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Autore: Amatus    29/03/2016    1 recensioni
I grandi eroi esistono per sconfiggere grandi nemici e pericoli mortali. E se il confine fra eroe e mostro non fosse così evidente? Se l'eroe non sapesse contro cosa realmente combatte? Se il nemico fosse convinto di essere un eroe?
E se il nemico più pericoloso fosse l'eroe pronto a combattere per la propria giusta causa a dispetto di tutto il resto?
Una storia può essere raccontata da diversi punti di vista. Questa storia ne presenta due. Due potenziali eroi. Due potenziali mostri. Distinguere l'uno dall'altro potrebbe essere più difficile di quanto si pensi.
Era troppo tempo che qualcuno non gli rivolgeva una parola gentile e fare nuove conoscenze era una cosa così tanto al di fuori delle sue aspettative che non sapeva come reagire. Quando alla fine pronunciò il suo nome quelle lettere così scandite suonarono buffe alle sue orecchie. Non avevano più nessun significato da tempo immemorabile. Solas. Da quanto tempo nessuno lo chiamava così, sentire quel nome, anche se pronunciato dal nano lo fece sentire meglio.
[IN REVISIONE]
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Inquisitore, Solas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'Fen'Len - Figlia del Lupo'
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Cercando una tana
 
Non sempre una bugia, ripetuta cento, mille, un milione di volte diventa verità: neppure sui lupi.
 
V
Erano passati pochi mesi da quando la sua vita era cambiata all’improvviso. Era passata dall’essere la reietta di un minuscolo clan dalish, ad essere accusata di aver aperto un buco nel cielo ed infine era stata chiamata Araldo di una divinità in cui non aveva mai creduto. Vedere la situazione nel suo insieme le dava un senso di vertigine. Eppure era successo tutto in modo così naturale! Non aveva percepito il cambiamento come accade con le stagioni, una mattina aveva aperto la finestra della sua stanza e aveva scoperto che l’estate era arrivata. Si era fermata forse per un istante a chiedersi cosa ne fosse stato degli elfi accampati ai piedi della montagna, ma la verità era che non le interessava, questo faceva di lei un mostro? Forse, ma la sua nuova vita era iniziata e non aveva nessuna intenzione di voltarsi indietro. La strana cosa che aveva scoperto sulla sua mano al risveglio le era ormai divenuta quasi familiare, il dolore era del tutto passato e fatta eccezione per quello strano formicolio che la prendeva in presenza dei varchi o di un certo tipo di magia, era del tutto inerte.
Tutto quel parlare di divinità, di destino e di responsabilità la metteva ovviamente in imbarazzo ma il resto era incredibile.
Per la prima volta in vita sua le sembrava di poter abbassare le difese, rinfoderare gli artigli e stare tranquilla.
All’inizio non era stato facile. Cassandra sembrava così intransigente! Si erano scontrate spesso nei primi giorni ma non le aveva mai mancato di rispetto, anzi, poteva supporre che quella donna così severa avesse per lei un pizzico di ammirazione.
Lena non dubitava di poter contare sulla sua lealtà. Cassandra era una donna d’onore, sembrava forgiata nell’acciaio ma allo stesso tempo era facile sentire la passione ardere dentro di lei. Lena aveva iniziato a riporre fiducia nella cercatrice grazie soprattutto al fuoco che sentiva scorrere nelle sue vene e che la guidava più spesso del dovuto nelle sue decisioni. In fondo era grazie al suo temperamento se Lena era ancora viva e libera. Le persone ardimentose ispiravano in lei fiducia, soprattutto quelle come Cassandra guidate da ideali che trascendono le mere questioni umane. Le persone passionali quando commettono errori lo fanno per rispondere alla necessità di fare la cosa che, nel momento contingente, sembra la scelta migliore, sono quindi profondamente buone e questa caratteristica era per Lena preziosissima. Per questo prestava particolare attenzione ai suoi consigli, le piaceva anche ascoltare le storie del suo passato e della sua terra lontana che Lena immaginava aspra e grigia, perennemente avvolta da tempeste. Nonostante tutte le proteste, Cassandra non fu mai in grado di estirpare quell’immagine dalla sua testa.
