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Autore: catstaringathesea    21/04/2016    0 recensioni
"...Ma io sono sempre ansiosa, nervosa, preoccupata, piena di paure e timidezza. Non sopporto mai nessuno, mi arrabbio per tutto e sono insopportabile. Ma quando sono con te, mi sento così in pace, felice, tutte le ansie, i problemi, le preoccupazioni vanno via, e il mondo sembra migliore, quando mi sorridi, mi fai il solletico e mi stringi, e mi raggomitolo su di te. Quando siamo insieme ci siamo solo noi, il nostro amore, i nostri respiri, le risate e i sorrisi; ecco, quando sono con te, io, mi sento completa."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Erano passati un paio di giorni dalla riappacificazione tra me e Giacomo. Da un lato sentivo di aver tradito me stessa, dall'altro provavo di nuovo quella felicità, se così poteva essere chiamata, che tanto mi era mancata. Avevo rinunciato a tutti i miei propositi, alle promesse fatte a me stessa, alla mia determinazione soltanto per avere quel briciolo di felicità. Un po' me ne ero pentita, ma cercavo di non pensarci troppo. D'altronde si vive una volta sola, e finché ero felice era meglio non farsi troppe paranoie.

Era un pomeriggio in cui ero oberata di studio, come al solito. Quel giorno, però, non riuscivo a concentrarmi, cosa che ultimamente mi capitava sempre più spesso. Voltai lo sguardo verso la finestra, viaggiando con la mente oltre i limiti delle case che avevo davanti agli occhi. Mi perdevo in continuazione, iniziando a pensare ad altro e fissando il cielo grigio.

Quando sentii il cellulare suonare, sobbalzai sorpresa. Nessuno era solito chiamarmi a quell'ora, e avevo già scritto a Giacomo che ci saremmo sentiti verso sera, dopo aver studiato.

Fissai lo schermo intontita. Un numero sconosciuto, quasi sicuramente nemmeno italiano, lampeggiava insistentemente. Indecisa se rispondere o no mi passai una mano tra i capelli e, alla fine, decisi di premere sul tasto rosso.

Misi giù il cellulare sulla scrivania, riprendendo a studiare. Ero così stanca da sentirmi svenire in continuazione. Proprio mentre stavo girando pagina, però, l'aggeggio maledetto squillò di nuovo.

Lo afferrai seccata e risposi con un "pronto" arrabbiato seguito da uno sbuffo. Dall'altra parte si sentivano voci confuse, che non riuscivo a distinguere. Poi, dopo qualche secondo, proprio nel momento in cui stavo per riattaccare, qualcuno parlò.

Non era un qualcuno qualunque. Era Valentino.

- Ciao, riconosci la mia voce? - Aveva chiesto.

- Come potrei non riconoscerla? - Gli risposi, sorridendo inconsapevolmente. Lui rise.

- Come stai? - Il suo interesse era sincero.

- Insomma. Quando te ne sei andato mi hai lasciato un po' spiazzata. Ci sono rimasta davvero male, a dirla tutta.

- Lo so, mi dispiace tanto, davvero. Ma l'ultima volta in cui ci siamo visti abbiamo passato un pomeriggio stupendo insieme, e non volevo rovinare tutto.

- Tranquillo, dai. Ti ho già perdonato.

- Meno male. Preferirei non essere mai partito.

- Ma no, non dire così! Sarà un'esperienza fantastica, vedrai. Te ne ricorderai per sempre.

- Per ora non è affatto fantastica. Sai come sono fatto: chiuso, timido, introverso. Non sono riuscito a farmi amici nemmeno lì, dopo che ci siamo trasferiti, figurati in un altro continente. Assurdo.

- Per uno come te, in effetti, è stata una scelta un po' azzardata.

- E pensa che volevo farlo per aprirmi di più. Finora ha sortito l'effetto contrario.

- Prova a lasciarti andare. Non pensare alle conseguenze, buttati.

- Ci proverò. Grazie, anche se non credo che ce la farò mai.

- Cos'è tutto questo pessimismo? Sei negli Stati Uniti, forza! Un po' di vita!

- Va bene, va bene. - Ridacchiò. - Qui sono le dieci di mattina, ma non stiamo facendo lezione perché manca un professore.

- Qui invece sono le quattro di pomeriggio. Stavo cercando di studiare, ma non riuscivo a concentrarmi. Meno male che ci sei tu a distrarmi. - Mi spostai all'indietro con la sedia e appoggiai le gambe sul tavolo.

- Sì, lo so che sono le quattro. Dato che non mi sono ancora abituato alla differenza di orario, ho controllato prima per paura di svegliarti nel cuore della notte.

- Non mi avresti disturbato. Mi farà sempre piacere sentire la tua voce.

