
gracilità e al suo disagio fisico. Teresa aveva insistito per attribuirgli il
nome di suo padre, in modo da sperare di potergli passare qualcosa della forza
e della risolutezza del nonno conte, ma il piccolo per ora era solo un bambino
sempre malaticcio e piangente.
Lei ora era nuovamente incinta, per la sesta volta nella sua
vita, e nonostante il fatto che la gravidanza fosse ancora ai primi stadi,
sperò che il prossimo nascituro potesse essere più sano e forte del piccolo
Luigi, e che magari fosse un maschio.
O, meglio ancora, altri due gemelli, anche se a quel punto
Giovanni avrebbe brontolato un po’, visto che mantenere una famiglia sempre più
numerosa richiedeva una spesa costante di denaro, e per guadagnarlo avrebbe
dovuto lavorare ancora di più, ma questo in fin dei conti non era un problema,
perché il brigante amava tutti i sui figli senza alcuna distinzione e voleva
solo il meglio per loro, e per sfamarli al meglio e farli andare a scuola era
disposto anche a saltare qualche pasto.
Giovanni era un ottimo padre e un gran lavoratore, un vero uomo
tutto lavoro e famiglia, amorevole nei confronti dei figli quanto in quelli
delle figlie, sempre attento ad ogni loro necessità, e Teresa continuava ad
amarlo come la prima volta in cui aveva scoperto di essersi presa una bella
cotta per quell’uomo così burbero e socialmente distante da lei, ma pur sempre
così affascinante e dolce, quando voleva.
Mentre pensava al suo amato e alla sua famiglia, un sorriso
le comparve sul volto e continuò a preparare la pasta, stando ben attenta anche
a tutto ciò che la circondava, in modo da non deconcentrarsi troppo dalla
realtà e da non rischiare di combinare qualche disastro, come qualche volta le
era capitato all’inizio.
Roberto era nei campi attorno alla casa, sempre indaffarato
tutto l’anno nella produzione di verdure e ortaggi commestibili, che poi
vendeva nei mercati dei paesi e delle città vicine, portando a casa qualche
soldo. Inoltre, l’orticello da lui custodito produceva del buon cibo anche per
le due famiglie, che si spartivano i vari ortaggi, lasciando che l’uomo
vendesse quelli in più.
Sara, invece, era sempre indaffarata a seguire Giorgio,
l’unico figlio che era riuscita a dare alla luce. Dopo la prima tormentata
gravidanza, la domestica aveva scelto di non avere più figli, e il rapporto col
marito pian piano si era sgretolato. I due spesso litigavano, e il bambino,
anch’esso tredicenne, era debole e malaticcio, forse anche più del piccolo
Luigi.
I pochi medici che si erano presi la briga di dargli
un’occhiata per pochi soldi, avevano sancito che il bambino aveva una qualche
mancanza e che molto probabilmente non avrebbe raggiunto l’età adulta, così
come la maggior parte dei bambini brasiliani, ma Sara non lo abbandonava mai e
gli stava sempre accanto, dedicandogli la sua vita così come una suora di clausura
la dedicava al Signore.
Roberto voleva altri figli, ma lei non aveva mai acconsentito
e più volte l’aveva rifiutato a letto, indignandolo e facendo scoppiare litigi
furibondi, che durante la notte squarciavano la quiete della casa di campagna,
tenendo svegli i bambini e i padroni di casa, fintanto che Giovanni non andava
a chiedere di abbassare la voce. Ma Sara non si era mai piegata, e con dedizione
seguiva il suo unico figlio, rifiutando di averne altri, forse nel timore di
non poterli amare come il primo.
Teresa provava tanto dispiacere per l’amica, con la quale
aveva legato moltissimo durante quei tredici anni di convivenza sotto lo stesso
tetto, ma non riusciva proprio a capirne il ragionamento.
