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Autore: claws    02/04/2016    2 recensioni
«Sei sicuro? Ringraziarli? Il tuo dolore non è altro che la luce di un faro! Se ne va e torna a intermittenza! Ogni volta, prima di addormentarti, devi fare queste improbabili riflessioni sulla morte e sulla vita e sui tatuaggi e sulle bandiere, poi—ogni mattina riprendi da zero, come se non avessi mai parlato con Rufy, come se non avessi pianto con lui e come se non sapessi benissimo che quello che ti ha detto il tuo piccolo fratellino è la verità!
«Ma è la verità?»
Ma certo che no, sciocchino, come si può sapere la verità di una persona?, diceva una voce debole nella sua testa.
[ASL][≈3000 parole][Double-shot]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: ASL, Monkey D. Rufy, Sabo
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'ASL & FOB'
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La morte si sconta vivendo




Delle ali sul piombo al lucebuio del faro



Wishes bounce me weightless

(I’m a nervous wreck)

 

Sabo si trovava sulla nave dei rivoluzionari diretta a Baltigo – Dressrosa era ormai lontana, ma alla compagnia di amici che lì aveva ritrovato erano rivolti i suoi pensieri. Poi osservò per l’ennesima volta il manifesto di taglia di Ace, pensando però a tutt’altro – o meglio, mentre pensava a qualcosa che in quell’avviso non era visibile.

Il tatuaggio di Ace.




 

 

 

[Basta un poco di zucchero e—]


 

Sono iooooo, Sabo—mi riconosci? Mi senti? Sono il genio che volevi cacciare agitando una mano, come se fossi una mosca – un’inutile, piccola mosca. Ah, ma io sono ben più di un semplice fastidio! Per allontanarmi da te dovresti almeno provare a spaccarmi come una zolletta di zucchero fra le mani. Ma io so che tu userai quello zucchero per mandarmi giù, giù, giù, nella tua gola, saluterò il tuo cuore quando passerò accanto a lui, sai? E mi saluterà, il tuo cuore, perché sarà felice di rivedermi, perché per la notte i tuoi polmoni potranno respirare aria profumata e il tuo cervello potrà riposare tra le note di una musica inconoscibile.

Allora io continuerò a scendere, giù, più giù ancora, e lo zucchero si sarà ormai sciolto e con un calcio io tornerò su, e mi insinuerò nel tuo sangue come una malattia—ma io non sono una malattia, sono un genio, io sono colui che accompagna il tuo fuoco—io sono—la mano sui tuoi capelli, il tarlo nella tua testa, la risata che ti riempie le orecchie, io sono—l’inutile, piccolo genio della Debolezza.

Scendo fino al tuo cuore insieme a una zolletta di zucchero e tu torni indietro al futuro.

 


[I’ll tell my love to take it—take it easy on you

but I’m not making any p-promises to you]




 

 

 

Da quando aveva recuperato i ricordi della propria (vera! Non biologica, vera!) famiglia, Sabo aveva cercato di capire che cosa davvero potesse significare quella S sul braccio di Ace. Appoggiato al parapetto della nave dei rivoluzionari, dopo un sospiro, Sabo aveva bisogno di credere che fosse un omaggio di Ace a un fratello scomparso dalla sua vita, una sorta di memento o di amuleto per scacciare via i pensieri che avrebbero fatto deviare Ace dalla via di se stesso. Era un’idea complicata, quella che Sabo aveva in mente, però non poteva fare altro che volere fortemente che quella fosse stata la realtà.

A detta di Rufy, comunque, Ace aveva vissuto la propria vita completamente (pienamente) fino alla morte. Forse allora quel tatuaggio aveva funzionato sul serio come scacciaspiriti – come scacciapensieri.

Quell’idea lo aveva tormentato fin da quando aveva ripreso consapevolezza della propria vita trascorsa. Era stupido da pensare, ma fermiamoci a contemplarla: una S barrata con una croce era pur sempre la bandiera che Sabo aveva issato sulla propria barchetta dodici anni prima. Certo, il tatuaggio di Ace non era colorato ed era più stilizzato, al confronto, ma chi poteva togliere a Sabo il gusto di credere con fervore che quella S—quella S fosse il suo jolly roger, per sempre impresso sulla pelle del proprio fratello di cuore?

