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Autore: Columbia    24/03/2016    1 recensioni
Alexandra è una ragazza orfana che ha passato gran parte della sua vita sballottata come un pacco da una famiglia all'altra. Per sua grande fortuna però, Alex riesce a trovare asilo presso il signor Trason, uno degli uomini più criticati di Orange County a causa del suo stile di vita; nella sua nuova casa Alex incontrerà alcune persone che le cambieranno la vita, permettendole di rinascere dalle sue stesse ceneri.
Ma del resto si sa, niente va mai per il verso giusto...
DAL CAPITOLO I
"Le spiegò che quasi tutti i loro conoscenti additavano quei giovani ragazzi come dei veneratori di Satana e sciocchezze varie: era difficili vederli per strada durante il giorno perché rischiavano di essere linciati vivi se riconosciuti, cosa alquanto probabile visto il loro modo di atteggiarsi e di vestirsi. Alexandra, attraverso i racconti dell’uomo, capì che era un loro simpatizzante e ne ebbe la conferma quando venne a sapere che era stato uno dei pochi ad aiutare il signor Trason nel suo obiettivo: dare casa a tutti coloro che erano stati colpiti, seppur indirettamente, da quel massacro; per questo motivo, quando i Crocket finirono in bancarotta, Trason si offrì di dare asilo alla ragazza."
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Matthew Shadows, Nuovo personaggio, Synyster Gates
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Se stringi ancora più forte finirai col spezzarmi un polso” borbottò Alex, cercando di stare al passo della ragazza; Leana si voltò e le fece l’occhiolino, per poi tornare a correre per i corridoi della villa.
“Mck, ma tu sai dove stiamo andando?” piagnucolò Alex, lanciando un’occhiata disperata alla piccoletta
“Mckenna, apri la bocca e ti giuro che ti ritrovi senza denti.”
“Sempre la solita esagerata” sospirò Lacey, passandosi una mano sul viso
“Zitta te!” esclamò la mora, arrestandosi davanti ad un portone nero; somigliava molto a quello d’ingresso, solo di dimensioni leggermente più ristrette. Leana si voltò verso Alex e le sorrise, raggiante come non mai “Ora cara la mia dolce, bella, innocua Alexandra…”
Lacey e Mckenna alzarono gli occhi al cielo, esasperate: dire che Leana adorava quel posto era un eufemismo. Ci avrebbe passato ogni singolo secondo della sua vita se avesse potuto.
“Arriva al sodo” sbuffò Mck, beccandosi un’occhiata inceneritoria dalla ragazza
“Dicevo” sospirò Leana, tornando a concentrarsi su Alex, che era sempre più confusa da quella strana situazione “Alex. Tu stai per entrare in un luogo sacro e inviolabile: poche persone hanno avuto la possibilità di entrarci e tu, da oggi, entrerai a far parte di questo gruppo privilegiato”
“Non pensavo che un essere così piccolo potesse sparare così tante cazzate” sospirò Mckenna, cominciando a prendere a testate lo stipite della porta
“Faccio finta di non aver sentito” rispose Leana, senza scomporsi minimamente. “Allora Alex, sei pronta?”
“Be’, credo di sì…”
Ma pronta per cosa?  
Leana spalancò il portone, rivelando un vero e proprio salone grande almeno cinque volte la camera di Alexandra; le luci erano già tutte accese, quasi come per magia, tanto che ad Alex fu ben presto possibile capire dove si trovasse.
“Be’, non c’è che dire” borbottò Christine alle loro spalle, con un sorrisetto soddisfatto dipinto sul volto “Michael ha rinnovato da cima a fondo il guardaroba”
Leana saltellò sul posto, correndo a ravanare tra le centinaia di scaffali ricolmi di vestiti
“Ma cos…” iniziò Alex, guardandosi attorno stranita “Cos’è questo posto?”
“Immaginati una cabina armadio” disse Mckenna, grattandosi la testa da sopra il cappellino di lana
“…”
“Fatto?”
“Si Mck, ho fatto” sbuffò Alex, cercando di trattenere una risata
“Ecco: questa è una cabina armadio. Una cabina armadio esageratamente grossa.”
Alexandra cominciò a girare per la stanza, osservando con curiosità la innumerevole quantità di roba che la circondava. La stanza era costruita completamente in ebano, ricoperta di tappeti di tutti i tipi che attutivano i loro passi: dalle finestre, sviluppate a panoramica, penetrava la luce pomeridiana che proiettava sul pavimento l’ombra dell’enorme divano di pelle nera che occupava ad angolo quasi metà di quello che sembrava essere un vero e proprio negozio di vestiario.
“Ma tutte queste…cose” chiese Alexandra, lanciando un’occhiata allarmata alle amiche “da dove vengono?”
