Light in you
Quando il telefono di
Marco
suonò, lo squillo trovò i due amanti ancora
teneramente stretti in un
abbraccio, intenti a scambiarsi effusioni, finalmente liberi dal senso
di colpa
e dal rimorso.
Somehow I'm worth your while
I get to hold you first thing in the
morning
Quel suono irritò e
sconfortò
Marco, il quale nascose prontamente il volto sulla calda spalla di
Michael. Era
come se il loro piccolo mondo incantato fosse stato violentemente
invaso. Che
sensazione detestabile.
«Non voglio
rispondere»
brontolò, la pelle dell’altro che attutiva la sua
voce.
Egli ridacchiò,
accarezzando
dolcemente i suoi capelli. «Tu hai come la... sbornia da
sesso?»
Stavolta toccò a Marco
ridere, per poi rifilargli un debole pugno sul petto. Il trillo del
cellulare persisteva
e rovinò quell’atmosfera romantica e divertente,
costringendo il proprietario
di quell’aggeggio infernale ad allungare il braccio e,
leggermente voltato il
viso, recuperò il suddetto mefitico apparecchio.
«È
Elio» constatò.
«Fai rispondere
me!» esclamò
Michael, pensando a chissà qualche battuta spiritosa da fare
al suo collega.
«Non ci
provare» lo redarguì.
«Ha chiamato me e non te, ricordi?»
Sbuffò. Era un dato di
fatto:
dare a qualcuno, a chiunque, motivo di dubitare che la relazione tra
Marco e
Michael fosse puramente amichevole e cortese, sarebbe equivalso a un
suicidio
mediatico.
Dunque, anche se finalmente i
loro cuori erano liberi di dirsi “ti amo”, la loro
era una consapevolezza che
andava in due sole direzioni: l’uno verso l’altro.
Nascondersi era la norma.
Ma questo non li avrebbe
scoraggiati.
Marco rispose:
«Pronto?»
«Ce ne hai messo di
tempo!»
rise bonariamente Elio. «Volevo solo chiederti se hai saputo
della tragica
novità di X Factor.»
Michael, a quel punto, stava
già gustando la debole nuca di Marco, torturandola con i
denti. Tipico di quel
dispettoso.
«Tragica
novità?» domandò,
cercando di scostarsi.
«Oh, dunque non sai
niente!»
Marco gli fece cenno di
smetterla, cosa che lo spinse a rincarare la dose di attenzioni verso
la sua schiena,
carezzandola con rapide lappate di lingua.
«Niente di
cosa?» cercò di
tenere la voce ferma, ma era difficile, vista la predilezione di
Michael per la
sua spina dorsale. La leccava con delizia, baciandola con tanta foga da
succhiare, di tanto in tanto, lembi di pelle. Allontanò il
telefono dalle
labbra per concedersi un ansito di piacere. Dietro di sé,
sentì dei gorgoglii
soddisfatti che ben conosceva.
«Gli Home Visit sono
stati
anticipati, si parte tra due settimane.»
«Che cosa?»
Lo shock lo fece sollevare
all’improvviso, ma così facendo colpì
accidentalmente il naso di Michael, il
quale se lo massaggiò con entrambe le mani, sopprimendo un
urlo di dolore.
«Hai sentito bene,
ragazzo»
proseguì Elio, «i grandi capi avevano fatto un
grande affare a Copenaghen, ma a
quanto pare è saltato tutto. L’unico posto
disposto a ospitare baracca e
burattini, e a farlo entro una certa scadenza, è Taormina.
Le registrazioni si
faranno al Teatro Antico.»
Marco registrò
quell’informazione mentre baciava il naso di Michael, come
una mamma che
guarisce il proprio piccino che si è fatto la bua.
Sfiorò la sua guancia con la
punta delle dita, consolandolo per il dolore.
Conosceva bene quel teatro,
era stato il luogo d’inizio di uno dei suoi tour
più belli, a dir poco
indimenticabile. Era felice di non dover andare troppo lontano per
valutare i
talenti della sua squadra e, al contempo, esaltare le bellezze del suo
amato
Bel Paese.
