*Quarto tassello
Stronger Than You.
Finalmente
azzeccò il tempismo giusto.
Tre ossa appuntite saettarono e si infilarono
perpendicolarmente nella testa della ragazzina, uno trafiggendo
direttamente il
bulbo oculare, mentre lei saltava verso sinistra per schivare un altro
assalto
dei medesimi proiettili: sangue e liquido cerebrale schizzarono come un
rosso
ventaglio sulle piastrelle dorate, con il sottofondo di un appagante
scrocchio
di ossa rotte.
La ragazzina atterrò come una marionetta rotta sulle
ginocchia, si accasciò al suolo senza un gemito e cadde
picchiando la fronte,
lasciando ulteriori macchie scarlatte sul pavimento.
Sans, ansimando come un mantice per la fatica, vide l’anima
della sua avversaria fremere per un secondo, pulsare
un’ultima volta e poi
infrangersi in pezzi, scomparendo nell’aria.
Ecco, ce l’aveva fatta anche quella volta.
…
Eccola
di nuovo avanzare verso di lui, appena entrata nell’ultimo
corridoio prima della sala del trono, con una lunga lama lucente in
mano.
Eccolo di nuovo ad attenderla al varco, in piedi con le mani
in tasca.
“È inutile che ti dica ormai quante ne ho contate,
vero?
Pazza malata.”
Lei si fermò, come faceva sempre, di fronte a lui,
fronteggiandolo con il coltello stretto nella mano abbandonata lungo il
fianco.
La luce obliqua del tramonto, che in quella particolare parte del
palazzo
prorompeva come una cascata d’oro da una frattura delle
pareti della grotta e
accendeva di luce tutto l’antico corridoio – le
vetrate erano state un grosso
vanto dell’architetto reale, parecchi secoli prima, dato che
riuscivano a
incanalarne perfettamente lo splendore – la colpiva in pieno
sul lato del viso,
scavando di ombre il suo sorriso isterico.
Sans si chiese di nuovo cosa diavolo fosse.
Di certo non la sua piccola Frisk, quella che gli pareva di
ricordare nelle memorie dei suoi sogni più nascosti.
“…è una bellissima giornata per
bruciare all’inferno.”
Attaccò subito, con tutta la forza che aveva, e lei
schivò
ogni singolo colpo con agilità come se – ormai
– avesse imparato a memoria
l’esatto punto in cui ogni cannone avrebbe sparato e ogni
osso colpito. Lui
sapeva cosa stava accadendo, cosa continuava
ad accadere: era tutto inutile, ogni volta che quella bestia assassina
racchiusa nel corpo di un essere umano finiva per morire, il tempo
tornava
indietro, e lei tornava ad affrontarlo, ancora, e ancora, e ancora, e
ancora…
di solito Sans aveva percezioni molto confuse del tempo che si
riavvolgeva, ma
non in quel momento. Era tutto troppo ravvicinato, troppo frequente
perché lui
potesse dimenticarsene o fare finta di niente. Lui non
poteva più
permettersi il lusso di dimenticare.
“Lo so sai? Il tempo continua a tornare indietro.
È inutile
quanto lottiamo… non mi importa più nemmeno di
raggiungere la superficie, tanto
un giorno ci sveglieremo tutti di nuovo qui in questa fogna, e non
sarà mai
successo nulla. Quante volte abbiamo già raggiunto la
superficie, eh? E c’eri
anche tu, e pensa che idiota, ho pure l’impressione che
fossimo amici. Pensi
che non abbia provato a sistemare questa cosa, ad aggiustare il tempo?
Eppure è
stato tutto inutile. Mi ero arreso, sai? Ma non questa volta. Non
questa volta.
Non posso permetterti di avanzare di un passo di più, anche
se combatto contro
l’impossibile.”