“Sono i souvenirs che Michael ci porta dai suoi viaggi, qua è difficile trovare prodotti di questo tipo se non nel mercato nero” esclamò Lacey, raggiungendo Mckenna sul divano
“Ma ci saranno centinaia di vestiti qua dentro!”
“E vengono rinnovati ciclicamente tesoro” rise Christine, appoggiandole un braccio sulle spalle; Mckenna osservò lo sguardo terrorizzato della povera Alexandra, completamente nuova a tutto ciò, e scoppiò a ridere fragorosamente
“Oh Signore Alex, dovresti vedere la tua faccia” boccheggiò la ragazza, tenendosi la pancia con le mani
“Mck, chiudi la bocca che ti vedo l’ugola. Piuttosto” borbottò Lacey, sporgendosi verso il corridoio che portava ai camerini “dov’è finita Leana?”
“Eccomi gente!” esclamò la piccoletta, sbucando da dietro Christine. Tra le mani reggeva pericolosamente una pila disordinata di quelli che parevano essere vestiti: sotto gli occhi divertiti delle ragazze li gettò tutti addosso di Alex, che sembrava essere sempre più allarmata
“E io che ci devo fare con questi?”
“Come che ci devi fare?” sbottò Leana con gli occhi sgranati e le mani puntate sui fianchi “Tu adesso vai di là e te li provi tutti, dal primo all’ultimo. Intese?”
Alexandra aprì la bocca per chiedere se fosse strettamente necessario, ma si rese conto appena in tempo che sarebbe stata una domanda inutile. Doveva eccome, in palio c’era la sua incolumità.
Sospirando si avviò lungo il camerino, non prima di beccarsi una pacca sul sedere da Leana
Sembra una bambina in un negozio di dolci. Bah, valla a capire
Barcollò fino ai camerini pregando Dio non cadere durante il tragitto: non si trattava altro che di una stanza ovale con al centro un enorme divano color panna e dalle pareti a specchio.
Alex osservò il suo riflesso con le braccia incrociate e uno strano sguardo sul volto
A noi due, Leana cara.
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Due ore e venticinque cambi dopo, Alexandra si gettò a peso morto sul suo letto con la marmaglia di vestiti che Leana le aveva imposto di portare via con sé.
Alex li guardò con la coda dell’occhio e gemette, affondando la testa nel cuscino
“Non so neanche dove metterla tutta sta roba” piagnucolò, mettendosi a sedere a gambe incrociate, senza smettere di fissare sconsolata la pila di abiti.
Innanzitutto potresti iniziare a piegarli le consigliò la solita vocina nella sua testa; Alex ci pensò su qualche secondo e, con un’alzata di spalle, iniziò a riordinare magliette e vestiti vari.
Mentre si stava dando da fare però, le ritornarono in mente le scene di poche ore prima: o meglio, le ritornò in mente Brian.
Sentì le guance avvampare e una strana sensazione di calore scaldarle il petto: che cosa diamine era? Era la stessa reazione che aveva avuto quel pomeriggio quando Brian le aveva sfiorato le labbra: si era sentita impotente, una marionetta comandata da dei fili invisibili. Non poteva definirlo disagio, ma non era comunque un segnale positivo: almeno non per Alexandra.
Non poteva seriamente provare anche solo una leggera simpatia per una persona con cui aveva scambiato si e no due parole in croce.
C’era anche da dire però che Brian era diverso da tutti gli altri ragazzi con cui era venuta in contatto: a livello di vedute, si intende. Ma questo discorso non sarebbe dovuto valere anche per gli altri quindi? Perché, per esempio, con Zacky non aveva provato la stessa cosa?
La ragazza scosse violentemente la testa come per cacciare via tutti i pensieri che le affollavano il cervello: dopo aver afferrato un vestito a caso decise di andare a fare visita a Michael, visto che non era più riuscita a rivolgergli la parola dal giorno in cui era arrivata.
Si cambiò la canottiera con una maglietta grigia a maniche corte e, dopo aver chiuso la finestra, uscì dalla sua camera diretta all’ufficio di Michael; attraversò i vari corridoi del palazzo a passo di marcia, cercando di non orientare il pensiero verso la “faccenda Brian”.
Non voleva pensarci, non ora per lo meno.
Alexandra svoltò nell’ala dove si trovava lo studio dell’uomo. Sapeva dove si trovava solo grazie a Lacey: durante uno dei loro tour, infatti, erano passate di lì e la ragazza l’aveva informata che quello era l’ufficio del signor Trason. Alex al tempo si era rifiutata di entrare per paura di invadere la privacy dell’uomo, ma quella volta si avvicinò e bussò leggermente sul legno morbido
“Avanti!”