«Beh, mi sembra un
po’
precipitoso, ma non è che si possa fare granché,
no?» commentò, non senza un
certo nervosismo.
«Eh, lo so
bene» sbuffò Elio.
« Quando ci si mette di mezzo la burocrazia, restiamo tutti
immancabilmente
fregati.»
Marco
concordò, senza
ascoltarlo veramente: Michael aveva appena sorriso.
Then when I see you smile
Brighter than the new day and it's dawning
Il sorriso di quell’uomo,
labbra sottili che concordavano una dentatura ampia, candida e
perfetta. In
quel sorriso, però, c’era molto più che
bocca e denti: c’era luce, calore e
fiamma viva. Ciò di cui realmente Marco non riusciva a
capacitarsi era il modo
in cui sprigionava quel bagliore: non come un faro nella notte,
poiché il buio
è facile a essere rischiarato; era come se tra milioni e
milioni di luci, lui
fosse la più potente, la più bella, in un modo
tutto suo.
Amava quel sorriso. Amava
quell’uomo.
I discorsi di Elio sfumarono
in saluti e cordialità e la chiamata, in breve,
terminò.
Michael si sollevò,
allontanando il cellulare da loro. «Allora, cosa Elio voleva?
Cosa lui ha detto
che ti ha fatto uccidere il mio naso?»
«Oh, scusami
tanto» gli prese
il viso tra le mani e iniziò a riempirlo di teneri baci, tra
i quali lo
ragguagliò. «Gli Home Visit sono stati spostati.
Tra due settimane andiamo a
Taormina per girare il tutto.»
«Okay» rispose,
laconico,
godendosi tutti quei baci da parte di Marco.
«La cosa non ti disturba
minimamente?»
«Perché?
Io posso essere
pronto a partire in due settimane, mi piace di viaggiare e mi piace
Taormina.
Quale è il problema?»
It really makes me wonder
If this is real life
Marco rise dolcemente. Non
c’era
davvero un limite a quanto poteva amare Michael: tutto diveniva
semplice se lo
accoglieva tra le sue amorevoli mani; perfino la sua vita appariva meno
complicata, i suoi nodi si scioglievano, i dubbi e la disperazione
erano stati
dissipati da un bacio, da una carezza, da una parola dolce.
Strinse le gambe al suo
busto.
«Ti ho mai
detto che hai il
sorriso più bello del mondo?»
Not a dream or spell I'm under
With the way, the way you make me feel like
La risposta non tardò ad
arrivare con una naturalezza sconvolgente: «Sempre dopo che
il tuo, amore.»
L’hanno chiamata “vita” perché “complicazione
mortale”
pareva brutto.
Due settimane dopo, ecco
Marco precipitarsi all’aeroporto, tentando di non perdere il
suo volo per
Taormina. Il naso gli colava, la testa diveniva ogni secondo
più pesante e a
malapena respirava, per non parlare di quella ridicola febbre che,
andando e
venendo, lo tormentava parecchio.
A quale altro, povero,
sfortunato idiota poteva venire l’influenza il giorno prima
degli Home Visit?
Michael lo tempestava di
chiamate, alle quali aveva ormai rinunciato a rispondere, tanta era la
foga
della corsa.
Una volta giunto a
destinazione, dovette fare leva sulla sua celebrità per
riuscire ad entrare su
quel volo (usò al tattica del “sono un personaggio
famoso e ho tanti impegni,
per favore fammi salire su quell’aereo”). Fortuna
che non tutte le hostess
erano inflessibili come sembravano.
Quando giunse, sudato e con
il fiatone, verso i posti di prima classe, vide Michael che, seduto
accanto a
Irene e dietro Elio, lo guardava e prendeva una gran boccata
d’aria, per poi
rilasciare un sospiro di sollievo, quasi con le lacrime agli occhi.