Appena dissi quella frase mi morsi un labbro. Un velo di imbarazzo si instaurò nella conversazione, e ci fu qualche secondo di silenzio. Dopodiché, lo sentii tirare il fiato per parlare.

- C'è un motivo per cui ti ho chiamata, Angelica.

- Ah sì? - Risposi con voce stridula.

- Perché sei tornata con mio fratello? - La sua domanda fu secca, perentoria. Arrabbiata, anche.

- Perché non avrei dovuto? - Ribattei con fare sarcastico.

- Perché non ti merita.

- E chi mi meriterebbe allora? Tu, forse? Tu, che te ne vai in un altro Stato senza dirmi niente, dopo avermi fatto credere chissà cosa, e mi lasci da sola con una letterina del cazzo?

Avevo colpito nel segno. Lui rimase in silenzio, ma potevo sentire il dolore che doveva provare per la coltellata che gli avevo inflitto. Se ciò che aveva scritto nella lettera era reale, dovevo averlo ferito, e non poco. Perché quella, al contrario di quello che avevo detto, non era affatto una letterina del cazzo.

- Mi dispiace. - Disse dopo un po'.

- Fa niente. - I rimorsi per quello che avevo detto stavano iniziando a divorarmi dentro.

- Scusa anche per la lettera, so che fa schifo. Non avrei dovuto scriverla. Buttala. Anzi, bruciala, per favore.

- Non ci penso nemmeno. È bellissima, Valentino. Nessuno mi aveva mai scritto cose così.

- Però non l'hai letta attentamente.

- Sì, invece. Come mi hai consigliato, sono andata avanti con la mia vita. Ho provato a chiamarti, come ti sarai reso conto da solo. Ho provato a contattarti, ma tu non mi rispondevi mai. Sei voluto sparire, e io ti ho dato ciò che volevi. Ti ho lasciato libero di farlo.

- Non volevo toglierti la libertà che ti meriti.

- Non parlare di libertà. Non sentirti non vuol dire libertà.

- Forse ora la pensi così, ma un anno è lungo.

- Appunto: come hai detto tu, sono andata avanti. - Mi stavo innervosendo, e ciò si notava sempre di più dal mio tono di voce.

- Non dovevi andare avanti con lui, cazzo! Con tutti ma con lui no!

- E perché, sentiamo? Tu non hai nessun diritto di dirmi con chi devo o non devo stare. Lui è qui, ora. Lui mi dà quello di cui ho bisogno.

- Non è vero, e tu lo sai.

- Ok, magari non del tutto, ma per ora mi basta. - Ammisi, colta alla sprovvista.

- Ti serve qualcuno che ti renda felice veramente, Angelica.

- E quel qualcuno chi dovrebbe essere? Tu?

- Avrei voluto esserlo, sì.

Se tutta quella situazione era stata assurda fino a quel momento, basata su supposizioni e incomprensioni, ora era chiaro. Quella era una vera e propria dichiarazione.

Era confermato: ciò che c'era scritto nella lettera non doveva significare altro, non c'erano doppi sensi. Semplicemente, provava davvero qualcosa per me.

Lui. Per me.

Non potevo crederci.

Certo, ormai era abbastanza palese. Ma non potevo dire di essere sicura al cento per cento. Fino a quella sua ultima, breve frase. "Avrei voluto esserlo".

Disperata, mi passai una mano sul viso. Non sapevo quali fossero i miei sentimenti. Era tutto così confuso, ingarbugliato, complicato. Soltanto una cosa mi venne da dire.

- Vorrei che le cose fossero andate diversamente. - Sussurrai. La mia voce, assieme a qualsiasi cosa io stessi provando in quel momento, viaggiò attraverso tutto l'Oceano Atlantico e arrivò fin da lui in un batter d'occhio. A pensarci, non potevo fare a meno di stupirmi della meraviglia di un oggetto comune come il telefono, considerato così scontato dagli altri.

- Anche io. - Ammise, sospirando piano. Nelle sue due parole si poteva percepire tutto il suo sconforto.

- Forse ora è troppo tardi.

- Già.

Minuto di silenzio. Era come essere sospesi nel vuoto. Mi sentivo come il pulviscolo atmosferico che fluttua nell'aria, in un infinito vagare nel vuoto, senza una meta, in sospensione in mezzo al nulla. Mi si appannò la vista, e mi persi di nuovo a fissare un punto indefinito oltre il vetro della finestra.

- Stammi bene. - Disse lui alla fine.

- Ok. - Riuscii solo a dire. Non mi uscì nient'alto dalla bocca, soltanto quel debole, insignificante suono. Un "ok" sussurrato al vento, senza nemmeno pensarci, quando invece avrei voluto dirgli un miliardo di cose. Cose che sarebbero potute essere ma che non lo erano mai state.

Riattaccò.

   
 
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