Alexandra aprì lentamente la porta e, dopo essersela richiusa dietro alle spalle, si avvicinò alla scrivania del signor Trason: l’ufficio era molto luminoso ed arredato con l’eleganza e la classe tipica di Michael. L’uomo, seduto dietro la scrivania, sollevò la testa dalla marmaglia di fogli che aveva sparsi davanti voltandosi verso la ragazza. Alex, tuttavia, ebbe la sensazione che non la stesse realmente guardando: aveva uno sguardo perso in qualcos’altro, qualcosa di cui lei non era a conoscenza e che sembrava preoccuparlo profondamente.
C’era la paura nei suoi occhi.
Si fissarono per una quantità indeterminabile di secondi, fino a che Michael sembrò ritornare in sé: l’uomo si alzò dalla poltrona togliendosi gli occhiali da vista e si avvicinò ad Alexandra sorridendo dolcemente
“Ciao Alex, come stai?” le chiese, prendendole una mano con delicatezza; la ragazza lo guardò con aria confusa, facendo scorrere gli occhi dal viso dell’uomo alla sua scrivania
“Bene, grazie” rispose Alexandra, fissando lo sguardo in quello dell’uomo.
Michael sorrise calorosamente calcando alcune rughe attorno alla bocca, unico segno della sua ormai non più giovanissima età
“Sono contento che tu ti sia ambientata Alex, ho sempre voluto questo per te. Sin da quando…”
“Sin da quando…?” continuò Alex, facendosi più attenta. C’era qualcosa che le puzzava.
“Oh niente, niente: sai com’è, ho fatto un lungo viaggio e la stanchezza mi dà un po’ alla testa” concluse lui sbrigativo, massaggiandosi la mascella con fare nervoso “C’è qualcosa che posso fare per te?”
“Oh…A dir la verità ero venuta per ringraziarti per quello che hai fatto e che continui a fare per me tenendomi qua con voi. Te ne sono veramente grata e mi dispiace non essere riuscita a dirtelo prima” sorrise Alexandra, stringendogli la mano
“Ma mia cara, non mi devi ringraziare! Sono più che felice che tu sia qua con noi, immagino che tu abbia socializzato anche con i ragazzi ormai: prima di partire per il tour li avevo avvisati del tuo arrivo e ne erano più che entusiasti”
“Oh sì, sono stati tutti molto gentili con me…”
Tra i due calò un silenzio imbarazzante: nessuno dei due sapeva cosa dire perché entrambi avevano capito qualcosa. Alexandra non era stupida, sin da quando aveva messo piede in quello studio aveva intuito che c’era qualcosa che non andava: Michael era troppo su di giri, aveva la testa da un’altra parte e sembrava essere preoccupato da qualcosa di grave. E tutti sapevano che se Michael era sull’attenti per qualcosa allora tutti dovevano esserlo.
“Ehm…Scusami Alex, ma adesso ho alcune…faccende da sbrigare” borbottò sbrigativo l’uomo, rivolgendole un sorriso distratto.
Alexandra lo guardò ritornare dietro la sua scrivania ed affacciarsi sul giardino esterno: la ragazza aspettò qualche secondo, per poi indietreggiare e ritornare alla porta d’ingresso
“Buona serata Michael”
Non ricevette risposta: Alex richiuse la porta e se ne andò, lasciando Michael al suo pianto disperato.
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Quella sera i ragazzi rimasero in sala di registrazione e Michael non uscì dal suo ufficio nemmeno per l’ora di cena: la casa sembrava così immensamente vuota senza il loro continuo battibeccare che Lacey, Leana, Christine ed Alex decisero di rimanere in camera della piccoletta a parlare del più e del meno
“Chris, si può sapere quando ti deciderai a parlare con Matt?” chiese Lacey dopo un’intensa discussione con l’amica; Alexandra e Leana si lanciarono un’occhiata d’intesa ed aguzzarono l’udito
“Senti Cey” borbottò Chris continuando a fissare il soffitto “non ho voglia di affrontare l’argomento”
“Oddio Christine, non mi raccontare palle” sbottò tutt’a un tratto Lacey, cogliendo le ragazze di sorpresa “non puoi rovinarti in questo modo! Matt sarà anche un bravo ragazzo, ma è anche un emerito coglione se non si rende conto di nulla!”
“Ed io cosa ci posso fare?” chiese Christine dopo essersi issata sui gomiti; aveva tutti i capelli scompigliati e le ciocche rossastre le ricadevano sugli occhi fiammeggianti di rabbia.
“Potresti dirglielo” sibilò Lacey, puntandosi le braccia sui fianchi con fare agguerrito.