Marco si accasciò,
sprofondando nel posto accanto a quello di Elio e nascondendosi dietro
ai
grandi occhiali da sole.
«Marco.»
In a crowded room I’m the only one
Then it’s just us two and the setting
sun
Il modo in cui Michael lo
chiamò, dolcemente, lo fece voltare subito. Era seriamente
preoccupato.
«Io ho chiamato mille
volte»
spiegò, indicando il suo cellulare.
Marco non rispose,
perché era
inutile spiegargli che la sera prima era praticamente svenuto sul
letto, messo
K.O. dagli antibiotici e dal cortisone, per poi svegliarsi in ritardo
per via
di uno stordimento tale da fargli dimenticare di puntare la sveglia per
le cinque
del mattino.
Semplicemente, si
abbassò gli
occhiali da sole: il naso rosso e gli occhi, gonfi e iniettati di
sangue,
parlarono per lui.
Irene imprecò.
«Sembri la
bambina de L’esorcista all’opera.»
Michael poggiò la mano
sulla
fronte di Marco, il quale, pur sapendo di doversi ritrarre dal suo
tocco, vi si
protese: quella mano era fresca e delicata, gli faceva desiderare che
restasse
lì per sempre.
«Tu sei un po’
caldo»
sospirò, sconfortato. «Come tu fai a registrare,
in domani?»
Elio rifilò una pacca
sulla
spalla a entrambi. «Che vuol dire “come”?
Andrà alla grande domani! Un paio di
pasticche e torna come nuovo.»
«Mi stai suggerendo di
drogarmi?» lo punzecchiò Marco, nonostante la voce
nasale.
Le risate generali
stemperarono l’ansia che le condizioni di salute del
più giovane dei loro
colleghi avevano destato. Avevano dei tempi serratissimi per fare le
registrazioni e, pur concedendo a Marco più tempo per
riprendersi
dall’influenza, il massimo che gli si potesse dare era un
giorno in più, ma
certo era che in tre giorni sarebbero tornati tutti a Milano e Marco,
in un
modo o nell’altro, avrebbe dovuto farcela.
Il timore di tutti,
soprattutto quello di Michael era che pur di farlo riprendere gli
dessero
qualche “spintarella”, come delle pilloline
eccitanti che, precedentemente,
aveva ben conosciuto nella sua carriera. Per questo, qualche minuto
dopo la
partenza dell’aereo, Michael gli poggiò una mano
sulla spalla, a mille miglia
d’altitudine dall’Italia.
«Irene dorme»
sussurrò.
«Elio?»
«Più o
meno» commentò, osservandolo
bofonchiare sotto i baffi e puntare il dito contro chissà
chi, ad occhi chiusi.
Sospirò, mentre
l’ilarità
andava spegnendosi.
«Mi rifiuto di stare male
proprio adesso» si lamentò, «e di certo
mi rifiuto di farmi aiutare come so che
loro vorrebbero.»
«Lo so, io non voglio che
tu
lo fai» gli carezzò il braccio. «Infatti
io penso a te.»
Si voltò con
discrezione. «Mi
pensi tanto tanto?» lo prese in giro.
Michael sorrise e gli diede
dello stupido. «Dico che, dopo che noi è in
Taormina, io prendo cura di te.
Così tu guarisci e non prendi quegli
“aiuti”.»
«Lo faresti
veramente?»
«No, io lo farò
veramente» specificò.
Marco posò la propria
mano
sulla sua e rimasero così, per un tempo attimo infinito.
Infine, stremato dalla
malattia, egli si lasciò cullare dalle invitanti braccia di
Morfeo.
«Sveglia, testa di
sonno!»
Marco aprì gli occhi a
fatica, le palpebre come cemento. Era in una camera
d’albergo, una sontuosa
suite dove i colori predominanti erano il castano del legno e il beige
tendente
al crema dell’arredamento. La passione per
l’architettura e il grande senso
estetico di Marco gli fornirono una temporanea distrazione dal freddo
che
sentiva penetrargli nelle ossa.