Si sentiva così leggero, quando ci pensava. Era come se il fuoco del Diavolo potesse schioccare fuori dai suoi piedi e potesse proiettarlo in aria per farlo volare come un angelo: senza preoccupazioni e con la calda consapevolezza che non c’era mai stato risentimento – che invece ci fosse stata sofferenza per la perdita di un fratello di cuore; che Sabo ora si trovasse nella situazione in cui Ace era stato per dieci anni; la presa di coscienza sul fatto che, in quella condizione, Sabo ci sarebbe stato per sempre. Però, pensando alla S come al suo jolly roger, Sabo non poteva che sorridere guardando il mare.

Non c’era possibilità di conoscere la verità, ma questo non vuol dire che non esista la volontà di capire, di considerare nuove strade, di immedesimarsi in chi non c’è più per provare un minuto di conforto.

Dal momento che nessuno conosce interamente se stesso, calarsi negli scarponcini di Ace era un’impresa non facile. Davanti alla tomba di suo fratello, Sabo non aveva ragionato e non aveva neanche provato a capire Ace: per riuscirci, avrebbe dovuto prima piangere l’anima.

Dopo aver pianto un’altra volta ancora Sabo si sentì leggero, forse perché aveva espulso una quantità infinita di acqua dal corpo, ma—ma contemporaneamente gli sembrò avere ai piedi un’enorme catena, la palla dei condannati alla corsa eterna, morsi da vermi e punti da api fino alla fine dei tempi.

Ecco, ora dunque aveva versato di nuovo tutte le lacrime rivivendo quel momento nella mente: per quale motivo Ace s’era fatto tatuare quella S sul braccio?

«Pensaci bene, Sabo» disse il ragazzo, come se stesse discutendo con Rufy (ma non stava parlando con lui, bensì con un frammento di specchio – e lo sapeva bene, quelle non erano parole del suo adorato fratellino minore, Rufy non parlava così), «se tuo fratello non ha avuto rimpianti, allora vuol dire che non ha mai provato odio nei tuoi confronti. Giusto? Giusto. Allora, se non ti ha mai odiato, perché quella S

Il cuore batteva forte, sentiva il sangue arrivare al cervello come se avesse nuotato nell’acqua a lungo, allora se così tanto sangue circolava nel suo corpo perché non riusciva a pensare lucidamente—

«Forse perché ha odiato se stesso?»

Poi la figura nello specchietto scosse la testa.

«No, Sabo, ascoltami, Ace ha vissuto per noi: che senso avrebbe avuto odiarti, se poi è stato vivo grazie a te?

«Ma io ero morto, per lui. Ero morto in una maniera così stupida—

«Non era stupida. Era crudele. Se ha mai odiato qualcuno, Sabo, ha odiato chi ha distrutto la tua nave. La tua bandiera.»

Tornava sempre lì, alla S tatuaggio e bandiera, in pensieri dalle orbite ellittiche, che si allineavano come i pistoncini in serrature a cilindro che aprivano una miriade di porte che erano domande che non risolvevano i dubbi di Sabo—

Moltiplicavano le sue incertezze, e lui non aveva funghi da mangiare con cui rimpicciolirsi per entrare in quei luoghi impervi e uscire dal corridoio senza fine dei dubbi irrisolvibili.

«Abbiamo detto, Sabo: se la vita di Ace è stata piena e completa è stato anche grazie a te. Dunque quella S sul braccio, che si vede e non si vede, cancellata ma evidenziata, deve essere per forza un omaggio alla vita che lui credeva non vissuta. Giusto?

«Giusto.»

Sabo ripeteva questa immaginaria conversazione, nella mente o ad alta voce, davanti alla propria disgustosa immagine riflessa (ma resisteva alle vertigini e alla nausea); poi andava a dormire con questa agrodolce convinzione nella testa, perché ne aveva bisogno per riposare, ora che non poteva più chiudere gli occhi, riaprirli e trovare Rufy reale sotto il proprio sguardo.