Christine sapeva perfettamente che Lacey voleva soltanto il suo bene e che cercava di farla ragionare, ma lei sembrava fregarsene. Sapeva che stava anteponendo il benessere di Matt al suo, ma lo faceva perché non avrebbe potuto vivere senza di lui: è vero, lo amava, ma purtroppo non poteva dire lo stesso di lui e non aveva la benché minima intenzione di andare a spiattellargli tutto in faccia con il solo rischio di rovinare quel magnifico rapporto che si era andato a creare. Se Lacey e Leana non lo capivano erano affari loro, Christine non aveva voglia di spiegare per l’ennesima volta le ragioni della sua scelta masochista.
Le due si fissarono in cagnesco per qualche secondo, fino a che non fu proprio Leana a spezzare il silenzio che si era andato a creare
“Cambiando discorso: Alex” esclamò la ragazza, tirando un buffetto all’amica “e tu invece?”
“Io cosa?” borbottò questa con la testa fra le nuvole: stava ancora pensando a Michael e al suo strano atteggiamento. Non riusciva a capirne il motivo e ne era particolarmente frustrata
“Oh andiamo” si intromise Christine, facendosi tutt’a un tratto più attenta “cosa c’è tra te e Gates?”
“Assolutamente niente” rispose categorica Alexandra, iniziando a tamburellare nervosamente le dita sul tappeto. Le tre ragazze trattennero a stento una risata
“Dai Alex, vi abbiamo visti oggi…” iniziò Leana, ammiccando nella sua direzione
“Non è successo nulla!”
“Per adesso” borbottò Christine, lanciando la sua pallina da tennis contro il soffitto: quella faccenda non le andava a genio. Brian non le andava a genio
Alexandra cominciava a sentirsi a disagio, le sudavano le mani e aveva freddo, cosa alquanto strana visto che ci saranno stati minimo ventitré gradi in quella stanza: per fortuna Lacey se ne accorse ed arrivò in suo soccorso
“A proposito degli Haner: Mckenna dov’è?”
“A me aveva detto che aveva sonno e voleva riposarsi un po’…” borbottò Leana poco convinta delle sue parole
“Strano, Mck non si perderebbe mai una serata di sole donne” fece notare Chris rimettendosi seduta.
Alexandra balzò in piedi e si avviò alla porta con fare deciso
“Non preoccupatevi, vado a darle un’occhiata: tanto devo passare dalle sue parti per andare in camera mia”
“Sei sicura?” chiese Lacey con un sorriso dolce stampato sul volto
“Non preoccuparti Cey” annuì Alex con sicurezza “buonanotte ragazze”
“Notte Alex, sogni d’oro!” esclamarono le tre perfettamente in sintonia.
Alexandra si richiuse la porta alle spalle, iniziando a camminare per i corridoi fiocamente illuminati dalle candele: alcune si erano quasi completamente consumate e l’odore di cera fusa impregnava l’aria fresca.
Chissà cos’ha…  pensò Alex, seriamente preoccupata per Mckenna: si stava realmente affezionando a quella peste. Si atteggiava sempre da dura con tutti, ma in realtà era una ragazzina fragile e, quasi certamente, da un passato difficile e a lei oscuro: in effetti Alex si rese conto di non conoscere niente di nessuno lì dentro. Non sapeva chi fossero, da dove venissero, come fosse stata la loro vita prima di incontrare Michael: ne aveva avuto la riprova qualche giorno prima quando Zacky si era chiuso a riccio per colpa di quell’album
G.P.
Le iniziali tornarono vivide alla memoria di Alex, che si incupì ulteriormente: il filo dei suoi pensieri si interruppe quando sentì riecheggiare dei singhiozzi dalla camera di Mckenna.
Alexandra sentì un tuffo al cuore.
Accelerò precipitosamente il passo ed arrivò alla porta della stanza, che spalancò senza preavviso: la piccola fiammella della lampada ad olio gettava delle ombre tremolanti sulle pareti viola, dando quasi la sensazione che si stessero muovendo. Le tende venivano mosse delicatamente dalla brezza serale, rendendo il clima afoso molto più vivibile; Alexandra fece vagare lo sguardo per tutta la stanza, fino a che non si accorse della presenza di due figure sul letto.
La più piccola, quella di Mckenna, era avvolta in una maglietta più grande di lei di almeno quattro taglie e veniva stretta convulsamente da un ragazzo, che la cullava dolcemente canticchiandole un motivetto nell’orecchio con l’intento di calmare i suoi singhiozzi.
Quando Mckenna si accorse della sua presenza sollevò la testa dal petto del ragazzo, fissando Alexandra con gli occhi gonfi dal pianto
“Oh A-alex…N-non mi as-spetta-avo che v-v-enissi” borbottò asciugandosi convulsamente le lacrime; nel sentire il suo nome, Brian sollevò lo sguardo in direzione di Alexandra fissando i suoi occhi profondi in quelli della ragazza.
Alex si sentì mancare, in parte per il dolore di Mckenna, in parte per lo sguardo disperato di Brian
Ma cos’hanno tutti oggi?
