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Autore: _armida    19/04/2016    3 recensioni
“Sono stupito, non credevo che un bel faccino riuscisse anche a maneggiare un’arma con tale bravura”, disse il Conte.
Elettra provò a tirarsi su, ma finì per andare ad urtare contro la lama della spada, ferendosi leggermente uno zigomo.
“Dovete stare attenta, non volete di certo rovinare tutta questa bellezza così”, aggiunse allontanando la spada dalla faccia della ragazza. Doveva dargliene atto, era davvero bella. Non lo aveva notato prima, quando Grunwald l’aveva portata all’accampamento priva di sensi, era troppo preso dal chiedere al garzone di Da Vinci dove si trovasse la chiave.
Fece cenno a due guardie svizzere di tenerla ferma, mentre lui la perquisiva in cerca di altre armi nascoste. Non ne trovò, ma la sua attenzione fu catturata da qualcosa che la ragazza teneva nella tasca sinistra dei pantaloni: si trattava del suo blocco da disegno. Quando fece per sfogliarlo, una moneta, contenuta al suo interno cadde a terra; non si trattava di una moneta comune, era in oro e presentava sulla sua superficie la faccia di un dio pagano. La raccolse e la osservò accuratamente.
“Cosa sapete riguardo ai Figli di Mitra?”
VERSIONE RIVEDUTA E CORRETTA SU WATTPAD
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Girolamo Riario, Giuliano Medici, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Elettra'
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Capitolo XXVIII: Roma, parte II
 
La sera successiva...

Elettra, da dietro un angolo della strada, osservò attentamente le guardie che sorvegliavano l’entrata. Erano due, proprio come aveva detto Zoroastro.  
Si sistemò meglio il mantello blu notte sulle spalle ed abbassò leggermente la già pronunciata scollatura dell’abito. Era perfettamente consapevole che, in caso di fuga tempestiva, la lunga gonna l'avrebbe rallentata parecchio, ma un paio di pantaloni non l’avrebbero fatta passare così inosservata.
Ovviamente non aveva potuto portare la sua spada con sè e, in caso di bisogno, avrebbe potuto contare solo sul piccolo pugnale nascosto tra gli strati di stoffa e sul sacchettino che teneva in tasca; al suo interno era contenuta una polvere soporifera, una ricetta dei Figli di Mitra, trovata fra le pagine di uno dei diari della madre.
Prese un lungo respiro, chiudendo gli occhi; la festa stava per cominciare, con lei che entrava dalla porta principale e Leonardo attraverso le fogne.
Quando gli riaprì, essi avevano assunto la loro solita espressione innocente; con passo volutamente incerto e guardandosi intorno irrequieta, si diresse verso l’entrata.
Era un’ottima attrice e quella sarebbe dovuta essere la sua migliore interpretazione.

“Scu-scusate”, balbettò, attirando così l’attenzione delle guardie. 
“In cosa possiamo esservi utili, madonna?”, chiese gentilmente una di queste, studiandola attentamente e fermando infine il suo sguardo all’altezza della scollatura dell’abito.
Elettra abbassò il capo, fingendosi imbarazzata. Le sue guance si tinsero leggermente di rosso. “Ehm..io-io ho qui una lettera del Cardinale Mercuri...”, disse, cominciando a rovistare nella propria bisaccia. In modo il più goffo possibile, estrasse da essa la missiva, che le scivolò volontariamente dalle mani, in un gesto che però non apparve per nulla forzato. 
Lasciò che la guardia si chinasse per raccoglierla. “Scusatemi...sono così sbadata”, balbettò nuovamente.
L’uomo le sorrise. “Non preoccupatevi, sono cose che capitano”. Ruppe il sigillo, cominciando così a leggere.
“Succede troppo spesso, invero...”, cominciò a raccontare, con voce rotta. I suoi occhi cominciarono a diventare lucidi. “Come oggi... Sono ospite da mio fratello, il Vescovo Becchi e mi aveva comunicato che stasera sarebbe venuto a cena da noi il Cardinale Mercuri e io...io ho avuto la malsana idea di mettermi a cucinare...poveretti. Io...io non volevo di certo fargli prendere un’intossicazione alimentare. Non...non avevo idea che il pollo fosse andato a male e...”. Come a coronare quel teatrino, una lacrima le scese lentamente su di una guancia, impietosendo ancora di più le due guardie. “Il Cardinale aveva bisogno di alcuni importanti documenti ma con i suoi problemi intestinali non poteva di certo uscire e mio fratello era messo quasi peggio e così mi sono offerta io di venire a prendere quelle carte...”, mormorò. “Spero non li accada niente mentre sono via...voi non avete idea di quante volte ho già svuotato i loro vasi da notte...e se ne avessero bisogno mentre sono qua?”. Finse un leggero panico, mentre le guardie la osservavano, provando pena per quel povero esserino.
I due uomini si lanciarono un’occhiata, annuendo. “Solitamente per un permesso del genere bisognerebbe chiedere l’autorizzazione al Capitano Grunwald o al Conte Riario, ma, visto che dovete tornare il prima possibile a casa, per questa volta faremo un’eccezione” 
Ai loro occhi Elettra appariva come una timida ragazzina spaventata. Un’assolutamente innocua timida ragazzina spaventata.
A quelle parole il suo viso si aprì in un largo sorriso, apparentemente pieno di gratitudine. “Io-io...non so davvero come ringraziarvi”, squittì, abbracciando l’uomo che le era più vicino  e dandogli un bacio sulla guancia, in un gesto goffo. Si ritrasse subito, imbarazzata.
La guardia le lanciò un’espressione soddisfatta. “Vi accompagno nello studio del Cardinale”, disse, facendole cenno di passare. Le si accostò, poggiandole una mano nell’incavo della schiena e lasciandola scendere leggermente.
Elettra deglutì, mentre le sue guance tornarono a colorarsi di rosso. Dalla rabbia, questa volta. 
Si sforzò di sorridergli, nonostante stesse cercando con tutte le sue forze di vincere l’impulso di dargli un sonoro ceffone in faccia.