I tre consiglieri, assieme ai quali davanti ai suoi occhi increduli Cassandra aveva rifondato l’Inquisizione, erano invece di tutt’altra fattura.
Leliana la terrorizzava, non riuscire a capire cosa le passasse per la mente la metteva a disagio ma in quei rari momenti in cui riusciva a cogliere anche solo il frammento di un pensiero, la sua spietatezza la faceva gelare. Non poteva negare che Leliana avesse sofferto e stesse ancora soffrendo molto, ma più di una volta si chiese se tutto quel dolore non stesse giocando con lei sulla soglia della pazzia. Più di una volta si era trovata a dover fare la voce grossa per bloccare i suoi ordini, spesso inutilmente sanguinarii, e ogni volta si era chiesta se non fosse più saggio lasciare quella donna spietata portare avanti le cose a modo suo. Immaginava che sarebbe bastato un sussurro dell’Usignolo e lei sarebbe scomparsa misteriosamente, probabilmente tutti avrebbero pensato ad una sua fuga e il suo corpo invece sarebbe finito sul fondo di una scarpata. Ma finché la sua opinione veniva richiesta lei si sentiva tenuta a a parlare sinceramente e a non nascondere nulla.
Neanche con Josephine riusciva a mai a sentirsi completamente a proprio agio. Era gentile e disponibile, le riservava sempre attenzioni particolari ma Lena si domandava sempre se tutte quelle carinerie non fossero parte di un suo preciso incantesimo, come i maghi che creano immagini illusorie per disorientare il nemico. Era sempre sulle spine quando si trovava nel suo salotto, più di quanto non fosse nell’affrontare un demone. Dopotutto lei riusciva con un sorriso, una parola gentile e qualche lettera a tenere a bada tutta la nobiltà del Thedas. Se l’Inquisizione aveva potuto stabilire i propri quartieri ad Haven senza che nessuno arrivasse a scacciarli, non era che per merito suo.
A non ispirarle di certo timore o soggezione era il comandante Cullen, diversamente da quanto si sarebbe pensato a prima vista, quell'uomo altero dall'aria marziale non riusciva a suscitare in lei altro se non tedio sconfinato. Lena non era mai riuscita spendere con lui che pochi momenti, il tempo necessario per sbrigare le formalità e alla prima occasione utile batteva in ritirata. Non credeva di aver mai incontrato nessuno più noioso e con meno senso dell’umorismo di quel soldato. Soldato era l’unico modo in cui riusciva a pensare a lui e questo la infastidiva.
Fortunatamente Cullen aveva il suo contraltare: Varric.
Se era riuscita  nei suoi primi giorni a non farsi uccidere era senza dubbio merito suo. Appena arrivata Lena aveva messo in atto tutti quei meccanismi che le erano così naturali quando era con il suo clan: sguardo torvo, risposte taglienti e una diffidenza assoluta. Lui era riuscito a ingannare con ironia e dedizione tutte le sue difese e all’improvviso Lena non era più in grado di lasciare il suo fianco, passava con lui tutto il tempo che poteva. Quando era ad Haven era più facile trovarla alla taverna con Varric che nel proprio alloggio, quando era costretta a lasciare il villaggio per qualche missione faceva di tutto per poter viaggiare con il nano, anche se lui si lamentava sempre di tutto: il clima, gli odori, gli animali, una volta lo aveva addirittura sentito lamentarsi dell’erba!
Varric aveva sempre qualche storia incredibile da raccontare e Lena aveva presto imparato a capire che ogni storia raccontava qualcosa per nascondere molto altro. Era incuriosita da quel nano che era stato così bravo da far cadere le sue maschere ma che portava con disinvoltura le proprie. Varric si lamentava spesso di tutte le domande che Lena gli rivolgeva ma lei sapeva che non ne era mai davvero infastidito. Ogni domanda elusa era per Lena una possibilità per conoscere un po’ di più quel nano così gioviale, ma che aveva nel fondo degli occhi un dolore inespresso. Cercò di prendere esempio da lui, di certo lei non era l’unica persona ad aver sofferto in questo mondo, cosa le dava il diritto di far pesare sugli altri il proprio dolore? Far sentire gli altri a proprio agio, fare in modo che ci fosse allegria anche nei momenti più difficili, questo Varric sapeva farlo molto bene, ma lei poteva trovare un suo modo per mettere da parte se stessa e divenire un po’ più accogliente nei confronti degli altri. E cercò di farlo. Sfruttò la sua curiosità e il suo acume per riuscire a far emergere la parte migliore delle persone che incontrava, invece di lasciarsi spaventare dalle loro ruvidezze.