«Come ci sono arrivato
qui in
albergo?» chiese, senza effettivamente conoscere la risposta
a quella bizzarra
domanda.
Michael scoppiò a
ridere:
«Sui tuoi piedi, testa di sonno! Non ricorda che tu ha sceso
dall’aereo come
zombie, sei arrivato qui e sei come un morto sul letto?»
Ovviamente non ricordava
nessuno di quei particolari, altrimenti chiedere sarebbe stato del
tutto
superfluo. Non aveva abbastanza energie o salute per rispondergli in
quel modo,
dunque si limitò a correggerlo.
«Non si dice
“testa di
sonno”» lo ammonì, sulla traduzione
impropria della parola sleepyhead,
«piuttosto “dormiglione”.»
Il volto di Michael era pura
compassione, probabilmente dovuta alla voce nasale di Marco.
Quest’ultimo si
rannicchiò tra le coperte e se le tirò fin sopra
la testa. Che pietà che doveva
fare, ad affondare tra le lenzuola in piena estate, a Taormina per di
più.
Eppure i brividi non accennavano a passare.
«Michael» lo
chiamò, con voce
lamentosa.
Non ebbe bisogno di dire
altro, che Michael si era già infilato sotto le lenzuola. Ai
suoi occhi parve
così aitante, con quel suo sprezzo del caldo afoso con il
quale lo abbracciò
forte e strofinò le sue membra, prede del gelo. Marco si
strinse al suo petto,
la stretta attorno a lui divenne più serrata e il respiro
caldo di Michael andò
ad infrangersi tra il suo collo e la sua spalla, donandogli tepore. Un
sospiro
di sollievo trovò la strada per abbandonare le labbra di
Marco.
«Non voglio stare
male»
piagnucolò.
«Su, su, non fare
così: più
tu pensa di stai male, più peggio è.»
La grammatica non era di
certo il suo forte, e il suo strafalcione strappò a Marco un
piccolo sorriso.
I pensieri di Marco, i suoi
dubbi e i suoi timori, forse per via della febbre che gli annebbiava la
mente,
vennero da lui espressi ad alta voce.
«Andrà
tutto bene, vero? Tra
le tue braccia va sempre tutto bene.»
There’s a light in you
And in everything you do
Michael rise, ben sapendo che
in altre circostanze lo avrebbe preso in giro per quel comportamento
sdolcinato. Ma, forse per via della recente riconciliazione, oppure per
quel
raffreddore atroce, o anche solo per una vena dolcemente stucchevole
che si
celava in lui, la sua reazione fu di passare una mano tra i capelli di
Marco e
dargli un bacio sulla fronte, coperta di un lieve strato di sudore.
«Tu dici?»
Annuì, convinto.
«Per questo
negli ultimi mesi andava sempre tutto male, perché non ero
al mio posto.»
Non c’era bisogno che gli
chiedesse a quale posto si riferisse.
Il posto di Marco era tra le
braccia di Michael.
Quella consapevolezza
provocò
a entrambi una dolce, lieve fitta nello stomaco, tutt’altro
che dolorosa, anzi,
era la più soave delle sensazioni.
Per un paio d’ore,
dimentichi
dei doveri e degli impegni che essere celebrità comportava,
semplicemente
rimasero l’uno accanto all’altro, stretti come uno,
mentre Marco sussurrava
smancerie che, una volta guarito, si sarebbe vergognato anche solo di
ricordare
vagamente. Michael gliele avrebbe rinfacciate tutte, una per una, nei
momenti
più impensati. Marco avrebbe finto di essere offeso e lo
avrebbe picchiato con
la violenza di una piuma, perché far del male a Michael
sarebbe stato il
peggiore dei crimini.
Era così, tra loro due,
da
sempre. Un eterno gioco, più simile a una danza che a un
inseguimento, dove
ogni passo era inevitabilmente seguito da un altro che entrambi
conoscevano a
memoria, ma che mai i due contendenti si stancavano di scoprire come
fosse la
prima volta, il primo attimo del primo giorno.