Mentre si preparava ad usare il mattarello, sempre di legno
bianco e intagliato dal suo amato marito, la contessina sentì dei passi veloci
che si dirigevano verso la casa, e udì che qualcuno stava rientrando.
‘’Teresa! Teresa, vieni un attimo qui’’, disse Giovanni,
entrando dalla porta di casa e chiamandola fuori dalla cucina.
Sorpresa da un tale atteggiamento, e soprattutto dal fatto
che il suo amato fosse rincasato così presto dal lavoro, la contessina si
precipitò all’ingresso, trovando il brigante in attesa, con un’espressione
accigliata sul volto e stringendo un qualcosa di bianco tra le mani. Una
lettera.
Ancora più sorpresa, la donna si avvicinò al suo amato, che
gliela allungò sorridendo.
Giovanni era rimasto tale e quale in quei tredici anni di
matrimonio; sempre solare, cortese e pieno di attenzioni da rivolgerle, anche
se tra i capelli era comparso qualche filo bianco. Quell’ombra di depressione
che l’aveva reso debole e schivo dopo la fine della sua banda di briganti era
sparita ormai da tempo.
Lei si limitò a rispondere al suo sorriso, anche in realtà fu
davvero fugace, poiché moriva dalla curiosità di aprire la lettera, visto che
in quel lontano Paese non ne aveva mai ricevuta neppure una. Non lesse chi
gliela aveva indirizzata, e si trovò ad aprire frettolosamente la busta, per
poi immergersi nella lettura.
Le bastò aver letto solo cinque righe per farle alzare il
volto dal foglio, raggiante, per rivolgere un altro sorriso al suo amato, questa
volta pieno di stupore.
‘’Che c’è scritto? Sai, la lettera me l’ha consegnata
Vazquez, il falegname… ha detto che un uomo ben vestito l’ha pagato per farla
giungere tra le mie mani. Quindi, non ho potuto attendete e sono tornato di
corsa a casa…’’, sbottò Giovanni, lasciandosi sfuggire una smorfia piena di
curiosità.
‘’Certo, altrimenti non sarebbe mai arrivata a destinazione,
sai che qui il sistema postale neppure esiste… comunque, buone notizie. Sai chi
sta per giungere in Brasile, in queste benedette terre?’’, mormorò la
contessina, totalmente disinteressata al modo in cui era giunta la lettera tra
le mani del suo amato. Molto probabilmente, un qualcuno proveniente dalla penisola
italiana doveva averla consegnata a Edmondo, il banchiere ormai piuttosto
anziano ma ancora in buona salute, che poi si era preoccupato di trovare un
modo per farla giungere tra le loro mani.
‘’Non lo so’’, rispose Giovanni, alzando un sopracciglio con
perplessità.
‘’Ebbene, la lettera è stata scritta da Giulia, la figlia del
signor Isacco. Ci informa che sarà felice di avere nostre notizie e di
riabbracciarci presto, se vorremo, poiché sta per sbarcare assieme ai suoi
genitori e al fratello a Santos. Ha anche scritto che lo sbarco è previsto per
il ventotto gennaio… quindi tra due giorni! Oh, dobbiamo andare a Santos, il
ventotto. Voglio rivederli e ringraziarli nuovamente per tutto quello che han
fatto per noi! E poi, assieme a loro ci sono anche Anna e Giuseppe, assieme ai
loro figli’’, disse Teresa, come un fiume in piena. Le pareva incredibile di
essere riuscita ad avere notizie di tutte quelle persone che avevano fatto
tanto per loro due, e che credeva di non rivedere mai più.
Disinteressandosi per un attimo del suo amato, proseguì
spedita nella lettura, leggendo ciò che le narrava Giulia. La ragazza, ormai
donna anche lei, si scusava immensamente per non averle mai spedito altre
lettere, ma i contatti tra i due continenti erano talmente blandi che si era rivelato
difficile far circolare la corrispondenza, poiché essa doveva poi affrontare un
lungo viaggio attraverso l’oceano, girando tra le mani indiscrete di perfetti sconosciuti,
che molto spesso la perdevano.