Lo studio di Mercuri era un luogo piuttosto lugubre, dominato dai colori scuri: al centro della stanza dominava un’imponente scrivania di legno massiccio e tutto intorno ad esso, contro alle pareti, vi erano diversi armadi e scomparti, pieni zeppi di carte e libri; non vi erano finestre, dal momento che esso si trovava sotto terra.
Elettra si guardò in giro, cercando di individuare l’armadietto contenente i documenti più importanti. Non le ci volle molto, dal momento che era l’unico dotato di serratura.
“Il Cardinale vi ha detto dove ha messo i documenti di cui ha bisogno?”. La guardia svizzera, alle sue spalle, la riportò con i piedi per terra. Ad Elettra, la vista di troppi libri nella stessa stanza, causava sempre un attimo di smarrimento; se non fosse stata lì per ‘prendere in prestito quel documento’, probabilmente si sarebbe messa a sfogliarli tutti.
La ragazza si voltò verso l’uomo. “Mi ha detto che dovrebbero trovarsi sulla scrivania”, disse, avvicinandosi ad essa. Per sua fortuna, vi era un voluminoso plico di fogli su di essa, vicino alla seduta del Cardinale. Passò volutamente troppo vicino ad un portamatite, appoggiato in equilibrio precario su di un angolo. Ovviamente il mantello le si impigliò, facendolo finire a terra. “Oh...che sbadata che sono!”, si lamentò, mettendosi in ginocchio e cominciando a raccogliere i vari oggetti dal pavimento.
Anche la guardia si mise in ginocchio ad aiutarla. 
Una piccola distrazione dell’uomo ed Elettra, con un gesto fulmineo, estrasse dalla tasca una piccola manciata di polvere, soffiandogliela in faccia.
“Ma cos...?”. L’uomo non riuscì a finire a frase, visto che cadde su di un fianco, addormentato. 
Elettra si tirò in piedi, lanciandogli un’occhiata piena d’odio.
Si diresse alla porta, assicurandosi che fosse ben chiusa, poi sfilò una forcina dai capelli e si diresse verso l’armadietto.
La serratura scattò appena una manciata di secondi dopo e si lasciò sfuggire un sorriso soddisfatto, mentre prendeva in mano una cartelletta in pelle, etichettata come ‘Caso Becchi’.
Tutto procedeva a meraviglia. O almeno così pensava...

 *** 
 
Nel frattempo, all’entrata degli Archivi Segreti... 

La guardia svizzera era immobile, ritto nella propria posizione; l’unico dettaglio insolito era il sorrisetto sornione che aveva fatto la comparsa sul suo volto. 
Il suo compagno di ronda se ne era andato da un po'; probabilmente si stava ‘intrattenendo’ con la ragazza. Chiuse gli occhi, pensando a quel corpo all’apparenza perfetto, a quel viso dai lineamenti delicati e quei luminosi occhi azzurri. Sì, se fosse stato in lui, ci avrebbe messo molto tempo a tornare. Possibile che prima di allora nessuno avesse mai parlato della sorella del Vescovo Becchi? Una del genere non passava di certo inosservata...
Scosse la testa, cercando di scacciare via certi pensieri inopportuni dalla propria testa.
Era da troppo che non toccava una donna: aveva bisogno di un permesso per una notte. E di un bordello.
Ci stava fantasticando un po’ sopra, quando due persone arrivarono di fretta. 
Impallidì, al vedere il Capitano Grunwald in compagnia di...Lupo Mercuri.
Il Curatore degli Archivi Segreti Vaticani era proprio davanti a lui!
Da quello che la sorella del Vescovo Becchi gli aveva detto, non sarebbe neanche riuscito ad alzarsi dal vaso da notte... E non solo era lì, appariva pure in perfetta salute!
“Perché sei qui di guardia da solo?”, gli chiese bruscamente Grunwald.
Lo sguardo incredulo della guardia passò velocemente dal Capitano a Mercuri. “Voi...il pollo..l’intossicazione alimentare...il vaso da notte...”, si mise a balbettare. Gli sembrava di essere diventato come quella ragazzina impacciata. Sbarrò gli occhi: gli era sembrata innocua ed indifesa...perché aveva la brutta sensazione di essere stato raggirato?
“Questa guardia è ubriaca!”, si lasciò sfuggire il Cardinale. 
“Voi...”, disse guardandolo, “Vi credevo a casa del Vescovo Becchi con...ehm...gravi problemi intestinali”
Mercuri gli scoppiò a ridere in faccia. “Il Vescovo Becchi è a cena dal Cardinale Riario Sansoni e io, come potete vedere con i vostri occhi, sono in perfetta forma” 
“Ma la ragazza...lei aveva detto così...aveva  una vostra missiva che recava queste parole...c’era anche la vostra firma!”
Mercuri e Grunwald si guardarono, allarmati. 
“Quale ragazza?!”. Il Cardinale, in un gesto inaspettato, prese la sua spada, premendola contro il collo della guardia, che si trovava con le spalle schiacciate contro il muro.
“La-la sorella del Vescovo Becchi”, balbettò. 
“Quella strega!”, urlò rabbioso Mercuri. “Dov’è ora?!”
“Nel vostro studio con l’altra sentinella”
“C’è un protocollo da seguire!”, disse in modo tutt’altro che amichevole Grunwald. “Dovevi chiedere l’intervento del Conte Riario”
La guardia abbassò lo sguardo, ben consapevole del proprio errore.
“Dobbiamo catturarla prima che riesca ad uscire dal mio studio!”, borbottò Mercuri, dirigendosi a passo spedito all’interno degli Archivi, la spada stretta in mano, pronta a colpire: avrebbe fatto passare a quella ragazzina impertinente la voglia di comportarsi in quel modo.

