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Autore: iloveryuga    16/04/2016    3 recensioni
Prendete una ragazza povera e con un passato difficile alle spalle, catapultatela a New York e fatela incontrare con l'uomo più ricco e avvenente della città. I due avranno un bizzarro colloquio di lavoro, che farà rendere conto entrambi di quanto siano in realtà vicini e lontani allo stesso tempo...
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
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“E’ assunta” Queste due parole rimbombarono a lungo in quella stanza così fredda e vuota, affine alla mente di lei, nella quale non si muoveva alcun pensiero. Il tempo era come bloccato, sospeso in una dimensione ampia e fluttuante, in cui nulla era tridimensionale ma, piuttosto, evanescente. Lila non respirava o, almeno, questo sarebbe sembrato a chiunque l’avesse vista in quel momento. Era tutto fermo, immobile, e lo sarebbe rimasto per secondi che, al povero cuore della ragazza, parevano anni. Dall’altra parte della linea non si udiva nulla, solo un flebile esalare regolare tipico degli esseri viventi.

D’un tratto, Lila si riscosse, ma solo dopo aver sentito la calda e soave voce di Ryuga domandare:”Signorina, tutto bene?” Lei, ancora impossibilitata a formulare un pensiero razionale e logico, biascicò un:”S-sì, ci sono” Al di là del ricevitore, Ryuga stesso trasse un sospiro di sollievo e, quando percepì nuovamente quel silenzio così pressante, riprese:”Dica qualcosa, per l’amor del cielo!” Avvertendolo visibilmente esasperato, Lila sbattè le palpebre e tornò subito in sé:”Grazie… Grazie! Grazie davvero, non… Non la deluderò, promesso!” La sua voce trasudava riconoscenza e voglia di dimostrare il suo valore, cosa che, alle attente orecchie di Ryuga, non sfuggì. Lila fu sicura che lui stesse sorridendo:”Molto bene, allora. La aspetto domani mattina alle otto in punto. Veda di essere puntuale, non tollero ritardi” Rispose con voce asettica, distaccata, autorevole. Meglio chiarire le cose fin da subito, si disse l’albino, il quale stava formulando pensieri poco ottimistici riguardo la carriera della sua nuova segretaria. Nonostante avesse deciso di assumerla, infatti, lui la stava soltanto testando, voleva sondare il terreno, voleva vedere e sperimentare la sua resistenza. Era una prova di forza e testardaggine fra il principe e la serva; se Lila fosse riuscita a vincere, il posto sarebbe stato suo permanentemente. Ora vi starete chiedendo se Ryuga usasse questo sistema dannatamente estenuante con tutte le segretarie. La risposta è no.  Ma allora, perché comportarsi così solo e soltanto con lei? Perché, anche se lui non l’avrebbe mai ammesso né ad altri né a sé stesso, quella ragazza l’aveva colpito nel segno, scosso nel profondo. Non sapeva perché, non sapeva come, sapeva soltanto che, in circostanze analoghe ma con un’altra persona, appena questa si fosse presentata a quel modo nel suo ufficio, l’avrebbe cacciata senza esitazione. In lei, invece, aveva visto passione, umiltà, intelligenza. Una profondità di concetti che non si sarebbe mai aspettato. Ecco, allora, la verità: l’aveva sorpreso. Una cosa che non accadeva ormai da… Non se lo ricordava neppure. Non poteva permettersi di sentirsi confuso, distratto e, di fatto, auspicava che lei mollasse. Era una cosa davvero intollerabile che, solo una singola persona apparentemente misera, fosse riuscita ad attirare la sua attenzione: era una cosa che andava stroncata sul nascere. Nonostante ciò, una piccola, recondita e remota parte del suo cuoricino, ormai freddo e in disuso da anni, sperava che lei resistesse e rimanesse con lui. Più lui cercava di reprimere e cancellare questa voglia malsana, quell’angolo così gelosamente custodito da porte blindate in acciaio, scalpitava per prevalere sul suo lato razionale e responsabile. Una lotta interiore estenuante, che l’aveva portato quasi alla pazzia, e che aveva guidato la sua mano verso l’Iphone e la stessa che l’aveva quasi costretto a digitare quel dannato numero di telefono.  