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Autore: reira_chan    01/04/2009    1 recensioni
Clara è una giovane non ancora toccata dalla passione, Alessandro un uomo perennemente tormentato dalla propria ombra, inevitabile l'alchimia.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Il Sogno

Non avrai altro Dio all’infuori di me

 

First mass.

 

Clara entrò nell’ufficio del Sacerdote. Era molto tesa, era il suo primo compito del seminario, sentiva la nuca e le mani umide, tuttavia era in grado di affrontare la sua prima prova; aveva passato la vita tormentata dalle incertezze, ma ora era pronta, con gli occhi fissi verso il futuro.

-Clara!

Il parroco la invitò a prendere una sedia.

Clara sorrise dolcemente al prete e si sedette.

-Buon pomeriggio, cara. Ho già pronta la famiglia per te, ho parlato con entrambi, sono due giovani, vedrai che ti troverai benissimo. Inoltre potrai abitare nell’appartamento accanto a casa loro, non è magnifico?

Clara sorrise.

-Si, padre.

-La tua via è sempre più chiara e sarà un piacere per te percorrerla. Perciò non demordere, d’accordo?

Si avvicinò alla ragazza e si sporse col busto sopra la scrivania, carezzando con le mani rugose il volto di Clara. Clara fissò il suo anziano amico, aveva sempre pensato che Don Albino avesse negli occhi la luce di un arzillo ragazzino di otto anni. Gli sorrise nuovamente e riuscì solo ad emettere un suono rauco deviato dall’emozione che somigliava molto a un “Grazie”.

Dopo averlo salutato, Clara uscì dalla stanza di Don Albino e chiuse la porta. Poi fece un respiro profondo e prese le valigie di cuoio marrone. Percorse la Stradina ciottolata che separava gli alloggi dalla Chiesa e trovò un’auto nera ad attenderla. Ne uscì una suora anziana, e Clara le corse incontro per abbracciarla.

-Oh, Suor Irene.

La madre superiora la strinse forte a sé.

-Piccola mia – le disse – Sei proprio cresciuta,eh?

Clara cominciò a piangere rumorosamente.

-Madre, pensavo di non rivederti prima del mio incarico e, invece, quando Don Albino mi ha detto che eri tornata e che mi avresti accompagnata dalla nuova famiglia, mi sono sentita davvero felice. Meno male che sei qui.

Strinse la suora con forza.

-Sei preoccupata vero?

-Sì – ammise Clara tirando su con il naso.

-Io invece no, sono sicura che sarà un’ avventura entusiasmante.

Clara sorrise alla madre superiora, baciò il rosario in legno che portava al collo e sciolse l’abbraccio. Infine disse:

-Sì, ne sono sicura anch’io.

Clara e Suor Irene salirono in macchina e si avviarono verso la casa scelta per Clara. Parlarono di come avevano trascorso quei sei mesi lontane, di ciò che era cambiato e ciò che inevitabilmente era rimasto come la Madre superiora ricordava. Clara raccontò di ciò che l’aveva divertita e di ciò che l’aveva fatta piangere. La madre Superiora annuiva e rideva immaginando gli eventi più buffi. Arrivarono davanti alla casa poco dopo. Clara chiuse gli occhi, sospirò e li riaprì.

-Sono pronta - Disse infine.

Suor Irene le strinse le mani e le disse:

-Và tesoro mio, e diventa una suora degna di questo nome.

Clara diede un ultimo saluto e si voltò. La villa che la attendeva oltre il cancello era imponente e ciò che saltava all’occhio erano le mura gialline. Arrivò davanti al citofono , suonò, e d’improvviso il cancello si aprì, così Clara potè entare. Percorse velocemente il vialetto selciato e giunse davanti alla porta. Le aprì una donna alta e molto magra, dai capelli mossi, corti ed incredibilmente rossi. Clara si trovò quasi in imbarazzo davanti alla ragazza: indossava un vestito nero corto fino a metà coscia e del trucco davvero pesante.

-Ciao trèsor!

La salutò con un tono che a Clara ricordò molto lo starnazzo di un oca.

-Ehm, salve.

Rispose Clara con un timido sorriso.

-Trèsor, io mi chiamo Rouge.

-Oh, che nome bello e inusuale, io sono Clara.

-Ah.

Rouge alzò un sopracciglio con aria di disappunto guardando l’abbigliamento di Clara: indossava un vestito blu scuro lungo fino alle scarpe e teneva i capelli legati in una crocca.

-Beh, immagino che anche il tuo nome sia bello.

Concluse alzando le sopracciglia disegnate e ritirando in dentro le labbra.

-Comunque Trèsor! Questa è la nostra casa.

Le disse facendo un ampio gesto con il braccio.

-E’ piccola per i miei standard, ma ho intenzione di farla ristrutturare.

A Clara, che era abituata a vivere in una stanzetta dalle dimensioni più che modeste, quella casa non sembrava certo piccola.

-Vedo…

-Oh, ma il fatto che voglia ristrutturarla non significa mica che non la voglio linda e pulita…Perciò dato che da oggi in poi lavorerai qui, ti ho preparato una lista delle cose da fare ogni giorno.

Clara prese il foglio preparato da Rouge e si accorse che era imbarazzantemente lunga.

Poi sospirò e fece segno di assenso.

