La morte si sconta vivendo
Delle ali sul piombo al
lucebuio del faro
Wishes
bounce me weightless
(I’m
a nervous wreck)
Sabo
si trovava
sulla nave dei rivoluzionari diretta a Baltigo – Dressrosa
era ormai lontana,
ma alla compagnia di amici che lì aveva ritrovato erano
rivolti i suoi pensieri.
Poi osservò per l’ennesima volta il manifesto di
taglia di Ace, pensando però a
tutt’altro – o meglio, mentre pensava a qualcosa
che in quell’avviso non era
visibile.
Il
tatuaggio di
Ace.
[Basta
un poco di zucchero e—]
Sono
iooooo, Sabo—mi
riconosci? Mi senti?
Sono il genio che volevi cacciare agitando una mano, come se fossi una
mosca –
un’inutile, piccola mosca. Ah, ma io sono ben più
di un semplice fastidio! Per
allontanarmi da te dovresti almeno provare a spaccarmi come una
zolletta di
zucchero fra le mani. Ma io so che tu userai quello zucchero per
mandarmi giù,
giù, giù, nella tua gola, saluterò il
tuo cuore quando passerò accanto a lui,
sai? E mi saluterà, il tuo cuore, perché
sarà felice di rivedermi, perché per la
notte i tuoi polmoni potranno respirare aria profumata e il tuo
cervello potrà
riposare tra le note di una musica inconoscibile.
Allora
io
continuerò a scendere, giù, più
giù ancora, e lo zucchero si sarà ormai sciolto
e con un calcio io tornerò su, e mi insinuerò nel
tuo sangue come una
malattia—ma io non sono una malattia, sono un genio, io sono
colui che
accompagna il tuo fuoco—io sono—la mano sui tuoi
capelli, il tarlo nella tua
testa, la risata che ti riempie le orecchie, io
sono—l’inutile, piccolo genio
della Debolezza.
Scendo
fino al tuo
cuore insieme a una zolletta di zucchero e tu torni indietro al futuro.
[I’ll
tell my love to take it—take it easy on
you
but
I’m not making any p-promises to you]
Da
quando aveva
recuperato i ricordi della propria (vera!
Non biologica, vera!)
famiglia,
Sabo aveva cercato di capire che cosa davvero potesse significare
quella S
sul braccio di Ace. Appoggiato al parapetto della nave dei
rivoluzionari, dopo
un sospiro, Sabo aveva bisogno di credere che fosse un omaggio di Ace a
un fratello
scomparso dalla sua vita, una sorta di memento o di amuleto per
scacciare via i
pensieri che avrebbero fatto deviare Ace dalla via di se stesso. Era
un’idea
complicata, quella che Sabo aveva in mente, però non poteva
fare altro che
volere fortemente che quella fosse stata
la realtà.
A
detta di Rufy,
comunque, Ace aveva vissuto la propria vita completamente (pienamente) fino alla morte. Forse allora
quel tatuaggio aveva
funzionato sul serio come scacciaspiriti – come
scacciapensieri.
Quell’idea
lo
aveva tormentato fin da quando aveva ripreso consapevolezza della
propria vita
trascorsa. Era stupido da pensare, ma fermiamoci a contemplarla: una S
barrata con una croce era pur sempre la bandiera che Sabo aveva issato
sulla
propria barchetta dodici anni prima. Certo, il tatuaggio di Ace non era
colorato ed era più stilizzato, al confronto, ma chi poteva
togliere a Sabo il
gusto di credere con fervore che quella S—quella
S fosse il suo
jolly roger, per sempre impresso
sulla pelle del proprio fratello di cuore?
Si
sentiva così
leggero, quando ci pensava. Era come se il fuoco del Diavolo potesse
schioccare
fuori dai suoi piedi e potesse proiettarlo in aria per farlo volare
come un
angelo: senza preoccupazioni e con la calda consapevolezza che non
c’era mai
stato risentimento – che invece ci fosse stata sofferenza per
la perdita di un
fratello di cuore; che Sabo ora si trovasse nella situazione in cui Ace
era
stato per dieci anni; la presa di coscienza sul fatto che, in quella
condizione, Sabo ci sarebbe stato per sempre. Però, pensando
alla S come
al suo jolly roger, Sabo non poteva che sorridere guardando il mare.