“Mck…” sussurrò Alexandra, avvicinandosi lentamente al letto quasi come se avesse paura di essere rifiutata; Mckenna continuò ad asciugarsi le lacrime sotto gli occhi sconsolati del fratello e quelli increduli dell’amica
“Ehi” disse Alex, togliendole una mano davanti agli occhi per permettere alla ragazzina di guardarla “apri gli occhi Mck, io sono qua” aggiunse dolcemente Alexandra, prendendole con delicatezza anche l’altra mano.
Mckenna aprì lentamente gli occhi seguendo il consiglio, ritrovandosi davanti Alexandra che la fissava preoccupata: odiava tutto quello. Odiava far preoccupare gli altri, odiava il suo carattere lunatico che la faceva sembrare quasi bipolare: ma soprattutto odiava il dover ammettere di aver bisogno di affetto. Odiava sentirsi debole.
“Posso sedermi affianco a te?” chiese Alex, ancora inginocchiata a terra
“Certo che puoi” Sussurrò Mckenna con voce roca, tirando su con il naso
Nel frattempo Brian si era alzato dal letto e, dopo aver dato un bacio alla sorellina, lasciò la stanza senza calcolare minimamente Alex, che al momento aveva cose ben più importanti del dargli retta.
Alexandra prese posto affianco a Mckenna, che iniziò a mangiarsi le unghie nervosamente
“Cos’è successo?” chiese Alex, appoggiandole delicatamente una mano sulla spalla
“Ho fatto un incubo” borbottò Mckenna, continuando a sfregarsi gli occhi con il dorso della mano: in quel momento sembrava una bambina piccola ed indifesa. Una bambina che stava sopportando un dolore troppo grande per una ragazzina della sua età. Alexandra provò un’infinita tenerezza nei suoi confronti, così grande che attirò Mckenna a sé, stringendosela dolcemente al petto: entrambe rimasero stupite del suo gesto, ma Mckenna non si tirò indietro e le strinse una ciocca di capelli tra le mani
“Ti va di raccontarmelo?” sussurrò Alex, cullandola come una neonata; Mckenna si irrigidì di colpo e, quando cercò di aprire bocca, le lacrime riniziarono a scorrere copiose
“Ssshh piccola, è tutto apposto” le disse Alexandra, accarezzandole leggermente la chioma verde “Non volevo forzarti”
“M-mi dispiace..” singhiozzò Mckenna a bassa voce, continuando a stringersi alla ragazza; lo ripeté per minuti interminabili ed Alexandra non l’abbandonò neanche un secondo: continuò a cullarla tra le sue braccia, canticchiandole un motivetto inventato al momento.
Dopo un po’ di tempo il respiro di Mckenna si fece regolare, segno che si era riaddormentata: stando attenta a non svegliarla, Alexandra la mise a letto, rimboccandole le coperte e ripulendole delicatamente il trucco sbavato. Quando fu certa che Mckenna stesse dormendo profondamente spense la luce ed uscì con passo felpato dalla stanza; una volta nel corridoio, Alex si richiuse la porta alle spalle sospirando profondamente
“Come sta?” chiese una voce nella penombra, facendo sussultare Alex
Brian
Il ragazzo si alzò da terra, avvicinandosi ad una delle candele appese ai muri per farsi riconoscere: Alexandra lo fissò in volto molto attentamente, ma non riuscì a scorgere nemmeno una traccia della felicità di quella mattina.
Sembrava quasi un’altra persona: gli angoli della bocca erano piegati verso il basso e gli occhi, già contornati da una spessa linea di matita, sembravano ancora più scuri a causa delle occhiaie che spiccavano sulla pelle diafana
“Sì è tranquillizzata, adesso sta dormendo” sussurrò Alex, cercando di sembrare il più calma possibile; Brian annuì veemente, passandosi una mano tra i capelli scompigliati.
“Perché era così agitata?” domandò tutt’a un tratto la ragazza, cogliendolo di sorpresa: i due si fissarono per qualche secondo nella penombra del corridoio, fino a che Brian non le diede le spalle
“Che ne dici di fare una passeggiata insieme?” chiese Gates, invitandola con una mano a seguirlo; Alexandra lo affiancò, stando attenta a non sfiorarlo, e insieme iniziarono a camminare per i bui corridoi del palazzo
“Mckenna è una ragazza sensibile nonostante sembri una dura, una temeraria” borbottò Brian dal nulla, fissando il nulla davanti a sé
“Si è costruita una corazza per proteggersi da tutto quello che c’è fuori, è normale” rispose Alexandra con semplicità, osservando Brian con la coda dell’occhio.