In questo modo Sabo scoprì presto che, se fosse andato a dormire al mattino e si fosse svegliato al tramonto, non sarebbe riuscito a resistere alla vita ancora per molto.

A volte ragionava stando seduto sul parapetto della nave o sul balcone della propria stanza, in un luogo pieno di vento, dove i suoi pensieri potevano prendere il volo e le sue parole accasciarsi nell’aria prima di scomparire e di abbandonarlo ancora.

«Quante persone devo ringraziare? Sì, prima Dragon; poi Rufy; poi Ac—

«Sei sicuro? Ringraziarli? Il tuo dolore non è altro che la luce di un faro! Se ne va e torna a intermittenza! Ogni volta, prima di addormentarti, devi fare queste improbabili riflessioni sulla morte e sulla vita e sui tatuaggi e sulle bandiere, poi—ogni mattina riprendi da zero, come se non avessi mai parlato con Rufy, come se non avessi pianto con lui e come se non sapessi benissimo che quello che ti ha detto il tuo piccolo fratellino è la verità!

«Ma è la verità?»

Ma certo che no, sciocchino, come si può sapere la verità di una persona?, diceva una voce debole nella sua testa.

«Io come faccio a conoscere la verità? Rufy come fa a conoscerla?»

Era nervoso. Ecco, aveva trovato la parola giusta, non era stress! Era nervosismo, perché Sabo avrebbe voluto conoscere la realtà dei pensieri di Ace e non ci sarebbe mai più riuscito. Anche se, a dirla tutta, perfino i suoi stessi pensieri erano difficili da capire.

«Dicevamo: ringraziare Dragon, Rufy e poi Ace. Perché in quest’ordine?»

Sabo ci pensò su.

«Perché è l’ordine cronologico secondo cui mi hanno salvato, giusto? E poi perché loro sono un padre, un figlio e un—» lo specchio sussultò «un fuoco spiritato. Forse—forse è il Frutto...?»

La sua mano bruciò al punto tale da sciogliere il metallo dello specchio, ridotto a una poltiglia viscosa sulle assi del pavimento.

«Forse è il Frutto!»

Valutò la rivelazione con estrema attenzione, come un maniaco degli insetti osserva le proprie catture nell’ambra o nel vetro, rigirandosi le pietre tra le mani, sorridendo, accorgendosi di un dettaglio mai visto prima e complimentandosi con se stesso.

Forse, il mattino successivo, non avrebbe continuato a dimenticare le epifanie della notte, perché quest’ultima illuminazione—aveva sciolto lo specchio! Sì, vedendo lo specchio fuso si sarebbe ricordato di tutto, non avrebbe mai più dimenticato nulla, nulla, nulla! Tutto nella sua testa, tutto nei suoi pensieri e nel suo corpo, avrebbe ricordato ogni singola, dannatissima cosa!

La voce dello specchio però parlava ancora. Ehi, forse non era dello specchio. Forse era quella nella sua testa. Forse era proprio la voce di Sabo—erano troppo simili perché potesse distinguerle quando non era lucido.

«Sabo, ma tu devi andare avanti, tutti lo fanno. Non hai anche tu degli amici di cui fidarti?»

(Ah, questo sì che sembrava Rufy, fratellino adorato, fratellino di cuore, aveva lo stesso tono, lo stesso timbro, la stessa misteriosa consapevolezza del mondo.)

A una stanza di distanza avrebbe trovato Koala; poco più lontano c’era Hack; sì, c’erano amici su cui poter fare affidamento.

Forse loro avrebbero potuto acchiapparlo per i piedi e riportarlo a terra, perché Sabo si sentiva di nuovo leggero come l’osso cavo di un gabbiano, ma stava sbattendo delle ali ricoperte di piombo. Dunque doveva sciogliere anche il piombo, come lo specchio? Come fare? Quello non era vero piombo, e lui non era davvero sicuro di saper reagire nel modo giusto davanti al metallo e al vetro fusi assieme.

Sabo, quella sera, si addormentò con l’augurio a se stesso di non dover cominciare di nuovo tutto da zero – di non svegliarsi più allampanato e disilluso quanto un faro.