Solo con Vivienne questo suo atteggiamento non diede buoni frutti.
Quella donna la guardava dall’alto in basso come se stesse parlando ad un cane anziché ad una persona in carne ed ossa. L’impressione che ne ricavava Lena era che quando Vivienne era costretta a rivolgerle la parola non vedesse altro di lei se non quel marchio sulla mano che, secondo i suoi piani, le avrebbe potuto aprire qualunque porta.
Inizialmente anche Solas le aveva dato la stessa impressione.
Nei primi giorni della sua permanenza ad Haven, Solas le aveva rivolto la parola solo per avere notizie di quanto era accaduto durante e dopo l’esplosione, ma alla notizia della sua amnesia sembrava aver perso qualunque interesse nei suoi confronti. Dal canto suo Lena si sentiva ancor più diffidente nei confronti dell’elfo che nei confronti di chiunque altro. Le parole di Valais di quell’ultima notte le erano rimaste scolpite nella mente. Se qualcuno avesse riconosciuto i suoi tatuaggi? Quell’elfo sembrava conoscere moltissime cose, se avesse scoperto la sua infamia? La maggior parte degli umani non credeva alle vecchie leggende, nessuno credeva all’esistenza di Fen’harel, ma non sarebbe bastato sapere che i suoi simili, che credevano invece negli antichi dei, non l’avessero ritenuta degna di nessun altro dio? Avrebbero iniziato a farsi domande, avrebbero ricominciato a guardarla circospetti, ciò che stava cercando di costruire e preservare con tutte le sue forze sarebbe crollato.
Così cercava di evitare quello strano elfo il più possibile ma non poteva negare di esserne incuriosita. Non era evidentemente un elfo di città ma non portava i vallaslin. Era un elfo ma non aveva riconosciuto in lui nessuno dei tratti caratteristici del linguaggio o delle abitudini di questi.
Durante i molti scontri si erano scambiati qualche parola, avevano trascorso lunghe ore attorno al fuoco in quelle notti nelle Terre Centrali così tranquille da far dimenticare che il mondo stava per essere risucchiato in un grosso buco. Non sembrava che lui avesse dato peso ai suoi tatuaggi, così un giorno particolarmente tranquillo Lena si era decisa ad andare da lui a fare due chiacchiere.
Aveva scoperto cose incredibili, non avrebbe mai potuto immaginare che un solo elfo potesse avere così tanta conoscenza. Oltre che dai racconti sui suoi viaggi, riguardo i quali lui non lesinava mai parole, Lena era affascinata dalla sua vita lontana dai clan ma anche dalle enclavi, avrebbe voluto saperne di più ma su quell’argomento Solas era piuttosto riservato. Avrebbe dovuto fare con lui come con Varric, avrebbe dovuto lasciare loro il tempo di disfarsi di tutte le difese, avrebbe dovuto guadagnare la loro fiducia, ma sapeva che c’era del buio dentro di loro e oltre ad esserne incuriosita ne era anche affascinata.
Anche con Sera all’inizio era stata dura, in questo caso era lei ad avere pregiudizi sugli elfi ma quando ebbero parlato un po’ Sera dovette riconoscere che lei non era poi così “elfica” e che quindi aveva il suo permesso per offrirle da bere ogni tanto. Una gentile concessione, non vi erano dubbi, ma Lena era profondamente divertita da quel suo essere fuori da ogni schema e non diede il minimo peso ai suoi modi.
 
In quei giorni si trovavano in missione nelle terre centrali. Leliana aveva ricevuto la notizia che un Custode Grigio  era stato avvistato in quella zona, e aveva preparato una missione per trovarlo e interrogarlo. I Custodi Grigi sembravano infatti essere scomparsi misteriosamente subito dopo l’esplosione al conclave, nessuno aveva loro notizie da mesi e la comparsa di un custode isolato sembrava quanto meno provvidenziale. O sospetto, come aveva fatto notare Cassandra.