Gates, nel sentire quelle parole, si voltò verso di lei incrociando per la prima volta nella serata i suoi occhi profondi
“Sì, è proprio così” continuò Brian, facendo finta di nulla “il problema è che quella corazza funziona solo nella realtà. Quando è sola, la notte porta con sé i ricordi e Mckenna si ritrova ad affrontare i demoni del passato senza nessuno al suo fianco. È sempre stato così, sin da quando era piccola”
Alexandra ascoltò attentamente le sue parole, sentendo una morsa stringerle il cuore: Mckenna non si meritava tutto questo. Nessuno di loro se lo meritava.
“Le persone non hanno pietà neanche per i più deboli ormai” sibilò Brian, sprofondando nel ricordo di alcuni avvenimenti dai quali Alexandra era esclusa
“Adesso siete qua però, siete al sicuro: Mckenna non ha più nulla di cui preoccuparsi” esclamò Alexandra, riconoscendo l’inizio del suo corridoio, il più isolato di tutti.
Ne sei veramente convinta Alex? Sei sicura di essere salva dalla perfidia della gente?
Brian scoppiò in una risata amara che fece sussultare anche la ragazza
“Vorrei poterti dar ragione Alex, Dio se lo vorrei” sospirò lui rivolgendole un sorriso che oscillava tra il dispiaciuto e l’intenerito: quella sera Gates non esisteva. Quella sera c’era solamente Brian, il ragazzo che si era preso cura della sorella sin da quando erano poco più che bambini e che in quel momento era stupito dall’ingenuità delle parole di Alexandra “…Il palazzo di Michael è il posto più sicuro in questo momento, non lo metto in dubbio: ma se quei cani rabbiosi decidessero di ripetere la storia non ci saranno mura, cancelli o armi che li fermeranno”
Alexandra si fermò davanti alla porta della sua stanza senza sapere cosa rispondere: aveva sempre saputo che un giorno sarebbe arrivato qualcuno che la pensava esattamente come lei, e quel qualcuno sembrava essere proprio Brian.
Aveva cercato invano di autoconvincersi delle sue stesse parole: nessuno era mai stato seriamente al sicuro e mai lo sarebbe stato.
“Tu credi che sia successo qualcosa recentemente?” chiese Alexandra, spiazzando Brian
“Ti sei accorta anche tu dello strano atteggiamento di Michael, vero?” ribatté Gates, sorridendo leggermente della furbizia con cui Alex aveva cercato di strappargli qualche informazione
Intelligente la ragazzina, complimenti.
“Sì, mi è sembrato turbato oggi...” rispose Alex, scrollando le spalle
“Be’” iniziò Brian avvicinandosi a lei lentamente e senza distogliere lo sguardo “se Michael sta omettendo qualcosa lo fa solo perché crede che sia il meglio per noi”
“Non lo metto in dubbio” sussurrò Alexandra, iniziando a sudare freddo per la sua vicinanza: per un millisecondo provò l’irreprensibile voglia di fiondarsi in camera e chiudercisi dentro, ma si rese conto che sarebbe stato un gesto alquanto cafone da parte sua. Non le restava altro che continuare a discorrere con Brian fino a che questo non se ne fosse andato
Il prima possibile per favore.
“Scusa, non volevo metterti a disagio con le mie paranoie” sorrise lui tutt’a un tratto, avvicinandosi ancora di più; Alexandra indietreggiò di un passo, trovandosi con la schiena schiacciata contro la parete
Sei in trappola mia cara, complimenti per l’astuzia
“Non ti preoccupare, non mi ha dato fastidio” borbottò Alex, iniziando seriamente ad innervosirsi: quel Brian stava invadendo un po’ troppo i suoi spazi e sembrava anche che non gliene fregasse più di tanto, cosa che mandava Alexandra su tutte le furie.
Brian sembrò accorgersi del suo improvviso attacco di stizza nei suoi confronti e cercò di rimediare tutto con un gesto che, in realtà, non fece altro che peggiorare ulteriormente la situazione
“Be’, allora buonanotte” le sorrise lui, cercando di stamparle un bacio sulla guancia: Alexandra, colta di sorpresa, cercò di indietreggiare di un altro passo, dimenticandosi però che dietro di lei c’era la parete.
Brian, che rimase in equilibrio su un piede a baciare l’aria mista alla polvere, udì rimbombare il colpo secco della testata di Alexandra e un successivo spostamento d’aria, segno che la ragazza era riuscita ad aprire la porta della sua stanza
“Buonanotte” esclamò Alex dall’altra parte del muro, sfilandosi la maglietta con rabbia.
Ma si poteva sapere cosa credeva di fare quello lì? Si conoscevano da neanche un giorno e già si permetteva di comportarsi in un certo modo
Oh dai, non farla più grossa di quanto non sia in realtà: dopotutto era solo un bacetto
UN BACETTO?” borbottò Alexandra in un rantolo soffocato, iniziando a litigare con la sua coscienza “Non doveva neanche pensarla una cosa simile!”