 

 

Abbi fiducia

in chi ti ha amato

 

La speranza è

nei tuoi

tre

piccoli

vasetti di Pandora

 

 

 

 

 

[La tua morte io sconto vivendo]













Note Autrice:

Eccomi qui per questa seconda parte.

La canzone che mi ha accompagnato a palla per ore è West Coast Smoker, sempre dei FOB, sempre una delle mie preferite del gruppo (anche se mai raggiungerà 27, per me). Credo che l’album Folie à Deux sia estremamente sottovalutato.

Tutta questa seconda parte nasce così – dalle domande che non potranno mai avere risposta e dalle ripercussioni che questi dubbi hanno sulla mente e sul cuore di un ragazzo. Certo Sabo non fa uso di droghe intese come sostanze stupefacenti, ma la sua droga è la seguente: convincersi che quella S sia lì per ricordare e onorare un fratello creduto morto; che non sia risentimento o rancore, ma estremo dolore. La verità non verrà mai scoperta (It's hard for me to understand myself, so it has to be hard as hell for you, diceva qualcuno), e ogni giorno affronta questi incubi senza mai riuscire a venirne a capo e senza mai appropriarsi delle conquiste che ha fatto il giorno prima – il che sembra un cammino raggiungibile solo quando fonde lo specchio.

La prima citazione in parentesi [] viene dalla celebre canzone di Mary Poppins nel film – ma è chiaro, qui la citazione è sconvolta, non ha più il senso che aveva originariamente. La seconda viene da una delle prime versioni della canzone Immortals, sempre dei FOB (potete sentirla qui al secondo 0:55 circa, se volete, purtroppo non ho trovato video migliori per questa cosa epica). La terza è una modifica del verso della poesia di Ungaretti che dà il nome alla storia: è Sabo che parla di Ace.

Ci sono un paio di riferimenti ad Alice nel Paese delle Meraviglie, sparse qua e là, e giochi di parole (anche se non sono belli come quelli di Carroll, purtroppo).

Credo di aver reso Sabo piuttosto pazzo. Penso che sia un tentativo di mettere in fila i pensieri, ma che sia un tentativo fallito di una persona, di una qualsiasi persona. Sta cercando di mettere in ordine la propria testa, di trovare risposte assolute che non avrà mai.

Anch’io ho delle domande che rimarranno irrisolte. Un po’ lo capisco.

Non ho scuse per tutta la follia che ho dato a Sabo, ma mi è servito per—rielaborare. Be’, diciamo che adesso avete un valido motivo per dirmi che questa storia fa schifo, perché Sabo—oddio, forse non è stato stravolto, ma di sicuro ho aperto un baratro enorme sotto i suoi piedi. Non ho giustificazioni. Sono stata molto tentata di non pubblicare questo pezzo, perché è confuso e pieno di contraddizioni e non risolve niente, ma poi mi son detta che avevo un dovere nei confronti di chi stava aspettando il seguito e l’ho pubblicato comunque. Come dicevo, adesso avete un motivo per dirmi che questa storia andrebbe eliminata dalla faccia di Internet.

Come mi succede in genere, questa storia non è stata scritta di getto, ma è stato un lavoro che mi è parso infinito (riscrivere, rifare, rimetterci mano, un labor limae che non mi ha portato molto distante dal diventar matta, ma quanto ho litigato con tutte le virgole che vedete?). So che molto probabilmente queste rifiniture sembrano non esistere, ma pace.

Scusate. Sono alla fine.

Credo che mi prenderò una pausa su questi tre monelli. Magari un giorno tornerò a parlare di loro, ma per ora starò in silenzio radio per quanto riguarda i tre fratelli di cuore. È una decisione che ho preso da qualche tempo (un mesetto circa), complice il fatto che vorrei aspettare qualche novità dalla penna di Oda riguardo Sabo e i rivoluzionari.

Grazie per aver letto. Grazie alle persone che hanno commentato, a chi ha aggiunto questa storia alle seguite, alle ricordate e alle preferite – gli interessati sanno di chi sto parlando, no?

Spero—di non avervi offeso. Che questa storia sia riuscita a piacervi, in qualche modo.

claws_Jo





Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Eiichiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

  
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