Elettra aveva appena messo un piede fuori dallo studio di Mercuri, quando delle voci sospette le giunsero alle orecchie: sapeva benissimo a chi appartenevano.
Lanciò sottovoce una sfilza di imprecazioni che avrebbero fatto impallidire persino uno scaricatore di porto: stava andando tutto bene, Mercuri non poteva aspettare ancora una manciata di minuti prima di presentarsi negli Archivi?
Valutò le opzioni: era inutile scappare, l’abito lungo le avrebbe fatto rapidamente perdere terreno e Grunwald o qualcuna delle sue guardie svizzere l’avrebbe senz’altro raggiunta in poco tempo. Tanto valeva tornare dentro ed aspettarli; se nessuno aveva ancora dato l’allarme, significava che molto probabilmente la loro intenzione era quella di coglierla di sorpresa. E per farlo non potevano di certo allertare molte guardie svizzere.
Se questa ultima ipotesi fosse stata vera, una volta aver messo al tappeto Mercuri, Grunwald e la sentinella all’entrata, il pericolo sarebbe rientrato.
Si sedette sulla scrivania, cominciando a sfogliare i documenti su Lucrezia e sua madre, in attesa dell’arrivo dei tre.
Attesa che durò appena una manciata di secondi.

Mercuri e Grunwald entrarono come due furie nello studio, ma si bloccarono non appena videro la ragazza seduta comodamente sul piano di legno della scrivania.
“Cardinale Mercuri, Capitano Grunwald, buonasera”, gli salutò, facendo un sorrisetto ironico e accavallando le gambe, come a mostrare che in quella situazione si sentiva pienamente a proprio agio. Teneva una mano nascosta dietro alla schiena.
“Cosa ci fate voi qui?”, chiese Mercuri, fumante di rabbia.
“Ma come? In tutte queste settimane non avete sentito la mia mancanza?”. Sempre quel tono troppo impertinente.
“Arrendetevi e magari potrei essere misericordioso con voi”, tentò di convincerla il Cardinale.
“E come pensate di fare? Magari ordinando al boia di strangolarmi prima di finire arrostita sul rogo?”
Vide Mercuri digrignare i denti e sorrise, soddisfatta delle proprie parole.
“Cosa nascondete dietro alla schiena?”. Grunwald la guardava con astio e la spada sguainata, puntata contro di lei.
“Potrei anche mostrarvelo, se abbasserete le armi”
“Pensate davvero che siamo così ingenui da cascarci?”. Questa volta fu il Cardinale e non lei a fare del sarcasmo.
Elettra fece finta di assumere un’espressione pensierosa. “In effetti...”, disse, scendendo dalla scrivania e avvicinandosi ai due uomini.
Stava per fare una cosa folle, se ne rendeva perfettamente conto, però non aveva molte altre opzioni. “Lux”, mormorò.
Una forte luce, proveniente dal ciondolo al suo collo, si propagò per l’ambiente, accecando momentaneamente i due, colti alla sprovvista. Con un gesto fulmineo, la ragazza li soffiò in faccia la polvere soporifera e, prima ancora di capire cosa stesse succedendo loro, caddero a terra addormentati.
Elettra uscì di corsa dallo studio, chiudendolo a chiave, e si mise a correre. La sentinella all’entrata non era con Grunwald e Mercuri: era senz’altro andato a chiamare rinforzi. Uscire dalla porta principale era da escludere, quindi doveva trovare uno dei numerosi passaggi segreti. 
Superò in fretta alcuni corridoi, cerando di allontanarsi il più possibile dal rumore concitato di passi e dal tintinnio delle armature.
Si accostò ad un arazzo, ben consapevole che dietro ad esso vi era un cunicolo che portava direttamente al cuore degli Archivi; roteò il candelabro appeso alla parete e, dopo aver sentito il rumore dello sblocco della serratura, spinse la parte di muro, entrando senza alcuna esitazione nel buio più profondo.
Ben pochi conoscevano quei passaggi segreti, quindi sarebbe stata relativamente al sicuro.
Appoggiò una mano contro al muro mentre camminava, in modo da cercare di orientarsi. Dopo alcuni minuti, nell’oscurità riuscì a scorgere una sottilissima lama di luce, segno che il cunicolo terminava lì: era giunta a destinazione. Cercò a tentoni la leva per azionare il meccanismo di sblocco del muro e, dopo averla tirata verso il basso, essa si aprì di alcune spanne, permettendole di entrare in quella che aveva tuta l’aria di essere una gigantesca biblioteca.
Si fermò, osservando a bocca aperta la miriade di scaffali stracolmi di libri e documenti; in quel momento si mise ad invidiare suo fratello, che poteva godere di quel meraviglioso spettacolo ogni giorno. 
Un rumore sospetto, poco lontano da lei, la fece tornare alla realtà. Velocemente, Elettra estrasse il suo pugnale, nascondendosi poi dietro ad una libreria. Prese a camminare tra quei libri, ben decisa ad arrivare il prima possibile al prossimo corridoio.
Per quanto cercasse di restare concentrata sul suo obbiettivo, si perse nell’osservare i titoli che correvano veloci al suo fianco. Si accorse troppo tardi di un rumore di passi, sempre più vicini.
Sentì qualcosa sibilare nell’aria e fece appena in tempo a spostarsi di lato, che vide un dardo conficcarsi nella copertina di un libro, a poca distanza dalla sua testa.
Si voltò di scatto nella direzione da cui era partito il colpo. “Leonardo”, chiamò l’uomo a pochi metri da lei, per farsi riconoscere.
“Elettra”, disse lui. Osservò prima l’amica e poi la libreria. “Ti avevo scambiata per una guardia svizzera” 
“Non importa, io stavo per tagliarti la gola a tradimento”, ribattè lei, rigirandosi tra le mani il pugnale. Si guardò in giro, notando la figura alle spalle di Da Vinci, tenuto in scacco dalla balestra dell’artista: era vestito di bianco e la ragazza sapeva fin troppo bene di chi si trattava.
“Vedo che ti sei fatto un nuovo amichetto”, disse, indicando Sisto, che la guardava torvo.
“E i tuoi amichetti?”, chiese Leonardo, stando al gioco.
La ragazza sbuffò, continuando con quel tono ironico. “Dormono; a quanto pare sono diventata una persona noiosa”
L’artista cercò in tutti i modi di soffocare una risatina. “Hai trovato quello che cercavi?”
Elettra diete alcuni colpetti alla bisaccia che teneva a tracolla. “È tutto qui. E tu?”
“Ancora no”
La ragazza era tentata di dirgli che sarebbe restata ad aiutarlo, però Leonardo l’anticipò. “Elettra, vai finchè sei in tempo”
Annuì, a malincuore. “Buona fortuna, Leonardo”
Gli girò le spalle, dirigendosi lontano. 
“La puttana fiorentina...”, mormorò Sisto dopo alcuni secondi di silenzio.
“Sapete Santità che le donne non si insultano? Specialmente se vi trovate dalla parte sbagliata di una balestra”, commentò Da Vinci.
 