Sans aveva l’impressione chiarissima di aver ripetuto quelle
cose milioni di volte, ma non poteva evitare di aprire le dighe e
lasciar
sgorgare fuori tutta quell’amarezza, di fronte ad un
avversario che tanto
nemmeno lo ascoltava. L’umana infatti continuava a schivare
con abilità tutti i
suoi attacchi magici senza degnarlo di uno sguardo, se non quando
riusciva a
trovare una via di fuga tra le colonne di energia bruciante dei suoi
laser e
tentava un affondo con il suo coltello, che però Sans
riusciva sempre ad
evitare senza difficoltà. Certo, erano anni che non muoveva
un muscolo (…o un
osso, per meglio dire), ma non se la stava cavando per niente male in
combattimento, era ancora forte e agile come quando si allenava insieme
a suo
fratello.
E dire che Papyrus era
così preoccupato per il suo unico Health Point…
Continuarono
a combattere per minuti interminabili, il
mostro e l’umano, tempestandosi di colpi a vicenda ed
evitandoli tutti con
passi veloci, girandosi attorno come se stessero danzando una danza di
morte,
decisi ad uccidersi a vicenda con uguale determinazione in quel
meraviglioso
corridoio sommerso d’oro.
L’umana sembrava non perdere un colpo; Sans invece
iniziò a
sentirsi un po’ stanco. Alla fine, tutti quegli anni di
inattività iniziavano a
diventare un po’ pesanti… ma non poteva
permettersi di perdere. L’umana
sembrava pronta a tutto e anche lui non doveva essere da meno: attinse
alle sue
ultime energie e iniziò a distorcere lo spazio-tempo,
scagliando la sua
avversaria avanti e indietro durante il loro combattimento e riuscendo
a
colpirla un paio di volte con i suoi laser. Lei scoppiò a
ridere, sfiorata dal
potere bruciante della sua magia ma uscendone comunque viva.
Sans sapeva benissimo che anche l’umana era in grado di
manipolare il tempo, ma era sicuro che non possedesse la precisione e
raggio
d’azione che aveva lui: pareva che lei potesse farlo solo in
determinati
momenti, e non era abbastanza capace da poter stare dietro a lui. In
ogni caso,
presto lo scheletro raggiunse il suo limite.
Se Sans non l’avesse uccisa lì
e in
quel momento,
avrebbe fallito.
Lui non poteva fallire, l’avrebbe tenuta intrappolata in
quel combattimento per tutta l’eternità,
uccidendola ogni volta e ricominciando
ogni volta, ancora e ancora, se fosse stato necessario. Non gli era
permesso
arrendersi o la morte di tutti i suoi cari sarebbe rimasta invendicata,
e
quell’inferno sarebbe ripartito da capo.
Ma, ovviamente, era sempre stato uno scemo.
È inutile tenere duro per ottenere l’impossibile,
e in fondo
al suo cuore lo sapeva benissimo, anche se a volte tornava a far finta
che non
fosse così.
L’umana si approfittò di un suo momento di
stanchezza e
puntò con energia verso di lui, col coltello sollevato e una
folle sete di
sangue nelle pupille dilatate e opache. Lui chiuse gli occhi,
sorridendo,
talmente stanco da non riuscire nemmeno a inspirare l’aria
per il suo ultimo
respiro.
La sentì cadergli addosso e percepì la lama
tagliente e
dolorosa del coltello contro il costato.
- 0,5 HP.
Stupito,
riaprì gli occhi.
Si ritrovò bloccato al suolo dal corpo di lei, che gli si
era seduta sopra puntandogli la lama del coltello contro lo sterno,
tanto da
rendergli difficoltoso il respiro e pressoché impossibile il
movimento.
Sarebbe stata un’ottima occasione di contrattacco, se non
fosse stato che era così stanco e indebolito che a fatica
riusciva a tenere gli
occhi aperti, e comunque ad ogni suo tentativo di evocare una magia la
lama gli
avrebbe molto probabilmente strappato l’anima prima di
ottenere qualsiasi
risultato.
Anche l’umana ansimava di fatica, ma sembrava soddisfatta.
Sorrideva in tono sornione, stringendo il suo coltello, con i capelli
tutti
scompigliati e un paio di fili di fumo che si sollevavano da alcune
delle ciocche
che avevano incontrato il fuoco blu dei laser. Sans decise di non
provare a muoversi,
perché forse avrebbe potuto trovare ancora una
possibilità di fermarla, essendo
ancora vivo.