Avevano trascorso la nottata in un accampamento vicino al lago Superiore, era lì che gli agenti di Leliana dicevano di aver localizzato il Custode. Varric continuava a lamentarsi, due notti spese all’addiaccio per lui erano troppe, Lena invece era felice di essere all’aperto, non fosse stato per la pazzia che imperversava in quelle terre sarebbe rimasta lì fuori più a lungo. Magari avrebbe seguito l’esploratrice Harding in qualcuna delle sue missioni quando tutto fosse tornato alla normalità. Per il momento c’era troppo da fare, lì, ad Haven e in praticamente mezzo Thedas. Le scampagnate avrebbero dovuto aspettare.
Si svegliarono di buon mattino quel giorno e si misero subito in cammino, Cassandra era nervosa e Varric per distrarla aveva iniziato a punzecchiare Solas, che dal canto suo sembrava completamente impermeabile alle provocazioni del nano.
Non camminavano da molto quando giunsero nei pressi di una vecchia capanna proprio sulle rive del lago. Accanto alla capanna una manciata di uomini si stava allenando all’uso della spada in un’arena improvvisata. Gli uomini sembravano stanchi e spaventati, avevano l’aria di chi impugna una spada per la prima volta, più concentrati nel cercare di non ferirsi da soli che nel combattere.
Con loro vi era un uomo che portava sull’armatura consunta le insegne dei custodi grigi. Doveva essere lui, lo avevano trovato.
Si avvicinarono e Lena lo chiamò “Blackwall? Custode Blackwall?”
L’uomo sorpreso si voltò verso di lei, strinse di più la spada che aveva in mano e si diresse verso di lei con una furia inaspettata.
Lena sentì Cassandra sguainare la propria spada.
“Cosa ci fate qui? Chi siete?” Tuonò l’uomo andandosi a piantare dritto in faccia a colei che lo aveva interpellato, rivolgendo all’elfa uno sguardo carico di odio. Lena stava per parlare e Cassandra per passare all’attacco, quando il Custode con un gesto rapido, alzò il braccio con cui stringeva lo scudo e lo portò davanti a Lena in un gesto difensivo. Una freccia si piantò sullo scudo.
Per un istante Lena restò a guardare l’uomo che era passato in un secondo dal volerla uccidere al salvarle la vita.
“Aiutateci, o andatevene” Disse di nuovo l’uomo in tono brusco.
La battaglia fu rapida, i briganti che li avevano assaliti erano, come molti altri che Lena aveva incontrato in precedenza, male addestrati e probabilmente stremati dalla fame, un altro triste sintomo del caos imperante.
Il custode lasciò liberi di tornare a casa gli uomini che stava addestrando, non erano pronti ma erano armati e avevano combattuto la loro prima battaglia, era molto più di quanto potesse dire la maggior parte degli altri contadini e allevatori che vivevano nei dintorni.
Gli agenti dell’Inquisizione rivolsero al custode molte domande ma ottennero risposte deludenti. Blackwall non aveva avuto contatti con altri custodi negli ultimi mesi e non sapeva nulla della loro scomparsa. La loro missione si era rivelata un buco nell’acqua.
Mentre s’incamminavano per tornare ad Haven la voce del custode li fermò.
“Inquisizione? Avete detto di essere agenti dell’Inquisizione? Ho sentito parlare di voi. So che avete fatto molto per la gente di queste parti, molto più di chiunque altro. Ed io…beh, viaggio da solo da troppo tempo e forse un Custode Grigio potrebbe esservi d'aiuto.”
L’uomo parlava con il fare di un veterano che ha visto tante battaglie da non ricordare più per cosa aveva iniziato a combattere ma pronunciò quelle parole guardando Lena dritta negli occhi e lei si sentì persa per un istante dentro il suo sguardo grigio, adombrato e profondissimo, fu come se il suo cuore mancasse un battito. Aveva trovato il suo Custode alla fine.
