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Autore: SabrinaSala    06/04/2016    7 recensioni
"...Sdraiato supino sul letto, un braccio dietro la nuca e l’altro appoggiato sul ventre piatto, pantaloni e calzari ancora indosso, Johannes accolse così, sfacciatamente seducente, le prime, impertinenti luci dell’alba. «Proteggere una donna, salvaguardare la sua persona, è il compito più difficile e più importante al quale un uomo possa essere chiamato. Ne sarai all’altezza?»"
***
Sacro Romano Impero Germanico. Città di Rosenburg. Anno Domini 1365
Quando Johannes, altero e affascinante capitano delle guardie cittadine, riceve l’incarico di proteggere Madonna Lena, pupilla del Vescovo di Rosenburg, solo Justus, l’amico di sempre, può trovare le parole per chetare il suo animo inquieto.
Pedine inconsapevoli di un gioco iniziato quando ancora erano in tenera età, Justus, Johannes e Lena si troveranno loro malgrado coinvolti in un ordito di peccati e di colpe… Sarà sufficiente lo stretto legame con il Vescovo-conte, reggente della città, loro padrino e benefattore, a salvare le loro anime?
***
"Miserere mei Deus secundum magnam misericordiam tuam" ("Pietà di me, o Dio, secondo la tua grande misericordia") – dal Salmo 51
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo, Inquisizione
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Capitolo 21 - Incanto
 