“Beh? – mormorò lo scheletro, e
sentì un rigagnolo di sangue
sgorgare fra i suoi denti mentre parlava – Che
c’è? Vuoi farmi vedere quando
sei diventata brava con quell’affare?”
Lei, finalmente, aprì la bocca e parlò.
“Sai. – disse, col tono casuale che userebbero due
amici al
bar per parlare del tempo atmosferico – Mi sto annoiando.
Alla fine è sempre la
stessa solfa.”
Sans tossì. La ferita al petto gli faceva male.
“…e allora perché non te ne vai? E ci
lasci in pace?”
Lei rise, leggera.
“Ma no, ma no… non in quel senso.
Quaggiù succedono sempre
le stesse cose. Sono tutti terribilmente prevedibili, tanto che mi sto
stancando anche di ucciderli. Tranne te, Sans. Tu sei l’unico
interessante qua
sotto.”
Lo scheletro strinse i denti, e sentì la lama premere ancora
di più contro la sua cassa toracica.
“…a quanto pare tu sai un sacco di cose, ma non
dici mai
niente a nessuno. Solo quando ti spingo al limite ti decidi a dirmi
qualcosa…
parli di rilevamenti delle linee temporali, di qualcuno da
salvare… e poi tiri
fuori quei cannoni pazzeschi e devo sempre fare una fatica bestiale per
superarti. Ammetto che sei rimasto l’unica sfida divertente,
quaggiù. Ma, piano
piano, mi sto stancando anche di te, e poi c’è una
cosa che mi sto chiedendo da
un sacco di tempo…”
Sul suo viso di bambina brillò un lampo di interesse. Si
chinò in avanti con un sorriso curioso.
“…ma tu chi diavolo sei, Sans? Si può
sapere che ci fa
quaggiù uno come te?”
Sans
ridacchiò, e questo gli costò una fitta terribile
al
petto e altro sangue a scivolargli lungo il mento.
“…che domanda del cavolo. Sono una sentinella, e
sono anche
piuttosto pigro. Ho un sistema piuttosto rigido di valori, anche se non
sembra,
e detesto la gente che va in giro ad ammazzare i fratelli altrui. Ma
tutte
queste cose le sai già.”
“Puoi anche evitartele le tue cazzate, non mi sembri nelle
condizioni
di continuare a raccontarmi balle.”
Il coltello affondò un poco.
- 0,1 HP
“Ehi
ragazzina, continua così e mi farai fuori. E poi non
potrò dirti più nulla.”
“…vedo che iniziamo a capirci. Sappi che non ci
metto niente
a ucciderti, se continui a prendermi in giro. Ma sinceramente non ne ho
voglia,
mi sono stancata di spezzarti il cuore sempre nello stesso modo, e poi
mi piaci
troppo. Fossi in te ne approfitterei.”
“Sei una…”
“Allora? Mi vuoi rispondere!?”
Sans rimase in silenzio per un paio di secondi, poi lasciò
cadere la testa all’indietro e ridacchiò di nuovo,
con quel filo di fiato che
gli restava nel corpo. Dopotutto l’umana aveva ragione, era
già un miracolo che
lei avesse deciso di mantenerlo in vita così a lungo, doveva
cercare di
approfittarne.
“Allora… - iniziò, e tossì -
… facciamo un gioco, io e te.
Io risponderò alle tue domande, più sinceramente
che posso. Ma anche tu
risponderai alle mie, ne faremo una a testa. Che dici, ti va?”
L’umana ci pensò un po’ su, ma alla fine
l’idea sembrò divertirla.
Sorrise soddisfatta.
“Ci sto.”
“Chi diavolo
sei è una domanda un
po’ generica. Non è che potresti essere
più
specifica?” chiese allora lo scheletro, sollevando
un’arcata sopraccigliare.
“Va bene. Dove hai imparato a teletrasportarti e a manipolare
il tempo?”
“Da quanto mi ricordo, so farlo da sempre. Credo di aver
imparato quando ero poco più grande di te, forse.”
