Jealousy
“Io non l’amavo più da settimane, mesi forse, però ne ero geloso. L’idea che potesse essere felice con qualcun altro non mi piaceva affatto. Non volevo che mi dimenticasse, che si disinteressasse, che diventassimo sguardi che si incrociano alla metro alle sette del mattino”.
Il grande Gary Oak era solito lasciarsi scivolare tutto addosso come se nulla fosse, troppo perso nella contemplazione di sé per concentrarsi su ciò che facevano gli altri. Il solo pensiero che una ragazzina dalla chioma cerulea e le iridi oltremare potesse rubare la chiave del suo cuore, aprire quel lucchetto rimasto chiuso per anni, gli era sembrato ridicolo, agli inizi; ora invece era una consapevolezza che gli faceva perdere la ragione.
Quelle dita morbide e lisce — che un tempo lo sfioravano tutti i giorni — stavano stringendo amorevolmente la mano di un giovane dai capelli castani e l’aspetto ingenuo, dall’altro lato della stazione ferroviaria, e non accennavano a smettere; era buffo pensare che solo poche settimane prima avevano stretto la sua, era insolito essere così vicini ma sapersi emotivamente distanti.
Sentì un groppo in gola e un’improvvisa difficoltà nel respirare; inarcò le sopracciglia, scioccato da quelle sensazioni così nuove e pulsanti che minacciavano di straripare dalla diga del suo autocontrollo. Gelosia, non aveva mai avuto a che fare con quel sentimento viscido e crudele, che si insidia nella mente degli uomini e impedisce loro di riflettere lucidamente. Non sapeva come avesse fatto a capire, solo dopo averla persa, che Lucinda era così importante per lui, sapeva solo che il suo cervello continuava a urlargli a gran voce di andare da lei e fare qualcosa; di andare a riprendersela.
Ma in fondo, cosa poteva fare? Lei non era più sua.
Incrociò il suo sguardo e notò il suo profilo irrigidirsi, così come la presa sulla giacca verde del compagno farsi più molle.
In quel momento, in quel preciso istante, si riprese, issò fieramente il capo e ghignò: forse non era tutto perduto, forse aveva ancora speranze con Lucinda.
Del resto, lui era il grande Gary Oak.
Quelle dita morbide e lisce — che un tempo lo sfioravano tutti i giorni — stavano stringendo amorevolmente la mano di un giovane dai capelli castani e l’aspetto ingenuo, dall’altro lato della stazione ferroviaria, e non accennavano a smettere; era buffo pensare che solo poche settimane prima avevano stretto la sua, era insolito essere così vicini ma sapersi emotivamente distanti.
Sentì un groppo in gola e un’improvvisa difficoltà nel respirare; inarcò le sopracciglia, scioccato da quelle sensazioni così nuove e pulsanti che minacciavano di straripare dalla diga del suo autocontrollo. Gelosia, non aveva mai avuto a che fare con quel sentimento viscido e crudele, che si insidia nella mente degli uomini e impedisce loro di riflettere lucidamente. Non sapeva come avesse fatto a capire, solo dopo averla persa, che Lucinda era così importante per lui, sapeva solo che il suo cervello continuava a urlargli a gran voce di andare da lei e fare qualcosa; di andare a riprendersela.
Ma in fondo, cosa poteva fare? Lei non era più sua.
Incrociò il suo sguardo e notò il suo profilo irrigidirsi, così come la presa sulla giacca verde del compagno farsi più molle.
In quel momento, in quel preciso istante, si riprese, issò fieramente il capo e ghignò: forse non era tutto perduto, forse aveva ancora speranze con Lucinda.
Del resto, lui era il grande Gary Oak.