Lila, dal canto suo, era sempre stata una persona dubbiosa e insicura di sé, anche e soprattutto per l’ambiente nel quale era cresciuta, e la prospettiva di dover affrontare una simile responsabilità la terrorizzava. E se Ryuga si fosse sbagliato sul suo conto? Se fosse stata talmente incapace da combinare un pasticcio dietro l’altro? Non sarebbe di certo stata la prima volta. Nel suo paese, piccolo per quanto fosse, lei era soprannominata “Lila, il disastro ambulante” tanto che, quando andava a scuola, i suoi compagni la salutavano con un baldanzoso:”Ehi disastro!” Si sapeva, la piccola Dalila era talmente timida e imbranata da inciampare su qualunque buccia di banana si fosse trovata per terra. Anche con le relazioni era la stessa cosa, aveva ben pochi amici e, nel corso della sua vita, era stata con un solo ragazzo, che aveva mollato quando era partita per New York. Solo una persona le era stata sempre accanto ed era capace di comprenderla con un solo sguardo, la figlia di suo zio, sua cugina Julie. Con lei era sempre stato tutto fin troppo facile, si vedevano e si capivano, senza bisogno di parole superflue. Lila ci aveva sofferto da morire quando Julie dovette trasferirsi nel Nevada per il lavoro del padre. Tuttavia il loro rapporto non si era per nulla affievolito; certo, si vedevano solo nel weekend, quando andava bene, ma lettere, poi messanger e infine whatsapp le avevano tenute unite. Ma qui non si parlava di sua cugina, e quel posto non era Auburn, la sua città di provenienza, di circa duemila abitanti… In quella nuova realtà, dove anche una formica sembrava un gigante, perfino un lavoro da segretaria sembrava spaventoso e angosciante. Soprattutto se il tuo capo è un figo da paura che possiede un patrimonio superiore a quello di uno sceicco arabo. Per la prima volta da quando si era trasferita, Lila si ritrovò a rimpiangere Auburn, coi suoi quattro negozi sul viale principale e la scuola superiore composta solo di quattro sezioni che si alternavano di anno in anno. Cosa avrebbe fatto? Come si sarebbe comportata? Cosa avrebbe indossato? Avrebbe fatto le scelte giuste? Domande che, quando ancora abitava nel suo piccolo mondo, non si era mai posta. Le piombava tutto addosso così in fretta che non aveva avuto neppure il tempo di passare da euforica a terrorizzata. Non sapeva nemmeno come sentirsi. Abbassò lo sguardo, avvertendo già quel terribile senso di inadeguatezza che, da quando si trovava lì, la attanagliava quasi sempre, e si sedette sul divano:”Certo, otto in punto, niente ritardi” Ryuga non se la sentì di proseguire quella conversazione così… Bizzarra:”Buona serata, a domani” Lila trovò la forza per rispondere un cortese:”A domani” Nessuno dei due chiuse, calò ancora il silenzio. Poi, incredibilmente, l’albino parlò:”Lila?” La ragazza, già scossa e ancora più sorpresa che l’avesse chiamata così e non col suo vero nome, rispose:”Sì…?” Dopo qualche secondo, lui parlò:”Cerchi di mangiare qualcosa, le farà bene” Pronunciate queste parole, il trentacinquenne si affrettò a concludere la chiamata. Si schiaffò una mano in fronte, cos’era appena successo?! Che diavolo gli era saltato in mente per dire una cosa simile?! Da quando si preoccupava così per una persona qualunque? Probabilmente quella frase non l’avrebbe rivolta neppure a suo fratello. Aveva smesso di struggersi per le persone tanti e tanti anni fa. E allora, da dove gli era uscita quell’intimazione così accorata? Non se lo spiegava, non riusciva a darsi una risposta che lo soddisfacesse. Si sedette sul letto, abbastanza scosso e angosciato, e si prese la testa fra le mani: a quanto pareva, la doccia non era servita a granchè. 

