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Autore: iloveryuga    13/04/2016    4 recensioni
Prendete una ragazza povera e con un passato difficile alle spalle, catapultatela a New York e fatela incontrare con l'uomo più ricco e avvenente della città. I due avranno un bizzarro colloquio di lavoro, che farà rendere conto entrambi di quanto siano in realtà vicini e lontani allo stesso tempo...
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
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Lila rientrò a casa e chiuse a fatica la porta, la quale, da tempi immemori, faceva resistenza. Guardò sospirando il suo minuscolo monolocale e cercò di trovare le forze necessarie a sistemare i pochi e sgualciti vestiti, buttati alla rinfusa sul pavimento. Si sforzò parecchio ma, considerando il freddo penetrante che avvolgeva l’intero locale, e il fatto che il suo stomaco non toccava cibo da almeno una settimana, rinunciò al suo nobile progetto. Si lasciò cadere esausta sullo scomodo divano di pelle e si coprì fino al naso con la sua adorata trapuntina rossa, che l’avrebbe riscaldata per tutto l’inverno. Trasse un respiro profondo, cercando di dimenticare il fatto che non pagava le bollette ormai da tre mesi, infatti le avevano sospeso riscaldamento e gas. Tra poco sarebbe sicuramente toccato alla luce. Emise un gemito sconsolato e si rintanò di più sotto la coperta, cercando di scacciare quei pensieri nefasti. Anche se, prima o poi, avrebbe dovuto concentrarsi sulla sua situazione. D’altro canto, però, non era neppure colpa sua, in quanto lei ce la metteva tutta per trovare un lavoro ma nessuno era disposto ad assumere una neo-diciottenne che non aveva nemmeno conseguito un diploma superiore. Si mise a sedere, decisa a non rimuginare più, afferrò il telecomando e lo puntò in direzione della vecchissima televisione a tubo catodico… Ah, già. Niente TV, non poteva permettersi di far fronte ad una ordinaria fattura, figuriamoci aggiungendo le spese del televisore. Lasciò andare la testa all’indietro, facendola rimbalzare sullo schienale del divano e si massaggiò gli occhi, alla spasmodica ricerca di qualcosa che la aiutasse ad ingannare il tempo nell’attesa di coricarsi. Girò poco il viso, e l’occhio le cadde sul quotidiano che il suo amico edicolante le aveva regalato. Allungò la mano e lo afferrò, iniziando a sfogliarlo con noncuranza, persino le notizie di cronaca nera la lasciavano piuttosto indifferente. Voltò l’ennesima pagina con aria annoiata, ma si bloccò e riscosse quando lesse:”Kishatu Holdings Inc., l’azienda specializzata in comunicazioni riceve il premio per i più alti incassi dell’anno, le brillanti operazioni di mercato del giovane Ryuga Kishatu l’hanno portato a scalare le vette dell’Olimpo” Anche Lila aveva sentito parlare di questo Ryuga, la sua faccia era su tutti i cartelloni pubblicitari. Sembrava che, per quanto riguardava commercio e telecomunicazioni, la sua azienda fosse la migliore e la più qualificata. E dire che la sede principale si trovava proprio lì, a New York. La ragazza scrollò le spalle, alcuni hanno proprio tutte le fortune: sono belli, ultraricchi e dannatamente intelligenti. Questo fu, più o meno, il pensiero che formulò. Tuttavia, non era finita qui, c’era dell’altro, ben più importante e che poteva riguardarla: Ryuga stava cercando una nuova segretaria personale, in quanto la sua era appena stata congedata per maternità. Capitava a fagiolo… O forse no. Per un momento, le era balenato in mente di poter partecipare, ma sicuramente sarebbe stata scartata, considerando la moltitudine infinita di altre ragazze che si sarebbero presentate all’Empire, il palazzo sede dell’azienda, la mattina seguente. Lila si morse il labbro, lo faceva sempre quando era nervosa. Picchiettò un paio di volte le dita sulla carta rosina del giornale, ed espirò. Tentar non nuoce, le ripeteva la coscienza, tanto ormai le aveva provate tutte. Chissà, magari Kishatu avrebbe provato pietà per lei e… Nah, meglio non illudersi. In ogni caso, i colloqui si sarebbero tenuti l’indomani mattina alle otto e poteva partecipare qualunque ragazza avesse voluto. O almeno, questo diceva l’annuncio, ma per Lila era sottinteso:”Possibilmente ruffiane e tettone”, a giudicare dal fascino di Ryuga, non ci si poteva aspettare altro. Presa da un’improvvisa e frequente insicurezza, si fiondò davanti allo specchio del bagno, e storse il naso al suo riflesso: era molto carina in viso, due grandi occhi marron-verdi, un piccolo nasino a punta, due labbra sottili e morbide. Nonostante ciò, lei si vedeva brutta e assai poco avvenente, anche per il seno che lei considerava piccolo e il corpo a suo parere troppo magro. Sbuffò pesantemente e si mise a lavarsi freneticamente i denti, tanto valeva andare a dormire, visto che il giorno seguente avrebbe dovuto svegliarsi relativamente presto. Infilò il comodo pigiama rosa a orsetti, e si catapultò in un nanosecondo a letto, imprecando quando le vecchie e ormai arrugginite molle cigolarono sotto il suo peso. Si voltò su un fianco e chiuse gli occhi, attendendo che Morfeo la accogliesse fra le sue braccia e pregando Dio di svegliarsi per tempo, dato che era sprovvista di una sveglia.

