Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: Rynarf    16/04/2016    0 recensioni
Rin è originario del Galles da parte della madre e nasce presso Newport, trascorrendovi i suoi primi due mesi di vita assieme alla sorella Eirlys, maggiore di due anni, la genitrice Caron ed il padre Stanley (usualmente chiamato Stan) di nazionalità Americana. A causa di forti diverbi con i discendenti materni, il giovane nucleo familiare decide di trasferirsi nel luogo natale di Stan: New York.
Le annate trascorrono lineari e gaie tra vacanze estive passate dai nonni Gallesi e comuni ricordi di famiglia, sino a quando un susseguirsi di date non comincia a consumare di vite di ogni singolo.
Genere: Malinconico, Slice of life, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
10 Giugno 2015 – Greenwich Village (NY) – 11:42 a.m.




Ho gli occhi gonfi come reminiscenti da un pianto, le gambe molli sostengono pigramente un accumulo di scorie denominate “Neirin”. Nel capo riecheggia il vago frastuono cittadino, giunge sino alla bocca dello stomaco, scombussola le viscere, percuote le membra. La presa delle dita sinistra si allenta, permettendo alla sottile busta della spesa di riversarsi in terra.
Devo chinarmi
non ce la faccio.
Devo chinarmi.
Il mondo è al rovescio quando abbasso il capo, si capovolge ripetutamente su se stesso una volta piegate le ginocchia per raccogliere le cibarie dal marciapiede. Socchiuse son le palpebre e l’equilibrio pare venir meno! Non accenno ad alcuno scatto repentino. Così com’è iniziata, la giostra cessa una volta riacquistata una corretta posizione eretta. Durante l’immane atto ho saldato la presa sulla lattina di Pals Strong fresca, comperata qualche minuto in precedenza al discount, e solo dopo averla riportata per l’ennesima volta alle labbra mi son reso conto di averla ammaccata! Poco importa, in fin dei conti, spero solo che con i suoi 8,5% di volume riesca ad alleviare un minimo il post-sbronza.
Un’ora prima avevo realizzato di essere a corto di tutto ciò che di primario per me era: cibo ed alcool. Il datato frigo dalla luce intermittente m’intimava severamente di scendere da casa per fare un minimo di compere, anche perché se fossi rimasto a fissarlo per qualche altro secondo mi sarebbe venuto un attacco epilettico. L’odore di vino rancido era intriso nell’alito, nel vestiario, nella pelle, pareva essersi appropriato addirittura del mio animo. Dunque mi apprestai, con la mole di un bradipo, a gettarmi sotto la doccia nella speranza di attutire quel malessere mattutino! Sortì il suo effetto per una quindicina di minuti, poi nuovamente ricaduta.
Non appena proferivo parola, avevo come l’impressione d’impestare tutto l’ambiente circostante; gli estranei presenti incollavano lo sguardo sulla mia figura con inaudito disgusto, eppure non riuscivo mai a coglierli in flagrante. Voltavo il viso verso l’aura negativa e scorgevo figure indaffarate, pensierose, indifferenti. Perfetto, adesso sono anche paranoico.
Lo scontrino stropicciato tra i pochi articoli nel sacchetto riportava come totale 16$. Crocchette di pollo surgelate, cartone da sei lattine di birra, latte, ovvero pranzo, cena e colazione, quanta varietà.
Sono le undici ed un quarto del mattino, mi sembra di aspettare da giorni davanti questo dannato semaforo! Quand’è che scatta il verde per i pedoni? E se mi gettassi sotto un’auto? Mal che vada finisco in coma, no?
Le iridi verdi-azzurre scivolano sugli anonimi volti dei pedoni che attendono anch’essi di poter attraversare al lato opposto della strada; d’un tratto incrocio le stesse, velate da un alone fumogeno quasi certamente proveniente da una sigaretta. La cortina sottile le rende opache e livide, ma io quegli occhi li conosco già. Privi di luce se non quando incarnano l’ira, o inghiottiti da bagliori alcolici. Una volta carezzavano i nostri visi con amorevole benevolenza, adesso trafiggono il petto erigendo un muro invalicabile.
Cinque anni e due mesi di assenza azzerati da una casualità ignobile, io e mia madre ci scrutiamo in lontananza come vecchi conoscenti dei quali non si è certi dell’identità.  Oramai il tempo è riuscito a raggrinzire il volto esageratamente vizzo a causa del troppo fumo, dell’alcool, dello stress, abbondanti appaiono i segni di un’esistenza più che esasperata. Le labbra sottili son serrate e sembra tendano al cinereo, una ricrescita imperlata d’argenteo incornicia quel viso spento assieme alla chioma sfatta, maltrattata. 
Resto pietrificato sul posto anche quando il resto della folla si scrosta dalle proprie postazioni apprestandosi nel percorrere le strisce pedonali a passo svelto. Anch’ella avanza, priva di vacilli. Le espressioni sui nostri grugni non mutano, tuttavia i tumulti all’interno del mio animo risultan implacabili e privi di nome. Rancore, attesa, ira, speranza, disgusto, commozione, rifiuto, rimembranze, ognuna di esse diviene indistinguibile e sfuggente assieme alla nausea che ancora attanaglia lo stomaco, contorcendolo. Un tremito giunge sordo alle membra facendo sussultare il braccio destro, lo stesso che sorregge la bevanda con ancora due o tre dita di liquido andante verso la temperatura ambiente, sfiatata. Allucinazione? Sono già ubriaco?
No, impossibile. Fiacco il grado alcolico e la vista troppo nitida, non la mia
la sua.
Macina l’asfalto liscio con flemma, persiste nel corrodermi la faccia con quelle pupille dannatamente simili alle mie, specchio dell’anima in frantumi che si sgretola come la fiacca fiducia, nata qualche istante prima, quando ormai la sagoma malandata supera il sangue del proprio sangue e prosegue indisturbatamente; indugio zero.
Neppur’io mi volto, limitandomi a battere ripetutamente le palpebre, successivamente abbassando lo sguardo sulla deformata Pals. Termino la sgasata bibita in modalità quasi vorace, sa di catrame, detesto gli ultimi sorsi di birra. Son finalmente riuscito a sbloccarmi, attraversando la strada mi sento quasi fluttuare, il vuoto totale nel cranio. Casca rovinosamente in terra il contenitore in latta e nel contempo estraggo dalla busta l’ennesima lattina.
Quella donna mi ha visto,
ci siamo riconosciuti.
Passatami accanto come un sussurro vago e sinistro, nonché vano.
Brindo a te, o madre! A noi e alla nostra imminente sbronza da ricordi.
“Cin – cin “.
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Rynarf