Lila era pietrificata. Aveva ancora il vecchissimo cellulare Nokia apriechiudi, come lo chiamava Julie, attaccato all’orecchio, come se le parole appena pronunciate da Ryuga fossero imprigionate in quella scatolina e lei non volesse lasciarle sfuggire, per nessuna ragione al mondo. Si era preoccupato per lei…? Nemmeno suo padre le aveva mai consigliato di mangiare, e sicuramente non era tra i suoi pensieri il pranzo di Lila. Da dove veniva quella apprensione così sincera? Cosa avesse mai fatto per meritarsela PROPRIO DA LUI, non le era assolutamente chiaro. Di una cosa, però, era certa: non era stata una cosa ragionata, gli era venuto di getto pronunciare quella frase tanto dolce. Questo, se possibile, non fece che alimentare il suo dubbio, dato che lei sapeva perfettamente che, in una situazione normale, Ryuga non si sarebbe mai esposto così tanto. Indi per cui, in quell’istante di tenerezza idilliaca, lui aveva ragionato col cuore e non con la testa. Ma allora cosa gli diceva il cuore? Lila si grattò freneticamente la testa, conscia del fatto che, trattandosi proprio di quella persona, novanta su cento non avrebbe trovato risposte, a meno che non glielo chiedesse… E, anche in quel caso, non era affatto detto che lui le avrebbe risposto… Che macello, si disse, aveva a che fare con un soggetto incomprensibile. Certo, anche lei non aiutava con la sua timidezza, però diamine! Ryuga non lasciava trasparire nulla. Si rannicchiò su sè stessa, abbracciando le ginocchia e infilandoci la testa in mezzo. L’indomani alle otto… Non ci voleva neppure pensare.

 