La mattina seguente ebbe la conferma irrevocabile che dio non esisteva, e se esisteva di certo non la ascoltava per nulla. Si alzò di soprassalto, rendendosi conto, guardando l’orologio appeso, di essere in mostruoso ritardo, dato che erano già le sette e mezza e ci volevano almeno venti minuti a piedi per raggiungere il centro città da dove era lei. Infilò la porta del bagno a velocità supersonica e la doccia che fecce fu ancora più sbrigativa. Mentre si lavava i denti, cercò di scegliere gli indumenti più… Formali che possedeva. La scelta fu ardua, in quanto di solito indossava abiti piuttosto semplici e informali, per fortuna, però, aveva conservato l’outfit indossato alla cerimonia d’accoglienza alla prima superiore. Non essendo inoltre cresciuta quasi per nulla, qualunque cosa nuova o vecchia le andava bene. Abbottonò il cardigan nero a righe bianche, infilò saltellando per la stanza un paio di jeans e infine calzò le ballerine nero lucido che le avvolgevano il piede alla perfezione. Infine, si posizionò davanti allo specchio, cercando di rendersi presentabile con gli ultimi scampoli di trucco che le erano avanzati. Lasciò perdere la causa “capelli”, ci aveva ormai rinunciato da tempo, li legò soltanto in un comodo chignon per non averli attaccati al viso. Fatto ciò, afferrò al volo la borsetta in finta pelle nera, e si precipitò giù per le scale, sbucando nella strada malfamata del suo sobborgo e salutando con un cenno della mano il barbone all’angolo della strada. Corse a perdifiato per cinque isolati, senza nemmeno fermarsi ai semafori e rischiando di essere investita almeno due volte.