 *** 

Elettra era arrivata in uno strano cubicolo, scavato interamente nella roccia. Tutto intorno a lei vi erano strani reperti, provenienti da chissà dove. Nonostante la sua grande curiosità, cercò in tutti i modi di ignorarli.
Deglutì e chiuse gli occhi. Come faceva spesso, mentre era nervosa, strinse fra le dita il proprio ciondolo.
“Ahi”, le scappò, osservandosi i polpastrelli arrossati: il cuore d’argento era insolitamente caldo...
Si guardò intorno, come in cerca di qualcosa. Ma non sapeva neanche lei di cosa.
E poi lo vide: un foglio di carta, racchiuso all’interno di due spessi vetri e una cornice di legno dorato.
Elettra si avvicinò, come una falena attirata dal fuoco. Non c’era bisogno che qualcuno le dicesse di cosa si trattasse, lei sapeva che quella era una pagina del Libro delle Lamine. Lo riusciva a percepire. 
Osservò rapita le parole cambiare continuamente davanti ai suoi occhi: molti di quegli alfabeti lei non li aveva mai visti. Senza quasi rendersene conto, poggiò un dito sulla fredda superficie di vetro.
Le parole lasciarono lentamente spazio a delle immagini: un ripido sentiero di montagna, una città di pietra sulla sua sommità e una strana donna dalla pelle ambrata, con indosso degli strani abiti decisamente troppo succinti e una strana corona d’oro simile ad un sole.
La ragazza trattenne il fiato mentre davanti a lei si formava l’immagine di uno strano edificio a gradoni, con al centro una scalinata, in cima ad essa vi era una persona, una donna dalla pelle diafana e i lunghi capelli biondi; i suoi abiti non erano molto diversi da quelli della strana figura vista poco prima. Il volto era sfocato e coperto parzialmente da una maschera: stava osservando se stessa? Oppure era la sua sorella gemella?
Di chiunque delle sue si trattasse, non pareva passarsela molto bene, dal momento che si trovava con le mani legate ad una sottile colonna di roccia. Dalla scalinata prese a salire un uomo: indossava un panneggio di stoffa scura, che gli copriva solamente la zona del basso ventre, lasciando scoperti il petto largo e gli addominali scolpiti, coperti da strane linee colorate. Aveva i capelli corvini e in mano un affilato pugnale. Anche la sua faccia era sfocata. Elettra associò immediatamente quella figura a Girolamo: che fosse lì per salvarla?
Un forte rumore la risollevò dai suoi pensieri: qualcuno aveva dato l’allarme! O lei o Leonardo erano appena stati scoperti. 
Diede un’ultima veloce occhiata alla pagina, prima di riprendere la sua corsa per il corridoio.
Se fosse restata una manciata di secondi in più, avrebbe visto l’uomo affondare il pugnale nella tenera carne della donna.
 
 ***

Elettra corse a perdifiato fino a quando si ritrovò in un corridoio riccamente decorato; ancora un paio di svolte e avrebbe imboccato il passaggio segreto che l’avrebbe portata all’interno della basilica di San Pietro, dalla quale sarebbe poi potuta uscire indisturbata.
Peccato che dalla parte opposta del corridoio, sbucarono una decina di guardie svizzere, bloccandole così il passaggio.
La ragazza si bloccò un istante e poi, ricordandosi della mappa che aveva preso a casa di Aramis, fece una brusca svolta a destra, correndo verso l’ennesimo arazzo, messo in quel punto per celare l’ennesimo passaggio segreto; lo aprì in fretta, richiudendoselo poi alle spalle e bloccando il meccanismo come meglio potè.
Nonostante i colpi ben decisi delle guardie, intenzionati ad abbattere quel muro, Elettra si fermò un attimo per riflettere. Un brivido freddo le percorse la schiena per tutta la sua lunghezza, quando si rese conto che quel passaggio portava direttamente nel cuore delle prigioni di Castel Sant’Angelo. 
Si era messa in trappola da sola.
Quel pensiero le fece mozzare il respiro, costringendola ad appoggiarsi al muro per non perdere l’equilibrio e cadere a terra; non era il momento di lasciarsi prendere dal panico, doveva  pensare lucidamente ad un modo per uscire viva da lì.
“Girolamo!”, si lasciò sfuggire. Lo studio di Girolamo si trovava proprio nelle prigioni! 
Un sorriso le comparve sulle labbra, mentre riprendeva a camminare. 
Sorriso che però fu di breve durata.
‘Io a Roma non posso proteggerti’
Quella frase le torno alla mente, facendola per un attimo bloccare.
‘Al diavolo!’, pensò, ‘Non permetterebbe mai alle sue guardie di catturarmi’
Sollevata dalla sua stessa conclusione, riprese a correre.

