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Autore: Dainoza    07/04/2016    0 recensioni
[AU!Psycho-Pass][Titolo provvisorio]
-Quando gli innocenti vengono scambiati per assassini, il mondo sembra quasi girare al contrario o addirittura fermarsi, stupito da tanta stupidità. Quando si renderanno conto che i veri colpevoli sono ancora in circolazione allora sminuiranno tutto come sempre, senza pensare al rovinoso futuro di chi, per anni, ha dovuto subire una punizione ingiusta. Io sono innocente, chi distrusse la mia famiglia è ancora a piede libero, forse stupito per aver avuto cotanta fortuna, ma io lo troverò, ormai non ho più nulla da perdere, sono solo l'ennesimo criminale che viene definito tale ingiustamente, perché "il giudizio è questo". Quando il vero colpevole sarà preso, allora ci sarà davvero giustizia nel mondo.-
Dopo essere stato imprigionato ingiustamente per undici anni, ad Akiteru Tsukishima viene offerta una possibilità impossibile da rifiutare, che potrebbe anche soddisfare il suo desiderio di vendetta verso l'assassino della sua famiglia.
Genere: Angst, Generale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Akiteru Tsukishima, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Me, my worst enemy

Capitolo 1

 

Si svegliò col viso bagnato dalle lacrime, versate inconsciamente durante la notte. Il soffitto bianco era lo stesso che vedeva ogni giorno, quando si destava dai suoi sonni agitati. Era buffo, la notte vedeva fuoco e fiamme, di un rosso malvagio, per poi aprire gli occhi, trovandosi davanti al quell'inquietudine che solo il bianco ospedale della stanza riusciva a donare. Perché sì, Akiteru si trovava in un ospedale, ma anche rinchiuso in una prigione, per un crimine non commesso. Undici anni prima aveva pianto, urlato, invocato aiuto e pietà, ma solo il cielo lo aveva ascoltato, nessun altro. Nonostante le sue parole nessuno lo aveva mai liberato, con l'avanzare degli anni si rese conto che le infermiere lo guardavano con compassione, come se fosse un bambino malato di cancro. Ma lui non era malato, era marcio dentro, quel mondo crudele lo aveva giudicato un criminale latente senza pensarci due volte, tutto il Giappone ormai sapeva che Akiteru Tsukishima aveva bruciato casa e famiglia, compreso il piccolo Kei.
Kei. Solo il pensiero lo faceva piangere. Quella notte aveva perso la persona più importante della sua vita, di lui non era rimasto nulla, se non il ricordo dei suoi sorrisi, che ormai vedeva contraffatti, avvolti dalle fiamme, così come il suo corpo e anima. Niente, non gli era rimasto più niente, la sua famiglia era morta, il colpevole era ancora a piede libero e il suo Coefficiente di Criminalità aveva toccato quasi le stelle. Akiteru non era più un uomo, solo un ennesimo scarto della società, che meritava solo di essere nascosto al mondo, sopprimendo per sempre la sua – ormai divenuta misera – esistenza.Sospirò col naso, mettendosi seduto. Come ogni stanza del Centro di Riabilitazione, tutto ciò che lo circondava era bianco, di una tonalità così chiara da sembrare innaturale. Nessuna decorazione e niente mobili, solo un letto scomodo e una porta trasparente, dove tutti potevano sporgersi e guardare quel giovane uomo che, con la testa bassa, si girava i pollici per tre ore al giorno. Poteva richiedere quello che desiderava alle infermiere, ma aveva richiesto per tre volte una palla di pallavolo e, per tutte e tre le volte, gli era stato risposto “E' troppo pericoloso dare certi strumenti a voi pazienti”. “Pazienti”, tradotto in “scarti umani”, perché quello erano, solo bambocci privi di ogni utilità per lo sviluppo umano.

Si alzò dal letto, cercando si sorreggersi con le gambe malferme. Il suo raggio d'azione si limitava in quella stanza, nessuno poteva uscire dalle proprie prigioni, almeno non senza una ragione valida. Aveva un po' di libertà solo quando chiedeva di andare in bagno, ma a volte non poteva neanche farlo, perché c'erano degli orari ben precisi. Si avvicinò alla porta trasparente, non riuscendo a vedere il suo riflesso. L'unica cosa che era in grado di vedere era la stanza accanto – vuota – e il suo coefficiente di criminalità. 270. Un numero così alto da sfiorare il valore minimo per eliminare un individuo. Dopo undici anni di prigionia, forse l'idea di farsi esplodere le cervella non era poi così male.