Arrivò all’Empire che erano le otto e cinque, si piegò su sé stessa col fiatone, i capelli appiccicati al viso per il sudore e il volto arrossato. I due buttafuori, uno di colore e uno bianco, che torreggiavano accanto alla porta girevole, si scambiarono uno sguardo confuso, interrogandosi sul da farsi; per fortuna, non appena Lila se ne accorse, riuscì a ricomporsi ed a sfoggiare il suo sorriso più falso e brillante, sistemandosi poi la chioma ribelle come poteva. Si avvicinò alla porta ancheggiando visibilmente, e tentando di risultare il più sensuale e credibile possibile, obiettivo pienamente conseguito, considerando che i due gorilla la lasciarono passare imperterriti, ennesima riprova che lei così brutta non era. Una volta dentro, Lila trasse un respiro profondo, e alzò la testa per guardarsi intorno, rimanendo a bocca aperta. L’ambiente attorno a lei era un esempio lampante di quella che si potrebbe definire un’amministrazione impeccabile. I dipendenti erano disposti su due lunghe scrivanie, ed ognuno era dotato di un computer di ultima generazione e di un auricolare. Tutti svolgevano la mansione assegnatagli con precisione ed efficienza, infatti il rumoreggiare di voci rimbombava nell’atrio, attraversato in continuazione da uomini in giacca e cravatta con pesanti ventiquattrore e donne avvolte in stretti tailleur di sartoria. Lila si ritrovava con la bocca spalancata e il naso all’insù quando un’avvenente biondona con dei tacchi vertiginosi le si parò davanti, sfoggiando un sorriso che più finto non si poteva:”Desidera?” chiese a Lila con fare servizievole; dapprima la ragazza non si rese conto che le era stata fatta una domanda, e continuò a fissare imperterrita ciò che la circondava. La bionda, dal canto suo, stava solo posando, non era davvero così disponibile, perciò si spazientì:”Signorina? Le ho chiesto se desidera qualcosa” in quel momento, Lila si riscosse, rendendosi conto di avere davanti la sosia di quell’attrice sconosciuta che recitava nella pubblicità degli assorbenti Lines E’ e si schiarì la voce, provando a darsi un tono:”Sì, sono qui per il colloquio di lavoro”. Immediatamente, la voluttuosa top model assunse un’espressione dubbiosa, la squadrò da capo a piedi e infine si decise a rispondere:”Bene, mi segua”. Dalla sua voce traspariva chiaramente che non le andava a genio come Lila si era abbigliata, ma cosa ci si può aspettare da una che cammina su due trampoli, nemmeno fosse un’equilibrista? Lila fu costretta a reprimere una risata quando iniziò a seguirla verso l’ascensore, per il modo eccessivo e esilarante di sculettare che la testimonial degli assorbenti ostentava, ma non perdeva mai l’equilibrio? Purtroppo no, si disse, perché arrivò all’ascensore sana e salva. Salirono fino all’attico, e lo stesso fece lo stomaco di lei, che se lo ritrovò praticamente fra l’esofago e la laringe. Quando finalmente le porte di quell’aggeggio infernale si aprirono, Lila si fiondò subito fuori. In fondo ad un lungo corridoio dalle pareti bianche e moquette grigia, stava la porta dell’ufficio del direttore, dal quale provenivano urla ben poco amichevoli. Nel notare la faccia preoccupata di Lila, l’avvenente biondona sorrise compiaciuta, e la invitò a sedersi accanto alle altre cinquanta candidate, disposte ordinatamente su due file. Cinquanta. Ed erano solo le otto e cinque. Chissà che calca incredibile ci sarebbe stata alle cinque di pomeriggio. In ogni caso, le stava spiegando miss assorbenti, lei sarebbe stata ricevuta per ultima, in quanto si era presentata senza appuntamento e senza alcun preavviso;inoltre, sentendo su di sè gli sguardi indagatori e schifati delle altre presenti, le quali erano tutte strafighe ultratruccate e scollate, la ragazza iniziò ad avvertire un forte senso di inadeguatezza, lo stesso che provava da piccola quando tutte le sue compagne avevano i genitori in prima fila alla recita scolastica, mentre lei era completamente sola di fronte ad un pubblico. Si sedette stringendo la stoffa ruvida dei jeans e cercando di infondersi un minimo di sicurezza, anche se i bisbiglii concitati delle ragazze affianco non conciliavano con la sua opera di self-control.