Dopo che Rouge l’aveva rintronata con le sue troppe chiacchiere, passò in cucina e le presentò un uomo come suo marito. Clara rimase come paralizzata e non riuscì ad emettere alcun suono. Davanti a lei c’era la figura longilinea di un uomo sulla trentina, dalle spalle larghe e il fisico snello. I capelli corvini lunghi fino al mento, incorniciavano perfettamente il volto ovale, mettendo in risalto le carnose labbra rosee. Tuttavia ciò che disarmò completamente Clara, fu lo sguardo. Gli occhi nerissimi dal taglio sottile, malcelavano una tristezza recondita, evidente alla sensibilità di Clara. L’uomo, appoggiato al mezzo muro che separava le due aree del salone, si avvicinò a Clara e la guardò. Clara sentì improvvisamente perdere la propria consistenza: era come se quell’ uomo, guardandola, la trapassasse con una lama di Toledo, senza però ferirla, perché oramai avendo perso la propria solidità, galleggiava sopra il pavimento circondata da una luce spaziale. Era la prima volta che provava queste sensazioni, eppure  non desiderava finissero, al contrario sperava di crogiolarsi e naufragare eternamente in quella luce.

-Sono Alessandro.

Disse infine. Senza un sorriso, né un espressione percettibile. Era totalmente insondabile.

-Ehm…piacere…Clara, sono qui per…

-Lo so perché sei qui.

Le disse per zittirla.

-Sinceramente. Non mi interessa quello che fai. Ti dico solo che non sopporto le ragazzine petulanti, perciò vedi di non intralciarmi col mio lavoro.

Detto ciò uscì dalla stanza.

Clara sentì la rabbia uscire sotto forma di fumo dalle narici mentre pensava, “E allora Rouge che cos’è se non una ragazzina petulante?” Subito dopo però si rese conto di aver peccato con i suoi pensieri diffamatori, perciò chiese perdono a Dio. Rouge, aspettò che Alessandro fosse uscito dalla stanza e disse:

-Trèsor, hai visto come è carino mon amour? Non è bellissimo? E’ davvero ravissant! E’ il mio pulcino zuccheroso, a proposito non avvicinarti a lui più del dovuto, sei abbastanza carina e non voglio guai prima dell’alliance.

-Alliance?

-Ma certo trèsor, il matrimonio!

-Ma scusami, tu hai detto che era tuo marito…

-Sì, trèsor,non lo è ancora, ma tra poco ci sposiamo e quindi è come se fosse già mon mari!

-Oh, congratulazioni!

Disse Clara.

-Oh, trèsor non voglio le tue congratulazioni, io voglio che tu lavori! Sai, dato che ci sposiamo, voglio che sia tutto sempre in ordine e pulito, chiaro?

Guarnì l’ultima parola con una punta di rabbiosa impetuosità, come da ricordarle la sua posizione sociale.

-Sì, è tutto chiaro.

Disse Clara.

-Ora mi ritiro, ci vediamo domani, Rouge.

-Non chiamarmi Rouge, chiamami madame, sai tutti in Francia mi chiamavano così.

Nonostante non fosse a conoscenza della lingua francese, Clara capiva benissimo che era una formalità dettata dall’ egocentrismo e non dall’abitudine; tuttavia con in mente le parole di Don Albino “Servi il tuo prossimo al meglio che puoi”, disse:

-Sì, madame.

 

Clara si sedette sul letto del suo nuovo appartamento e cominciò a disfare le valigie, ripensando al suo percorso di vita. Lo faceva spesso perché Suor Irene le aveva detto di non perdere nemmeno un attimo della vita e cercare di contenere quanti più ricordi avesse potuto. Così guardò al passato. I suoi primi ricordi erano custoditi all’interno dell’ orfanotrofio. Era una bambina molto intelligente, era stata cresciuta con amore da Suor Irene, la madre superiora e Don Albino, il sacerdote della parrocchia adiacente all’edificio che ospitava i bambini orfani. Sin da piccola era stata una bambina intelligente e già a quattro anni si prendeva cura dei bambini più piccoli.  Crescendo era diventata amica di tutti, solo che prediligeva l’amicizia di due ragazzi: Elisabetta e Mauro. Nel periodo in cui erano veramente uniti e facevano tutto insieme, Elisabetta aveva quindici anni, Mauro venti e Clara tredici. Per loro, che erano cresciuti insieme, non esistevano differenze d’età, infatti discutevano degli stessi argomenti, leggevano gli stessi libri e facevano tutto insieme. Dormivano persino nella stessa camera, ma nemmeno gli adulti si preoccupavano poiché sapevano che il loro rapporto era quello di tre fratelli. Quando Clara aveva sedici anni però ci fu un brutto litigio tra loro tre, e sia Mauro che Elisabetta, poichè erano maggiorenni, decisero di lasciare l’orfanotrofio. Allora Clara pensò che il mondo le fosse crollato sopra, tuttavia il male che si annidava all’interno dell’orfanotrofio non si era manifestato completamente. Infatti durante una messa della Domenica, Don Albino, che stava dicendo la predica, cominciò a gridare aiuto e a stringersi forte il petto. Naturalmente venne subito portato in ospedale e Clara temendo che il vento della morte le portasse via ciò a cui si era strenuamente aggrappata con le unghie per tutta la vita, pregò Dio di non renderla orfana di nuovo. Proprio quando non c’erano speranze e l’infarto aveva cominciato ad impedire al cuore del sacerdote di pulsare, Clara pensò “Dio ti prego, ti seguirò per sempre, ma non abbandonarmi proprio ora!”. Un battito. Poi un altro. Il suo padrino era vivo. Ed è così che Clara cominciò il seminario per diventare suora. Dio,  l’entità con cui Clara si era sempre confessata, l’aveva chiamata e Clara aveva risposto. Clara era felice poiché aveva finalmente un compito per riscattare Dio che quella volta l’aveva salvata dalla solitudine. Clara, si mise una vestaglia bianca e andò a dormire. Immagini confuse le confondevano la mente,quando ne comparve una più nitida, rivedeva quelle labbra e quegli occhi nerissimi trapassarle il petto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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