Si guardò allo specchio e, come al solito, si trovò scialba e sciatta.Non era vestita male, semplicemente… Le sembrava poco formale indossare una camicetta a fiori, un paio di jeans e delle vecchissime All Star bianche. D’accordo, non aveva le disponibilità economiche per acquistare abiti migliori, ma anche presentarsi così il primo giorno di lavoro… Di fatti, quando varcò la soglia dell’ingresso, tutti gli occhi si posarono su di lei e sul suo abbigliamento. Notandolo, Lila diventò un tutt’uno con la tappezzeria, e affrettò il passo per raggiungere l’ascensore. Stringeva al petto una cartelletta color beige, contenente la carta di identità, che si era fatta fare il giorno prima, e alcuni fogli bianchi, nel caso le servisse… che so, prendere appunti? Non aveva idea di cosa volesse dire fare la segretaria, l’aveva solo visto in alcuni film, ma nel pratico non sapeva in cosa consistesse e quali compiti prevedesse, e sopratutto era sicura di avere molto da imparare. Appena le porte dell’ascensore si spalancarono, lei cercò di assumere l’aria più seriosa e sicura di sè che riuscisse ad ostentare, ma il risultato lasciava decisamente a desiderare. Una volta di fronte alla porta dell’ufficio del suo novello capo, trasse un respiro profondo e bussò. Qualche istante dopo, da dentro, giunse un:”Avanti!” che convinse Lila ad entrare. Si chiuse la porta alle spalle, e sussurrò timidamente:”Buongiorno, signor Kishatu” Ryuga, il quale stava già programmando di mettere in atto il suo piano… Diabolico, decise di tralasciare sull’abbigliamento di lei: non era carino infierire su una simile situazione economica, e lui non voleva certo essere scortese, ma solo sospettoso. Rispose al suo saluto con un cenno del capo:”Buongiorno a lei. Vede quella porta scorrevole alla sua destra?” Lila si voltò immediatamente verso la direzione indicatagli e riscontrò di non aver mai fatto caso alle due ante adiacenti collocate sulla parete. L’albino proseguì:”Lì dentro troverà un’uniforme, costituita da un tailleur, una giacca e un paio di scarpe con tacco. La prenda e la indossi, può cambiarsi nel bagno. Da ora in poi, voglio che lei la indossi ogni qualvolta metterà piede in ufficio. Sono stato chiaro?” La ragazza, colma di riconoscenza per averle procurato lui una divisa adatta e averle tolto l’incombenza di sceglierne lei una, annuì sorridendo:”Grazie mille, faccio subito” E così fu. Prese i vestiti, andò in bagno e si cambiò. Poi, naturalmente, si ammirò allo specchio: non era nulla di speciale, sia il vestito che la giacca erano grigio topo, mentre le scarpe erano nere. L’unico particolare che a Lila andava di traverso erano proprio queste ultime, dato che lei non aveva mai portato tacchi in vita sua. Si barcamenò fino all’ufficio, facendosi ridere dietro da Abigail, abituata invece a fluttuare su quei… Cosi. Per quanto Ryuga si sforzasse di mantenere un profilo freddo e distaccato, vedendola così, trattenne a stento una risata, che dissimulò schiarendosi la voce:”Non ci è abituata, vero?” Pose questa domanda retorica per il puro piacere di sentirglielo dire, lei sbuffò:”Cosa le sembra?!” Si pentì immediatamente di essere stata tanto indisponente, infatti si tappò velocemente la bocca e abbassò il capo:”E-ehm, volevo dire… No, signore, non ci sono abituata. Non ho mai portato tacchi” L’albino inarcò il sopracciglio, gesto che, Lila avrebbe presto imparato, significava intensa perplessità; ancora una volta, tuttavia, decise di passare sopra alla sua risposta arrogante. Non sapeva perché, ma gli veniva spontaneo abbonarle tutto. No, doveva diventare più rigido, se voleva avere una speranza  di poterla liquidare:”Che non ricapiti mai più una cosa simile. Non tollero l’anarchia né tantomeno la maleducazione nel mio ufficio. Non glielo ripeterò una seconda volta” E di nuovo la diciottenne si sentì sprofondare sotto il peso del suo sguardo accusatore, annuì sommessamente:”Scusi ancora…” Il trentacinquenne sospirò, fingendosi estremamente contrariato:”Non tollero questi atteggiamenti, se lo ricordi. Ora, mi porti un caffè forte con cinque zollette di zucchero, e veda di sbrigarsi!” Nell’impartire quest’ordine, usò il tono più perentorio che sapesse utilizzare, tanto che fece scattare Lila sull’attenti. La poverina non sapeva nemmeno l’ubicazione della macchinetta del caffè, e fu costretta a chiedere informazioni ad Abigail, la quale, ovviamente, le rispose con sufficienza.

Ci furono alcuni problemi con la macchinetta, Lila dovette addirittura chiamare il tecnico specializzato, dato che non scendeva la bevanda. Alla fine, tornò da Ryuga dopo venti minuti, rischiando di cadere infinite volte a causa di quelle maledette scarpe. Col fiatone e i capelli spettinati, posò il bicchierino sulla sua scrivania. Ryuga le buttò un fugace sguardo, poi si portò la bevanda alle labbra, e Lila attese il suo fatidico responso. Dopo qualche secondo di degustazione, l’albino sentenziò:”E’ amaro, le avevo detto cinque zollette” La ragazza cominciò a tremare ed a balbettare:”S-scusi… Io… Ero convinta fossero cinque, ma poi… C-ci sono stati dei problemi con la macchinetta e…” Il trentacinquenne alzò gli occhi su di lei, fissandola severo:”Non scarichi le sue responsabilità su altro, tenga gli occhi sulla palla: ha sbagliato, lo ammetta. E’ cosa matura riconoscere i propri sbagli” Dichiarò, lasciando cadere il caffè direttamente nel cestino. Lila strinse le mani in grembo e chinò il capo:”Scusi, ha ragione. La prossima volta farò più attenzione” Ryuga, fiero di aver cominciato a metterla in difficoltà, scandì:”Primo giorno.”