In ogni caso, la avvertiva che lei stessa si era sposata con
suo cugino già dodici anni prima, ma lui era venuto a mancare a causa di una
polmonite mal curata dopo solo un anno di matrimonio, lasciandola sola con un
figlio. Isacco, economicamente provato, si era trovato costretto ad abbandonare
il ghetto di Ferrara assieme alla famiglia, approfittando dell’instabilità che
regnava su tutto il territorio e dirigendosi all’estremo nord, a Milano, dove avevano
conosciuto per caso Giuseppe e Anna, una giovane coppia con tre figli, che
versava anch’essa in una situazione d’indigenza pressoché totale.
Teresa a quel punto aveva compreso che Isacco doveva essere
stato lasciato a parte dalla comunità ebraica ferrarese, per via delle sue
avventure passate, e che anch’esso doveva essersi trovato allo sbaraglio
assieme alla sua famiglia.
Giorgio, fortunatamente, aveva trovato un impiego come medico
a Milano, costretto dalle vicissitudini ad abbandonare il sogno di diventare rabbino,
ed era riuscito a lavorare per undici anni, riuscendo anche a mantenere senza
problemi la famiglia e a trovare un’abitazione dignitosa, dove Giuseppe e Anna
erano stati assunti rispettivamente come cocchiere e domestica.
Così, per caso, un giorno avevano scoperto che i due
servitori l’avevano conosciuta di persona, e che l’avevano aiutata a fuggire
dal palazzo di Alfonso, poiché Anna parlava molto spesso della sua fuga dal suo
impiego nelle campagne romane e di come avesse avuto modo di conoscere e di
dare una mano ad una giovane contessina maltrattata dal marito ed innamorata di
un brigante.
Tutto era filato liscio fino a qualche anno prima, quando la
guerra e i disordini avevano mandato tutto all’aria, e Giorgio era stato poi
allontanato dal suo lavoro, e la famiglia Montignoni si era nuovamente trovata
nei guai.
Per fortuna, vendendo tutto quello che erano riusciti a
racimolare durante gli ultimi anni, alla fine l’ormai settantenne Isacco era
riuscito a raggranellare il denaro necessario per pagarsi un viaggio della
speranza, un viaggio verso il Brasile, meta ormai ambitissima dagli ebrei e dal
popolo della penisola italiana, oppresso in Stati ormai sul punto di decadere e
dalle guerre in corso al nord. E così, alla fine, Giorgio aveva aiutato i
genitori e la sorella, assieme al nipotino, a giungere fino a Genova, località
in cui era stata scritta la lettera, consegnata poi ad un contadino che
imprimeva fiducia e che sarebbe partito alla volta di Santos nell’imbarcazione
già stracarica di passeggeri che sarebbe salpata per prima dal porto.
Teresa, distogliendo lo sguardo dalla lettera, si chiese che
cosa stesse succedendo di tanto grave nella sua amata penisola e a cosa fossero
dovute quelle battaglie recenti che le erano state blandamente descritte nella
lettera, e, felice di aver la possibilità di rivedere quelle persone che
avevano lasciato una traccia indelebile dentro di sé, non poté non chiedersi
che fine avessero fatto Lina e Mario.
Li pensava spesso, ma purtroppo sapeva che non avrebbe mai
avuto modo di avere loro notizie. Sperò solo che stessero bene, e che la loro
vita avesse ripreso una giusta piega.
‘’… e non credo che
l’arrivo di tutta questa gente possa influenzare positivamente la nostra
famiglia’’, concluse il brigante, mentre Teresa tornava a indirizzargli la sua
attenzione, dopo aver ripiegato bene la lettera ed averla reinserita nella sua
busta.
‘’E perché mai?’’, replicò, lievemente stizzita.