I corridoi delle prigioni di Castel Sant’Angelo erano deserti, fatta eccezione per qualche sentinella, rimasta a vegliare sui prigionieri. L’allarme scattato negli Archivi doveva aver fatto spostare velocemente la maggior parte delle guardie svizzere nei sotterranei.
Elettra si acquattò il più possibile contro l’angolo dove si era rintanata, cercando di restare dove l’oscurità era più fitta. Uno dei carcerieri passò lentamente nel corridoio adiacente e, mentre i suoi passi rimbombavano sul freddo pavimento di roccia, la ragazza trattenne anche il respiro, pensando che, se per caso l’avesse scoperta, scappare sarebbe stato alquanto complicato, visto la stazza dell’uomo, non dissimile da quella di un armadio. 
La guardia passò oltre e, dopo essersi assicurata che fosse ben lontano, la ragazza sgusciò fuori dal proprio nascondiglio, dirigendosi velocemente verso le scale che portavano allo studio di Girolamo.
Ancora una volta si ritrovò a ringraziare la propria memoria fotografica; senza di essa, non sarebbe stata assolutamente in grado di orientarsi in quel labirinto.
Salì le scale silenziosamente, trovandosi alla fine davanti ad un ampio portone.
Poggiò la mano su una delle due maniglie ed ebbe un attimo di esitazione: se Girolamo fosse stato lì, cosa gli avrebbe raccontato?
No, in quel momento non doveva assolutamente pensare alle conseguenze, la massima priorità era salvarsi la pelle.
Abbassò la maniglia e, senza indugiare oltre, entrò, chiudendo in fretta la porta alle sue spalle. Per sicurezza la bloccò anche con una sbarra di legno.
Con ormai l’adrenalina che veniva meno, si appoggiò alla porta, lasciandosi lentamente scivolare a terra, esausta. Chiuse gli occhi e prese alcuni lunghi respiri, cercando di calmarsi.
Decise di riaprirli dopo una manciata di secondi, guardandosi attorno curiosa. Fece un espressione perplessa: non era di certo così che si era immaginata lo studio di Girolamo. Quello che aveva davanti agli occhi, più che uno studio le sembrava un appartamento in miniatura, con tanto di comodo divanetto per le dormite. Evidentemente il Conte passava parecchio tempo chiuso là dentro.
Guardò verso l’imponente scrivania, rendendosi finalmente conto di essere sola: Girolamo non era lì; probabilmente si era diretto anche lui negli Archivi.
Elettra non sapeva se la notizia la tranquillizzasse oppure no; se da un lato avrebbe evitato imbarazzanti spiegazioni sul cosa ci facesse nelle prigioni di Castel Sant’Angelo con in mano alcuni documenti provenienti dagli Archivi Segreti, dall’altro era come se fosse stata in trappola. 
In preda ad un’ansia sempre più crescente, cominciò a rovistare in giro, in cerca di qualcosa che potesse darle un’idea su come uscire da lì sulle proprie gambe.
Aprì il cassetto di un basso mobiletto di legno, trovandoci dentro il proprio blocco da disegno. Nonostante la situazione, un sorrisetto da ebete fece capolino sul suo volto. Lo prese in mano, sedendosi poi sul divanetto e cominciando a sfogliarlo. Dopo aver girato alcune pagine, qualcosa, che evidentemente si trovava fra quei fogli, cadde a terra, producendo un rumore metallico. Elettra si chinò per raccoglierlo: si trattava di un anello in oro bianco, con incastonata una pietra trasparente, probabilmente un diamante; aveva l’aria di essere molto antico. Presa dalla curiosità, decise di provarlo, constatando che le calzava a pennello.
“Molto bello, vero?”
Al suono di quella voce la ragazza afferrò velocemente il proprio pugnale, guardandosi intorno con circospezione; se prima, a causa della poca luce, non aveva notato le sbarre ora, con gli occhi  ormai abituati all’oscurità, riuscì anche a scorgere una persona, in piedi, dietro ad esse.
“Appartiene alla famiglia Della Rovere da molte generazioni”, continuò l’uomo.
Elettra si sfilò l’anello, poggiandolo sul libretto, ancora aperto sul divano, e sì avvicinò alla cella.
Era anziano, con i capelli bianchi piuttosto lunghi ed una folta barba e...assomigliava decisamente troppo a Sisto.
“Chi siete?”, chiese. Le rotelle nella sua testa avevano intanto preso a girare velocemente: non sapeva che il Papa avesse dei fratelli, solo alcune sorelle. E poi la somiglianza era troppa, per essere solo semplici fratelli, sembravano più...gemelli!
Non ottenendo risposta, decise di dare voce alle proprie supposizioni. “Siete il gemello di Sisto?”
“Oppure quell’altro è il gemello di Papa Sisto IV”, rispose lui.
Elettra deglutì. “Che intendete dire?”
“Siete la dama fiorentina che ha stregato il Conte Riario, non è vero? Se siete sveglia come dicono, dovreste arrivarci da sola”
“Quello che tutti credono sia il vero Sisto non è altro che un impostore”, mormorò lei. 
Il vero Papa annuì.
“Perché Girolamo lo permette? Credevo fosse un uomo di chiesa...”
“Perché l’influenza che esercita suo padre su di lui è troppo forte”
La ragazza lo guardò un attimo smarrita. “Suo padre? Cosa centra adesso Paolo Riario?”
Per tutta risposta ottenne solo una risata. “Davvero credete che Bianca e Paolo siano i suoi genitori naturali?”. Fece un passo avanti, arpionando con le mani rugose le sbarre della cella. “Quella è solo pura facciata, il suo vero padre è il falso Sisto!”
“Che-che cosa?”, prese a balbettare lei, incredula.
“Dovete andare ora”, riprese a parlare il vero Sisto, “Passate dalle cucine e se qualcuno vi chiede qualcosa, dite di essere una nuova serva e che vi siete persa cercando l’uscita”
“Venite con me”, disse lei, prendendo una forcina dai capelli e cercando la serratura della cella. “Venite con me e mostrate al mondo questo inganno”
L’uomo mise una mano davanti alla toppa, impedendole di infilare la forcina. “No, io sono esattamente dove devo essere”. La guardò dritta negli occhi. “E ora voi dovete andarvene”
Elettra, ancora stordita da tutte quelle rivelazioni, annuì, dirigendosi velocemente verso l’uscita.
“Addio”, disse prima di abbassare la maniglia.
L’uomo prese la propria pipa, aspirando una lunga boccata di fumo. “Sono certo che ci rivedremo un giorno o l’altro”