 
Justus rallentò il passo, temendo che il battito tumultuoso del proprio cuore si rivelasse chiaro e forte nel silenzio opprimente delle segrete.
Si fermò in fondo alle scale. Laddove lo stretto corridoio di pietra si apriva sulla grande stanza suddivisa in piccole celle. Un fastidioso indolenzimento alle gambe lo trattenne dal raggiungere d’impeto la donna che stava cercando.  Sospinse allora lo sguardo oltre la volta, seguendo il percorso irregolare della parete. E la trovò mentre, inconsapevole di essere osservata, passava lentamente una mano tra i lunghi capelli scuri, sciolti sulle spalle, districando le ciocche che intessevano mirabili arabeschi sulla pelle chiara, dolorosamente luminosa in contrasto con l’abito di tessuto nero. Dalla bocca di lupo, una luce opaca irradiava la cella, rivestendo Maddalena Aicardo di un’aurea evanescente.
Soggiogato da quella visione, Justus ne percorse l’intera figura, vinto dalla sua avvenenza. E nel seguire il percorso, inconsciamente sensuale e lascivo, di quella mano che indugiando sul collo esile e bianco scendeva poi a sfiorare distrattamente il seno, si scoprì a schiudere le labbra. A trattenere il fiato.
Vacillò, corrugando la fronte e inspirando profondamente fino a quando la voce di Heinrich, immobile sino ad allora alle sue spalle, spezzò l’incanto.
«Avanti!» lo esortò brusco l’armigero, oltrepassandolo e dandogli libero accesso alla cella.
Justus annuì e con lo stesso cenno del capo ringraziò Heinrich che si affrettò a lasciarsi soli.
In piedi, in fondo alla piccola stanza, Lena non si era mossa di un passo, limitandosi a rivolgere al chierico uno sguardo profondo e distaccato al tempo stesso, ombreggiato dalle lunghe ciglia scure.
«Fratello Justus» mormorò senza tradire alcuna emozione.
La sua bellezza era disarmante. Le spalle erette, l’espressione accigliata, le labbra serrate, imbronciate.
Justus finì nuovamente avvinto dal fascino di quegli occhi nocciola. Occhi che avevano perso ogni traccia di timore, di rassegnazione. Ardenti come la prima volta che lo avevano catturato, penetrandogli l’anima.
«Non dovreste essere qui» asserì in un soffio, cercando in quello sguardo una complicità della quale non vi era più alcuna traccia.
«Non è quello che pensa il vescovo…» rispose lei, caustica.
Justus avanzò di un passo, accorciando la distanza che li separava in quella cella e rifiutandosi di credere che quella spirituale fosse diventata incolmabile.
«E’ solo un equivoco» mormorò cercando di convincersi della veridicità di quelle parole.
Lena rise sommessamente.
«Non sono più la pupilla di Konstantin Winkel, fratello Justus.  Ma la sua spina nel fianco… visto che non rispondo alle sue aspettative come invece farebbe mia madre» sibilò sarcastica.
«Vostra madre? » quelle parole sfuggirono alle labbra del chierico prima che potesse fermarle.
Maddalena Aicardo sollevò il mento, serrando le labbra con disprezzo e inspirando profondamente l’aria umida delle prigioni. «Non mi sono mai fatta illusioni in merito al mio ruolo di donna. E voi lo sapete. Ma non ho mai pensato di servirmene spudoratamente, facendone pura merce di scambio»  eruppe, la voce vibrante di rabbia. «Ora andatevene! » disse inaspettatamente.
Justus trasalì e lei lo trapassò con lo sguardo. Decisa a respingerlo.
«Non fatemi questo…» lamentò  il chierico, convinto che la donna  avrebbe letto in quelle parole il significato più puro e non quello torbido, indice della sua debolezza.
«Non è a voi che sto facendo un torto» rispose lei, come previsto. «Non pensatelo. Mai! » aggiunse, sapendo di non potersi sbilanciare oltre. «Ma non farò alcun passo indietro. Se è per questo che vi hanno mandato da me».
Justus scosse leggermente la testa, sostenendo fieramente il suo sguardo e le proprie argomentazioni.
«Non sono qui per conto di nessuno», disse. «Se non per me stesso».
Ed era vero. Questa volta. Tremendamente sincero.
Lena accennò un sorriso e volse lo sguardo ad un punto imprecisato della parete di pietra. «Potrei dire lo stesso» ridacchiò, mentre le chiome scure ricadevano in avanti nascondendole parte del volto.
Raggiungendola, inaspettatamente Justus le afferrò entrambe le mani e attirò di nuovo su di sé la sua attenzione, ma il ricordo del vescovo Winkel indusse Lena a sottrarsi bruscamente a quel contatto.
Justus indietreggiò. Tra i due calò un insopportabile silenzio.
«Non permettetegli di farvi ancora del male» la pregò il chierico,  anteponendo ancora una volta il proprio dovere e il bene di lei alla delusione per quel rifiuto.
Maddalena Aicardo lo sogguardò in silenzio. Fredda come non era mai stata. Indecifrabile agli occhi turchesi di Justus.
«Andatevene» ripeté voltandogli le spalle. «Non voglio compromettervi» concluse.
Le labbra del giovane si piegarono in un pallido sorriso.
«E’ tardi per questo» ribatté lentamente, scoprendosi cinico. «Non posso fare a meno di pensare a voi…» disse. Lo sguardo torvo. I pugni stretti lungo i fianchi snelli. Il capo leggermente reclinato in avanti.
Se si fosse voltata, Lena avrebbe visto la disperazione accorata di un giovane uomo esposto alla gogna delle proprie debolezze e desideri. Ma non si volse e con voce ferma e implacabile inflisse a quell’anima persa e trasfigurata una nuova bordata.
«Smettete di tormentarvi, allora» lo esortò. «Non voglio la vostra compassione né la pietà di nessuno. Non ne ho bisogno».
 Le braccia di Justus la circondarono improvvisamente.
Forti e decise, la strinsero fino a farle mancare il respiro.   
Più alto di Lena di una buona spanna, Justus affondò il volto tra i suoi capelli. Annaspò nel suo profumo di donna. Cercò e le sfiorò la gota vibrando a quel contatto, sentendosi al contempo fragile e immensamente potente.
«Otterrò di assistervi, anche questa volta… » le mormorò all’orecchio prima di appoggiare il mento sul capo della donna e desiderare intensamente che il tempo si fermasse in quel preciso istante.
 

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IL CONFESSIONALE (ovvero l’angolo dell’autrice):
Questa volta, lascerò a voi ogni commento, pensiero e intuizione.
Io, Justus e Lena abbiamo parlato abbastanza, non trovate?
Meglio lasciar decantare…
A voi mie care lettrici – manifeste o silenti!
Un abbraccio (forte come quello di Justus) e al prossimo capitolo… altre parole che premono per uscire!
   
 
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