Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Segui la storia  |       
Autore: TheSlavicShadow    24/03/2016    1 recensioni
Quando all'improvviso decidi di prendere in mano le redini del tuo destino e ci sono delle scelte da compiere.
{JeanMarco; sequel di "Three Days Till..."}
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Jean Kirshtein, Marco Bodt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Three Days'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Si era svegliato sentendo del rumore provenire dalla cucina. Per un attimo non aveva capito dove si trovava. Annie non faceva mai rumore al mattino. Preparava la colazione senza disturbarlo, se stava ancora dormendo.

Poi si era ricordato che non era nella capitale britannica, ma in quella oltremanica. Non era nel suo letto, ma in quello della stanza degli ospiti nell'appartamento di sua sorella. Si era stretto un po' di più nelle coperte, pensando alla giornata che lo attendeva. Aveva tutta la mattina per prepararsi psicologicamente, perché doveva affrontare il suo più grande problema, altrimenti non avrebbe potuto fare nessun passo in avanti. Se non avesse affrontato i suoi genitori, non avrebbe mai mosso alcun passo, in nessuna direzione. Sarebbe rimasto stagnante in quella posizione, per sempre diviso tra ciò che voleva e ciò che doveva fare.

Aveva perso fin troppo tempo e solo adesso tutto gli era chiaro.

A trent'anni superati non ha più senso sentirsi un bambino smarrito. Non ha più senso avere paura. Eppure eccoti lì, terrorizzato come quando per la prima volta hai parlato a tua madre dei tuoi sentimenti per un ragazzo. E non hai fatto nulla di male. Ti sei solo innamorato, che è la cosa più naturale del mondo.

Marco non si era quasi mosso dal suo sicuro rifugio quando Ymir aveva aperto la porta della camera, appoggiandosi allo stipite con una tazza di caffellatte in mano e si era messa ad osservarlo, senza dire una parola.

“Ymir, sei inquietante.”

“Buongiorno anche a te, fratellino.” La donna si era portata la tazza alle labbra, non togliendogli gli occhi di dosso. “Tra poco esco e vado a prendere Historia all'aeroporto. Sei sicuro di voler andare a casa da solo? Sai che posso venire con te.”

Con un sospiro si era messo a sedere, passandosi una mano sul viso. “Sto seriamente pensando di scapparmene da qualche parte dove nessuno mi troverà. In Sud America sarebbe perfetto.”

“Se non hanno mai trovato i criminali di guerra che sono andati lì, tu darai ancora meno nell'occhio.” Si era spostata dalla porta per entrare nella stanza e sedersi sul letto accanto a lui. “Non mi hai detto com'è andata ieri.”

“Perché purtroppo non c'è nulla da dire. L'ho fatto arrabbiare di nuovo e credo di aver rovinato tutto per l'ennesima volta.”

Ymir aveva sospirato. La tazza appoggiata sul comodino accanto al letto, e le sue braccia si erano strette attorno al collo del fratello. “Sei un grandissimo idiota. Non puoi scopartelo e basta senza farti tutti questi problemi?”

“L'ho fatto e guarda in che situazione mi sono cacciato!”

“Perché eri fidanzato e ad un passo dal matrimonio, idiota.” La donna aveva sbuffato di nuovo, accoccolandosi meglio tra le sue braccia. “Cos'hai intenzione di dire a mamma e papà?”

“Solo la verità. Anche se urleranno e pioveranno parole forti, non mi importa. A questo punto non credo mi importi davvero più.”

“E non sei per niente bravo a mentire. Sei sicuro che non vuoi venga con te? So come fermarli, sai che non mi fanno paura.”

“Grazie, ma forse è giunto il momento di combattere da solo le mie battaglie. Anche se tu sarai sempre il mio più fedele cavaliere.”

L'aveva stretta con forza e Ymir aveva ricambiato l'abbraccio, insultandolo ancora un po'.

 

 

***

Lentamente si era preparato. Aveva preparato qualcosa per pranzo, ma quasi non aveva toccato cibo per tutta la mattinata. Aveva lo stomaco chiuso. Stretto per l'ansia e il nervosismo.

Non c'era nulla per cui essere nervosi. Il primo passo lo aveva già fatto. Aveva già detto tutto.

Solo che Margherita e Arne Bodt gli avevano voltato subito le spalle e dopo la cerimonia interrotta non avevano più voluto avere contatti con lui. Shock. Rabbia. Delusione. Poteva capire come si sentissero. Provava tutte quelle emozioni lui stesso e verso sé stesso.

Non aveva mai creduto che avrebbe fatto quel passo, che un giorno sarebbe uscito allo scoperto. Non pensava che avrebbe fatto così male rendersi conto di quanto era stato stupido ed ingenuo. Di quanto aveva perso continuando a fuggire.

Percorreva lentamente il tragitto dalla fermata dell'autobus a quella che era la casa in cui era cresciuto. Stava cercando di ritardare il momento in cui avrebbe incontrato i suoi genitori, perché fondamentalmente non era pronto. Forse non lo sarebbe mai stato del tutto.