 
VI
 
Doveva ammetterlo, la vita ad Haven nonostante tutto era piacevole.
La vicinanza dello squarcio gettava su tutto una luce inquietante ma che i suoi occhi riuscivano a sopportare meglio. Il lavoro era duro ma la compagnia era piacevole.
Aveva allacciato dei buoni rapporti con Varric e per quanto possibile con Cassandra, anche quel nuovo arrivato, il qunari che si faceva chiamare Iron Bull, era per lui una presenza controversa e affascinante. Un piccolo colosso con delle corna imponenti, una benda sull’occhio e la voce cavernosa di un orso, ma dallo sguardo gentile e sincero. Una spia ma leale e fedele ai suoi compagni. Un osservatore acuto ma mai giudicante. Un piccolo capolavoro della natura e Solas non poteva far altro che ammirarlo.
Ma chi davvero aveva attirato la sua attenzione era la giovane elfa con la mano marchiata dall’antica magia.
Inizialmente era stato del tutto indifferente alla sua presenza, aveva visto fin troppi dalish negli ultimi tempi e la loro sola  presenza lo rivoltava. Ma con il tempo la giovane lo aveva sorpreso. Era curiosa, rivolgeva domande a tutti, era evidentemente affamata di conoscenza. Le sue osservazioni erano acute, più di una volta lo avevano spiazzato e si era trovato ad osservare fatti e avvenimenti da un punto di vista a lui del tutto nuovo, suggeritogli da un commento o da una intuizione dell’elfa.
Inoltre non faticava ad ammetterlo, la sua figura era graziosa e i suoi movimenti armonici come una danza. Quando combatteva era letale e aggraziata allo stesso tempo, una vera gioia per gli occhi. Era tanto tempo che a Solas non era concesso un passatempo così innocuo e piacevole e non aveva intenzione di privarsene. Si gingillava con il pensiero di lei così come avrebbe osservato durante una fiera di paese quegli artisti che fabbricano enormi bolle variopinte utilizzando corda e sapone. E’ piacevole stare ad osservare la luce che gioca con quella fragile ed eclettica creazione, ma il vero piacere sta nel suo essere un piacere del tutto effimero, la bolla è destinata a scoppiare nel giro di pochi piacevoli momenti. Nessuno passerebbe anni ad osservare la stessa bolla di sapone, nessuno per questa verrebbe distolto dalla propria occupazione troppo a lungo.
Era incuriosito dalla rabbia che la ragazza sembrava provare nei confronti dei suoi simili, aveva creduto che tutti i dalish fossero ossessionati dalla loro idea di preservare radici antiche e dimenticate, ma lei voleva lasciarsi alle spalle tutto. E non che il passato non le interessasse, rimaneva per ore ad ascoltare ammaliata i suoi racconti, semplicemente non sembrava apprezzare quella che doveva a buon diritto essere la sua gente.
La sua presenza però gli era gradita per un motivo in particolare. La luce della sua mano, che aveva in quel primo giorno placato finalmente il suo mal di testa, aveva mantenuto il suo potere, quando lei era nei paraggi la sua emicrania scemava pian piano fino a scomparire. 
La sua presenza nei suoi alloggi quel giorno era davvero provvidenziale. Nonostante fossero ad Haven quel mattino era stato svegliato dalla netta sensazione che la sua testa stesse per esplodere in una palla di fuoco e la sensazione non lo aveva abbandonato fino alla tarda mattinata, quando colei che tutti ormai chiamavano l’Araldo era passata da lui per chiacchierare un po’. Gli altri la chiamavano araldo ma forse nessuno del suo ristretto entourage. Varric non faceva che chiamarla Ragazzina, per uno sciocco gioco tra loro per cui lei fingeva di arrabbiarsi e lui di essere un saggio vegliardo. Bull, aveva preso a chiamarla Boss, era l’Inquisizione ad occuparsi delle loro paghe, ma era con lei che aveva stretto un patto. Per lui invece lei era da subito stata semplicemente da’len. Aveva fatto molta attenzione in principio ad evitare l’antico linguaggio, non voleva far nascere sospetti ma aveva ben presto capito che nei suoi momenti di rabbia era impossibile evitare che  le antiche parole gli salissero alle labbra. E a quanto pareva anche nei momenti d’intimità. Nessuno sembrava farci caso, i dalish usavano infatti le loro scarse conoscenze dell’antica lingua nelle stesse occasioni. Era interessante soffermarsi a pensare come mai proprio quelle parole non fossero andate perdute. L’idea che Solas se ne era fatto era che le parole del cuore, nel bene o nel male, fossero rimaste attaccate a quella gente e che fossero l’unico legame rimasto con il suo mondo.