Giovanni era da sempre molto gentile e permissivo con lei, ma
mai quando si trattava di allacciare dei rapporti con altri loro compatrioti.
Era convinto che essi rappresentassero un pericolo, forse perché gli facevano
tornare alla mente il funesto passato.
‘’Quando costoro arriveranno, e tu andrai loro incontro, i
nostri figli faranno miriadi di domande. Vorranno sapere che il perché, e poi
non è detto che i nuovi arrivati non si lascino sfuggire qualche particolare di
troppo’’.
Teresa annuì, lievemente perplessa. Ai loro figli non avevano
rivelato tutta la verità sul loro passato, ma avevano semplicemente detto loro
che erano stati semplici contadini, emigrati per avere un futuro migliore.
Effettivamente, sottoporli all’arrivo di questi sconosciuti provenienti da
terre lontane li avrebbe comunque obbligati a farsi domande, forse anche di
troppo.
‘’Andremo noi due, da soli. Lasceremo i ragazzi e le bambine
a Sara, e noi ci recheremo un pomeriggio a Santos. Poi, in futuro, se
continueremo ad avere rapporti d’amicizia con i nostri amici e salvatori,
potremo anche farglieli conoscere, dopo aver spianato lievemente il percorso’’,
riconobbe Teresa, saggiamente.
Mario e Giuseppe ormai erano già ragazzi, molto perspicaci
per la loro età, e scoprire in quel momento il vero passato dei genitori
avrebbe potuto mettere loro in testa delle strane idee. Già che entrambi
affermavano di voler diventare soldati, e Giuseppe esprimeva continuamente il
desiderio di voler tornare in futuro nella penisola natale dei suoi genitori,
dove a quanto pareva c’era parecchio subbuglio e si respirava un clima militarmente
teso.
Quindi, pensò fosse logico non voler sottoporre i ragazzi ad
un simile evento, colmo indubbiamente di troppe novità per loro, abituati alla
vita nel bel mezzo di quella foresta, ai confini della civiltà, che si
ricopriva di grande sfarzo nelle vicine San Paolo e Santos. Fortunatamente, in
quel momento i ragazzi e le bambine erano a scuola e non potevano origliare
quelle novità, tranne il piccolo Luigi, che quella mattina non si era ancora
svegliato e riposava ancora nel suo lettino.
‘’Sara ha occhi solo per suo figlio. I ragazzi rischieranno
di farsi male o di combinare qualche disastro’’, affermò Giovanni, protettivo.
Teresa sorrise, riconoscendo che il suo amato era
eccezionalmente attento ai suoi figli, e che non voleva lasciarli mai in altre
mani.
‘’Non esageriamo, ora. Sara ha da fare con suo figlio, ma
darà un’occhiata anche ai nostri. Non accadrà loro nulla di male, stai
tranquillo’’, replicò la contessina, risoluta. Il brigante, dopo un attimo di
riflessione, annuì.
‘’Va bene, faremo così’’, acconsentì infine.
Teresa tornò a stringere la lettera tra le mani, mentre una
lacrima iniziò a scorrerle lungo la guancia. Stava piangendo, ma non per la
sofferenza, ma per la felicità.
Da quando avevano iniziato a vivere in quel Paese lontano, primitivo
ma stupendo, lei non aveva mai più versato lacrime di dolore, ed aveva vissuto
una vita colma di grandi gioie. Il destino pareva averle risarcito tutto ciò
che aveva dovuto subire tempo addietro, rimarginando ogni ferita ancora aperta,
ed ormai guarita da tempo.
‘’Perché piangi? C’è qualcosa che non va?’’, chiese
prontamente il brigante, che pareva intenzionato ad allontanarsi, e invece si
affrettò a riavvicinarsi alla sua amata non appena vide quelle lacrime. Con un
dito, gliene asciugò una, per poi affrettarsi ad afferrare il suo fazzoletto,
estraendolo dalla tasca.