«Marco» lo
chiamò
gentilmente, dopo un po’ che il suo respiro si era
regolarizzato.
Un flebile mugolio gli giunse
in risposta.
«Adesso io ti misuro la temperature, poi prende una aspirina e
ti do, così tu puoi stare meglio» disse, iniziando
ad allontanarsi da quel
tenero abbraccio, nel quale Marco lo tirò nuovamente.
«Non ti spostare, sei
così
caldo» si lamentò.
«Se non ti guariscio
io, poi ti guarisciono loro e tu
sai come.»
Con gentilezza, ma in
modo
deciso, Michael lo scostò da sé e fu libero di
alzarsi, per medicarlo come un
infermiere di prim’ordine, tanto che Marco appena si accorse
che gli veniva
misurata la febbre finché non gli fu annunciato che stava
sui 38 °C. Gli preparò
un bicchiere con l’aspirina, che Marco bevve avidamente,
vista l’arsura che
sentiva in gola. Tornò immediatamente a distendersi, mentre
Michael provvedeva
a inumidire dei fazzoletti di stoffa. Marco, pur nella malattia, non ne
ebbe
mai abbastanza, di quelle dolci parole di ringraziamento che
quell’uomo
angelico meritava totalmente. Ah, e pensare che meno di un mese fa
avrebbe
preferito tagliarsi la lingua piuttosto che definirlo angelico, eppure
eccolo
lì, a poggiargli le pezze bagnate sulla fronte per
abbassargli la temperatura.
Once again it seems you found a way
To make me love you even more
Than I loved you yesterday
Di quel primo giorno di
permanenza a Taormina, Marco ricordò davvero poco.
Si svegliava a intervalli
regolari, per poi riaddormentarsi. Ogni tanto Michael provvedeva
affinché
mangiasse, o lo aiutava ad alzarsi per raggiungere il bagno. Ogni volta
che
Marco apriva gli occhi, incontrava quelli di Michael, spalancati,
vigili e
attenti. Non si era riposato un secondo da quando erano atterrati,
tanta era la
sua premura nel vegliare su Marco.
La febbre iniziò a
scendere
progressivamente finché, calata la notte, essa non si
stabilizzò intorno ai 37
°C. Una bella conquista, ottenuta a suon di pezze e di
medicinali, oltre che di
teneri abbracci e baci delicati.
Marco arrivò a
mezzanotte,
sveglio come un grillo e madido di sudore, per vedere Michael crollare
dalla
stanchezza, con il termometro stretto tra le mani. Sorrise nel vederlo,
poi
delicatamente gli liberò le dita e, poggiato il termometro
sul comodino, si
accoccolò al suo petto.
Cercò di recuperare i
ricordi
di quel giorno, ma pareva tanto difficile. Solo Michael, solo quel
volto
bellissimo e quella dolce voce, le sue cure e la sua premure: questo
era tutto
ciò che era sicuro di ricordare.
Tenne il viso
sollevato, non
avrebbe saputo dire per quanto. Sapeva soltanto che avere
l’opportunità di
guardare Michael in quel modo, pacifico e dormiente, lo riempiva di
gioia.
Rimase sveglio solo per sentirlo respirare, e quel fiato poi si
infranse come
spuma di mare sulla propria pelle. Sfiorò la sua guancia con
le nocche,
sussurrandogli per l’ennesima volta parole di ringraziamento,
che l’altro non
poté udire.
I figured I'll tell you why
I stay up some nights to hear you breathing
Una volta tanto, sentì
di
avere il cuore al posto giusto. In quei mesi lo aveva tenuto fin troppo
nella
testa, cercando di ragionarci e di dominare l’amore con la
razionalità. A
volte, la furiosa gelosia che provava nei confronti di Tim lo aveva
fatto
precipitare sotto i piedi, quel povero cuore, il quale era poi risalito
precipitosamente nello stomaco quando lo aveva ritrovato, senza pur
volere
ammettere di amarlo ancora.