Stai ragionando da bigotta e lo sai.
Alex si gettò a peso morto sul letto, sbuffando rumorosamente: in effetti a pensarci bene aveva avuto una reazione un po’ esagerata. Dopotutto lui voleva solo essere gentile…O no?
Oh, al diavolo
Alexandra si spogliò rapidamente, infilandosi sotto le coperte come un fulmine: osservò per un po’ di tempo i rami degli alberi frusciare al sibilo del vento e, quando le palpebre iniziarono a farsi pesanti, chiuse gli occhi senza smettere di ripetersi la stessa frase.
Io ti maledico, Synyster Gates.
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“Buonanotte!”
Un momento, cosa?
Se n’era andata così? Gli aveva seriamente sbattuto la porta in faccia?
Brian rimase imbambolato nella stessa posizione per qualche secondo, cercando di metabolizzare la faccenda al meglio ma con scarsi risultati
Piccola stronzetta impertinente  pensò mentre ritornava sui suoi passi non ti permetto di trattarmi in questo modo.
Arrivato alla sua stanza spalancò la porta con forza e, dopo essersi sfilato la maglietta ed averla gettata sulla poltrona, si lasciò cadere a peso morto sul letto matrimoniale: in un gesto di stizza spinse lontano le lenzuola e si incrociò le braccia dietro alla testa.
No, proprio non riusciva a mandar giù l’accaduto.
Be’, però devi ammettere di essere stato un po’ un coglione eh
“IO UN COGLIONE?” sbottò contro se stesso, mangiucchiandosi le labbra dal nervoso “è quella stronza che non porta neanche un po’ di rispetto”
Ah, perché tu lo porti invece?
Silenzio.
Coscienza 1, Brian 0: palla al centro
In effetti però la sua non era stata una mossa tanto intelligente: anzi, a dirla tutta era stata più che avventata. Sapeva che Alexandra non era la solita ragazzina da quattro soldi, ma aveva voluto fare lo stesso di testa sua, ragionando con le… ehm ehm: il concetto è passato, no?
“Oh, al diavolo” borbottò da solo, sdraiandosi su un fianco con il viso rivolto verso la finestra; la luce della luna proiettava sul tappeto le ombre tremolanti delle persiane, dando quasi l’impressione di essere sommerse dall’acqua.
Brian rimase a fissarle per una quantità indeterminabile di minuti e, mentre le palpebre si facevano sempre più pesanti, il ragazzo si addormentò con una sola frase stampata in testa
Che tu sia maledetta, Alexandra Crocket.
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Mamma, papà! NO, NO VI PREGO! Urlò la ragazza, allungando una mano verso i genitori mentre correva a perdifiato nella loro direzione: più cercava di raggiungerli, più questi sembravano allontanarsi, quasi come se venissero risucchiati da un buco nero.
Urlò i loro nomi sempre più forte, ma dalla sua bocca non uscivano altro che rantoli soffocati dal terrore e dalla tristezza
Sii forte tesoro mio, non lasciare che gli altri si impossessino della tua vita. Solo vivendo troverai quello che stai cercando: ama e sarai felice.
No mamma, non andartene!
Christine si mise a sedere sul letto, urlando talmente forte da raschiarsi la gola; tra le mani stringeva convulsamente le lenzuola madide di sudore come se cercasse di aggrapparsi a qualcosa, qualcosa che la riportasse alla realtà il prima possibile.
Ancora tremante si portò le mani alla bocca, cercando di placare le urla isteriche che la stavano scuotendo da capo a piedi come un terremoto.
Ormai aveva paura anche a chiudere gli occhi per colpa di quello stramaledettissimo incubo, sempre pronto a lacerarle l’anima: i suoi genitori erano morti da anni ormai, ma Christine era giunta alla conclusione che vederli vicini e non poterli raggiungere fosse mille volte più doloroso che saperli seppelliti sotto tre metri di terra.
Ama e sarai felice
Le parole della madre continuarono a rimbombarle in testa come un eco in lontananza, impedendole di calmare il respiro affannoso
Io lo amo mamma, ma guarda come sono ridotta: guarda a cosa può portare l’amore di cui tanto parlavi.
Vorrei che tu fossi qui.

Un conato di vomito le strinse lo stomaco fino a farla urlare dal dolore per l’ennesima volta: Christine si trascinò fino al bordo del letto con le lenzuola strette alla bocca per soffocare le lacrime e, una volta messi i piedi per terra, si fiondò alla porta della sua camera, appoggiandosi per non per cadere.
Uscì nel corridoio e barcollando come un’ubriaca si diresse verso l’unica persona che poteva aiutarla in quel momento; reggendosi al muro Chris riuscì a raggiungere l’ultima stanza del piano.