“… e come fai ad avere questi poteri?”
“Ehi, abbiamo detto una domanda a testa.”
“Ah, già giusto. Chiedi pure.”
Sans ci pensò un po’ su. Probabilmente di
lì a pochissimo
sarebbe morto, ma magari avrebbe ottenuto qualche informazione
importante per
la futura linea temporale. Sapeva che tutto sarebbe ripartito e si
rendeva
conto fin troppo bene che probabilmente si sarebbe dimenticato ogni
singola
parola che si sarebbero scambiati, ma valeva la pena provare.
“Tu… non sei una bambina di otto anni. Non sei
nemmeno un
essere umano. Cosa sei?”
L’umana sorrise, strizzando gli occhi.
“Sono un brutto ricordo, di una brutta vita. Sono il
desiderio di violenza rimasto nelle fibre della realtà,
lasciato da qualcuno
morto da tempo.”
Lo scheletro assorbì l’informazione ma
evitò di chiederle
precisazioni: adesso era il turno dell’umana di fargli la sua
domanda. Il suo
peso sulle sue ossa quasi spezzate era al limite del sopportabile.
“Dimmi, Sans – iniziò, giocherellando
con il coltello contro
la sua maglia - … una volta mi hai fatto avere le chiavi per
la stanza dove
nascondi la tua macchina rotta, sul retro di casa tua. È una
macchina del
tempo?”
“Sì.”
L’umana sembrò piccata dall’estremo uso
di sintesi e
soprattutto dal tono secco e conciso, ma accettò la
risposta. Era il turno dello scheletro.
“Dì, ragazzina… perché
hai ucciso
mio fratello?”
“Noia. E tu dimmi, eri per caso l’assistente di W.
D.
Gaster, lo scienziato reale prima di Alphys? Ho trovato un badge in
quella
stanza sul retro.”
“Sì. Come fai a tornare indietro ogni volta che ti
uccido?”
“Determinazione. Gaster era per caso tuo parente?
C’è un
disegnino con te, lui e Papyrus nel tuo retro.”
“Era mio fratello. – Sans annaspò in
cerca di aria. Quel
gioco iniziava a non piacergli più – E tu, umana,
come usi la determinazione
per tornare indietro nel tempo?”
“Non lo so, succede e basta. E tu dimmi, è stato
Gaster a
progettare la tua macchina del tempo? È stato lui ha
insegnarti a manipolarlo?
È stato lui a costruire per te i tuoi cannoni?”
“Queste sono… troppe domande.”
La ragazzina parve rendersi conto di aver esagerato.
Corrucciò l’adorabile visino e si chinò
verso lo scheletro, toccando il sangue
che gli colava dalla bocca come se volesse ripulirlo, ma lasciando di
fatto una
striscia scarlatta sulla sua mascella d’osso con il pollice
della sua manina.
“Hai ragione, poverino. Cambio domanda. Dimmi un
po’, ma tu
chi diavolo
sei?”
Dalla sua espressione sadica Sans capì che non aveva
più voglia
di stare a dar retta alle sue richieste di evitare domande scottanti, e
così
chiuse gli occhi e prese un po’ di fiato. Eh già,
era proprio fregato,
sicuramente lei si stava stancando e non gli rimaneva troppo tempo da
perdere
in quella linea temporale maledetta.
“Eh. – lo scheletro ridacchiò
– Questa sì che è la domanda
da un milione di golds. Diciamo
così,
ragazzina.”
Sarebbe stato più sincero possibile, ma sicuramente la
risposta non l’avrebbe fatta felice. Anzi, probabilmente si
stava condannando
da solo, pensò divertito.
“…io sono come un
puzzle, a cui mancano diversi tasselli. Non ho idea di dove siano
finiti, e non
ho idea di quale sia l’immagine finale. Forse non esiste
nemmeno una immagine,
ma in realtà non mi importa neanche più di tanto.