Adesso, però, il suo
cuore
era dove doveva stare.
Tra le mani di Michael.
With everyday that goes by
You are the one and only I believe in
Marco non poteva essere
più
felice, perché sapeva che aveva lasciato il suo cuore nel
posto più sicuro
possibile. Nel più bello. In un posto che, finalmente, era
tutto suo.
I pensieri lo stremarono e,
dopo un po’, provò a chiudere gli occhi, senza
immaginare che il semplice
respiro di Michael lo avrebbe cullato e rapidamente risucchiato in un
sonno
profondo.
«Amore,
sveglia.»
Sorridendo teneramente, Marco
aprì gli occhi.
Si ritrovò davanti un Michael vestito di tutto punto, con indosso una camicia dorata e dei pantaloni bordeaux, con cravatta in tinta. Semplicemente perfetto.
Si ritrovò davanti un Michael vestito di tutto punto, con indosso una camicia dorata e dei pantaloni bordeaux, con cravatta in tinta. Semplicemente perfetto.
«Che bel nome che mi hai
dato» sussurrò. «Amore.»
«Amore»
ripeté, carezzandogli
la guancia, «ti ho lasciato dormire più che
può. Io deve fare mie registrazioni,
tu hai due ore in più che me per venire nel teatro. Hai
bisogno che ti aiuto?»
Marco si mise seduto sul
letto. Le ossa gli dolevano un po’, come se avesse fatto uno
sforzo fisico, e
si sentiva la testa pesante. Ma respirava decisamente meglio e si
sentiva molto
più lucido: era decisamente sulla via della guarigione. Per
cui declinò
dolcemente la sua offerta di aiuto:
«Grazie, ma ora sto
bene»
dichiarò, per poi aggiungere «amore.»
Michael sorrise e gli diede
un dolce bacio a fior di labbra, bacio che Marco si premurò
di allungare, sia
per mostrare quanto fosse in forze, sia perché il sapore
delle labbra di
Michael era l’unico che volesse avere sulla sua bocca in
eterno.
«Grazie di cuore per
ieri»
disse, sulle sue labbra.
Michael scosse la testa.
«Non
ringraziarmi più, l’ho fatto con il
piacere.»
Marco lo strinse in
quel
bacio, e proseguì a baciarlo, a lungo e soavemente. Lo
gustò e lo assaporò,
facendolo mugolare dolcemente, arrivò quasi a tentarlo, ma
così facendo per
poco non lo fece tardare e allora, a malincuore, furono costretti a
separarsi.
If you'll agree to have me
Each day of your life
Ci mise un paio di minuti per
trovare il coraggio di alzarsi dal letto, da solo e con la prospettiva
di una
difficile, quanto elettrizzante, giornata di lavoro.
Si preparò, dunque, per
raggiungere i suoi concorrenti, non senza aver preso un’altra
aspirina. Si
sentiva più lento e pigro del solito, ma quello non lo
avrebbe fermato. Era
capace di andare in tour con il raffreddore: ascoltare sei band
emergenti e
selezionarne tre che avrebbero avuto accesso alla diretta non era meno
difficile, o almeno così pensò per farsi forza da
sé.
Una volta pronto scese nella
hall dell’albergo e poi fuori, dove trovò
un’auto ad attenderlo. Raggiunse
entro breve il Teatro Antico e, a quel punto, diede sfogo a tutte le
energie
che non possedeva, ma che finse, per il bene delle telecamere e dei
ragazzi,
tesi come una corda di violino.
Gli altri giudici
registrarono i loro Home Visit in luoghi vicini al teatro, non proprio
nel sito,
al centro delle colonne in pietra: quell’onore venne
riservato a Marco, il
nuovo, celebre e giovane giudice. Che imbarazzo.
Riuscì a resistere per
tutte
quelle ore soltanto grazie a una lieve brezza marina, che gli
fornì un po’ di
ristoro da quel sole cocente che gli picchiava proprio in fronte.
