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Autore: Ai_no_Uta    01/04/2009    1 recensioni
Rose è una ragazza particolare... O meglio, con un lavoro particolare. Nonostante viva nel nostro stesso secolo, lavora in un bordello alle dipendenze del padre, volente o nolente. Riuscirà in qualche maniera a modificare questa sua condizione o sarà costretta a rimanerci a vita?
Genere: Romantico, Introspettivo, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rose Dato il tempo libero che l'Università ha deciso di risparmiarmi, ho scritto un nuovo capitolo, forse più o meno breve come l'altro. Ma intanto procedo ed è questo l'importante! ^_^
In questo capitolo si troverà anche l'origine del titolo, cosa che credo sia abbastanza importante, quantomeno per me.
Spero che apprezzerete anche questo capitolo.
Buona lettura,

Ai no Uta


Il giorno dopo mi recai a scuola, come ormai d'abitudine facevo. Non appena entrai in classe però, mi resi conto che non sarebbe stata affatto una giornata come le altre. Michael era seduto sul mio banco e sfogliava un libro che pareva avere un'aria molto vissuta. "Buongiorno" mi disse sorridendo e io lo salutai con un cenno di mano. "Che fai seduto sul mio banco?" domandai piano guardando il libro che aveva in mano con un po' di circospezione. Aveva l'aria vissuta ma non era altro che un libro identico al mio di Letteratura Inglese, solo che trattato decisamente peggio. "Questo pomeriggio vieni da me. Ho organizzato una specie di festa perché è il compleanno di Louis" mi propose anche se quello suonava esattamente come un ordine e non un invito. "Devo chiedere a Julie-... Mia madre" mi corressi velocemente. Lui mi riservò uno sguardo stupito e poi sorrise. "Perfetto, allora dopo scuola vieni con me" concluse e io sospirai. Avevo promesso e come tale avrei mantenuto. Chiamai Juliette durante la pausa pranzo e le dissi che sarei tornata più tardi in quanto mi fermavo con alcuni compagni. Lei, felicissima, che avessi fatto amicizia, mi lasciò tutto il tempo libero che volevo, a condizione che tornassi per l'ora di cena, alle sette e mezza, e che lavorassi la sera fino a tardi. Non c'era altro da fare se non accettare.
Così, dopo la fine delle lezioni, mi diressi assieme a Michael a casa sua. Abitava in una villa gigantesca, di quelle che esistevano solo nei documentari o nelle fotografie di posti e personaggi famosi. Era circondata da un meraviglioso giardino molto lussureggiante e tutto nell'insieme dimostrava eccellente raffinatezza e ricchezza. Non potei far altro che rimanerne affascinata a tal punto da lasciarmi persino sfuggire un "oh" d'ammirazione. Michael sorrise e disse "Ti piace vero la mia casetta?". Io soffermai la mia attenzione sul suo uso del termine casetta. Quella era tutt'altro che una semplice "casetta" era una vera e propria villa in pieno stile! "Sì, direi di sì" mormorai comunque, nascondendo parzialmente il mio stupore e la mia ammirazione per quella magnifica abitazione. Michael non fece a tempo ad avvicinarsi al portone principale della casa che ne vennero fuori un maggiordomo e una domestica, tutti ben vestiti e tirati a lucido. "Signorino Michael, bentornato. Com'è andata la giornata?" gli chiesero, facendo un mezzo inchino. "Bene, bene. Questa è la mia amica Rose. Siete pregati di trattarla con il massimo rispetto" disse presentandomi e i due si inchinarono nuovamente. Per rispetto m'inchinai anche io, nonostante non fosse d'uso per me, e loro ci rimasero un po' stupiti. Forse avevo fatto qualcosa di male. "Non serviva che s'inchinasse, signorina Rose" mi disse la domestica sorridendomi cordialmente. "Oh... mi scusi" dissi piano. Ero appena arrivata e già cominciavo a fare figuracce. Si vedeva proprio che quel mondo così lussureggiante e pieno di convenevoli non si addiceva ad una come me.