Era appena passata una decina di minuti da quando Elettra Becchi aveva richiuso la porta dello studio alle sue spalle, quando essa si riaprì nuovamente.
Un giovane uomo entrò. Era evidentemente di fretta.
Il prigioniero sorrise fra sè e sè: finalmente aveva davanti a sè il grande Leonardo Da Vinci.
“Giornata di visite, oggi”, constatò.
 
 ***
 
Poco dopo, lungo le rive del Tevere...   

Elettra arrivò al punto di incontro con gli altri che era ancora nottefonda; aveva il fiato corto, da quanto aveva corso. Fortunatamente, nel tragitto dallo studio di Girolamo alle cucine di Castel Sant’Angelo, non aveva incontrato assolutamente nessuno. Appena si era lasciata quella fortezza alle spalle, si era messa a correre come una matta.
Osservò soddisfatta il fuoco che scoppiettava; intorno ad esso erano stati sistemati alcuni tronchi.
Le due persone, sedute su di essi, di spalle, attirati dai rumori prodotti dai passi della ragazza, si girarono verso di lei.
“Elettra”, disse Zoroastro, andandole incontro.
“Zo”, lo salutò lei, abbracciandolo. “Voi non avete idea di quello che ho scoperto!”, urlò, rivolgendosi anche a Nico. 
Prima ancora di incominciare, il moro la bloccò. “Hai trovato quello che cercavi?”
Elettra estrasse dalla propria bisaccia la cartelletta contenente il rapporto sulla scomparsa di sua madre e di Lucrezia. “Ovviamente, però ho dovuto mettere al tappeto sia Mercuri che Grunwald”
“La polvere soporifera ha funzionato?”
“Si sono addormentati come due neonati”. A ricordare la scena, la ragazza non riuscì a fare a meno di ridere. La sua faccia però si fece immediatamente seria. “Qualcuno deve aver scoperto me o Leonardo perché ad un certo punto è suonato l’allarme...mi sono fatta per un attimo prendere dal panico ed invece di uscire nella Basilicata di San Pietro mi sono ritrovata nelle prigioni e...”
“E il maestro?”, chiese Nico. Al sentire il racconto di Elettra, aveva cominciato ad impallidire.
“L’ultima volta che ho visto Leonardo teneva in ostaggio Sisto”
“Quello riesce sempre a pararsi il culo in un modo o nell’altro, è inutile preoccuparsi”, intervenne Zoroastro. Eppure, ad un orecchio attento, anche dalla sua voce traspariva una nota di preoccupazione.
“Ero in preda al panico e, non sapendo dove altro andare mi sono diretta nello studio di Riario”, continuò a raccontare la ragazza. “Lui fortunatamente non c’era, ma ho avuto modo di parlare con un prigioniero...”, ora veniva la parte complicata. “Quello che noi pensiamo sia Sisto, in realtà non è alto che il gemello, che inoltre ho scoperto essere il padre di Riario”
Zo piegò la testa da un lato, osservandola perplesso. 
“Spero che Leonardo trovi quella chiave al più presto, devo assolutamente dirglielo anche a lui”
“Ehm...”, si lasciò sfuggire il moro, “Sarà un po' complicato che Leonardo trovi la chiave...Vieni, devo mostrati una cosa”
Elettra lo guardò senza capire, ma si allontanò comunque con lui.
Percorsero alcuni metri, fino a quando non arrivarono ad un albero. Sulle labbra di Zoroastro si formò un sorriso furbetto, certo della reazione della ragazza. “Elettra, ti presento l’ultima chiave per aprire la Volta Celeste”
Ma lo sguardo della ragazza era puntato su tutt’altro. “Cosa gli avete fatto?!”
No, non era quella la reazione che Zo si sarebbe aspettato.
Elettra osservò preoccupata il volto sofferente di Girolamo, solcato da una ferita sulla guancia. Era legato con la schiena contro l’albero e la bocca tappata con uno straccio.
Il suo sguardo passò in fretta dall’inaspettato prigioniero al moro, che la guardava scioccato.
La ragazza si accovacciò di fronte al Conte, prendendo a studiare le sue ferite.
Girolamo la osservò con le pupille dilatate; lei non avrebbe saputo dire se dalla sorpresa o per il timore di qualcosa. Fece una piccola smorfia, quando lei gli sfiorò lo zigomo ferito con un dito.
Si avvicinò al suo viso e portò entrambe le mani al pezzo di stoffa. 
“Elettra, cosa stai facendo?”, chiese Zo, spalancando gli occhi dalla sorpresa.
Abbassò il bavaglio, togliendoglielo dalla bocca. 
“E così anche voi riuscite a cacciarvi nei guai, Conte”, disse, cercando di abbozzare un sorriso per sdrammatizzare un po’ il momento.
“Non quanto te, però”, sussurrò lui, con voce flebile. 
Si guardarono negli occhi per alcuni istanti.
“L’hai avuta tu fin dal principio”, mormorò, prendendo la chiave fra le mani.
Girolamo sospirò, ben consapevole che il tenergliela nascosta era stato un gesto di mancata fiducia.
L’attenzione della ragazza, però, si concentrò nuovamente sulle sue ferite. “Zo, mi passeresti...”, incominciò a dire, ma si bloccò, a bocca aperta. Si voltò verso il moro, osservandolo dritto nelle sue iridi scure. C’era delusione e rabbia nella sua espressione.
Lui lo aveva capito.
Zoroastro sapeva. Sapeva cosa la legava a Girolamo.
Elettra boccheggiò, in cerca delle parole giuste da dire. Ma non ne trovò.
“Da quanto?”. La freddezza con la quale parlò Zo fu disarmante.