Alla fine di quelle ore
estenuanti, scelse i talenti che sarebbero andati a comporre la sua
squadra e
non poté essere più fiero e orgoglioso del
proprio operato: prime fra tutti, le
Pop Culture, il cui nuovo nome era Ironicamente (Marco lo
adorò); poi scelse
una band che per lui era una novità assoluta, in quanto
composta da tre
vocalist e due musicisti, i Biscroma; infine, pur trovandosi indeciso
tra un
quartetto polifonico e le gemelle Di Specchio, scelse le ultime due,
poiché lo
avevano colpito sin dalla prima audizione per la loro bravura spontanea.
Gli Home Visit erano belli
che andati.
Fu un lavoro duro, ma
soddisfacente, che Marco svolse con somma gioia. Aveva lottato contro
la febbre
e il raffreddore pur di portarlo a termine, il caldo e
l’eccessiva
concentrazione, oltre che la musica ad alto volume, avevano peggiorato
di suoi
sintomi influenzali. Poteva definirsi esausto, ma felice come non mai.
Ora, però, non vedeva
l’ora
di tornare in albergo.
Chiamò Michael sul
cellulare.
«Pronto?»
rispose quello,
dopo qualche secondo di attesa.
«Ho finito con le
registrazioni» annunciò, sorridendo nonostante lo
sfinimento. «Torniamo
all’albergo.»
«Oh, Marco, io non posso.
C’è
problema.»
Problema? Iniziò a
torturarsi
le cuticole con i denti dal nervosismo. «Nulla di grave,
spero.»
«No, certo»
sospirò,
spazientito. «Una donna è persa di sensi mentre
cantava.»
«È
svenuta?»
«Per me, non è
stato così!
Lei ha stonato e ha preteso di svenire per avere altra chance in
provino.»
Ah, gli svenimenti finiti.
Quanti ne aveva visti in quelli che, per lui, erano ben pochi anni di
carriera,
e d’altronde era quello che gli avevano suggerito di fare
quando era ancora un
concorrente del programma: “Se dimentichi le parole della
canzone, o ti accorgi
di stonare, fingi di svenire e salva la performance”!
Figurarsi
«Spero che la cosa si
risolva
in fretta» tagliò corto. «Io inizio ad
andare e ti aspetto.»
«E nel frattempo
vivo» lo
prese in giro, facendolo ridere. «Allora ciao, testa di
letto!»
Marco fu sul punto di
correggerlo di nuovo, ma Michael staccò la chiamata mandando
in fumo quella
possibilità.
Sorridendo, quest’ultimo
tornò in albergo con la stessa auto sulla quale era arrivato
al teatro. Una
volta salito in camera, fu tentato di gettarsi sul letto e tornare
sotto le
coperte, raccogliersi in modo tale da somigliare a un bozzolo e
aspettare che
Michael tornasse. Ciò che fece, invece, fu riordinare e
cambiare l’aria
all’interno della camera da letto. Ci volle
un’immane fatica da parte sua,
tanto si sentiva debole, ma alla fine riuscì a dare alla
stanza un aspetto
presentabile: di certo, l’ultima cosa che desiderava era che
Michael si
mettesse a fare la colf per lui e che si mettesse a ripulire il macello
che
aveva combinato Marco. Era completamente folle, da escludersi a priori.
Marco era
un uomo grande e grosso, e come tale doveva saper gestire un banale
raffreddore.
Poi pensò
che, se era così
che voleva ricambiare l’infinita gentilezza di Michael, era
fuori strada.
Avrebbe dovuto pensare a ben altro, a qualcosa di davvero grandioso,
perché
davvero quell’uomo gli aveva salvato il lavoro; non solo, gli
aveva risparmiato
quelle solite “pilloline magiche” che tanto
piacevano ai produttori, le quali
lo avrebbero fatto riprendere dal suo raffreddore il cinque secondi,
oltre che
farlo impazzire totalmente per le quindici ore successive.