Le ore trascorsero noiose e petulanti, esattamente come le voci delle sue rivali, così acute e stridule da risultare nauseanti, spesso Lila si domandò come facesse Kishatu a sopportare tutte quelle oche travestite da canotti, ma preferiva non cercare risposta. L’orologio ticchettò le sei quando la penultima candidata a miss taccopiùalto uscì dall’ufficio furiosa, lanciando insulti e ingiurie all’uomo con cui aveva appena parlato. Immediatamente, la diciottenne prese a mangiarsi le unghie, vizio che si portava dietro dalle medie. In diciotto anni solo una volta le era capitato di sentirsi così nervosa e fuori luogo, ovvero durante l’unica messa di Pasqua a cui sua madre la trascinò a forza. Non ebbe però il tempo di ripensare a quanto quella cerimonia liturgica l’avesse stressata, che dalla stanza del direttore tonò un:”La prossima!” Lila inghiottì a vuoto la saliva, e per poco non si morse la lingua. Si alzò dalla sedia ed espirò, tentando di reggersi in piedi, contrastando con forza le gambe stile gelatina. Aprì lentamente la porta, ed entrò in un ambiente ancora più asettico del precedente, con l’unica differenza che, al posto delle sedie, sulle pareti erano appoggiati due divani di pelle nera assai pregiata, e davanti alla vetrata che costituiva l’affacciò alla skyline di New York stava una scrivania di mogano, probabilmente intarsiata a mano. Dietro di essa, stava seduto curvo su dei fogli, Ryuga. Lila lo squadrò per un secondo ma con attenzione: era bellissimo. Nonostante le sue origini fossero giapponesi, non aveva occhi a mandorla e pelle gialla, tutto il contrario , gli occhi erano ampi e andavano ad assottigliarsi solo verso la fine. Folte sopracciglia albine come la sua chioma incorniciavano due pozze gialle oro quali erano le sue iridi, strette e minacciose. I lineamenti del suo viso erano scolpiti e perfetti, il naso leggermente sporgente era perfettamente contestualizzato e le labbra sottili ma sensuali completavano quel quadro di eccellenza idilliaca. Senza contare poi i suoi capelli bianchi come la neve, fatta eccezione per una mèche rossa sul lato destro, che portava tagliati a spazzola e completamente ribelli. La sua presenza, seppur accomodata, era imponente e accentrava su di sé tutta l’attenzione… Forse era per questo che quell’ufficio era così spoglio? Per evitare che qualcosa distogliesse l’attenzione da lui? Non appena lui alzò lo sguardo dalla pila di fogli che stava siglando, lei si sentì gelare il sangue nelle vene e il fiato mozzarsi in gola. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma da essa non fuoriuscì alcun suono. Rimasero a fissarsi per un tempo che a Lila parve infinito; poi, finalmente Ryuga si decise a posare la penna con il nome della sua azienda sopra, e si aggiustò la cravatta rosso cremisi:”Prego, si accomodi”. La sua voce, oh la sua voce, rese le ginocchia di Lila un ammasso informe di ossa e tendini. Era così calda, avvolgente, sensuale… Persa in questi pensieri, per poco non si scordò di sedersi sulla poltrona in pelle davanti alla scrivania di Ryuga, il che le avrebbe fatto perdere diecimila punti in partenza. Si accomodò come le era stato suggerito, cercando di dissimulare la sua incertezza tirandosi diritta con la schiena. Lui si protese leggermente in avanti per darle la mano:”Ryuga Kishatu” lei si sforzò di sorridere:”Dalila Casterville, ma di solito mi chiamano Lila” si strinse nelle spalle e chinò il capo, rossa in volto e imbarazzata dalla cosa che aveva appena detto. Cosa poteva mai importare a lui di come la soprannominavano? Ryuga abbozzò un sorriso sghembo:”Lila, allora” Questo piccolo atto di cortesia conferì un minimo di fiducia alla diciottenne, che alzò gli occhi dalle mani giunte in grembo. Lui si fece più formale:”Innanzitutto, ho bisogno delle sue generalità. Data di nascita, indirizzo, se ha patente o simili” ecco che cominciavano le rogne… Lila si morse il labbro inferiore con forza, e giocherellò con l’unghia del pollice:”Sono nata nel… primo settembre del novantotto, abito al civico due di Arthur Avenue e… Non ho né patente né patentino” a queste parole, Kishatu strabiliò:”Lei ha… Diciotto anni?” Nel frattempo la squadrava da capo a piedi come se avesse avuto Frankenstein in persona seduto davanti a sé. Lila abbassò nuovamente il capo, desolata:”Sì…” Fu la sua flebile e appena udibile risposta. Vedendo il suo imbarazzo e non volendo metterla in soggezione, Ryuga decise di passare oltre:”Ok. Deduco che, quando è arrivata qui, lei fosse ancora minorenne. Per questo non ha patente né documento, dico bene?” Il silenzio della ragazza valse mille sì. L’albino rimase