Non
c’era
possibilità di conoscere la verità, ma questo non
vuol dire che non esista la
volontà di capire, di considerare nuove strade, di
immedesimarsi in chi non c’è
più per provare un minuto di conforto.
Dal
momento che
nessuno conosce interamente se stesso, calarsi negli scarponcini di Ace
era
un’impresa non facile. Davanti alla tomba di suo fratello,
Sabo non aveva
ragionato e non aveva neanche provato a capire Ace: per riuscirci,
avrebbe
dovuto prima piangere l’anima.
Dopo
aver pianto
un’altra volta ancora Sabo si sentì leggero, forse
perché aveva espulso una
quantità infinita di acqua dal corpo, ma—ma
contemporaneamente gli sembrò avere
ai piedi un’enorme catena, la palla dei condannati alla corsa
eterna, morsi da
vermi e punti da api fino alla fine dei tempi.
Ecco,
ora dunque
aveva versato di nuovo tutte le lacrime rivivendo quel momento nella
mente: per
quale motivo Ace s’era fatto tatuare quella S
sul braccio?
«Pensaci
bene,
Sabo» disse il ragazzo, come se stesse discutendo con Rufy
(ma non stava
parlando con lui, bensì con un frammento di specchio
– e lo sapeva bene, quelle
non erano parole del suo adorato fratellino minore, Rufy
non parlava così), «se tuo fratello non
ha avuto rimpianti,
allora vuol dire che non ha mai provato odio nei tuoi confronti.
Giusto?
Giusto. Allora, se non ti ha mai odiato, perché quella S?»
Il
cuore batteva
forte, sentiva il sangue arrivare al cervello come se avesse nuotato
nell’acqua
a lungo, allora se così tanto sangue circolava nel suo corpo
perché non
riusciva a pensare lucidamente—
«Forse
perché ha
odiato se stesso?»
Poi
la figura
nello specchietto scosse la testa.
«No,
Sabo,
ascoltami, Ace ha vissuto per noi: che senso avrebbe avuto odiarti, se
poi è
stato vivo grazie a te?
«Ma
io ero morto,
per lui. Ero morto in una maniera così stupida—
«Non
era stupida.
Era crudele. Se ha mai odiato qualcuno, Sabo, ha odiato chi ha
distrutto la tua
nave. La tua bandiera.»
Tornava
sempre lì,
alla S tatuaggio e bandiera, in pensieri dalle
orbite ellittiche, che si
allineavano come i pistoncini in serrature a cilindro che aprivano una
miriade
di porte che erano domande che non risolvevano i dubbi di
Sabo—
Moltiplicavano
le
sue incertezze, e lui non aveva funghi da mangiare con cui
rimpicciolirsi per
entrare in quei luoghi impervi e uscire dal corridoio senza fine dei
dubbi
irrisolvibili.
«Abbiamo
detto,
Sabo: se la vita di Ace è stata piena e completa
è stato anche grazie a te.
Dunque quella S sul braccio, che si vede e non si
vede, cancellata ma
evidenziata, deve essere per forza un omaggio alla vita che lui credeva
non
vissuta. Giusto?
«Giusto.»
Sabo
ripeteva
questa immaginaria conversazione, nella mente o ad alta voce, davanti
alla
propria disgustosa immagine riflessa (ma resisteva alle vertigini e
alla nausea);
poi andava a dormire con questa agrodolce convinzione nella testa,
perché ne
aveva bisogno per riposare, ora che non poteva più chiudere
gli occhi, riaprirli
e trovare Rufy reale sotto il
proprio
sguardo.
In
questo modo Sabo
scoprì presto che, se fosse andato a dormire al mattino e si
fosse svegliato al
tramonto, non sarebbe riuscito a resistere alla vita ancora per molto.
A
volte ragionava
stando seduto sul parapetto della nave o sul balcone della propria
stanza, in
un luogo pieno di vento, dove i suoi pensieri potevano prendere il volo
e le
sue parole accasciarsi nell’aria prima di scomparire e di
abbandonarlo ancora.