I’ll try to make you happy
Like the way
The way you make me feel like
Rifletté sui modi che
aveva a
disposizione per ringraziarlo, e gli venne in mente di dargli tutto
ciò che
aveva con sé in quel momento: se stesso. Così, e
faticando ancora più del
dovuto, accese un bastoncino profumato che avevano dato in dotazione
all’interno della toletta, poi riempì la vasca da
bagno di acqua, schiuma e
sali da bagno, fino a quanto non la vide piena di soffici bolle di
sapone.
Purtroppo non c’erano candele nella stanza che potessero
creare l’atmosfera
romantica e, francamente, non se la sentiva di scendere giù
e chiedere alla
receptionist di fornirgliele, anche perché ella si sarebbe
certamente fatta
delle domande, le quali avrebbero avuto una sola possibile risposta.
Pertanto, nel tentativo di
evitare qualunque momento di imbarazzo, spense tutte le luci principali
in ogni
stanza, lasciando soltanto quelle periferiche. Nel complesso, si
poté dire
soddisfatto di quella pensata. Come tocco finale, si denudò
completamente,
dimentico della febbre e dell’accortezza, indossando soltanto
gli slip viola
dotati di push-up che Michael gli aveva regalato qualche compleanno fa.
Si guardò
intorno,
congratulandosi con se stesso: tra i profumi dei Sali da bagno e le
luci
soffuse, l’abitacolo evocava lussuria con una lieve nota di
delicatezza, un
binomio che, ne era certo, avrebbe incantato Michael.
In a crowded room
You are the only one
Pensò molto
a lui, nella
realizzazione di quell’oasi erotica: il suo Michael sarebbe
tornato certamente
stanco, dopo quell’increscioso imprevisto con la donna
svenuta. Marco lo
avrebbe condotto nel bagno, facendolo rilassare all’interno
della vasca. Dopodiché
lo avrebbe raggiunto e lì gli avrebbe offerto un lento e
voluttuoso massaggio
che, oltre a sciogliere la tensione del suo amato, avrebbe acceso il
suo
desiderio. Lo sperava davvero con tutto il cuore.
Now it’s just us two
And the setting sun
Marco stava ancora
immaginando quel momento idilliaco, quando il diretto interessato
bussò alla
sua porta.
There’s a light in you
And everything you do
Once again it seems you’ve found a way
Deciso a non mostrarsi
subito
in tutta la sua gloria (se di gloria si poteva parlare), si
infilò in fretta e
furia un morbido accappatoio di spugna, si legò la cintura
in vita e, infine,
andò ad aprire, al colmo dell’impazienza.
To make me love you even more
Than I loved you yesterday
Solo che di fronte a lui non
c’era Michael.
Ma un uomo alto e ben
piazzato, sulla trentina almeno, dal volto indolente e dai capelli radi.
«Marco Mengoni?»
Il suo accento non gli
piacque.
«Sì»
rispose, timidamente.
L’uomo si
esibì nel più
sordido dei ghigni. Marco rabbrividì dalla testa ai piedi e
tenne strette le
estremità della cintura del suo accappatoio.
L’uomo non aveva certo
bisogno di presentazioni: Marco aveva già capito tutto e
pensò che sentirsi
peggio non sarebbe stato neanche lontanamente possibile.
«Hello, you sow.» Ciao,
scrofa. «I’m Tim.»
I love you even more than I love you
yesterday.
La
soffitta dell’autrice:
Mancano
due capitoli alla conclusione di quest’opera.
Cosa
dire? Nel rileggerla, mi accorgo che avrei potuto fare
molto, ma molto meglio. Soddisfatta al 100%? Sicuramente no. Ma so che
senza l’aiuto
della mia beta, comeunangeloallinferno94, questa fan fiction sarebbe
stata una
vera schifezza. E, dunque, grazie per avermela salvata. Sei un angelo
davvero.
Per chi non lo sapesse, questa canzone è "Ad occhi chiusi", nella versione inglese. Sì, lo so: brividi puri.
Baci.
Capitoli:
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