 

La giornata per Lila fu lunghissima e logorante. Qualsiasi cosa facesse, al suo capo non andava bene, l’avrebbe voluta in un altro modo. Cominciava a chiedersi se l’alternativa fosse Miss Assorbenti, in tal caso non avrebbe mai retto il paragone. Per grazia divina, l’orologio scoccò le cinque, orario in cui lei smontava. Cominciò a riordinare le sue cose, quasi certa che lei, in quell’ufficio, non ci avrebbe mai più messo piede. Fu come aveva pensato, lei non era all’altezza di un incarico simile; in più, come se non bastasse, aveva deluso l’unica persona che avesse mai creduto in lei. Mentre sospirava, rimuginando su queste cose, Ryuga si parò davanti alla sua scrivania, facendole prendere un accidente. Inspirò di colpo quando lo vide, poi si posò una mano all’altezza del petto:”Scusi, mi ha spaventata…” L’albino assunse un’aria sorniona:”Di solito le donne le ammalio, non credevo di essere così brutto da far spavento” A quelle parole, Lila avvampò su guance e orecchie:”N-n-no, si figuri, non intendevo quello… E’ solo che… Lei si è presentato così, di colpo, e io credevo…” Il trentacinquenne non la fece concludere:”La aspetto domani mattina alle otto, come sempre” La ragazza rimase a bocca aperta:”Ma… Io credevo che mi avrebbe licenziata!” Ryuga, il quale stava tornando verso il suo ufficio con le mani giunte dietro la schiena, si bloccò, e voltò poco il viso per domandarle:”E cosa glielo ha fatto pensare?” Lei guardò a terra, e prese a spellarsi le mani:”Beh, ecco… Non ho combinato nulla di buono, ho sbagliato tutto” In un secondo, le fu di nuovo davanti, questa volta ad un palmo dal viso:”Impari a guardarmi negli occhi quando parla, non sopporto che gli occhi vaghino altrove” Detto questo, si allontanò per fissarla con alterigia:”Sì, è vero, ha sbagliato tutto. Dalla prima all’ultima cosa. Ma, dopotutto, è ancora qui, non è scappata. Questo le fa onore, riconosco, ma si ricordi che siamo solo al primo giorno” L’ultimo inciso lo pronunciò con cattiveria, come se avessero aperto un vecchio conto in sospeso. Il rumore della busta bianca, contenente lo stipendio di Lila, perché Ryuga era uno degli unici che pagava i dipendenti a giornata e non a mese, sbattuta con forza sulla scrivania di lei, produsse un eco sordo che si propagò per tutto l’atrio del piano attico. Rimasero a fissarsi per secondi che parevano secoli, fin quando l’albino si allontanò nuovamente, sistemandosi il nodo della cravatta:”Buona serata, Dalila” Pronunciò il suo nome quasi schifato, mentre si ritirava nel suo antro… Ehm, ufficio, lasciando la povera Lila con un palmo di naso.

Appena entrata in casa, non prima, aprì la busta con mano tremante… Ottomila dollari?! Cioè lui la stava pagando mille dollari all’ora?! No, non era possibile, doveva esserci di sicuro un errore. Non era mica una principessa lei, e il suo tempo non valeva certo oro. Allora perché tutti quei soldi? Certo, non le facevano schifo, ma… Non le pareva giusto, era davvero troppo. Dopo averli contati ed essere sicura della cifra, li rimise al loro posto, e si sedette sul letto. L’indomani avrebbe chiesto spiegazioni, senza ombra di dubbio.

 

“Ryuga, sono le due di notte… Che c’è?” Rispose al telefono Inuyasha con voce impastata dal sonno:”Non ha mollato.”
“Che?! Tu sei pazzo, fratello, fottiti e torna a dormire”

“No, pezzo di stronzo, è una questione di principio. Domani vedrai che bell’accoglienza le farò, ho già un piano. Mollerà, te lo assicuro”

   
 
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