Avrebbe voluto condividere con la sua ospite le sue riflessioni ma sembrava nervosa quel giorno, distratta. Continuava a fissare la tazza con all’interno quello che lui giudicava un terribile infuso, senza però assaggiarne neanche una goccia.
“Cosa c’è da’len? Qualcosa ti turba? Sono arrivate nuove brutte notizie?”
“E’ arrivata una lettera dal mio clan.” Rispose lei con aria sdegnata, “Chiedono il mio rilascio. Credono che l’Inquisizione mi abbia presa come prigioniera e mi vorrebbero indietro”
C’era disgusto nelle sue parole e Solas poteva leggerlo chiaramente. “Non è la reazione che ti saresti aspettata? Non li hai contattati da quando sei arrivata qui, non credi sia giustificabile la loro preoccupazione?”
Solas vide chiaramente quei begli occhi di un verde intenso scintillare di rabbia, rabbia diretta solamente a lui.
“Non si sono mai preoccupati per me una sola volta in tutta la mia vita! E ora scrivono dando per scontato che il mio ruolo in tutto questo non sia che quello della criminale! Vogliono trascinarmi nel fango e riportarmi indietro a quello che loro ritengono essere il mio posto!”
Solas lasciò che lo sfogo si esaurisse, prima o poi avrebbe capito cosa quella giovane aveva dovuto subire nel suo clan, non si aspettava nulla di buono da un branco di primitivi ma non era ancora arrivato il momento di fare domande.
“Scusami.” La ragazza sembrava aver ripreso il controllo ed era visibilmente imbarazzata.
Solas le sorrise ed iniziò a raccontarle la storia di un’antica e nobile famiglia e del loro tentativo di tenere nascosto un figlio cadetto che iniziava sviluppare notevoli doti magiche. Raccontò di come fossero arrivati a nasconderlo ed incatenarlo nelle segrete del palazzo, prima che il ragazzo riuscisse finalmente a guadagnarsi la libertà. Alla fine della sua storia la ragazza sembrava più tranquilla.
“Ma serannas." disse l’elfa rivolgendogli un sorriso di gratitudine. Era raro sentirle pronunciare le antiche parole e Solas lo trovò sorprendentemente piacevole.
“Ora devo andare, Josephine inizierà a darmi la caccia con i mabari se non mi lascio trovare.”
“Non sapevo di essere complice di una fuggitiva” rispose Solas sorridendo. Intanto la ragazza si era alzata e stava per uscire dalla piccola casa di pietra. Sulla soglia si fermò, si voltò e chiese: “Solas sai il nuovo arrivato, il custode? Come ti sembra? Cosa ne pensi?” La domanda uscì dalle sue labbra tutta d’un fiato come se l’avesse preparata in precedenza.
Solas ci pensò su per un attimo. Chissà come mai quella domanda. La ragazza aveva forse visto qualcosa che a lui era sfuggito?
“Non saprei da’len, ci siamo a malapena rivolti la parola ma sembra un uomo onorevole. Si vede che ha combattuto molte battaglie, deve aver visto molti orrori. Ma se è qui a combattere al nostro fianco vuol dire che l’orrore non lo ha ancora travolto, probabilmente crede ancora che questo mondo possa essere salvato. Non so se questo risponde alla tua domanda.”
“Grazie Solas.” Lei gli rivolse un altro sorriso ed uscì. Solas si fermò a riflettere sulle sue stesse parole. “Se quell’uomo combatte perché crede ci sia ancora speranza per il mondo, io per cosa combatto?”. Quella domanda gli restò a fior di labbra. Scosse la testa, non era quello il momento. Per ora dovevano ricucire quello strappo nel cielo. Un passo alla volta.
   
 
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