«Quante
persone
devo ringraziare? Sì, prima Dragon; poi Rufy; poi
Ac—
«Sei
sicuro?
Ringraziarli? Il tuo dolore non è altro che la luce di un
faro! Se ne va e
torna a intermittenza! Ogni volta, prima di addormentarti, devi fare
queste
improbabili riflessioni sulla morte e sulla vita e sui tatuaggi e sulle
bandiere, poi—ogni mattina riprendi da zero, come se non
avessi mai parlato con
Rufy, come se non avessi pianto con lui e come se non sapessi benissimo
che
quello che ti ha detto il tuo piccolo fratellino è la
verità!
«Ma
è la verità?»
Ma certo che no, sciocchino, come si può
sapere la verità di una persona?,
diceva una voce debole nella sua testa.
«Io
come faccio a
conoscere la verità? Rufy come fa a conoscerla?»
Era
nervoso. Ecco,
aveva trovato la parola giusta, non era stress! Era nervosismo,
perché Sabo
avrebbe voluto conoscere la realtà dei pensieri di Ace e non
ci sarebbe mai più
riuscito. Anche se, a dirla tutta, perfino i suoi stessi pensieri erano
difficili da capire.
«Dicevamo:
ringraziare Dragon, Rufy e poi Ace. Perché in
quest’ordine?»
Sabo
ci pensò su.
«Perché
è l’ordine
cronologico secondo cui mi hanno salvato, giusto? E poi
perché loro sono un
padre, un figlio e un—» lo specchio
sussultò «un fuoco spiritato.
Forse—forse è
il Frutto...?»
La
sua mano bruciò
al punto tale da sciogliere il metallo dello specchio, ridotto a una
poltiglia
viscosa sulle assi del pavimento.
«Forse
è il
Frutto!»
Valutò
la
rivelazione con estrema attenzione, come un maniaco degli insetti
osserva le
proprie catture nell’ambra o nel vetro, rigirandosi le pietre
tra le mani,
sorridendo, accorgendosi di un dettaglio mai visto prima e
complimentandosi con
se stesso.
Forse,
il mattino
successivo, non avrebbe continuato a dimenticare le epifanie della
notte,
perché quest’ultima illuminazione—aveva
sciolto lo specchio! Sì, vedendo lo
specchio fuso si sarebbe ricordato di tutto, non avrebbe mai
più dimenticato
nulla, nulla, nulla! Tutto nella sua testa, tutto nei suoi pensieri e
nel suo
corpo, avrebbe ricordato ogni singola, dannatissima cosa!
La
voce dello
specchio però parlava ancora. Ehi, forse non era dello
specchio. Forse era
quella nella sua testa. Forse era proprio la voce di
Sabo—erano troppo simili
perché potesse distinguerle quando non era lucido.
«Sabo,
ma tu devi
andare avanti, tutti lo fanno. Non hai anche tu degli amici di cui
fidarti?»
(Ah,
questo sì che
sembrava Rufy, fratellino adorato, fratellino di cuore, aveva lo stesso
tono,
lo stesso timbro, la stessa misteriosa consapevolezza del mondo.)
A
una stanza di distanza
avrebbe trovato Koala; poco più lontano c’era
Hack; sì, c’erano amici su cui
poter fare affidamento.
Forse
loro
avrebbero potuto acchiapparlo per i piedi e riportarlo a terra,
perché Sabo si
sentiva di nuovo leggero come l’osso cavo di un gabbiano, ma
stava sbattendo
delle ali ricoperte di piombo. Dunque doveva sciogliere anche il
piombo, come
lo specchio? Come fare? Quello non era vero piombo, e lui non era
davvero
sicuro di saper reagire nel modo giusto davanti al metallo e al vetro
fusi
assieme.
Sabo,
quella sera,
si addormentò con l’augurio a se stesso di non
dover cominciare di nuovo tutto
da zero – di non svegliarsi più allampanato e
disilluso quanto un faro.
Abbi fiducia
in chi ti ha amato
La speranza è
nei tuoi
tre
piccoli
vasetti di Pandora
[La tua morte io sconto vivendo]
Note Autrice:
Eccomi
qui per
questa seconda parte.