Abbassò il capo, per evitare che lui la potesse vedere in faccia e notasse i suoi occhi che diventavano lucidi a poco a poco. “Zo...io...”
“Ti ho chiesto da quanto”
Sospirò, cercando di ricacciare indietro le lacrime. “Dall’assoluzione di mio zio”
Zoroastro annuì. La sua espressione, solitamente allegra, si era trasformata in una maschera di apatia. Le diede le spalle, incominciando a dirigersi verso il fuoco.
Elettra guardò spaesata Girolamo. “Vado a prendere qualcosa per medicarti”, mormorò, correndo dietro a Zo.
“Zo”, provò a chiamarlo, ma lui non parve neanche sentirla. Lo afferrò per un braccio, nel tentativo di fermarlo. “Io posso spiegarti...”
“Non c’è assolutamente niente da spiegare”, ribattè lui, ritraendo l’arto come se si fosse appena scottato.
La ragazza rimase rimase per alcuni istanti immobile, osservandolo allontanarsi. Prese un lungo respiro e poi si diresse verso alcune bisacce, cominciando a rovistare dentro ad una.
Zo e Nico guardavano il fuoco, facendo come se lei non esistesse. All’improvvisato accampamento era sceso un silenzio glaciale.
Elettra prese alcune bende e unguenti medicanti, poi, senza alzare la testa sui due uomini seduti poco lontano da lei, ritornò da Girolamo.
Il Conte, a vedere la tristezza che emanavano i suoi occhi, provò a sorriderle. Come risposta, sulle labbra della ragazza si formò un timido sorriso.
“Non ti curare di loro”, le disse.
“Sono certa che presto tornerà tutto a posto”, ribattè lei, cercando più che altro di convincere sè stessa. Perchè, allora, aveva la sensazione che qualcosa si fosse rotto per sempre?
“Hai altre ferite?”, gli chiese, dopo alcuni secondi di pesante silenzio. Doveva assolutamente cambiare discorso.
“Una sulla mano e credo un brutto bernoccolo in testa”, rispose lui.
Elettra lo guardò stupita, mentre intingeva una delle bende nell’acqua calda, per pulirgli la ferita. “Zo ti ha conciato proprio per le feste”, commentò, cercando di trattenersi dal fare dell’ironia.
“Invero è stato i giovane Nico”
“Oh”, riuscì a dire lei, sorpresa. Nico non avrebbe mai fatto certe cose, prima di quel giorno alle rovine romane. “Te la sei proprio andata a cercare”, aggiunse con quel suo solito tono impertinente.
Girolamo borbottò tra sè e sè qualcosa di incomprensibile.
Fece una smorfia di dolore, quando Elettra cominciò a passargli sulla pelle un unguento disinfettante.
“Vi credevo più forte, Conte”, disse lei, trattenendo a stento una risatina. Aveva usato le stesse identiche parole di Girolamo, quel giorno al convento, quando le aveva medicato i polsi. Se l’era presa parecchio per quel commento e non aveva mai visto l’ora di poter ricambiare.
Lui le lanciò un’occhiataccia e, per tutta risposta, lei scoppiò a ridere.
“Mi avevi promesso che non saresti mai venuta a Roma”. Il tono e l’espressione tremendamente seria di Girolamo avevano decretato la fine di quel momento di leggerezza.
Lei abbassò lo sguardo, concentrandosi sui medicamenti.
“Elettra, ti rendi conto che quello che hai fatto è stato estremamente pericoloso? Cosa avrei dovuto fare, se ti avessero catturata?”
“Non potevo fare altrimenti”, mormorò lei. 
Girolamo sospirò, osservando attentamente ogni suo singolo movimento.
“Perchè non mi hai mai parlato di tuo padre e di tuo zio?”, chiese la ragazza, dopo un lungo silenzio.
“Certi segreti sono troppo pericolosi e io non volevo metterti in pericolo”
Elettra annuì e cercò di sorridergli.
Ci fu un altro, l’ennesimo, silenzio, rotto soltanto dal rumore del bosco circostante.
“Chi era Celia?”. La domanda della ragazza uscì improvvisa ed inaspettata per Girolamo.
La guardò negli occhi, in cerca del modo migliore per parlargliene. “Era mia madre”
Lei prese un lungo respiro. Qualcosa dentro di lei le diceva di fermarsi, di non chiedergli altro, ma lei doveva sapere. Doveva assolutamente sapere. “Come è morta?”
“Fu il mio primo incarico per ordine del Santo Padre”
Vide un lampo di paura passare nelle sue iridi azzurre. Avrebbe dovuto fermarsi per il suo bene, ma aveva bisogno di parlarne con qualcuno. Aveva tenuto dentro di sè quel dolore per troppo tempo. “Non sapevo chi fosse...non fino a quando ho stretto le mani intorno alla sua gola. Lo capimmo entrambi in quel momento...avrei dovuto fermarmi, invece strinsi ancora di più”. Fece una breve pausa, per prendere fiato e ricacciare indietro le lacrime che scalpitavano per uscire. “Non dimenticherò mai il suo ultimo sguardo”
Aveva un disperato bisogno che lei lo capisse e che accettasse anche quel suo lato più oscuro. In quel momento aveva bisogno di lei più che mai; fece per avvicinarsi alle sue labbra, ma Elettra si ritrasse.
“Vado a prenderti qualcosa per il dolore alla testa”, disse, prima di voltargli le spalle. Sperava così di nascondergli il senso di paura che provava, ma Girolamo lo notò comunque; come notò anche la lacrima che gli scese sul viso e che lei cercò di coprire asciugandosela in fretta con una mano.
Anche nel loro rapporto qualcosa sarebbe mutato.
 