Tanto ormai non ha più senso
preoccuparsene, dato che l’unica ragione per continuare ad
esistere che mi è
rimasta in questo momento è cercare di fermarti e impedirti
di raggiungere la
superficie e portare distruzione anche lì. Per non parlare
del fatto che ti farei
a pezzi un milione di volte solo per quello che hai fatto al mio
fratellino.”
Sans aveva detto tutto con una calma serenità che
sembrò
eccessiva persino per lui. Forse davvero si aspettava davvero che il
coltello
affondasse a strappargli via l’anima dopo ogni sillaba, o
forse ormai aveva
accettato il fatto che per quella volta non sarebbe riuscito, di nuovo,
ad
arrestare quel demone orrendo. Strano, eppure si era ripromesso di non
arrendersi: o forse, c’era qualcos’altro. Forse
aveva solo sentito il bisogno
di dire quelle cose a qualcuno, per una volta. Di buttarle in faccia al
suo
avversario.
L’umana non lo uccise.
Rimase a guardarlo con un’espressione corrucciata per
qualche secondo, sempre illuminata dall’oro del sole che
filtrava dalle
vetrate. Gli schizzi di sangue sulla sua pelle e capelli carbonizzati
attorno
al viso stridevano con l’indifferenza infantile che
continuava ad animarle i
lineamenti. Lo facevano imbestialire.
“Devi averne passate, tu, eh? Anche prima che arrivassi
io.”
Commentò, grattandosi il mento.
“Già.”
“…magari sai anche perché il tempo
continua a riavvolgersi.
Ti ho detto che io posso farlo tornare indietro, ma non so
perché ne ho la
possibilità. Tu e Gaster sembrate aver combinato un gran
casino con gli
esperimenti sullo spazio-tempo.”
Oh fantastico, quell’argomento non gli piaceva, non gli
piaceva per
niente…
“Eppure. – la vocina di bimba dell’umana
interruppe i suoi
pensieri –… eppure, dopo tutto quello che hai
passato e che continuo a farti
passare, continui sempre a fronteggiarmi, in questo corridoio. Una cosa
mi
chiedo: quanto ci metterai?”
Lo sguardo della bambina si fece maligno, e Sans sentì il
suo peso contro le sue ossa farsi più pesante e doloroso,
quasi fino ad
offuscargli la vista. Anche se lei lo aveva lasciato in vita, stava
iniziando la
sua caduta…
“…ci metterò a fare
cosa…?” chiese, tossendo altro sangue
tra i denti.
“A diventare come me. A diventare come Flowey. Ci siamo
passati tutti. Quanto resisterai ancora, prima di arrenderti davvero?”
Sans
rise.
“…come te?”
“Già. Come me. Quando getterai la spugna? Quando
capirai
anche tu che questo mondo è del tutto inutile, che tanto
vale distruggerlo ogni
volta? Quando smetterai anche tu di lottare per nulla?”
Sans rise di nuovo. Il dolore si intorbidì, e
sentì la sua
anima vibrare e pulsare per l’ultima volta. La ferita se lo
stava portando via,
che all’umana piacesse oppure no.
“…mai. Io sono
più
forte di te.”
L’ultima cosa che vide, prima di disfarsi in polvere, fu lo sguardo indispettito e furente dell’umana, che lo fulminò con cieca rabbia mentre lui se ne andava serenamente incontro a suo fratello, che lo aspettava dall’altra parte con un sorriso.
*Dedico la prima scena, col cervello di
Chara che esplode allegramente fra le ossa, a Holy Hippolyta, che mi
è parsa apprezzarla.
*La scrittura di questa shot è stata ispirata a diverse
canzoni che non c'entrano nulla con Undertale, come Same Old Love di
Selena Gomez o Hope of
Morning degli Icon for Hire. Ovviamente c'è
anche lo zampino della versione riscritta di Stronger Than You,
la canzone della favolosa Garnet di Steven Universe che è
stata modificata per Sans e Frisk da qualche fan geniale.
*...in ogni caso, Sans, i tasselli stiamo cercando di raccoglierli
tutti.
*Sempre che tu non li abbia gettati via apposta.
*Chissà che tipo di immagine scopriremo.
*Alla prossima!