Schiacciò il bottone per richiamare un'infermiera con la colazione, per poi tornare traballante al suo letto. Povero Akiteru, quale crudele destino gli era stato affidato. Si faceva pena da solo, era da tanto tempo che non si guardava in faccia, ma sapeva che, se mai fosse successo, avrebbe sputato al riflesso, schifato dalla sua immagine. Non poteva pensare niente su di lui, l'unica cosa che gli rimaneva era schifare il suo essere, divenuto inutile agli occhi di tutti, o a quasi tutti.
La porta a scorrimento si aprì, e Akiteru alzò la testa per puntare lo sguardo sulla figura esile di un'infermiera dai capelli bruni. Sorpreso, si rese conto che la donna non portava con sé nessun vassoio con la colazione, e che non lo guardava neanche col solito sguardo di compassione.
E' successo qualcosa….?
Chiese con voce rauca. La donna scosse la testa, ma indicò alla sua sinistra, fuori dalla porta.
C'è qualcuno che vuole parlare con te, seguimi per favore
Qualcuno che voleva parlare con lui? Sembrava strano, non aveva mai ricevuto visite in undici anni, chi mai poteva essere? I suoi nonni erano tutti morti, i suoi amici scomparsi dopo la tragedia e, di sicuro, non potevano essere gli amici di famiglia. Guardò la donna per ancora un attimo, poi si rialzò, decidendo si seguirla. Col cuore in gola, attraversò il lungo corridoio bianco, cercando di non far rumore con le ciabatte. I tacchi dell'infermiera sembravano camminare su dei cuscini, rendendo tutto ancora più silenzioso. Era mattina presto, pochi rinchiusi erano già svegli, e lo guardavano con tanti occhi al suo passaggio. Pensieri confusi balenarono nella sua mente, e non riusciva a trovare una spiegazione a quello che stava succedendo. Avevano forse deciso di farlo fuori?
Arrivarono alla sala degli incontri, dove i pazienti ricevevano visite dai famigliari. Akiteru guardò la donna con sguardo confuso, per poi entrare lentamente. Solo quando si sedette su una sedia si accorse che la persona dietro al vetro aveva addosso la giacca degli Ispettori della Pubblica Sicurezza.

 

Sfogliò il lungo fascicolo ricevuto, mordicchiando la pellicina del pollice destro. Alla loro squadra mancava un componente, il giovane Ennoshita era stato molto d'aiuto nelle loro missioni, ma era morto per mano di un'arma da fuoco, poco tempo prima. La morte di un suo collaboratore e amico lo aveva molto scosso, ma si era anche azionato per trovare in fretta un sostituto. I suoi Esecutori gli avevano offerto il loro aiuto, ma l'Ispettore più esperto, Daichi Sawamura, aveva deciso di fare tutto da solo, aveva persino esonerato l'altro Ispettore della squadra. Seduto sulla sua personale sedia girevole, stava valutando tutti i possibili rimpiazzi. Aveva chiesto al Centro di Riabilitazione tutta la lista dei loro pazienti, per poter farsi un'idea di loro. Daichi scrutò ogni singolo caso con occhio critico, per poi passare avanti. Aveva bisogno di gente non del tutto fuori di testa, con un controllo del loro corpo e dei loro pensieri. Pazienti che avrebbero potuto dare qualcosa alla Pubblica Sicurezza.

La porta dell'ufficio di aprì, e quasi cadde dalla sedia per la sorpresa, ma quando vide l'intruso sospirò di sollievo. Dalla schiena leggermente ricurva e il sorriso sbarazzino, Ryuunosuke Tanaka si avviò allegramente alla sua postazione, salutando con la mano l'Ispettore.
Cerchi ancora?
Chiese l'Esecutore, passandosi una mano sulla testa pelata. Daichi semplicemente annuì, sfogliando l'ennesima pagina. Aveva analizzato ben ottocento soggetti diversi, e ancora nessuno di loro lo aveva soddisfatto davvero. Ne aveva trovati due, dei certi Kinoshita e Narita, ma all'ultimo decise che no, non erano abbastanza per la loro squadra.
Tanaka sbadigliò rumorosamente, sedendosi sulla sua sedia. Prese un qualcosa dalla sua borsa a tracolla, per poi metterlo sul suo tavolo. Si era portato dietro il file della missione dove Ennoshita perse la vita, e l'Ispettore dai capelli scuri seppellì di più il viso del fascicolo, cercando di non guardare di nuovo quella scena. Era stato lui a contribuire alla morte del suo Esecutore, aveva lasciato campo libero al nemico, e il suo inferiore era morto. Non se lo sarebbe mai perdonato.
Daichi-san, lavori troppo, ti verranno le rughe ahahahah! Forse dovrei farlo presente a Suga, solo lui riesce a farti ragionare
Commentò sornione il ragazzo, stravaccandosi di più sulla sedia, mettendo le gambe sulla tastiera del computer. Quando Tanaka gli venne affidato, Daichi non l'aveva visto di buon occhio. Era rumoroso, faceva briciole dappertutto e si fermava a parlare troppo con gli Esecutori della Divisione 2. Agli occhi dell'Ispettore era un bamboccio che non avrebbe mai potuto fare un buon lavoro, ma quando, qualche mese dopo averlo conosciuto, lo vide in azione si rimangiò tutti i suoi pensieri cattivi. Poteva essere un vero casinista, sì, ma avrebbe dato la vita per salvare gli altri.

Fu lì per rispondere, quando il suo sguardo cadde su un nome, per poi scorrere su tutto ciò che lo riguardava. “Un valore impressionante” pensò affascinato, guardando il suo coefficiente di criminalità. Guardò i parametri dell'esaminato, analizzò ogni singolo valore, ogni appunto riguardante il suo comportamento, il suo passato, ogni singolo movimento che aveva compiuto lo aveva annotato. Sorrise vittorioso, staccando la pagina dal resto del fascicolo.
Vuoi dire qualcosa a Suga? Bene, allora avvertilo che aspetto lui e Asahi alla macchina, e anche in fretta
E con questo prese il foglio strappato e uscì dall'ufficio con un sorrisino sul volto. Trovato.

 

Lo stesso Ispettore che era uscito da quell'ufficio un'ora prima si trovava dall'altra parte del vetro, guardando negli occhi l'uomo sciupato che aveva chiamato.
Akiteru Tsukishima, io sono Daichi Sawamura e sono un Ispettore della Pubblica Sicurezza. Sono qui perché ti vorrei offrire un'opportunità senza paragoni, ti prego di ascoltare cosa ho da dire

 

   
 
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