Ma erano i suoi genitori. Erano le persone che avrebbero dovuto prendere sempre le sue difese, in qualsiasi circostanza. Erano le persone che avrebbero dovuto amarlo incondizionatamente, qualsiasi cosa avesse detto o fatto. Perché era così che i genitori dovevano comportarsi. Dovevano stare sempre dalla parte degli umani che mettevano al mondo.

I suoi gli avevano voltato le spalle non appena aveva smesso di essere il figlio perfetto che credevano di aver cresciuto.

Si era fermato di fronte al cancello. Suonare a casa propria gli risultava più difficile di quanto lo era stato solo il giorno prima a casa Kirschtein. Qui aveva la certezza di non essere ben accetto. Qui era sicuro che sarebbe solo uscito più ferito di quanto non lo era prima di entrare.

Con un profondo respiro aveva preso coraggio e premuto il campanello.

 

 

***

Da devoti cristiani quali erano, Margherita e Arne Bodt gli avevano concesso di entrare in casa. O, come giustamente credeva Marco, per non far parlare i vicini di come avevano buttato fuori di casa il figlio. Erano persone rispettabili. Entrambi insegnanti di liceo e molto attivi nella comunità. Erano due persone squisite, che tutti adoravano ed avevano una famiglia perfetta. Cinque figli; due già laureati e con carriere lavorative avviate, due che dovevano ancora laurearsi, e la piccola della famiglia che stava finendo il liceo. Bravi bambini, Ymir compresa, che tutto il vicinato adorava.

“Non sei più il benvenuto in questa casa, Marco.”

Con quelle parole lo aveva accolto l'uomo dal quale aveva ereditato l'altezza e le lentiggini. Fermo davanti alla porta d'ingresso appena chiusa alle spalle del figlio, Arne lo guardava negli occhi e Marco si era sentito di nuovo il ragazzino spaventato di tanti anni fa, quando quello stesso uomo gli chiedeva che problemi avesse a non trovare una ragazza.

“Ho sempre saputo che quel Kirschtein ti avrebbe fatto diventare finocchio. Passavi troppo tempo con lui e con quella peccatrice di sua madre. E lui è uguale a lei; divorziato ed ha anche una figlia.”

“Non sono venuto fino a qui per sentirti parlare di loro.”

Aveva cercato di sostenere lo sguardo di suo padre, ma non ci era riuscito. Era sempre stato un bravo figlio. Non aveva mai dato troppe preoccupazioni ai suoi genitori. Suo padre non aveva mai saputo nulla sulla sua sessualità fino a quel momento. E non sapeva come contrastare le sue parole.

“Per cosa sei venuto allora? Per cercare di scusarti per quello che hai fatto? Per umiliarci ulteriormente?”

Il moro si era morso il labbro, abbassando lo sguardo.

“Devo scusarmi solo per quello che ho fatto ad Annie. Non voglio umiliarvi, e non ho mai desiderato farlo. Ho avuto un tempismo pessimo, ma se l'avessi sposata, non l'avrei mai resa felice.”

“E adesso cosa ti aspetti da noi? Ci hai umiliati e delusi davanti a tutti! Anche davanti a Dio! Finirai all'inferno per questo!”

“Papà...” Marco aveva alzato il viso per poter guardare il padre. Era sempre stato un bravo genitore. Omofobo, certo, ma gli aveva sempre dato tutto quello di cui aveva avuto bisogno. La sua – la loro – omofobia era l'unica cosa che sempre stonava in quel perfetto quadretto famigliare. “Non mi aspetto che tu capisca e accetti la cosa subito, solo è una cosa che non cambierà mai. Non è cambiato nulla, sono sempre stato così.”

“Eri normale! Ti stavi per sposare!” Arne aveva alzato la voce, sbattendo con violenza un pugno contro la porta.

“Sei la mia più grande sconfitta, Marco.” Margherita Bodt li aveva raggiunti in corridoio quando aveva sentito il marito urlare. Marco aveva guardato la donna senza proferire parola. “Se questa è una prova che Dio ha messo sul mio cammino, questa volta non voglio neppure provare a superarla. Quello di cui ti sei macchiato è un peccato per il quale non avrai mai salvezza. Ho pregato tanto per la tua anima, sin da quando eri molto giovane e ti sei legato in quel modo schifoso a quel ragazzo. Pensavo che Dio avesse esaudito le mie preghiere, che tu fossi tornato normale. Ma continui ad essere un abominio.”

“Gli unici abomini siete voi.” Non sapeva da dove fosse uscita tanta baldanza. Non era neppure sicuro di essere stato lui a parlare. “Penso che il Dio dietro cui tanto vi nascondete sia schifato dalla vostra ipocrisia. Sono vostro figlio, maledizione! Voi mi avete messo al mondo! Non parlate sempre di perdono? Di amore verso il prossimo? Cosa c'è di così tanto sbagliato nell'essermi innamorato?” Quasi non si era accorto di star alzando anche lui la voce. Quasi non si rendeva conto delle parole che stava pronunciando. “Non ho mai amato nessuno quanto ho amato lui. Non amerò nessuno con la stessa intensità. E non ci vedo nulla di sbagliato in questo. Non più.”

Arne Bodt lo aveva guardato. Aveva semplicemente aperto la porta, non togliendogli gli occhi di dosso.

“Non sei più nostro figlio.”

 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: TheSlavicShadow