 ***   
 
La mattina successiva... 

Zoroastro osservò Elettra rannicchiata in un angolo, addormentata. Non sapeva bene di cosa si trattasse, eppure era successo qualcosa tra lei e Riario, quella notte; da quando era tornata là con loro, dopo avergli medicato le ferite, non aveva detto una parola, sistemandosi semplicemente il quell’angolo, vicino al fuoco. Il moro aveva dovuto mettercela tutta per resistere all’impulso di avvicinarsi ed abbracciarla, quando aveva visto il tremore delle sue spalle e sentito dei singhiozzi soffocati. 
Non poteva fidarsi di lei. Non più. Eppure...lei era fra le persone più care che aveva; ne aveva passate tante, ma non si era mai lasciata scoraggiare. Almeno fino a quando Riario non aveva fatto la sua comparsa. Quel coglione non la meritava e, lentamente, la stava cambiando. Nei suoi ricordi Elettra era sempre stata solare ed allegra, con la battuta sempre pronta e il sorriso contagioso. Ora quei sorrisi sinceri si stavano facendo ogni giorno sempre più rari.
Nico, che da parecchio, ormai, continuava a camminare avanti e indietro, lo distolse da quei pensieri. Sapeva cosa lo turbava: Leonardo non si era ancora fatto vivo.  “Non angustiarti, Nico, sta bene”, provò a confortarlo.  “Quello che hai fatto prima, venire in mio aiuto è stato coraggioso perciò...grazie”. Se non fosse stato per Nico, probabilmente sarebbe entrato per davvero nel coro delle voci bianche. 
“Anche io dovrei ringraziarti”, disse il giovane.
Un rumore di passi, a poca distanza da loro, lo costrinse a girarsi in quella direzione: Leonardo, zoppicante, stava andando verso di loro.  “Maestro, eravamo in pensiero”
“Leonardo!”. Anche Elettra si era svegliata e gli era corsa incontro, stringendolo forte a sè. “Sei ferito”, constatò con rammarico.
“Non è niente di grave”, minimizzò lui.
“Ah finalmente! Non vedo l‘ora di lasciare questo postaccio”, commentò Zo.
“Ho paura...ho paura di non poterlo fare: non ho trovato la seconda chiave. Resterò qui finchè non ci riuscirò”, ribattè l’artista, facendo una smorfia sofferente.
“Leonardo”, lo chiamò Zoroastro.
“Cosa?”
“Preparati ad una sorpresa”
Lo condusse all’albero dove era legato il Conte Riario; sul petto, lasciato in bella vista dalla camicia completamente aperta, spiccava l’ultima chiave per aprire la Volta Celeste.
“Ma come...?”, fece Da Vinci, sorpreso.
“Il merito è dello smidollato: io volevo sventrarlo ma lui mi ha fermato”, disse Zo, ironico.
Elettra, nel frattempo, a pochi passi di distanza, osservava la scena in rigoroso silenzio.
Leonardo tolse a Riario il bavaglio. 
“Artista, vedo che siete scappato”, disse il Conte, appena fu in grado di parlare, in un tono di voce che non prometteva niente di buono.
“E io vedo una chiave, che voi consegnerete a me”, ribattè Leonardo. Era la seconda volta nel giro di poche ore che qualcuno usava le stesse parole di Riario contro di lui.
“Meglio che mi uccidiate prima”, disse lui. Provò ad osservare Elettra, a vedere se avrebbe fatto qualcosa, ma lei abbassò lo sguardo.
Leonardo prese la chiave fra le mani e la strappò dal collo del Conte.  “Vi seguirò fino agli estremi confini della terra per riavere ciò che è mio”, disse quest’ultimo, trattenendo a stento la rabbia.
“Arriverà forse un giorno in cui sarò costretto a prendere la vostra vita, Girolamo, ma non è oggi”, ribattè con tono serio Da Vinci. “ Sono venuto in casa vostra e vi ho portato via la cosa che era per voi più cara di ogni altra”
“Io ho...ho in mente di restituirvi presto il favore, portandovi via quanto di più caro avete al mondo”
Elettra lo osservò con attenzione, capendo che non si trattava di una minaccia a vuoto. Ma a cosa si riferiva?
Vedere Leonardo allontanarsi da Girolamo, la distolse da quel pensiero: aveva tutto il viaggio di ritorno a Firenze per pensarci.
“Maestro lo lasciamo in vita?”, chiese Nico.
Leonardo si voltò verso la ragazza: lei lo stava implorando con lo sguardo di lasciarlo vivere.
“Essere ossessionati dai propri errori, Nico, è un destino molto peggiore della morte”, disse l’artista.
Elettra si voltò un’ultima volta verso Girolamo, prima di seguire i suoi amici. Ciò che il Conte vide in quelle iridi azzurre fu tormento, paura ed indecisione. Un’anima spaccata in due


Nda
Rieccomi qui con la seconda parte del capitolo dopo così poco (?) tempo. Diaciomo che il capitolo è iniziato in modo abbastanza spensierato (si sa, Elettra è un'ottima manipolatrice. E poi ha imparato da un certo Conte...) , per poi diventare mano a mano più serio... Ormai siamo alle battute finali, non aspettatevi troppi momenti di allegria. Ancora tre-quattro capitoli e L'Altra Gemella potrà dirsi conclusa.
Alla prossima (esami permettendo)   

   
 
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