Michael mi fece entrare e cominciò a spiegarmi quello che dovevamo fare e che doveva essere tutto pronto per le tre e mezza. O meglio, avevo solo mezz'ora di tempo per fare tutto ciò che Michael mi stava chiedendo di fare. Vedendo la mia faccia un po' stupita, Michael mi consolò dicendo: "Hai a disposizione tutte le persone che vuoi. Perciò prenditela comoda". Questo, in verità, mi rincuorò e non poco. Non vedevo perché, però, se aveva tutte quelle persone a disposizione aveva chiamato proprio me. Che bisogno c'era di chiamare me, che di arredi e feste sapevo ben poco, se poteva avere tutti gli specialisti di cui abbisognava? Decisi che probabilmente era meglio non indagare ulteriormente.
Fu così che assieme ai collaboratori offertimi da Michael organizzai un party in pieno stile inglese. Tutto era perfetto e non mancava davvero niente. C'erano le luci giuste, tutte le bevande e le pietanze che Michael aveva deciso di servire agli ospiti, gli arredi c'erano. Insomma... non mancava davvero nulla! Quasi quasi ne uscii compiaciuta dal mio lavoro anche se io non avevo fatto altro che chiedere agli altri di fare una cosa o un'altra a seconda di quello che c'era o di quello che mancava. In pratica io non avevo fatto nulla. Michael ne risultò ugualmente soddisfatto e perciò non ci furono problemi di nessun genere e nessun tipo. L'importante era quello.
Dalle tre e mezza le persone cominciarono ad arrivare e Michael decise più o meno di trattarmi alla stregua di una serva. Ogni cinque minuti era "Rose, portami questo" oppure "Rose, portami quest'altro". Quel pomeriggio sembrava però essere leggermente più intrattabile della mattina stessa così feci un grandissimo errore: gli chiesi se era successo qualcosa. Mai l'avessi fatto! Il ragazzo se la prese con me e cominciò a dire che noi donne eravamo tutte uguali. "Uguali o meno, vedi di cambiare atteggiamento. Così scontroso sei insopportabile" gli feci notare. "Lo sarebbe chiunque se fosse appena stato lasciato dalla sua fidanzata" dichiarò lui secco, come sei io dovessi forzatamente sapere che lui era stato fidanzato e successivamente lasciato. "Direi che ha avuto un buon motivo per farlo o forse non l'attraevi più" ribattei, ovviamente, senza farmi troppi scrupoli. Discorsi di questo genere erano fin troppo presenti al negozio perciò ne avevo fin troppo. Inoltre, di quella cosa che chiamavano amore non sapevo parlare. Nessuno mi aveva mai insegnato, non solo cosa fosse, ma neanche che esistesse.
Michael ovviamente s'arrabbiò ancora di più in quanto gli stavo dicendo che era colpa sua se la sua fidanzata l'aveva lasciato. "Tu non sai che m'ha fatto Lynn perciò non difenderla!" esclamò, portandomi in una parte "riparata" dalla sala dove stavano tutti gli altri. "Lynn era la tua fidanzata?" domandai un po' stupita. Non sembrava andassero chissà quanto d'accordo o comunque non abbastanza da sembrare una "coppia". Lui annuì e poi disse: "M'accusa di averla tradita andando con un'altra". A me, che più di una trama di un telenovela simile a beautiful non sembrava, mi strinsi nelle spalle e commentai con un "E quindi? Che motivo ha di accusarti se tu non ci sei stato?" domandai, visibilmente stupita. Non capivo dove stava il problema. Lui s'imbarazzò un po', probabilmente per la schiettezza della domanda, ma poi rispose "Sì che ci sono andato". Io risi lievemente. Non era poi così diverso dagli uomini che venivano al negozio la sera. "Allora sono affari tuoi" conclusi stringendomi nuovamente nelle spalle. "Ma sono stato costretto! E poi lei... Se n'è andata a letto con Harry!" protestò lui, più cercando una scusa che altro. "Non cercare di scusarti dietro simili stupidaggini, Michael. Tutte le sere sento cose simili e tu, tu che hai visto, dovresti saperlo. Uomini che non fanno altro che mentire alle mogli su dove vanno o che fanno la sera, giovani che, aspettando il momento propizio per trovarsi una buona donna, si consolano con una a pagamento. Non sei diverso da loro, non trovi?" osservai, guardandolo negli occhi e sostenendo il suo sguardo finché, al posto di rispondermi, mi disse "Se io non sono diverso da loro, tu non sei diversa da una puttana".