La donna amava i momenti in cui lui era così premuroso con
lei, facendola sempre sentire al centro della sua attenzione, ma in quel
momento non aveva bisogno di parole dolci o di essere consolata.
‘’E’ tutto a posto. È solo gioia, questa’’, si affrettò a
rispondere Teresa, asciugandosi da sola le lacrime. Non vedeva l’ora di
rivedere tutte quelle persone che l’avevano aiutata tantissimo a salvarsi da
una sorte orribile, immaginandosi quanto dovessero essere fisicamente cambiate
in tutti quegli anni. Ma alla fine lasciò perdere, sorridendo.
‘’Sono passati tanti anni da quando mi sono innamorato di te,
eppure riesci ancora a sorprendermi. A volte non ti capisco…’’, si limitò a
dire Giovanni, ritirando la mano ma sorridendo con calore e con affetto. Era
ancora un bell’uomo, forte ed energico, nonostante i quarantatré anni ormai
alle porte. Un uomo ancora in grado di essere dolce come non mai.
‘’Li rivedrò tutti… ricordo ancora Anna e Giuseppe, i miei
salvatori da Alfonso! Se non ci fossero stati loro, non so che cosa avrei
combinato… ricordo anche la nostra cara famiglia Montignoni, che tanto ha fatto
per noi… oh, speriamo che il viaggio sia andato bene e che arrivino tutti sani
e salvi!’’, disse Teresa, a mo di supplica e di preghiera. Giovanni continuò a
sorridere.
‘’Arriveranno di certo sani e salvi, non temere’’, le disse,
appoggiandole una mano sulla spalla. A quel punto, la donna non poté resistere
oltre, baciò il suo brigante, che la ricambiò prontamente.
Si baciarono proprio come ai primi tempi, quando il loro
amore consisteva solo nel condividere qualche ora insieme, recandosi nel luogo
segreto di Giovanni, dove lei, poco più che una ragazzina, osservava il
panorama stupendo con i suoi occhi da fanciulla innocente.
Ora era una donna felice, ed ogni dolore era stato lasciato
alle spalle.
In quell’istante colmo di gioia, il suo pensiero tornò per
l’ennesima volta a volare verso Lina e Mario, i due cari amici che purtroppo
non aveva mai più rivisto dopo la fuga da Ravenna, e che molto probabilmente
non avrebbe rivisto mai più. Pregò anche che loro stessero bene, e che fossero
felici quanto lei in quel momento.
Perché in quel momento, finalmente, Teresa si sentiva felice
come non mai, amata dal suo uomo e dai suoi figli, e coccolata dalla sua grande
e splendida famiglia. Dopo aver rivisto i suoi salvatori, non avrebbe avuto molto
altro da chiedere al destino.
Tutto sommato, dovette riconoscere che a suo tempo la vita le
aveva tolto molto, per poi ridarle tantissimo.
Ed in quel momento, mentre smetteva di piangere dalla gioia e
continuava a baciare l’unico, grande e vero amore della sua vita, seppe per
certo di aver vissuto un’esistenza straordinaria, dove gli ostacoli alla fine
si erano rivelati grandi opportunità per ripartire daccapo e nel migliore dei
modi.
In quell’istante però, esistevano solo l’immenso amore
incondizionato e invariato negli anni che provava per Giovanni, e la voglia di
vivere altri mille giorni così, assieme al suo amato e pieni di felicità
inaspettate.
NOTA DELL’AUTORE
Ringrazio chiunque sia giunto fin qui. Spero che questa prima
parte dell’epilogo sia stata di vostro gradimento!
La seconda parte è più lunga, e anche se si svolge
contemporaneamente a questa, vi consiglio di riposare la vostra vista per
qualche attimo, in modo da non affaticarvi troppo.
Alla fine della successiva parte dell’epilogo, troverete
tutti i ringraziamenti e alcune note più approfondite. A tra poco, quindi J
Grazie di cuore per tutto J e buona lettura J