Con mano tremante abbassò la maniglia della porta, continuando a singhiozzare silenziosamente: da dietro le lacrime Christine riuscì a vedere il ragazzo mettersi seduto sul letto, voltare la testa verso di lei e correrle in contro.
“Ehi…” sussurrò lui, sollevandole delicatamente il viso; Christine lo guardò con gli occhi gonfi e il magone, senza riuscire a spiccicare parola. Il ragazzo le sorrise dolcemente e con i pollici le rimosse le lacrime che le offuscavano la vista “Basta piangere adesso, ci sono io con te”
“Matt…” balbettò Chris, continuando a singhiozzare sul suo petto nudo.
Lui non disse nulla, si limitò a stringerla a sé cercando di trasmetterle tutta la sicurezza di cui aveva bisogno in quel momento: con una mano le accarezzava i capelli, mentre con l’altra le cingeva la vita come se avesse paura che Christine le scivolasse dalle mani da un momento all’altro.
Ed era così.
Se non ci fosse stato Matt, Christine sarebbe caduta e non sarebbe mai più riuscita a rialzarsi: era lui la sua ancora, quella a cui Chris si aggrappava tutte le volte che il buio urlava il suo nome per chiamarla a sé.
Era lui che riusciva a farla sentire protetta anche solo con uno sguardo, con un gesto, con una parola.
Era lui l’unica persona che avrebbe potuto amare, l’unica per cui avrebbe dato la sua stessa vita.
Matt la sollevò da terra senza dire nulla e, con passo deciso, l’adagiò dolcemente sul suo letto, le rimboccò le coperte e si sdraiò al suo fianco, abbracciandola talmente forte da farle mancare il respiro.
In quella posizione Christine riusciva a sentire il battito regolare del suo cuore, perfettamente in sincrono con il suo: le bastò rimanere in quella posizione per qualche secondo che l’angoscia che fino a qualche minuto prima le stava logorando l’anima sparì nel nulla, lasciandola spossata.
Chris sentiva Matt disegnarle con il pollice dei piccoli cerchi immaginari sul braccio e fu proprio in quel momento che si rese conto della profondità dei suoi sentimenti nei confronti del ragazzo: Christine sentì l’irrefrenabile voglia di dirglielo. Dirgli tutto, spiattellargli in faccia l’intera faccenda e finalmente liberarsi di un peso che si portava appresso da anni ormai
“Mat…” iniziò con un filo di voce, sollevando leggermente la testa per poterlo guardare negli occhi: il ragazzo si voltò verso di lei, aspettando che finisse la frase.
Probabilmente avrebbe dovuto attendere ore e ore se la parte razionale di Christine non fosse intervenuta: quella sentimentale, infatti, era troppo presa contemplare la perfezione del suo viso.
Avrebbe voluto accarezzargli il viso, le guance, il naso, ripassare con il dito le tenere fossette che comparivano tutte le volte che le sorrideva
“Sì?” le chiese tutt’a un tratto, scostandole una ciocca di capelli dal volto.
I battiti di Christine aumentarono a dismisura, rischiando di farle venire un infarto
“I-io…” balbettò in cerca del coraggio per pronunciare quelle tre semplici parole “io…”
Ti amo.
“Ti voglio bene” sussurrò sconsolata, riappoggiando la testa sul petto del ragazzo.
Matt le accarezzò il braccio, provocandole una scarica di brividi, per poi posarle un bacio tra i capelli
“Anche io piccola, anche io”
Perché devo dirglielo? È tutto così perfetto adesso, in questo preciso istante: io lo amo e forse anche lui, ma in maniera diversa. Dopotutto non si può avere tutto dalla vita, o no mamma?
Christine fissò per qualche secondo la luna scomparire dietro alle nuvole, fino a che la vista non le si oscurò definitivamente: e quando l’ultima piccola, calda lacrima le attraversò il viso, Christine si addormentò, cadendo preda di un sonno senza sogni.




...
Sì lo so, faccio schifo.
Sono passati mesi dall'ultima volta in cui ho aggiornato questa storia, ma francamente avevo perso l'ispirazione: le parole non mi venivano e piuttosto che scrivere cavolate ho preferito aspettare il momento giusto...Ovvero adesso.

Il capitolo è particolarmente triste ma è stata una cosa voluta, visto che fino ad adesso ci eravamo scontrate solo con la parte "tutta rosa e fiori" più o meno.  Non è nulla di che, ma si tratta di una sorta di ponte per collegarmi al continuo della storia...Sempre che ci sia ancora qualcuno che la segue xD
Aggiornerò il più presto possibile, questa volta lo prometto.
Un bacione a tutte quante,
Columbia

 
   
 
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