compassato e impassibile:”D’accordo. Titoli di studio?” Ancora una volta, la povera Lila si fece minuscola:”Io ho… Lasciato la scuola. Ma mi sarebbe davvero piaciuto andare all’università, puntavo ad Harvard, avrei voluto iscrivermi a Lettere Moderne. Ma, sa… Per me, che vengo da un piccolo paese del Wisconsin, ci sono sempre state poche possibilità…” Pronunciò questa frase con una tale malinconia, che Ryuga non poté fare a meno di chiedersi da quale diavolo di situazione potesse venire questa ragazza, ormai sull’orlo delle lacrime. Evidentemente non le faceva piacere rivangare il passato. Esattamente come a lui. Rimase a fissarla per qualche secondo senza dire nulla, rigirandosi la stilografica fra le dita:”Le piace Peter Cameron?” Lei sbatté un paio di volte le palpebre:”Lo scrittore di Un giorno questo dolore ti sarà utile?” L’albino annuì:”Esatto. Allora, le piace?” Ci pensò su un attimo, incerta di aver capito bene la domanda, poi rispose:”Sì, mi piace. E’ uno dei grandi scrittori moderni” Ryuga picchiettò i pollici fra loro, e calò di nuovo un silenzio assordante in quella stanza così dannatamente fredda. Fu lui a rompere di nuovo il ghiaccio:”Non vorrei essere indiscreto, ma… Perché ha deciso di presentarsi a questo colloquio? Sapeva di avere poche probabilità di ottenere il posto, lo vedo dal suo atteggiamento. Praticamente si sta scusando di essere venuta. Allora… Perché farlo?” Lila sentì che questa era la questione risolutiva, il punto focale di tutto l’incontro: o la andava o la spaccava. Trasse un profondo respiro, e cercò di sostenere lo sguardo indagatore di lui:”Perché io ho un sogno. Io… voglio realizzarmi con le mie mani, e le mie soltanto. Voglio trovare il mio posto nel mondo, ma senza qualcuno che me lo imponga. Insomma… questo lavoro rappresentava l’ultima possibilità di realizzare il mio desiderio. Dovevo almeno provarci” Tornò a fissare il pavimento, come se fosse giusto così e lei avesse appena compiuto un atto sconsiderato. Ryuga rimase profondamente colpito dalla spontaneità delle sue parole, e dal forte messaggio che quel pensiero esprimeva. La cosa ancora più incredibile, inoltre, era che lui e quella ragazza si somigliavano terribilmente, sia per idee che per situazione familiare, da quanto aveva potuto intuire. In tutti i suoi diciassette anni di brillante carriera, mai gli era capitato di incontrare una simile creatura, fascinosa e schiva allo stesso tempo, forte e combattiva ma contemporaneamente dolce e remissiva; tra tutte le donne che aveva visto, lei era stata l’unica ad abbassare il capo e ad ammettere di non essere capace, a riconoscere di avere dei limiti e dei difetti! E, paradossalmente, era ciò che lui cercava in una segretaria… o forse anche in una persona. Rilassò i lineamenti del viso, fino a prima contratti nel tentativo di mantenersi austero e distaccato, e si aprì in un sorriso gentile:”Ottimo motivo, direi. Molto letterario” Gli angoli della bocca di lei si piegarono all’insù, mentre un vago rossore si faceva largo sulle sue gote. Esalò un flebile “grazie”, a malapena udibile, ma carico di riconoscenza. L’albino avvertì che quel colloquio era concluso, non avrebbero avuto altro da dirsi. Di fatto, non aveva raccolto praticamente nessuna informazione su di lei, ma sapeva tutto ciò che c’era da conoscere, e forse anche di più, probabilmente troppo per essere il suo datore di lavoro. Si alzò dallo scranno, invitandola con un gesto della mano a fare lo stesso. Immediatamente, Lila sbarrò gli occhi, credendo che il colloquio fosse andato uno schifo, addirittura peggio dei predecessori, e faticò ad eseguire quanto le era stato testa consigliato di fare, ma alla fine riuscì a tirarsi in piedi, non senza una buona dose di fatica. Il suo collo ormai stava per diventare un tuttuno con la moquette, per quanto teneva la testa bassa, e lo chignon ormai si era disfatto per le innumerevoli volte in cui lei aveva giocherellato con le ciocche ribelli, senza contare quelle in cui se le era avvolte attorno al dito.  Ryuga, accorgendosene ma essendo conscio di dover ancora ponderare con attenzione la sua decisione, fece per rassicurarla:”La contatterò domani e le darò la mia risposta” L’ansia di Lila crebbe esponenzialmente, perché non poteva liquidare subito quella faccenda? Così nessuno dei due ci avrebbe pensato più. Così operando, invece, le stava aprendo un lucernario, una speranza che sarebbe andata irrimediabilmente in frantumi il giorno successivo. Sospirò pesantemente, e si forzò ad annuire:”D’accordo, grazie…” Ryuga abbozzò un sorriso:”Dovrei essere io a ringraziare lei” Sussurrò tra sé e sè. 