La
canzone che mi
ha accompagnato a palla per ore è West
Coast Smoker, sempre dei FOB, sempre una delle mie preferite
del gruppo
(anche se mai raggiungerà 27,
per
me). Credo che l’album Folie à Deux sia
estremamente sottovalutato.
Tutta
questa seconda
parte nasce così – dalle domande che non potranno
mai avere risposta e dalle
ripercussioni che questi dubbi hanno sulla mente e sul cuore di un
ragazzo.
Certo Sabo non fa uso di droghe intese come sostanze stupefacenti, ma
la sua
droga è la seguente: convincersi che quella S
sia lì per ricordare e
onorare un fratello creduto morto; che non sia risentimento o rancore,
ma
estremo dolore. La verità non verrà mai scoperta (It's hard for me to understand myself, so it has to be hard as hell for you, diceva qualcuno), e ogni giorno
affronta questi incubi senza mai riuscire a venirne a capo e senza mai
appropriarsi delle conquiste che ha fatto il giorno prima –
il che sembra un cammino
raggiungibile solo
quando fonde lo specchio.
La
prima citazione
in parentesi [] viene dalla celebre canzone di Mary Poppins nel film
– ma è
chiaro, qui la citazione è sconvolta, non ha più
il senso che aveva originariamente.
La seconda viene da una delle prime versioni della canzone Immortals, sempre dei FOB (potete
sentirla qui
al secondo 0:55
circa, se volete, purtroppo non ho trovato video migliori per questa
cosa epica).
La terza è una modifica del verso della poesia di Ungaretti
che dà il nome alla
storia: è Sabo che parla di Ace.
Ci
sono un paio di
riferimenti ad Alice nel Paese delle Meraviglie, sparse qua e
là, e giochi di
parole (anche se non sono belli come quelli di Carroll, purtroppo).
Credo
di aver reso
Sabo piuttosto pazzo. Penso che sia un tentativo di mettere in fila i
pensieri,
ma che sia un tentativo fallito di una persona, di una qualsiasi
persona. Sta cercando di mettere in ordine la propria testa,
di trovare risposte assolute che non avrà mai.
Anch’io
ho delle
domande che rimarranno irrisolte. Un po’ lo capisco.
Non
ho scuse per
tutta la follia che ho dato a Sabo, ma mi è servito
per—rielaborare. Be’,
diciamo che adesso avete un valido motivo per dirmi che questa storia fa
schifo,
perché Sabo—oddio, forse non è stato
stravolto, ma di sicuro ho aperto un
baratro enorme sotto i suoi piedi. Non ho giustificazioni. Sono stata
molto
tentata di non pubblicare questo pezzo, perché è
confuso e pieno di
contraddizioni e non risolve niente, ma poi mi son detta che avevo un
dovere
nei confronti di chi stava aspettando il seguito e l’ho
pubblicato comunque. Come
dicevo, adesso avete un motivo per dirmi che questa storia andrebbe
eliminata
dalla faccia di Internet.
Come
mi succede in
genere, questa storia non è stata scritta di getto, ma
è stato un lavoro che mi
è parso infinito (riscrivere, rifare, rimetterci mano, un
labor limae che non
mi ha portato molto distante dal diventar matta, ma quanto ho litigato
con
tutte le virgole che vedete?). So che molto probabilmente queste rifiniture sembrano non esistere, ma pace.
Scusate.
Sono alla fine.
Credo
che mi
prenderò una pausa su questi tre monelli. Magari un giorno
tornerò a parlare di
loro, ma per ora starò in silenzio radio per quanto riguarda
i tre fratelli di
cuore. È una decisione che ho preso da qualche tempo (un
mesetto circa),
complice il fatto che vorrei aspettare qualche novità dalla
penna di Oda
riguardo Sabo e i rivoluzionari.
Grazie
per aver
letto. Grazie alle persone che hanno commentato, a chi ha aggiunto
questa
storia alle seguite, alle ricordate e alle preferite – gli
interessati sanno di
chi sto parlando, no?
Spero—di
non
avervi offeso. Che questa storia sia riuscita a piacervi, in qualche
modo.
claws_Jo
Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Eiichiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.