Risi nuovamente, anche se questa volta un po' forzatamente e con un po' d'amarezza. "Lo sono da quando ho dieci anni, Michael, non serve che me lo dica tu. E, se mi consideri tale, perché hai chiesto il mio aiuto? Cosa vuoi da me?" gli domandai, in maniera piuttosto distaccata. Probabilmente il ragazzo aveva sperato in un risultato diverso data la faccia stupita che fece quando gli risposi senza neppure scompormi. "Sei troppo abituato a chi finge, Michael. Alle ragazze che si fingono carine, che ci stanno con tutti ma che quando le dici che sono delle ragazze facili, si disperano. Io non sono così. So di essere, come mi definisci tu, una "puttana" ma non mi scompongo se me lo dicono. Lo so da sola. E ora... Se mi vuoi scusare, Juliette mi aspetta al negozio. Sembra che il mio lavoro da intrattenitrice m'attenda e sia più importante di questo" conclusi, andandomene e lasciandolo lì senza il tempo di ribattere ne di fare un minimo movimento.
Non sapevo come fosse possibile, ma un po' mi dispiaceva aver detto quelle cose a Michael. Forse io stessa avevo sbagliato a riporre la mia fiducia in quegli stessi esseri umani che si beffavano di me e del mio corpo da quando avevo memoria o quasi. Dall'altro lato mi dispiaceva perdere la scuola e temevo che, dopo quello, Michael sarebbe andato a dire a tutti del mio "lavoro" principale, prima ancora di quello di studentessa.
Tornai al negozio anche prima del previsto e raccontai a Juliette solo le parti belle della giornata. Poi fu lei a darmi una quasi buona notizia. "Rose, figlia mia" mi disse con tono quasi solenne "Ci siamo messe in proprio. Questo negozio ora è solo nostro e le ragazze che lavorano con noi sono d'accordo con me per la spartizione di quanto ricaveremo e per la divisione delle spese per mandare avanti il negozio! L'unica cosa che ci serve è un nuovo nome! Volevo che fossi tu a darglielo" mi spiegò poi, esagitata, tutto d'un fiato. Era un bene non lavorare più alle strette dipendenze di mio padre. Juliette sicuramente capiva meglio di qualsiasi altro uomo i problemi delle donne (dato che lei ne aveva tanti) e sicuramente m'avrebbe lasciato più libertà e meno ritmi pesanti e pressanti da seguire. Pensai un momento e poi sorrisi all'idea del nuovo nome. "Si chiamerà Parfume Violet" dichiarai sorridendo. Juliette mi guardò stupita. "E perché mai?" mi chiese poi, anche se il nome non sembrava dispiacerle troppo. "Le donne sono sempre profumate, no? Hanno sempre quel profumo naturale e buono che le contraddistingue dall'odore che invece hanno gli uomini. E soprattutto qui dentro, ora che sarà un locale gestito da donne, ci sarà ancor più profumo e più delicatezza. Violet invece perché il violetto è una gradazione di colore che non dispiace a nessuna donna, anzi, alla maggior parte di esse piace. Inoltre è il nome di un fiore. Bello, profumato ma resistente. Direi che è questo che contraddistingue noi donne. Nonostante le cose che avvengono siamo sempre pronte a rialzarci e a rimboccarci le maniche. Soprattutto qui, in questo luogo, dove la perdizione regna sovrana e spesso ci si potrebbe perdere finendo per non ritrovarsi più. Perciò ho scelto questo nome" spiegai e Juliette mi guardò perplessa. Forse quello era uno dei discorsi più lunghi che facevo da quando avevo cominciato a parlare. Guardò le altre donne che con noi avevano deciso di mandare avanti da sole il negozio e poi sorrise verso di me. "Vada per Parfume Violet, allora!" esclamò infine, dandomi il cinque.
Non volevo sapere come aveva fatto Juliette ad avere la gestione del negozio da mio padre, sapevo solo che mi stava benissimo così e che quello non sarebbe più stato "il negozio", bensì il Parfume Violet, l'unico posto dove sembravo, nonostante tutto, sentirmi a mio agio. L'unico in cui a volte mi faceva piacere tornare, proprio per quel profumo caratteristico che mi ricordava quasi l'odore di ... casa.

*Continua*
  
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