La accompagnò all’ascensore, e la salutò educatamente, con la promessa di risentirla l’indomani mattina per una conferma o smentita. Appena fu certo che lei non si trovasse più nel suo raggio visivo, tornò verso l’ufficio, e mentre attraversava l’atrio, si rivolse alla bionda da favola:”Abigail, contatta mio fratello e digli di richiamarmi il prima possibile, è estremamente urgente!” Quella sbatté le lunghe ciglia diverse volte, nel vano tentativo di fargli gli occhioni da cerbiatta, che lui puntualmente ignorò e superò senza nemmeno ripensarci. In quel momento, un solo pensiero affastellava la sua mente: Lila Castervillle.

 

 

Sorseggiava il suo scotch con ghiaccio mentre discuteva col fratello, Inuyasha. Si assomigliavano tantissimo, tranne per il fatto che Inuyasha portava i capelli lunghi. Quest’ultimo fece schioccare la lingua sul palato:”Fratellino, sei in un mare di guai” Sentenziò, mentre giocherellava coi pesciolini nell’acquario di Ryuga, il quale sospirò, e si sedette sul bordo della finestra del suo superattico, senza avere nemmeno un po’ di vertigini. Aveva la camicia sbottonata, che lasciava intravedere i muscoli perfetti e scolpiti di braccia e torso, teneva in mano il drink che stava bevendo e ripensava alla conversazione avuta quel pomeriggio:”Inuyasha”

“Mh?”

“Hai presente quando ti ronza in testa una frase che hai già detto tu tante volte, e qualcuno la usa identica ma senza conoscerti?” Inuyasha lo fissò dubbioso:”Vuoi dire che quella Lila la pensa come te?” Lui annuì sospirando:”Uguale. E’ così giovane, fratello, sarebbe un talento sprecato. Ho visto in lei la voglia di fare, grandi potenzialità” Come risposta a questa affermazione, ricevette un’aggrottata di sopracciglia:”Ma se hai detto che non avete praticamente parlato di nulla!” Lui scosse la testa:”Ha parlato, ma senza mai essere esplicita, e senza autocommiserarsi. Mi ha trasmesso… Davvero tanto” Inuyasha alzò le spalle:”Allora non hai scelta, assumila” Lui si passò una mano sul viso:”E’ una scelta difficile, devo pensarci accuratamente” calò il silenzio nella stanza. Dopo un po’, Inuyasha propose:”After?” Ryuga assentì:”After”

   
 
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